Cenni storici: |
Adagiato alle pendici
dei Monti Tifatini il territorio di Maddaloni, di antica formazione
geologica, fu abitato probabilmente già in epoca preistorica. Secondo alcuni
studiosi, infatti, la zona sarebbe stata frequentata a partire dall’età del
rame. Tracce relative a quel periodo sarebbero alcuni frammenti di ceramica
a “scaglie”, risalenti alla civiltà del Gaudo e collegati ad un probabile
insediamento sul pianoro alle spalle del Castelluccio. Le teorie
sull’origine dell’abitato di Maddaloni sono diverse e controverse. Un dato
comune a tutte è quello per cui la sua storia agli inizi sia stata
influenzata dalle vicende dell’antica città di Calatia o Galazia, sita a
poche miglia di distanza, lungo l’attuale Via Appia nel tratto Maddaloni- S.
Nicola la Strada. Per vario tempo gli studiosi furono concordi nel ritenere
la fondazione di Maddaloni opera dei profughi di Calatia mentre, allo stato
attuale, si ritiene più probabile la teoria per cui essi, messi in fuga
dalle devastazioni saracene, si sarebbero rifugiati nell’adiacente villaggio
di Mataluni. I due abitati, quindi, sarebbero stati coesistenti. Il destino
di Calatia fu, per buona parte, legato a quello della vicina e più
importante Capua. Caduta in mano ai Sanniti nel 318 a.C., fu occupata dal
console Caio Giulio Bubulco e quindi conquistata dai Romani nel 309 a.C.
Durante la seconda guerra punica sostenne inizialmente Annibale, ma nel 211
a.C., si assoggettò nuovamente e definitivamente a Roma. Con la distruzione
operata dai Saraceni nel 862, come si è già detto, parte dei fuggiaschi
probabilmente andò ad incrementare la popolazione della vicina Maddaloni,
situata sulle prime balze collinari. Tale insediamento da piccolo borgo
quale era ebbe, di conseguenza, un rapido sviluppo. Il ricordo di Calatia
oggi rivive grazie agli scavi archeologici condotti sul sito dell’antica
città che hanno messo in luce oggetti risalenti fino al sec. VIII a. C. ed,
in particolare, corredi funerari provenienti dalla ricca e interessante
necropoli. Attualmente molti di questi reperti sono conservati nel Museo
Civico. Il toponimo del vicino borgo di Maddaloni è citato, per prima volta
in un diploma del principe beneventano Arechi II, dell’anno 774, in cui si
fa menzione di una grangia, dedicata a San Martino: “quae in Mataluni sita
est”. La formazione del paese in quel periodo è da mettere in relazione alle
scorrerie dei vari popoli che devastarono la piana, dai Goti ai Vandali fino
ai Longobardi e i Saraceni. In particolare per la sua posizione strategica,
tra Capua e Benevento, il borgo suscitò l’interesse dei Longobardi, popolo
che esercitò un grande influsso sulla città. Difatti sono risalenti all’età
altomedievale alcune opere edilizie tra cui quelle sull’eremo di S. Michele
sia il “Castelluccio” (la torre più piccola). Probabilmente risale a tale
periodo anche la formazione del Castello di Maddaloni, malgrado delle sue
strutture longobarde non si siano riscontrate tracce e scarsi sono, in
generale, i documenti relativi a quest’epoca. Maggiori sono invece le
informazioni relative al periodo normanno al quale si fa risalire la sua
effettiva edificazione. Il Castello sorse in un posto strategico a guardia
della Via Appia per Benevento e a controllo anche dell’accesso alla valle
Caudina, dominante ampia parte della pianura tra Nola e Capua. Esso fu un
elemento fondamentale per la storia della città e spesso al centro di
importanti eventi in quanto rappresentò un luogo strategico per la conquista
del ducato di Napoli da parte di Ruggero II. Pertanto fu proprio quest’ultimo
a rendersi artefice della fortificazione del borgo che le fonti documentarie
del tempo ricordano come castrum Kalato Maddala, castrum Magdalonis. Nel
1135, fu fortificato dal cancelliere Guarino e da Giovanni Admiratus e nel
corso del XII secolo mantenne un ruolo di notevole importanza, cosa che è
testimoniata anche dai numerosi documenti di archivio tra i quali le
pergamene Verginiane da cui è possibile trarre preziose informazioni sulle
fortificazioni e sull’organizzazione militare e territoriale. Altro
importante documento è il Catalogus Baronum da cui si ha notizia di diversi
feudi e fedautari nel territorio attuale di Maddaloni.. Un’altra
testimonianza dell’epoca normanna è, infine, fornita da un documento del
1171 che testimonia il ruolo di Maddaloni come sede della corte di Giustizia
nell’ambito di una vertenza intercorsa tra il vescovo con i cittadini di
Teano e i cittadini Sessani, relativamente ad un corso d’acqua. La sentenza
fu pronunciata da Roberto di Caserta ed emessa a favore dei Sessani negando
ai Teanesi, Iure Longobardum, la prova del duello che essi avevano
richiesto. Anche con gli Svevi Maddaloni accentuò il suo aspetto di terra
fortificata. Nel tempo la cittadina conobbe anche un discreto sviluppo
economico - sociale e fu sede di pubblici ufficiali, di buone maestranze e
di attive congregazioni laicali. |
Illustrazione del sito: |
L'origine
dell'antica città di Calatia non è riferibile a tempi determinati con
esattezza ma i reperti individuati ne testimoniano l'esistenza come centro
abitato fin dall'VIII secolo. Il destino di Calatia fu, per buona parte,
legato a quello della vicina e più importante Capua ed influenzò, a sua
volta, la storia di Maddaloni. Nei secoli più remoti essa fu abitata da
Opici, Osci, Etruschi poi, nel 318 a.C., cadde in mano ai Sanniti , fu
occupata dal console Caio Giulio Bubulco e quindi conquistata dai Romani nel
309 a.C. Durante la seconda guerra punica la città sostenne inizialmente
Annibale ma, nel 211 a.C., si assoggettò nuovamente e definitivamente a
Roma. L'anno successivo vi furono trasferiti gli abitanti di Atella. Nel 59
a.C. Cesare vi dedusse una colonia. Interessata dal fenomeno delle invasioni
barbariche, fu abbandonata a seguito della distruzione operata dai Saraceni
nell' 862, cosicché parte dei fuggiaschi andò ad incrementare la popolazione
della vicina Maddaloni, situata sulle prime balze collinari, decretando la
fine della più antica città. Il ricordo di Calatia, affidato fino a qualche
tempo fa solo alla toponomastica di alcuni luoghi come San Giacomo delle
Gallazze o Villa Galazia, oggi rivive pienamente grazie agli scavi
archeologici condotti sul sito antico. Lo studio di questo territorio fu
affrontato in maniera scientifica per la prima volta da Giacinto De Sivo
nella seconda metà del XIX secolo mentre continuavano ad effettuarsi
rinvenimenti casuali. Nel 1880, ad esempio, fu rinvenuto il sepolcro della
piazza dell'Unione. Pochi anni più tardi fu l'archeologo Antonio Sogliano ad
abbracciare la causa di Calatia attraverso la stesura di una relazione che
esortava all' intervento in suo favore ma che rimase, però, senza seguito.
Negli anni 1913 e 1935 furono effettuati dei ritrovamenti occasionali su cui
relazionò il grande archeologo Amedeo Maiuri mentre nel 1965, in occasione
dei lavori per la costruzione di un metanodotto da parte dell'Agip, non
informata sull'importanza archeologica della zona, vennero alla luce alcuni
resti murari che andarono purtroppo distrutti. Da quel momento in poi il
territorio fu sottoposto a serie campagne archeologiche: nel 1967 con le
indagini compiute dallo svedese Paul Astrom si riuscirono ad individuare le
mura e l'estensione di Calatia; successivamente furono compiuti saggi di
scavo da Jowannosky e Livadie. Nuove iniziative sono state intraprese dal
1997 con la messa a punto da parte della Soprintendenza archeologica di
Napoli e Caserta, del Comune di Maddaloni e della Seconda Università degli
Studi di Napoli, di un progetto di ricerca e di nuove campagne di scavo. Il
prodotto di tutto questo lavoro consiste essenzialmente nella raccolta di
reperti conservati al Museo Civico oltre che nei resti visibili in situ.
Questi ultimi sono ubicati nell'area pianeggiante a ridosso del confine
occidentale dell'attuale Maddaloni. L'area della città di Calatia si
sviluppa lungo il tracciato dell'antica via Appia, asse principale di
collegamento tra Roma e il Sud. Difatti , in corrispondenza dell'area
compresa tra S. Nicola la Strada e S. Maria a Vico, la strada deviava il suo
andamento rettilineo per un tratto di circa 500 metri entrando nella città e
costituendone l'asse principale in base al quale si sviluppava il tracciato
urbano. L’intera città è inquadrata a N tra il decumano della centuriazione,
identificato a S di Recale e quello di San Marco Evangelista e Capodrise a
S. Nell’altra direzione il cardo che scende da località Saudina a N a
località Cupa e Toppone a S rispetta l’area urbana e l’asse devia in
direzione NE e SE, poco prima di entrare in città. L'estensione della città
è di circa 15 ettari. Essa era racchiusa da mura di cui sono visibili alcuni
tratti tra cui i più significativi quelli situati presso la porta
occidentale, realizzati in opera incerta, in qualche punto poggiante su
filari di blocchi di tufo, e preceduti da un avvallamento che fu
probabilmente un antico fossato. Questa parte superstite delle mura,
denominata "i Torrioni", ha una estensione di circa 35 metri scandita da
contrafforti ogni sei metri ed é databile al III-II secolo a. C. Un altro
settore delle mura, quello meridionale, é stato individuato solo come
struttura di fondazione ma ha fornito utili indicazioni su una serie di
interventi successivi di adeguamento delle opere difensive. Insieme ad esso
sono state riscontrate una strada suburbana che si sviluppava lungo le mura
e le tracce di un fossato successivamente colmato e annullato. Relativamente
alle singole opere edili, i resti più consistenti riguardano senza dubbio le
necropoli di cui sono pervenute testimonianze relativamente a tutte le fasi
storiche dall'VIII secolo a.C. all'età romana. Più scarsi i resti che si
riferiscono all'abitato. Risalenti ai primi insediamenti sono alcune tracce
rinvenute e riconosciute come probabili parti di capanne. Più significativi
sono i resti di una domus, visibile a nord della via appia e ristrutturata
in epoca tardo-repubblicana, di cui sono stati individuati alcuni ambienti
specifici: una stanza di servizio, forse una cucina, una corte scoperta con
una vasca ed un pozzo, alcuni ambienti di rappresentanza con, ancora
conservati, i pregiati pavimenti a mosaico. Una testimonianza di edilizia
pubblica é invece costituita da un edificio monumentale di fondazione
ellenistica non ancora completamente portato alla luce. Fin dai tempi più
antichi la città era stata dotata di ben due necropoli poste rispettivamente
a NE e a SO. Le prime tracce delle necropoli furono rilevate ad ovest
dell'antico abitato con il rinvenimento di tombe, per lo più a cassa,
nell'area di confine tra gli attuali comuni di Maddaloni e San Nicola la
Strada. Durante i successivi lavori eseguiti negli anni Settanta furono
ritrovate, nella stessa zona, circa centodieci tombe risalenti alla fine del
VIII secolo. Il ritrovamento di ulteriori duecentonovanta tombe nella
necropoli SE ha, poi, consentito la copertura di tutto l'arco temporale di
vita della città. Ancora successiva é l'identificazione dell'altra area
cimiteriale, posta a NE in cui sono state ritrovate quattrocentoquarantanove
tombe databili a partire dal VII secolo a.C. Inoltre, si è indagata
un’arteria NS con pianciti stradali realizzati in terra battuta contenuti da
spallette in blocchi squadrati di tufo. La successione delle pavimentazioni
stradali ha permesso di costruire una cronologia relativa degli interventi a
partire dalla fine del IV secolo a.C. fino a epoca imperiale avanzata con
una profonda ristrutturazione repubblicana forse da collegare agli eventi
traumatici vissuti dalla città dopo le guerre annibaliche. Infine, i più
recenti interventi hanno riguardato lo scoprimento dell'area posta a sud
della via Appia, corrispondente alla necropoli SO di Calatia. Tali ultimi
studi hanno dato in contributo alla conoscenza delle modalità di sepoltura
ed hanno consentito di fare alcune osservazioni, ad esempio, sulla
progressiva scomparsa delle tombe del tipo con copertura a ciottoli man mano
che ci si avvicina alla città a favore di quelle più recenti a cassa di tufo
o a fossa. In generale, quindi si é notato un graduale avvicinamento alla
città nel tempo ed anche il verificarsi delle difformità nell'orientamento
di alcune tombe, specie quelle di età imperiale, rispetto a quello generale.
A tal proposito si é addirittura rilevato il caso di tombe a cassa di tufo
che tagliano, sottoposte, quelle a ciottoli. E' il caso di ricordare che
tutti i ritrovamenti di strutture funerarie sono avvenuti congiuntamente
alla messa in luce di interessantissimi corredi funerari. Per tali beni
mobili, relativamente più semplici da salvaguardare e da rendere al
beneficio pubblico, é già stato possibile intraprendere iniziative
finalizzate alla loro fruizione. Non così per l'area di Calatia intesa come
"parco archeologico" che é, allo stato attuale, ancora in via di definizione
e quindi non ancora pronta per svolgere appieno quella sua funzione
didattico-culturale che le é propria e per la quale occorrerà lavorare
tenendo sempre presente la finalità principale della sua conservazione.
Nel 1929 venne rinvenuto un cippo sotto
l'attuale livello stradale di via N. Bixio. Questa "pietra errante" fu
reimpiegata e murata nelle strutture del campanile della chiesa di San
Martino (una delle chiese più antiche di Maddaloni, citata da Arechi,
principe di Benevento in un documento del 774), quasi nello stesso posto del
ritrovamento. La lapide è in travertino; misura cm. 175 di altezza, cm. 85
di larghezza e cm. 70 di spessore. La scrittura del testo, probabilmente
dettata dal committente, risulta molto consunta e di difficile
interpretazione. I caratteri dell'iscrizione si possono datare al II - III
sec. d.C.. Nel testo si parla di un Q. Virius Stratonicus, probabilmente un
liberto della gens Viria. La gens Viria era molto diffusa in Campania fin
dall'età preromana ed era una delle famiglie più nobili. Nelle iscrizioni
osche infatti, troviamo un meddix tuticus (supremo magistrato) appartenente
a questa gens. Tito Livio nelle sue Historiae parla di un Vibius Virrius che
istigò i Campani alla rivolta contro Roma nel 216 a.C. e poi si diede la
morte nel 211. Nell'età imperiale troviamo un Virius Gallus corrector
Campaniae (governatore della Campania) e tre consoli: Virius Audentius
Aemilianus, Virius Turbo e Virius Vibius.
La Chiesa di San Benedetto, costruita
fuori le mura del Castello, fu edificata ,forse, da S. Benedetto o da un suo
discepolo. La chiesa, a tre navate, presenta un abside con un ciclo di
affreschi databili dall’XIV –XV. All’interno colonne romane (elementi di
spoglio provenienti dall’agro Calatino); all' esterno una statua di età
romana.
In località Boscorotto nel 1987 durante
i lavori dello scalo merci Maddaloni-Marcianise vennero rinvenuti i resti di
una villa extraurbana ricadente nel territorio dell'antica città di Suessula.
L'impianto principale è di età medio-repubblicana, la struttura sembra aver
avuto varie modifiche nel tempo, dovute sia a variazioni di destinazione
d'uso, sia a problemi di carattere ambientale. La villa, di cui sono chiari
i limiti ovest ed est, aveva uno sviluppo rettangolare in direzione nord-
sud. La presenza di falde acquifere superficiali riscontrabile anche
attualmente, ha verosimilmente causato l'innalzamento di circa 50 cm delle
strutture, rispetto all'impianto originario. La parte della villa
attualmente visibile era inizialmente destinata ad abitazione: di questa
prima fase sono visibili le strutture indicate in giallo sulla pianta. Si
riconosce il peristilio, intorno al quale, a sud e ad est, si sono
conservati gli ambienti di servizio. Gli ambienti ad ovest si affacciano su
un ampio portico, secondo uno schema ricorrente nelle ville del I sec. a.C.
È possibile identificare nell'ambiente centrale, suddiviso in un secondo
momento, il triclinium. Rifacimenti si riscontrano nelle colonne del
portico: quelle originarie, di tufi con ricorsi di laterizio, sono state in
parte sostituite da colonne in reticolato da laterizi e mattoni.
In età tardo-imperiale l'area fu adibita a zona agricola.
Questo comportò la chiusura di alcuni vani con la trasformazione in vasche
di buona parte degli ambienti, come indicato in rosa nella pianta. Anche il
peristilio subì diverse trasformazioni: fu creato un accesso carrabile a
sud, tagliando il muro in opera reticolata e il cortile fu lastricato con
grossi blocchi di calcare, probabilmente provenienti dal vicino impianto
urbano. Tale assetto rimase in funzione fino al VI sec. d.C., come indicano
alcuni frammenti di sigillata africana D, con motivi impressi, rinvenuti nel
corso dello scavo. L' area è stata oggetto di frequentazione fino all'età
moderna. |