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Comune: MONTECALVO IRPINO (Av)
Sito archeologico: Ponte romano e "bolle" della Malvizza
Ubicazione: Il ponte romano è sulla via Appia; le "bolle della Malvizza" sono in località Malvizza
Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Avellino (Via Ciccarelli n. 5 - tel.0825781862)
Modalità di visita: liberamente visibili
Cenni storici:

Le origini di Montecalvo Irpino sono ascrivibili all’epoca medioevale malgrado il ritrovamenti effettuati nel suo territorio che testimonierebbero di una frequentazione relative ad epoche precedenti. I ritrovamenti effettuati risalirebbero all’età romana: si tratta di una Villa rustica, dei resti di un ponte costruito sul fiume Miscano lungo la via Appia Traianea, di un cippo miliare rinvenuto nelle vicinanze, dal quale si è appreso che il ponte fu ricostruito per volere e a spese di Traiano, nel 117 d. C., dopo la distruzione operata dalla furia del Miscano. Ritrovati anche diversi reperti mobili ed estese aree di frammenti fittili. Il sito non è esplicitamente nominato nell’antichità ma lo è una sua parte, quella località Malvizza nota per la presenza delle cosiddette “bolle” cioè piccole crateri che emanano esalazioni mefitiche provocate da gas sotterranei. Difatti ne parlarono Seneca e Plinio per i quali queste “aure pestifere” furono letali per gli uccelli , che attraversavano a volo il sito, considerato di cattivo auspicio. Pare che il ruolo assunto dal territorio di Montecalvo nell’antichità fu quello di meta di riposo dei Romani che vi sostavano nei trasferimenti, attraverso la via Traianea, verso Brindisi ed Otranto. Il vero e proprio abitato di Montecalvo viene fatto risalire all’epoca medievale e alla presenza delle popolazioni longobarde e normanne. Lo stanziamento delle prime di esse, anche qui come in molti altri centri della zona, si verificò realizzando quel fenomeno di fusione culturale tra la civiltà germanica e quella sannito-latina favorita dalla mediazione cristiana. L’invasione longobarda fu accompagnata da guerre, epidemie e disordini vari tanto che gli abitanti di alcuni dei vecchi insediamenti romani furono costretti a raggrupparsi nei naturali punti di difesa che dominavano e circondavano la valle. Il primo nucleo dell’abitato fu arroccato intorno alla Rocca Romana, sita sul monte omonimo e così detta perché edificata dai Romani durante le guerre contro i Sanniti nel VI secolo durante l’invasione longobarda preordinata alla nascita del Ducato di Benevento. Le popolazioni che vi giunsero provennero dai villaggi circostanti, in genere di formazione romana, i profughi di contrada Tressanti e di Aequum Tuticum, in territorio arianese. Intorno al castello sorsero le prime abitazioni che si reputa siano state molto numerose in base a quanto riportato dallo storico padre Arcangelo da Montesarchio per il quale in poco tempo questa fu ammirata come una delle più nobili terre del periodo. Esse furono circondate da mura dotate di quattro torri laterali che racchiusero la cima dell’altura mentre per la fondazione della chiesa di Sant’Angelo avvenuta ad opera dei Longobardi e seguendo le loro consuetudini, fu scelta un’area posta fuori le mura. Il primo documento di età medievale che parla di Montecalvo è datato 1096 e testimonia circa la convocazione di circa sessanta militi in questa zona per l’organizzazione della grande crociata in Terra Santa guidata da Guglielmo il Buono. Al ritorno dei crociati dalla Terra Santa fu fondata la chiesa si Santa Caterina. L’origine del borgo è riferita al periodo della dominazione normanna.  

Illustrazione del sito: Il ponte romano permetteva alla Via Traiana di superare il torrente di Ginestra alla confluenza con il fiume Miscano. Qui, nel 1970, fu trovata un'epigrafe, oggi collocata nel museo provinciale di Avellino e corrispondente al numero di inventario ventitre. Si tratta di un blocco di pietra (alto 130 cm, largo cm. 87 e spesso cm. 40) che reca incisa l'iscrizione, trascritta ed integrata da Consalvo Grella, ex direttore del museo provinciale di Avellino, "IMP.CAESAR DIVI NERVAE F. NER VA TRAIANUS ... AU G. GERM (ANICUS) DACICUS PARTHICUS PONT MAX TR. POT.XX IMP.XIII COS. VI P.P. VIAM TRANSLATAMQUE IMPETU? FLUMINIS .....DESTRATUR. SUA PECUNIA IN. LOCO TUTIORE RESTITUIT". Ruderi di maggiori dimensioni erano ancora visibili nel 1854, quando lo storico Cirelli scriveva di "una colonna miliaria con numero XVI, benché guasta nell'iscrizione. Tuttora (1854) noi l'abbiamo ocularmente veduti, esistono di tal ponte i ruderi di due archi ed uno intero pilastro".

Numerose sono le testimonianze del passato riscontrate nell’ambito comunale, tra cui si segnalano una villa rustica di età romana, scoperta in contrada Tressanti, ed una grande quantità di reperti archeologici, raccolti nelle località Mauriello, S. Vito, S. Felice e Marinella. In contrada S. Spirito sono pure i monumentali resti di un ponte di età imperiale, posto lungo la via Appia-Traiana per attraversare il fiume Miscano. Nelle sue vicinanze è stata rinvenuta un’iscrizione del II secolo d. C., incisa su un blocco di travertino che ne ricorda la costruzione. Nella località Malvizza di Sopra una freccia con peduncolo ad alette in selce, numerosi strumenti litici e rognoni scheggiati di selce di provenienza garganica attestano una frequentazione della zona in epoca eneolitica. In località Tre Monti è stato rilevato un insediamento del Bronzo medio appenninico. In piazza S. Pompilio, infine, ai piedi dell’ampia gradinata, è un blocco di pietra calcarea, di epoca romana, con incavi di forma circolare comunicanti attraverso piccoli fori. La pietra, nota come sèkoma e di cui esistono altri pochi esemplari scoperti finora, doveva essere utilizzata per misure ponderarie.

Percorrendo la S.S. 414 e S.S. 90 bis per le Puglie, bivio per Castelfranco in Miscano, a 15 km da Montecalvo Irpino, si raggiunge la Malvizza, sconfinata distesa di terre assolate d'estate e gelide nel periodo invernale. Essa conserva ancora il fascino di una terra che gli antichi considerarono sacra, in quanto popolata da poteri e da spiriti misteriosi con i quali era conveniente ed opportuno instaurare buone relazioni. La dea Mefite, in particolare, era la personificazione della mefite stessa , cioè del cattivo odore che fuoriusciva dalle mofete. Queste, insieme al ponte detto dei "Diavoli" o di "Santo Spirito", costituiscono una delle principali attrattive della Malvizza visibili in attivi crateri di modeste proporzioni. La Mofeta della Malvizza è formata da salse fredde, i cui strati profondi, secondo il Salmoiraghi, constano di argille scagliose regolarmente alternate al calcare a fucoidi e brecciole nummulitiche tuttora in stratificazione regolare. I numerosi coni eruttivi che si aprono nell'area variano e si differenziano a seconda della stagione e degli anni e da essi fuoriescono ad intervalli variabili bolle di idrogeno e di fango. Gli antichi ritennero le mefiti montecalvesi, conosciute come le "bolle della Malvizza",sede di numerosi spiriti , sia benevoli che malevoli , che intervenivano rispettivamente in difesa o in offesa dei punti cruciali di interesse vitale per le singole famiglie e per l'intero popolo, come la porta della casa, il focolare, la dispensa, i campi, i confini, i boschi, le acque. Secondo la leggenda le bolle si sarebbero formate per lo sprofondamento, ad opera del rivale Satana (secondo altri Cristo o S.Nicola , offesi dal perpetuarsi di tanta malvagità), della taverna di un malefico oste che aveva l'abitudine di cucinare la carne dei suoi clienti, dopo averli uccisi e derubati. La tradizione popolare vuole che il 15 agosto di ogni anno si odano ancora venir su , tra il rigoglio dell'acqua , i lamenti dell'infame sprofondato.

Note:  

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