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SCHEDA INFORMATIVA A CURA DI ARCHEMAIL

Comune: POZZUOLI (Na)
Sito archeologico: Anfiteatro Flavio
Ubicazione: Via Terracciano
Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta
Modalità di visita: Tutti i giorni escluso lunedì dalle 9 ad un'ora prima del tramonto. Ingresso a pagamento (4 euro da 25 a 65 anni, 2 euro da 18 a 25 anni, gratuito per gli altri)
Cenni storici:

Pozzuoli sorge quasi al centro del territorio denominato Campi Flegrei: si tratta di un'area essenzialmente vulcanica, formatasi a partire da 45000 anni fa. Il carattere vulcanico è ancora oggi testimoniato da numerosi fenomeni quali la Solfatara o le acque termali o il bradisismo. Quest'ultimo fenomeno consiste in lenti movimenti verticali del suolo in zone circoscritte della superficie terrestre, impercettibile all'uomo, ma rilevabile in zone costiere osservando il livello del mare rispetto alla terra. L'area urbana di Pozzuoli può essere suddivisa in tre zone, rispetto alla propria origine: il Rione Terra, rupe di tufo giallo napoletano, residuo di un antico cratere; la terrazza della Starza, antica linea di costa sollevatasi circa 10000 anni fa; l'area della Solfatara, costituita da prodotti eruttati dal vulcano, ora appunto in fase di "solfatara".
Sono troppo esigue le tracce a disposizione degli archeologi per stabilire cosa vi fosse nell'area urbana di Pozzuoli in epoca preistorica e protostorica. La storia documentata inizia soltanto nel 531 a.C. quando alcuni profughi della città di Samo, in contrasto col governo locale del tiranno Policrate, decisero di stanziarsi nell'area dell'attuale Rione Terra: al nuovo sito venne dato il nome di Dicearchia, ossia "Città del giusto governo". A quell'epoca, tutta la costa flegrea rientrava nella sfera di Cuma e sicuramente, per fondare la loro città, i Samii dovettero chiedere il permesso dei Cumani e dipendere politicamente da questi. Anzi è probabile che sul luogo prescelto esistesse già una piccola colonia cumana con compiti difensivi. Per dovere di cronaca, occorre anche dire che finora nessuna traccia dell'abitato greco è stata trovata durante i saggi di scavo sul Rione Terra.
Solo in età romana, la città cominciò ad acquistare una certa importanza per la presenza del porto: a partire dall'epoca della deduzione di una colonia, avvenuta nel 194 a.C., la città assunse il nome di Puteoli (forse da puteus, nel significato di "pozzo" spiegabile con i numerosi crateri dell'area flegrea, o da putidus, ossia "maleodorante", riferito alle esalazioni solfuree). La bellezza del suo paesaggio ed il gran numero di sorgenti termo-minerali del suo territorio, attirarono, nel corso del I°sec.a.C., l'interesse dei ricchi Romani che vi costruirono una serie di lussuose dimore. Il poeta latino Lucilio già nel II°sec.a.C. la definì Delo Minore, paragonandola alla località dell'Egeo che all'epoca era molto florida riguardo all'attività economica. Fu anche per questo che Augusto eresse la città al rango ufficiale di porto di Roma, con l'istituzione di una flotta annonaria che provvedeva al vettovagliamento della capitale, trasportando carichi di grano dall'Egitto e dalla Sicilia. Da allora la città fu in continua crescita economica, ebbe un nuovo statuto di colonia e fu divisa in regiones e vici (quartieri e borgate suburbane a carattere commerciale) che ricalcavano quelli di Roma. Dopo Augusto, anche gli altri imperatori si interessarono alla città. Nel 95 d.C. fu costruita la via Domiziana per congiungere Pozzuoli direttamente a Roma, immettendosi sull'Appia, all'altezza di Sinuessa (Mondragone). L'ampliamento del porto di Ostia, voluto dall'imperatore Traiano, fu fatale per l'economia della città: iniziò pertanto una lenta decadenza della città, che però solo nel V°sec., anche a seguito di gravi fenomeni del bradisismo, si trasforma in vero e proprio declino.
Fino al 1296, Pozzuoli restò un castro, ossia un centro abitato cinto da mura, situato sul Rione Terra.

Illustrazione del sito:

Rimasto sempre in vista durante il medioevo, l'Anfiteatro Maggiore fu usato a lungo come cava di pietre da costruzione e sistematicamente spoliato, subendo sorte analoga a quella del Colosseo. Come il grande anfiteatro romano, anche quello flegreo fece da sfondo alle persecuzioni anticristiane: in particolare fu testimone del martirio del vescovo Gennaro e del puteolano Procolo, poi divenuti rispettivamente patroni delle città di Napoli e Pozzuoli. Col tempo sull'edificio vennero erette case e masserie e, nel 1689, anche una piccola chiesa dedicata a S. Gennaro; la chiesetta fu sconsacrata e distrutta nel 1837, quando sotto Ferdinando II di Borbone fu disposto lo sterro del monumento, che durò circa un secolo. Fra il 1839 e il 1845 l'architetto Bonucci liberò gran parte dei sotterranei; in successive campagne, E. Ruggiero (1850-1855) e G. Fiorelli (1880-1882) riportarono alla luce l'arena e parte dei passaggi radiali. L'opera fu completata tra il 1926 e il 1947 da A. Maiuri, cui si deve anche il primo studio scientifico dell'edificio. Comunemente il monumento viene collocato in età flavia per la presenza di un'iscrizione apposta in quattro copie su ciascuno degli ingressi principali: COLONIA FLAVIA AUGUSTA PUTEOLANA PECUNIA SUA. Nella sua incisività, l'iscrizione appare chiarissima: la città, onorata dall'imperatore del titolo di Colonia Flavia Augusta [ha costruito] a proprie spese. L'oggetto dovrebbe essere, secondo l'interpretazione più ovvia, l'anfiteatro stesso.
Tuttavia, in base a recenti ritrovamenti epigrafici, si può proporre una datazione neroniana dell'edificio, che per di più risulta estremamente coerente con l'impianto urbanistico neroniano della città; inoltre, anche l'uso dell'opera reticolata in alcuni punti dell'edificio potrebbe confermare una datazione anteriore all'epoca flavia. Dunque deve essere questo l'anfiteatro puteolano in cui, nel 66 d.C., si celebrarono i grandiosi giochi in onore di Tiridate, re dell'Armenia, ricordati da Dione Cassio. All'età flavia potrebbe essere ascritto, invece, il completamento della costruzione e della decorazione, cui farebbe riferimento l'iscrizione apposta sugli ingressi (va ricordato che la menzione del nome di Nerone era proibita per la sua damnatio memoriae). Altri restauri vennero eseguiti nel II secolo d.C.: furono modificati i sotterranei, costruiti interamente in opera laterizia, e il porticato esterno.
L'edificio, terzo in Italia per dimensioni (m. 149x116) dopo il Colosseo e l'anfiteatro di Capua, poteva contenere circa 20.000 spettatori. La costruzione si elevava su tre ordini: i primi due, ad arcate, sostenevano la cavea suddivisa in tre settori, summa, media e ima; l'ultimo si presentava all'esterno 89 come un alto loggiato, con un muro continuo finestrato e coronato da statue.
L'intero perimetro era percorribile a piano terra mediante tre ambulacri concentrici, collegati tra loro da ambienti disposti radialmente. Il percorso più esterno si sviluppava sotto le arcate di un portico su pilastri, decorati all'esterno da semicolonne addossate. Dei due ambulacri interni, uno era riservato al pubblico e correva nella zona mediana dell'edificio, l'altro era destinato al personale di servizio ed era posto dietro il podio lungo il perimetro dell'arena. In corrispondenza del secondo ordine di arcate, al primo piano, era una galleria, anch'essa percorribile lungo tutto il perimetro dell'edificio. Quattro ingressi principali a tre fornici erano situati alle estremità degli assi maggiore e minore. Un'articolata rete di corridoi assicurava, inoltre, numerosi percorsi interni per gli spettatori e consentiva nello stesso tempo gli spostamenti del personale di servizio, talvolta con l'espediente di utilizzare con doppia funzione lo stesso passaggio.
I sotterranei (perfettamente conservati) si sviluppano secondo due assi perpendicolari, individuati dai due corridoi principali e collegati tra loro da un unico ambulacro anulare. All'esterno dell'anfiteatro era una platea pavimentata a lastre di pietra e cinta da una cancellata.
Sostando in prossimità dell'ingresso moderno si può osservare l'entrata principale ovest con ingresso a tre fornici. In quello centrale, così come all'entrata sul lato opposto, una rampa in discesa immette nel corridoio longitudinale dei sotterranei. Il percorso carrabile veniva utilizzato per il trasporto delle attrezzature necessarie allo svolgimento degli spettacoli. Ma prima dell'inizio delle rappresentazioni l'apertura di queste rampe veniva chiusa con un tavolato affinché gli ingressi potessero essere utilizzati dal pubblico. Superato il cancello moderno, dopo la biglietteria, si percorre un vialetto che costeggia l'anello esterno dell'anfiteatro, dove è attualmente collocato il lapidario flegreo.
Sulla sinistra è il porticato con i pilastri e le semicolonne costruiti in blocchi di piperno; i pilastri sono posti in corrispondenza delle testate dei muri radiali anch'esse rivestite da blocchi di piperno. Nel II secolo d.C., per evidenti motivi statici, l'anello esterno venne rinforzato con l'aggiunta di altri pilastri in opera laterizia, restringendo così notevolmente lo spazio interno del portico, che in questa occasione venne interamente ridipinto. Dall'anello esterno e dall'ambulacro interno nella zona mediana si diramava la rete di percorsi per l'accesso alla cavea. Le gradinate erano suddivise in tre settori da tre precinzioni interne e in cunei numerati: nel lapidario sono ancora conservati numerosi frammenti epigrafici con l'indicazione CVN (abbreviazione di cuneus) seguita da un numero. Come avviene attualmente, i posti erano di maggiore o minore pregio in rapporto alla distanza dall'arena: quelli più vicini erano riservati ai senatori e ai cavalieri romani, oltre che ai magistrati e sacerdoti cittadini.
La parte più alta, summa cavea, si poteva raggiungere dal piano stradale esterno mediante rampe di scale. In totale erano previsti ventotto accessi di questo tipo, collocati in ciascuno dei quattro settori dell'anfiteatro in modo speculare. I passaggi erano così suddivisi: otto portavano dal portico esterno direttamente alle uscite sulla cavea nel livello più alto, i vomitoria (visibile nella quinta arcata dall'ingresso occidentale); dodici doppie rampe, sempre partendo dal portico esterno, salivano fino alla galleria del primo piano e di qui ai vomitoria (visibile nella decima e nell'undicesima arcata dall'ingresso occidentale); otto rampe partivano, invece, dall'ambulacro interno e salivano fino alla galleria al primo piano, da dove poi con le altre scale si poteva salire al livello superiore.
Gli accessi ai settori più bassi della cavea erano distribuiti solo lungo l'ambulacro interno. La media cavea era servita da quattordici scale, situate ai lati dei fornici degli ingressi principali e simmetricamente in ciascuno dei quattro settori. L'ima cavea si poteva raggiungere percorrendo dodici corridoi in discesa oppure quattro scale situate ai lati dei fornici sull'asse longitudinale. Dall'ambulacro di servizio più interno ancora, due scale, poste in corrispondenza dei fornici sull'asse trasversale, consentivano il passaggio verso quest'ultimo settore della cavea.
Alcuni ambienti radiali aperti sul portico esterno furono adibiti a scholae, vale a dire sedi di associazioni e collegia professionali. In taluni casi venne utilizzato anche lo spazio tra le arcate così da interrompere la continuità del percorso esterno. Di queste sale oggi restano poche tracce.
Continuando a percorrere il viale lungo l'anello esterno, si giunge all'ingresso intermedio sud. Esso presenta tre passaggi paralleli con arcate su pilastri (si conservano le basi dei pilastri, lo zoccolo in marmo e l'elevato dei muri perimetrali in opera laterizia).
Procedendo in direzione est (nella prima arcata dopo l'ingresso) sono i resti del sacello decorato da Gaio Stonicio Trophimiano, identificato per il ritrovamento in sito dell'iscrizione pavimentale di dedica. Il sacello era rivestito di marmi, ora perduti, e decorato da numerose piccole statue (rinvenute durante gli scavi). Ancora oltre (nella decima arcata dall'ingresso meridionale) era una sede degli Scabillarii, una corporazione di musicanti connessa alle attività teatrali, il cui collegio è stato ritrovato nell'attuale via Marconi. All'esterno, tra i pilastri laterizi, sono i resti del pavimento a mosaico nel quale era l'iscrizione che, anche in questo caso, ha permesso l'identificazione.
In prossimità dell'ingresso est si può osservare la sistemazione della platea esterna con la recinzione, separata con un gradino dalla strada basolata di disimpegno dell'anfiteatro. In questo punto si conservano alcuni dei pilastrini di sostegno con scanalature laterali dove venivano fissate le griglie della cancellata.
Raggiunto l'ingresso principale est, si può entrare nell'arena (il passaggio è nel primo fornice a sud). Ci si trova in questo punto sull'asse longitudinale dell'anfiteatro e da qui si può avere una visione d'insieme dell'arena e della cavea.
L'arena è attraversata al centro dalla fossa scenica, un'apertura verticale che raggiunge il livello dei sotterranei sottostanti, dove in corrispondenza era la media via, uno dei due passaggi principali. Queste strutture permettevano di sollevare dal basso gli scenari dipinti che dovevano animare i giochi nell'arena. L'apertura superiore poteva anche essere chiusa con un tavolato, quando fosse necessario ricostituire un piano uniforme. Nello stesso modo venivano sollevate dal basso le gabbie con le fiere o altre attrezzature sceniche necessarie all'ambientazione dei combattimenti. I passaggi dai sotterranei erano predisposti con botole quadrangolari di piperno, collocate sul piano pavimentale dell'arena. Sui bordi delle botole si possono vedere gli alloggiamenti delle cerniere per il tavolato di chiusura e, all'esterno, una serie di piccole aperture quadrate (oggi chiuse con blocchetti di tufo). In queste aperture erano infissi pali, lunghi tanto da raggiungere il livello dei sotterranei. Sull'arena i pali formavano una sorta di recinto di protezione per gli spettatori e soprattutto per il personale di scena, nei sotterranei fungevano, invece, da sostegni per le gabbie.
La prima precinzione dal basso racchiudeva otto file di gradini, la seconda sedici e la terza quindici. La cavea era sovrastata da un portico colonnato adorno di statue, del quale non si conserva in posto alcun elemento. Si possono osservare i tre ordini di vomitoria, in relazione con i percorsi descritti in precedenza, e una fila di finestre che illuminava l'ambulacro interno, collocate tra la media e la summa cavea. Ai lati di questo ingresso principale, come anche di quello simmetrico a ovest, si trovano le rampe di accesso al sotterranei.
L'interesse dell'anfiteatro puteolano è in buona parte dovuto al perfetto stato di conservazione del livello sotterraneo. La disposizione delle strutture consente, infatti, di comprendere il funzionamento delle macchine sceniche che venivano utilizzate per l'allestimento degli spettacoli: scenari e gabbie, come si è detto, nonché gli argani che servivano per sollevare tutto ciò fino al livello dell'arena.
La disposizione interna è semplice, ma estremamente funzionale. Lo spazio utilizzato corrisponde grosso modo a quello dell'arena soprastante e risulta suddiviso in quattro porzioni dai due corridoi principali. In corrispondenza del muro perimetrale dell'arena è un corridoio ellittico, sul quale si affacciano numerosi piccoli ambienti dove erano sistemate le gabbie per le fiere. Sulla verticale del corridoio sono le botole disposte lungo il perimetro dell'arena. Al momento dello spettacolo gli animali feroci venivano fatti uscire dalle loro celle e entrare in gabbie che poi erano sollevate verso l'alto fino all'arena.
Nei sotterranei è visibile anche parte degli impianti idrici dell'anfiteatro. L'edificio era, infatti, dotato di un complesso sistema di canalizzazione che convogliava le acque in una fogna centrale collocata sotto il piano dell'arena. Fontane alimentate da cisterne erano disposte negli ambienti radiali lungo il perimetro esterno, per soddisfare alle necessità del pubblico e garantire la manutenzione.

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