L'isola che non c'è...
antiche storie da Nisida

Rosario Serafino

(si ringrazia il Prof. Massimo Lancellotti per le apprezzate precisazioni)

La piccola isola di Nisida chiude ad est l'arco del golfo di Pozzuoli. Essa risulta di difficile accesso a causa della presenza del riformatorio giudiziario e di alcune strutture della NATO. Questa sua inaccessibilità ha permesso di preservare quasi intatte le sue risorse naturali, soprattutto nel versante che dà verso il mare, occupato da un'insenatura chiamata "Porto Paone".
Di origine vulcanica, come si intuisce dalla sua forma, emerge dal mare per un sesto circa della sua mole originaria (superficie circa 30 ettari, circonferenza 2 km. ed altezza massima sul livello del mare 109 m.): infatti il cratere si formò attraverso esplosioni sottomarine che poi hanno completato la loro opera al di fuori delle acque. Il tutto ebbe luogo in epoca quaternaria, durante il III° periodo di formazione dei Campi Flegrei, tra i 10500 e gli 8500 anni fa. L'ossatura del vulcano è in tufo trachitico giallo compatto, contenente pomici e ceneri leggere, segno che le ultime eruzioni avvennero alla luce del giorno. Sull'orlo del cratere è presente uno strato di tufo grigio incoerente e di pozzolane, prodotti più recenti attribuibili alle eruzioni del vicino vulcano degli Astroni (3700 anni fa). Il cratere (caldera), che ha un'apertura di circa 500 metri all'orlo, è oggi invaso dalle acque marine: esso prende il nome di Porto Paone o Pavone per la sua forma somigliante alla coda di questo uccello. La rovina del lato meridionale della cinta craterica, che ha portato le acque del mare ad invadere il cratere, venne causata dall'erosione marina ed atmosferica, probabilmente collegata all'azione del vento di Libeccio. Altri propendono per l'ipotesi che l'apertura verso il mare sia una conseguenza dell'inclinazione craterica. Esaminando i fondali intorno all'isola si è appurato che la base del vulcano ha un diametro di circa 1500 metri.
La vicina isoletta del Lazzaretto, oggi parte integrante del ponte che unisce Nisida alla terraferma, ha invece un'origine diversa: detta Leimon nell'antichità, essa era un frammento della cinta craterica del vulcano di Posillipo, successivamente distaccatosi e caduto in mare.
Come gran parte dei Campi Flegrei, anche Nisida risentì e risente tuttora del fenomeno del bradisismo: ne è testimonianza una vasta fascia erosa dal mare, posta oggi a 5 metri di altezza sull'attuale livello del mare e rappresentante il massimo livello di sprofondamento raggiunto nell'XI° secolo, prima che il bradisismo invertisse la sua tendenza.

L'isola di Nisida in una veduta di Francisco Villamena (1652)

Nisida ha una antica storia da raccontare. Il suo nome deriva dal termine greco "nesis" che significa "piccola isola". L'origine greca del nome fa pensare che l'isola, col suo approdo protetto, non dovette passare inosservata ai primi colonizzatori greci del Golfo di Napoli. Tuttavia manca ogni testimonianza di un eventuale stanziamento abitativo greco (bisogna anche dire che non è mai stata fatta un'indagine accurata alla ricerca di tracce antiche). Se si tiene conto di alcune fonti antiche che parlano di una notevole attività vulcanica ancora in età repubblicana (Stazio in Silv. libro 2, I, v.79: "...inde malignum aera respirat pelago circumflua Nesis" e Lucano in Phars. libro 6, v.90: "... tali spiramine Nesis emittit Stigiium nebulosis aera saxis antraque letiferi rabiem Typhonis anhelant..."), sembrerebbe impossibile ipotizzare una forma di stanziamento qualunque in età greca.
Da più fonti apprendiamo dell'esistenza in età romana imperiale di una villa appartenente a Lucio Licinio Lucullo, famosa per gli imponenti banchetti che vi si celebravano. Successivamente ebbe una dimora qui anche Marco Giuno Bruto, forse un piccolo casino di caccia, senza molti di quei lussi che caratterizzavano le ville della costa flegrea. In essa prese corpo la congiura che porterà all'assassinio di Cesare (44 a.C.). Qui poi si rifugiò per un breve periodo lo stesso Bruto dopo aver preso parte alla congiura. La sua morte, avvenuta successivamente a Filippi, provocò un tale dolore nella moglie Porzia, figlia di Catone Uticense, rimasta a Nisida, da decidere di togliersi la vita con l'unico mezzo che aveva a disposizione: ingoiando carboni ardenti. Di queste dimore non si è finora trovata traccia, anche se si suppone che sorgessero sul punto più alto dell'isola, per cui eventuali tracce sarebbero state successivamente inglobate nell'attuale penitenziario (qualche resto di muro di opera reticolata è sotto il livello del mare dal lato ovest dell'isola). Comunque nell'ottobre 1956 fu rinvenuta sulla cima dell'isola una tomba a fossa, coperta di tegole contenente resti umani e alcune brocchette di terracotta ascrivibili al I° sec. d.C., mentre pare che agli inizi del XVII° secolo risalga il ritrovamento di una tomba antica contenente un corpo imbalsamato con al collo una collana con medaglia d'oro recante la scritta "M.A.ACILIUS, C.F.III.R.".

La scogliera e sul fondo i resti dei piloni del molo romano (da Microsoft Virtual Earth  alla pagina http://maps.live.com/default.aspx?v=2&cp=qszcxpj5dm1p&style=o&lvl=2&tilt=-90&dir=0&alt=-1000&scene=11572184&encType=1 )

Nell'alto medioevo l'isola venne ceduta in enfiteusi alla Chiesa napoletana. Col tempo si perse anche la memoria dell'originario nome tanto che, in alcuni documenti del XII° secolo, è citato un monastero di S.Arcangelo o S.Angelo esistente sull'isola chiamata GIPEUM o ZIPPIUM, riferendosi a Nisida. Parecchi dubbi sorgono sulla dislocazione di tale monastero del quale non esistono oggi tracce evidenti. Presumibilmente si trovava anch'esso dove oggi sorge il penitenziario, sul punto più alto dell'isola: in particolare l'attuale edificio detto "Cortile delle scuole", presenta segni di rifacimento su strutture preesistenti che danno l'idea di un piccolo chiostro: si tratta di ipotesi che per ora non è possibile controllare.

Pianta di Nisida di Vincenzo de Ritis: si notino i sette piloni dell'antico molo romano al di sopra del molo
verso l'isola del Lazzaretto

Durante l'età angioina l'isola appare citata in un inventario di beni della Chiesa napoletana datato 1485: in esso si allude fra l'altro all'esistenza di una torre. Nel XVI° secolo l'isola, chiamata nuovamente col nome originario di Nisida, viene ceduta in fitto a vari personaggi, finchè nel 1558 viene acquistata da Giovanni Piccolomini, duca di Amlfi e sposo della Contessa Costanza d'Avalos. Nei trent'anni in cui egli fu proprietario, Nisida fu abbellita con una vegetazione più curata, mentre furono sistemate ad uso residenziale le costruzioni più importanti dell'isola, tra cui la torre citata nell'inventario del 1485.
Nel 1588 Nisida passa nelle mani di Pietro Borgia, principe di Squillace, anche se la Chiesa continua ad esigere un canone annuo. Tale consuetudine continuò negli anni con i proprietari che succedettero. Nel 1600 l'isola venne acquistata dai Principi Duchi Macedonio. Nel 1623 era affittuario Giambattista Di Gennaro il quale, approfittando del comodo e celato approdo di Porto Paone, fece dell'isola un centro di raccolta e smercio per i bottini che i pirati delle acque circostanti gli fornivano: il Di Gennaro fu poi scoperto e giustiziato.
Nel 1624 il vicerè di Napoli, Antonio Alvarez di Toledo, duca di Alba, preoccupato per il dilagare della peste in tutto il regno, fece spostare il Lazzaretto da Posillipo allo scoglio fra Coroglio e Nisida, che fu perciò detto del Lazzaretto Vecchio. In seguito a ciò sorse una lite fra il vicerè e l'allora proprietario di Nisida, Vincenzo Macedonio il quale, accampando diritti di proprietà anche sullo scoglio del Lazzaretto Vecchio, mostrò di non gradire la presenza ravvicinata del Lazzaretto. Alla fine un accordo fu trovato e il Macedonio ricevette un cospicuo indennizzo. Il Lazzaretto fu poi completato nel 1628.
Nel 1648, durante la rivoluzione napoletana, Nisida fu approdo di alcune navi spagnole che, insieme ad una guarnigione di soldati, ebbero il compito di tenere impegnato il Duca di Guisa, mentre il vicerè si riappropriava della città, mettendo fine alla rivolta.
Successivamente Nisida, pur rimanendo di proprietà dei Macedonio, venne amministrata dalla famiglia dei Pietroni, parenti dei proprietari: nel 1769 fu fatto un primo apprezzo per conto del sovrano borbonico che intendeva acquistare l'isola per farne una riserva di caccia, ma la trattativa non ebbe seguito.

Nel 1814 Nisida fu destinata da Gioacchino Murat a luogo di caccia. Con la restaurazione dei Borboni, avvenuta l'anno successivo, l'isola passò al Demanio: in tale occasione fu stilato un apprezzo, importante testimonianza dello stato degli edifici e del territorio isolano a quell'epoca. Il Palazzo, costruito tempo prima dal Piccolomini, divenne sede di un ergastolo che ospitò tra gli altri Carlo Poerio, Luigi Settembrini, il Pironti, il Farcitano e altri liberali italiani. Esso venne ricordato per le condizioni disumane in cui versavano i detenuti e che furono sdegnosamente descritte dallo statista inglese Guglielmo Gladstone che lo visitò. Ben diversa fu l'opinione della scrittrice inglese Jessie White Mario che nel 1877 visitò il carcere trovando i carcerati in buone condizioni di vita con vitto ed alloggio di ottima fattura. In conclusione ella finì per credere che la mancanza di libertà per i detenuti finiva col non pesare su di essi, i quali perciò erano invogliati a commettere reati pur di restare in carcere!
Nel 1832 iniziò la costruzione del porto di NIsida, dal lato che guarda la terraferma, dove secoli prima i Romani avevano il loro approdo. Poco tempo prima infatti l'architetto Giuliano De Fazio aveva ritrovato le due serie di "pilae" che costituivano i moli del porto romano: questo portò ad un vasto dibattito fra coloro, come il De Fazio, che volevano costruire i moli su piloni, seguendo l'antico uso, e coloro che, sostenendo che le "pilae" ritrovate fossero le arcate di un acquedotto, propendevano per la costruzione di moli compatti. Alla fine si decise di costruire il molo di levante su 7 piloni, quello di ponente su 4, come voleva il De Fazio. Ma nel 1834 il De Fazio morì lasciando l'opera incompiuta: il precoce logoramento cui andò soggetta, creò lo spunto per nuove polemiche. Così nel 1847 i lavori furono ripresi con la costruzione di un nuovo molo che congiunse Nisida allo scoglio del Lazzaretto Vecchio.
Tra il 1854 ed il 1858 fu costruito un nuovo Lazzaretto sul lato nord-est dell'isolotto, ampliando il porto per destinarlo ad uso dello stesso Lazzaretto.
Agli inizi del nostro secolo, Nisida lega le sue sorti a quelle della città, interessata da gravi problemi di sviluppo e di espansione. L'area prospiciente l'isola, fu scelta per l'insediamento siderurgico dell'ILVA di Bagnoli.
Nel 1926 l'Aeronautica Militare si insediò nella parte bassa dell'isola e solo recentemente si è trasferita a Pozzuoli. Nel 1933 il penitenziario venne soppresso e trasformato in riformatorio giudiziario, mentre nel 1948 assunse la denominazione di Casa di rieducazione per minorenni: esso oggi accoglie circa 200 minorenni, qui destinati perché irregolari nella condotta e nel carattere.

Lo scoglio del Lazzaretto oggi inglobato nel ponte di accesso a Nisida

Oggi quello che rimane degli antichi monumenti versa in condizioni di estremo degrado. Salendo verso la cima dell'isola, dopo il primo tornante, vi è una chiesetta dalla semplice facciata, costruita intorno alla metà del XVIII° secolo. L'interno è ad unica navata con due accenni di transetto: l'altare è finemente decorato con marmi policromi e stucchi. Sulla destra della chiesa vi è il campanile semidistrutto, mentre sotto la chiesa vi è un ipogeo in parte inaccessibile, un tempo adibito alla sepoltura degli abitanti dell'isola.
Sulla cima dell'isola sorge la casa di rieducazione per minorenni, costruita sul palazzo del Piccolomini. Essa è formata da un cortile interno circolare, intorno al quale sorge un edificio a due piani (in esso vi sono circa 70 celle, un pronto soccorso, la cucina e una cantina sottostante). Al di sopra di questo edificio, sorge una torre molto rimaneggiata: iniziata nel periodo angioino, fu portata a termine successivamente non più per gli originari scopi difensivi, ma soltanto per abitazione. Il tufo per la sua costruzione proviene in parte da cave poste sull'isola stessa.
Presso il penitenziario sorge il cosiddetto Cortile delle Scuole, costituito da un edificio al cui centro si apre un cortile a base rettangolare con due ordini di finestre. Alcuni hanno avanzato l'ipotesi che esso in origine fosse un chiostro dello scomparso monastero di S.Arcangelo, in seguito inserito in un nuovo edificio.
Scendendo verso Porto Paone si scorge il Palazzo Borbonico, a due piani per complessive 16 stanze. Presso di esso sorgeva il Cimitero dei forzati con annessa cappella, oggi semidistrutta.
Da qui si giunge a Porto Paone, usato in epoca romana come ricovero per le navi, ma non come porto a causa della sua limitata profondità. Il porto vero e proprio dovette invece sorgere dove oggi si trova l'insediamento della NATO, chiuso da due moli traforati, in una zona al riparo dai venti.
Sulla striscia di terra che chiude Porto Paone dal lato destro, vi sono i resti della Batteria Borbonica, postazione difensiva che ospitava un certo numero di cannoni.