ECCEZIONALE REPERTO AD ERCOLANO: UN TRONO IN LEGNO E AVORIO

Dopo 2000 anni, a Villa dei Papiri è venuto alla luce un bellissimo reperto, un vero e proprio trono in legno e avorio, il primo giunto fino a noi dall'età romana...

SPAZZATURA E DEGRADO SUL PARCO ARCHEOLOGICO DI CUMA

Illuminazione carente, strade dissestate, vegetazione incolta e poi enormi cumuli di spazzature... il biglietto da visita che Cuma offre ai turisti è deprimente!

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Notiziari speciali

30/12/2007 CONTINUANO GLI SCAVI A CUMA (NA)

Disabitata e in parte sommersa dalle acque del Clanis e del Volturno per otto secoli, la città antica di Cuma è al centro di una grande campagna di scavi. Una delle più importanti intraprese dagli inizi del Novecento, che ha messo in luce il fenomeno che si verificò nella città in epoca tardoantica e altomedioevale: la trasformazione dei suoi monumenti. Riconversioni di tipo civile, come l'acropoli modificata in castrum (castello) bizantino, le Terme del Foro in balneum (bagni); i due templi convertiti in chiese e la galleria stradale, Cripta Romana, in area funeraria. E ha individuato ville marittime e strutture monumentali che attestano l'occupazione del sito tra il sesto e l'ottavo secolo d.C. Le ricerche, assunte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Caserta, si sono snodate attraverso tre progetti - Kyme I, II, III - che hanno coinvolto le università di Napoli Federico II e l'Orientale, e il Centre Jean Berard. Realizzati seguendo la stratigrafia archeologica, gli scavi hanno analizzato le varie fasi di occupazione di Cuma, distrutta il 25 febbraio del 1207 da truppe napoletane. In quella occasione però fu assicurata la traslazione delle reliquie del santo patrono Massimo e di santa Giuliana a Napoli. Ma si è solo agli inizi delle ricerche. Basti pensare che finora è stato riportato alla luce solo il 15 per cento del sito. Nel corso della giornata di studi «Cuma, tracce del vissuto paleocristiano e medievale», promossa dalla Società In Terras con il patrocinio della Regione e della diocesi di Pozzuoli, sono stati illustrati i dati archeologici emersi finora. «La topografia post-classica (cristiana, bizantina e medievale) della città di Cuma rimane ancora da chiarire definitivamente - spiega Paolo Caputo, responsabile per l'area archeologica di Cuma - ma con gli scavi degli ultimi anni possiamo porre le basi per comprendere la storia della città». Fortificata nel 558 d. C. dai Goti, passò sotto il dominio dei longobardi e fu poi governata dai duchi di Napoli. Furono i Saraceni, che si rifugiarono sull'acropoli, a contribuire alla sua fine. «Le nostre indagini - afferma Priscilla Munzi, ricercatrice del Centre Jean Berard, si sono soffermate nella depressione situata tra il Monte Cuma e la collina meridionale». Qui si era supposta, fino ad allora, la presenza del porto della città antica. Le ricerche ne hanno dimostrato l'assenza, localizzandolo invece nel lago di Licola. «I numerosi interventi sul campo - continua Munzi - hanno permesso di osservare come l'antica baia fu precocemente colmata da materiale vulcanico prima dell'età augustea. E ci hanno consentito di individuare strutture monumentali e livelli archeologici che testimoniano un'occupazione della zona tra il sesto e l'ottavo secolo d.C.». Sono edifici imponenti ad uso abitativo che ricoprono uno spazio piuttosto esteso, indagati finora parzialmente. Infine, è stata accertata la presenza di graffiti monumentali con raffigurazioni stilizzate nella Cripta Romana, nella Grotta di Cocceio e nell'Antro della Sibilla, gallerie stradali cumane riconvertite successivamente in aree funerarie.

29/12/2007 NEGLI ANNI AVANZA LA DISTRUZIONE DI SUESSOLA DA PARTE DEI TOMBAROLI

Gran parte del foro dell'antica Suessola è stato distrutto dai tombaroli. L'amara scoperta è stata fatta dagli archeologi dell'Università di Salerno nel corso dell'ultima campagna di scavi terminata qualche settimana fa per la mancanza di finanziamenti. «Un grosso escavatore ha praticamente danneggiato il capitolio e gran parte della bellissima piazza. Lo scempio dovrebbe essere avvenuto almeno 15 anni fa secondo le nostre analisi al carbonio», spiega l'archeologo Amedeo Rossi dell'Università di Salerno. La rivelazione choc è stata fatta nel corso della presentazione della mostra «Suessula. Ambiente, architettura, archeologia», allestita nella sala dei convegni del Castello baronale di Acerra dalla sezione locale dell'Archeoclub. I lavori di scavo erano iniziati subito dopo Pasqua e hanno portato alla luce parte della basilica, del foro romano, una porticus, un sacello e un tratto dell'antica strada lastricata, allargando il perimetro disegnato con gli scavi iniziati nel 1999. Ed è stato proprio in questa ultima campagna di scavo che è stato possibile quantificare e datare i danni fatti dai tombaroli 15 anni fa. Ora la campagna archeologica è praticamente conclusa per la mancanza di fondi e si lavora per mettere a punto un primo nucleo del costituendo parco archeologico. «La tranche dei 150 mila euro giunti dal Governo servirà per la progettazione ma anche per dotare l'area archeologica finora portata alla luce e di un sistema di videosorveglianza che possa scoraggiare ladri e vandali», dice l'assessore alla cultura De Laurentis. Al Comune si punta anche al recupero delle precedenti tranche del finanziamento governativo finite erroneamente a Napoli, invece che ad Acerra. Il primo nucleo del parco archeologico dovrebbe essere costituito da un ettaro di superfice e doveva essere visitabile già da questo autunno. Ma con i lavori di scavo fermi per la mancanza di finanziamenti, tutto è slittato a data da destinarsi. Le campagne di scavo in contrada Calabricito ripresero dopo un secolo nel 1999. Finora sono stati portati alla luce parte del foro romano, alcuni edifici pubblici che per il docente universitario Luca Cerchiai: «Non hanno nulla da invidiare a quelli di Pompei».

28/12/2007 AD ALIFE (CE) UNA NECROPOLI MEDIEVALE DI DONNE E BAMBINI

Perché solo donne e bambini furono seppelliti in quella necropoli medioevale trovata in piena campagna, al di là del fiume Torano, in territorio di Alife, l’antica Allifae romana? L’interrogativo è un vero e proprio rompicapo per gli archeologi della Soprintendenza di Napoli e Caserta che da alcuni mesi lavorano per recuperare i poveri resti e i materiali a corredo delle sepolture. «È questo il particolare interessante del ritrovamento. - conferma Enrico Stanco, l’archeologo responsabile dello scavo - L’ipotesi su cui stiamo lavorando considera la possibilità che nell’area fosse presente una comunità femminile». Un monastero? Forse. Un complesso religioso dove, accanto a un settore principale abitato da monaci, vi era un’ala meno estesa destinata alle monache? Si saprà con il prosieguo delle indagini. Non solo. In quei locali avrebbero anche potuto trovare asilo laiche, che in seguito avrebbero preso il velo perché costrette da situazioni contingenti o perché vedove con figli piccoli. Non era raro, difatti, all’epoca, che nobildonne, rimaste senza marito e con prole, abbracciassero la vita monastica continuando a provvedere ai figli sino alla loro maggiore età. Ecco. In questo modo si potrebbe spiegare la presenza dei resti di tre bambini rinvenuti sepolti assieme a ventitrè adulte. Il fatto interessante, comunque, è che di chiunque si tratti, quelle donne vennero sotterrate con un discreto corredo di gioielli. In genere, l’ornamento maggiormente diffuso tra quelli che sono stati trovati è una fibbia d’argento. A volte, la fibula, ad anello liscio o decorato, oppure quadrangolare, in bronzo dorato con estremità a teste di serpente, è accompagnata anche da una parure di orecchini, in argento e con castoni, perle o pezzi di corallo che sono andati perduti. Insomma tutto lascia pensare che se di una comunità religiosa femminile si trattava, allora le monache appartenevano a un ceto sociale medio alto. Fatto non raro, nei conventi medioevali. Perché le sepolture sono tutte di quell’epoca: 1100-1200. E questo anche se in primo momento si era pensato, in virtù di alcuni elementi rinvenuti nelle fosse, di poter datare il cimitero in epoca diversa. Il ritrovamento, poi, di una moneta, con data di fine 1100, e i gioielli, è il caso di una fibula risultata simile a un finimento per cavalcatura di epoca longobarda, hanno dunque permesso di inserire la necropoli in un intervallo preciso: Allifae medioevale; longobarda; o anche Normanna, per meglio dire. Perchè i ritrovamenti indirizzano a una doppia lettura e rendono impossibile incrociare i dati visto che le tombe con le monete non hanno gioie e quelle con i gioielli non hanno monete. Ragion per cui o si tratta di un uso del cimitero che dal periodo longobardo arriva sino a quello normanno, oppure i gioielli di fattura longobarda trovati potrebbero essere stati ereditati dalle donne decedute. Alle datazioni certe si arriva attraverso la lettura della ceramica. E in questo caso non ci sono suppellettili, vasi o tegole: le tombe erano coperte con legno o fascine. Le fonti storiche, dal canto loro, segnalano la presenza in zona, e per quel periodo, di comunità monasteriali, anche importanti. Saranno poi le indagini antropologiche a dire quali furono le cause dei decessi. Altro interrogativo viene proposto dal rinvenimento di chiodi di ferro in alcune sepolture. Retaggi di un rituale, legato magari alla mansione della defunta o un suo familiare? Forse. L’archeologia, spesso, per dare delle risposte ai perché ammette tempi lunghi. «Stiamo lavorando - dice la Soprintendente archeologa Maria Luisa Nava - per chiarire completamente questa scoperta archeologica. I risultati che avremo permetteranno di saperne di più sia sulla storia medioevale di Alife sia circa quest’area, tanto ricca di testimonianze storiche e culturali».

23/12/2007 A BREVE RIAPRE IL PONTE BORBONICO SUL GARIGLIANO

Il ponte borbonico del Garigliano, dopo nove anni e mezzo dalla conclusione dei lavori, sarà aperto a breve anche al pubblico. L'Agenzia del Demanio di Napoli, infatti, ha affidato la gestione, amministrazione e fruibilità, alla Soprintendenza archeologica di Minturnae, che si occupa della vicina area archeologica dove sorge il famoso teatro romano. L'importante decisione è stata comunicata dall'avvocato Cosmo Damiano Pontecorvo, componente del Comitato per la ricostruzione del ponte borbonico in legno, di cui hanno fatto parte autorità casertane e pontine. «Finalmente - ha detto il legale - la situazione si è sbloccata, visto che i lavori, curati dalla società Adante Sollazzi di Bologna, erano terminati il 14 luglio del 1998. La ricostruzione del ponte è costata la cifra di quattro miliardi delle vecchie lire. Addirittura, dopo la fine dei lavori, fu anche fissata l'inaugurazione dello stesso ponte, che poi saltò in quanto non c'era l'accordo per chi avrebbe dovuto gestire l'opera, ricostruita uguale a quella originale. Per anni quella meravigliosa struttura si poteva e si può ammirare solo dall'esterno e solo il lavoro volontario della famosa «donna del ponte», la casertana, Giulia, ha evitato che la struttura rimanesse nel degrado assoluto. «Ora - ha detto l'avvocato Pontecorvo - aspettiamo che l'iter dell'assegnazione venga completato, in modo che nel 2008, finalmente, il "ponte delle fate" potrà far parte del percorso di visite dei tanti turisti che affollano l'area aurunca».

21/12/2007 RIEMERGE NEGLI SCAVI DI AECLANUM (AV) UNA STATUA MARMOREA

Potrebbe essere di un imperatore romano la statua marmorea rinvenuta, in questi giorni, ad Aeclanum, durante la campagna di scavo finanziata dalla «Sergio Tacchini» e condotta dalla Soprintendenza archeologica di Avellino-Benevento-Salerno. Il manufatto, che si presenta senza la testa e senza le gambe, risponde alle caratteristiche tipiche del periodo che si riferisce al II secolo dopo Cristo. A prima vista, si riconosce un mantello, che probabilmente doveva essere anche dipinto, e la posa, che è molto simile a quella di altre statue di imperatori romani. Sul braccio sinistro cade la toga, mentre il destro, che doveva essere elevato in alto, in segno di comando, sfortunatamente manca. Il responsabile della Soprintendenza, Pierfrancesco Talamo, non si sbottona in proposito rinviando ad ulteriori studi la individuazione del personaggio rappresentato. Anche l'archeologo Roberto Esposito, direttore degli scavi e scopritore della statua, preferisce non pronunziarsi. Quando gli viene fatto il nome di Traiano, non tradisce emozioni e ripete che saranno necessari altri accertamenti prima di dare un nome a quel marmo. Nei pressi della statua, è stata rinvenuta anche una fontana monumentale fatta di nicchie semicircolari alternate a nicchie rettangolari. Lo scavo, che resta in corso, condotto all'interno della cinta muraria dell'antica città irpina sulla via Appia, sta fornendo eccezionali testimonianze sulla storia di Aeclanum. Sta mostrando come doveva essere l'abitato in epoca tardo-antica. Nella zona di scavo, le abitazioni e le strade sembrano ricoperte da resti di pomici dell'eruzione del Vesuvio del 472 dopo Cristo. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che già in quell'epoca la città era in fase di abbandono. Diventerebbe reale l'ipotesi che sia stata gravemente danneggiata dal furioso terremoto del 346 d.C. e successivamente rasa al suolo dal sisma del 375.

12/12/2007 SAGGI DI SCAVO A TORRE LE NOCELLE (AV)

La località Felette è localizzata sul medio corso del fiume Calore e corrisponde ad un ampio terrazzo tufaceo sul quale, in anni passati, è stato raccolto materiale di superficie di età preistorica che ne attesta la frequentazione tra il Neolitico Antico e la fine del Bronzo Medio. Nel corso del 2007 sono stati eseguiti due saggi di scavo, posti ad alcune centinaia di metri l’uno dall’altro. Nel primo, al disotto delle tracce della coltivazione dell’area nella tarda età romana, sigillate dall’eruzione vesuviana di Pollena (472 o 505 a.C.), si è scavato un lembo di abitato riferibile alla facies di Palma Campania (Bronzo Antico), coperto dall’eruzione vesuviana c.d. delle “Pomici di Avellino” (circa XVIII sec. a.C.). Lo scavo non è potuto purtroppo proseguire in profondità, e quindi non è stato possibile indagare i livelli sottostanti, risalenti probabilmente al Neolitico Antico. Nel secondo saggio, al di sotto di lembi mal conservati di abitato riferibili di nuovo alla facies di Palma Campania, sono emersi livelli consistenti dell’occupazione avvenuta nella parte finale dell’Eneolitico e riferibili all’aspetto campano di Laterza. Relativamente a questi livelli, è stato possibile indagare anche un settore di necropoli, che ha restituito tombe a fossa ellittica, con il defunto in posizione rannicchiata. La ceramica rinvenuta è riferibile senza dubbio all’aspetto ‘Laterza’, anche se presenta una notevole ricchezza decorativa e formale. (Fonte: notizia della Soprintendenza Archeologica di Avellino, Benevento, Salerno)

12/12/2007 ALLA LUCE NECROPOLI ELLENISTICA A SANT'AGATA DEI GOTI (BN)

In località Cesine (frazione di Faggiano), preliminarmente ai lavori di realizzazione della strada provinciale a scorrimento veloce “Fondo Valle Isclero” in direzione “Valle Caudina-S.S. 7 Appia, sono state effettate indagini archeologiche che hanno portato alla luce un settore funerario relativo ad una necropoli piuttosto estesa, già in parte indagata negli anni precedenti. L’intervento ha consentito lo scavo di numerose sepolture, disposte in filari piuttosto regolari e paralleli, orientati in senso Est-Ovest. Il rituale è quello dell’inumazione con il defunto deposto in posizione supina con le braccia adagiate lungo i fianchi. Le tombe sono a cassa di lastre di tufo, accostate e ben lavorate, di lunghezza e spessore leggermente variabile. La maggior parte delle deposizioni presenta un corredo ceramico esterno, posto lungo uno dei lati della lastra di copertura, in una cavità appositamente scavata. Tale corredo comprende spesso l’olla e l’anfora acrome, che spesso contengono all’interno ciotole, coppette a vernice nera, olpette o residui ossei; si tratta probabilmente di oggetti legati al cerimoniale funebre messo in atto al momento della deposizione, con offerte di cibo per il pasto simbolico del defunto. Il corredo interno, invece, posto ai piedi, si compone solitamente di un unico oggetto: un’olletta biansata (acroma o a vernice nera) o un’olletta stamnoide acroma o un cratere di piccole dimensioni, acromo, figurato o a vernice nera. In alcuni casi sono associati altri vasi con funzione potoria: coppe, brocchette e in particolare lekythoi a reticolo o a vernice nera, posti generalmente lungo i fianchi o in corrispondenza delle braccia o delle gambe. Il nucleo sepolcrale sembra potersi collocare entro il terzo quarto del IV sec. a.C., in un momento quindi precedente alla deduzione della colonia latina di Saticula nel 313 a.C. (Fonte: notizia della Soprintendenza Archeologica di Avellino, Benevento, Salerno)

12/12/2007 INTERVENTI DI SCAVO NELLA NECROPOLI ANDRIUOLO A PAESTUM (SA)

Nei mesi di maggio e giugno 2007, scavi clandestini scoperti nella necropoli di Andriuolo, nota per aver restituito il più alto numero di sepolture dipinte di epoca lucana, hanno reso necessario un intervento di emergenza finalizzato al recupero delle sepolture danneggiate e depredate. L’intervento si è concentrato nella parte più occidentale della necropoli, limitrofa alla Strada Statale 18, a Nord-Est della Porta Aurea. Sono state portate alla luce otto sepolture che sembrano fare parte di un unico nucleo funerario della prima metà del IV sec. a.C.. Le tombe, a cassa e a fossa con copertura di calcare piana o a doppio spiovente, variamente orientate, si dispongono nello spazio tagliandosi tra loro. Le sepolture sono risultate tutte depredate delle suppellettili, con l’eccezione di una tomba, a fossa con copertura piana, femminile, il cui corredo, era costituito da 12 vasi pestani a figure rosse e a vernice nera, tre fibule ed un frutto fittile. Facevano parte dello stesso nucleo anche tre sepolture a cassa dipinte, purtroppo depredate dei corredi, ma egualmente interessanti per l’eccezionalità della decorazione. Una di esse presenta, sui lati corti, scene con caccia al cinghiale e caccia al cervo, sui lati lunghi vasi e bende sospesi alle pareti della tomba. In un’altra sepolture si intravede, sul lato corto della cassa, una scena di ritorno del guerriero e su un lato lungo una singolare figura di demone alato. (Fonte: notizia della Soprintendenza Archeologica di Avellino, Benevento, Salerno)

10/12/2007 CUMA (NA): IL PARCO ARCHEOLOGICO SOMMERSO DA SPAZZATURA E DEGRADO

Il Parco archeologico di Cuma è circondato dal degrado assoluto: spazzatura, illuminazione carente, viabilità fatiscente. I cittadini lanciano un Sos al Comune per porre rimedio allo stato di abbandono che caratterizza l'area, corridoio obbligatorio per raggiungere l'acropoli e l'antro della Sibilla. «Ogni giorno giungono turisti in auto e in pullman tra scossoni per le buche e il lezzo di centinaia di metri di cumuli di spazzatura assediati da cani randagi - afferma Giulia Carugno, titolare di un bed&breakfast - l'illuminazione stradale è inefficiente e il guard-rail ai lati delle carreggiate è completamente divelto». Spesso i visitatori scattano inorriditi foto alle montagne di immondizia che troneggiano lungo le strade flegree, in netto contrasto con i siti storici e naturalistici che il territorio, grazie al suo passato, offre. «Le automobili sono danneggiate dalle canne sporgenti e dalla vegetazione incolta lungo le strade - continua Carugno - Tutto ciò non fa altro che danneggiare il turismo e la convivenza civile per una mancata manutenzione ordinaria da parte degli enti preposti». Intanto dal Comune, amministrato dalla triade commissariale guidata dal prefetto Domenico Bagnato, chiariscono che «l'emergenza rifiuti ha cause regionali e non dipende dall'ente locale. In ogni caso si sta provvedendo alla rimozione dei rifiuti gradualmente, considerando che il territorio di Pozzuoli conta una popolazione di 80mila abitanti. L'allarme dovrebbe rientrare anche grazie all'avvio della raccolta differenziata presso i ristoranti e le attività commerciali». Ma bisogna anche chiarire che spesso in alcuni punti i cumuli di spazzatura sono particolarmente voluminosi anche perché c'è chi scarica dalle zone limitrofe. Di certo via Cuma, strada di scorrimento, non raccoglie solo i rifiuti dei residenti, peraltro non numerosissimi. «Chiediamo quindi maggiori controlli delle forze dell'ordine - continuano i cittadini di Cuma e Licola - oppure l'installazione di telecamere». Per quanto riguarda la manutenzione ordinaria della viabilità, chiariscono dal Municipio che «sono attive squadre di operai e giardinieri per migliorare la situazione sul territorio comunale, che saranno impegnati anche nella periferia». Sul caso interviene anche Francesco Borrelli, assessore provinciale ai Parchi e alle aree protette: «La nostra disponibilità nel trovare soluzioni condivise è piena. E se i cittadini ci aiutano le istituzioni sono anche più forti nel sanzionare chi crea degrado. Tra l'altro al riguardo ho già fatto diversi interventi presso il Comune». Anche a Bacoli, il Movimento Popolare Cappella invia una petizione ai sindaci di Bacoli e Monte di Procida per denunciare il degrado che caratterizza la frazione a metà tra i due Comuni.

05/12/2007 ERCOLANO (NA): PRESENTATO L'ECCEZIONALE REPERTO IN LEGNO E AVORIO

Si è conservato sotto venticinque metri di materiale vulcanico, tra acqua e fango, e per duemila anni ha aspettato le mani dell'uomo per essere riportato alla luce. È il trono della Villa dei Papiri di Ercolano, riaffiorato tra la fine di ottobre e la metà di novembre in una zona distante una cinquantina di metri dalla celebre villa, e dalla quale alcuni anni fa sono stati ritrovati altri due magnifici reperti, una testa di Amazzone e una statua di figura femminile panneggiata. Prezioso, regale, decorato finissimamente con una impiallacciatura di avorio decorata a rilievo, è il primo esempio di arredo del genere giunto fino a noi dall'antichità. Presentato ieri a Roma nella ex chiesa di Santa Marta. È un ritrovamento eccezionale perché di questo tipo di soglio si conoscevano fino a ora solo riproduzioni figurative, come per esempio il trono su cui siede Afrodite nella pittura della Villa della Farnesina. O descrizioni letterarie. «È il primo trono originale di epoca romana conservatosi fino a noi - dice il soprintendente di Pompei, Pietro Giovanni Guzzo - La forma del sedile, nonostante la ovvia frammentarietà, è immediatamente riconoscibile». Sono state recuperate le due gambe dritte (proprio questa particolarità identifica il soglio come un trono; le gambe di altre sedute erano solitamente arcuate) e il tratto iniziale del montante dello schienale. Le raffigurazioni dei rilievi contengono molti elementi che rievocano l'atmosfera delle Attideia, le cerimonie che commemoravano la morte e la resurrezione del dio frigio Attis, consorte e vittima della dea Cibele, introdotte dall'imperatore Claudio (41-54 d.C.) nel calendario romano. I lunghi e complessi rituali si svolgevano fra il 15 e il 25 di marzo, e che Ercolano avesse una certa familiarità con Attis è provato dall'esistenza di un tempio intitolato a Cibele e a numerosi oggetti ritrovati, riproducenti il giovane Attis. Dallo scavo sono emersi anche altri reperti probabilmente attribuibili a un altro mobile. Fra questi, un piede a forma di zampa di leone, che non si sa ancora se sia di avorio o di corno. Delicatissimi i problemi della conservazione: per non alterare l'habitat di provenienza, i reperti devono essere sempre mantenuti in una condizione di umidità. A chi apparteneva, quale era l'uso, dove fu realizzato? Per ora non è possibile neanche fare ipotesi. «È certo che il mondo romano assunse dal mondo greco l'uso del trono chiamandolo solium - dice Ernesto De Carolis, responsabile del Laboratorio di restauro - Questo mobilio divenne piuttosto comune nelle case dei romani. La preziosità dei materiali di cui era fatto rivelava il livello sociale di chi lo possedeva». La preziosità del trono di Ercolano e il carattere cultuale delle decorazioni potrebbero far anche pensare a un uso del trono nell'ambito dei culti. Gli archeologi non azzardano congetture. «Ci stiamo interrogando - dice Maria Paola Guidobaldi, direttrice degli scavi di Ercolano - Ogni giorno lo scavo ci riserva sorprese, e dall'analisi dei materiali che emergono si potrà ricostruire la sua storia». Di certo, il luogo nel quale è stato ritrovato doveva avere un rapporto con la Villa dei Papiri. Ma non è detto che il trono appartenesse a quella dimora. La furia della lava potrebbe aver trascinato questa mobilia da un altro punto, fino a quando non s'è fracassata vicino alla Villa. Ora i lavori sono concentrati in due aree circoscritte, grandi poco più di un metro quadrato. «Questi recuperi - dice Guzzo - ci indicano come solamente grazie a una attività di scavo attenta e minuziosa è possibile aumentare la nostra conoscenza della complessiva cultura materiale delle antiche città vesuviane».

03/12/2007 NAPOLI: AFFRESCO TRECENTESCO RITROVATO A SANTA CHIARA

Un affresco del Trecento di scuola giottesca, da sempre nascosto ai fedeli e ora invece visibile in tutta la sua bellezza; un luogo di grande suggestione, la Cappella e il Coro delle Clarisse a Santa Chiara; una storia antica. Ieri pomeriggio, con l’intervento del cardinale Crescenzio Sepe, è stata consacrata a chiesa con la celebrazione della Messa la Cappella delle Clarisse dedicata al Cristo Redentore e a San Ludovico d’Angiò. La cappella, il cui ingresso è a piazza del Gesù, da anni ha ospitato - il Venerdì santo - il Sepolcro, ed era una delle mete della devozione dei fedeli in quel giorno particolare. Da due anni la cappella, sottoposta a restauri anche di consolidamento statico, era chiusa: alla fine dei lavori, l’affresco dietro al Coro - dove possono accedere solo le suore di clausura - è visibile anche dalla parte della cappella ora chiesa. Il cardinale ha avuto parole di encomio per come sono stati realizzati i restauri, curati da Filippo Alison, professore emerito della Facoltà di architettura della Federico II, Nicola Flora, suo allievo, ora docente all’Università di Ascoli Piceno, con la collaborazione dell’architetto Vincenzo Tenore (direttore dei lavori l’ingegner Diamante Lanzillo). Alison e Flora (progettisti che hanno lavorato a titolo gratuito) hanno raccolto l’invito della Abbadessa, suor Chiara Paola Tufilli, di aprire il più possibile il setto murario trasversale che per otto secoli ha diviso le Clarisse e il loro Coro dallo spazio della Cappella aperto ai fedeli. «C’era un muro sormontato da una grata, che impediva la visuale dei fedeli verso il Coro, e quindi l’affresco, e viceversa. Noi abbiamo allargato il muro, reso più leggera la grata e ricavato due “finestre” laterali, due spazi, in uno dei quali è stato collocato il bellissimo tabernacolo rifatto negli anni ’50 dal Martorelli, nell’altro una piccola statua lignea della Vergine del XIV secolo. E poi abbiamo sistemato l’altare, in bellissima pietra vesuviana, di modo che il suo ingombro non creasse problemi di visuale ai fedeli». Sostituite anche le travi di sostegno, le tarme e l’usura del tempo le avevano rese inservibili. «Al loro posto - ricorda Nicola Flora - abbiamo messo delle travi in ferro, rivestendole però di legno di modo che l’effetto fosse lo stesso di quando il monastero di Santa Chiara fu costruito». Nuovo il pavimento, in cotto, finanziato dalla Provincia e fornito da Apuzzo, una ditta napoletana specializzata, che ha prodotto le mattonelle secondo antiche tecniche artigianali. Su tutte le operazioni c’è stata la supervisione della Soprintendenza ai Beni architettonici, in particolare dell’architetto Maria Rosaria Crescenzio, e dello storico dell’arte Roberto Middione per gli affreschi, quello grande e quello di dimensioni più ridotte posto sulla controfacciata della Cappella, entrambi di scuola giottesca. Il primo (150 mq su una parete di 10 metri) è opera di Lello da Orvieto e rappresenta la realtà della fede. Vi sono raffigurati i santi fondatori dell’Ordine (Francesco, Antonio, Ludovico d’Angiò, ovviamente Chiara), e i regnanti in preghiera: Roberto d’Angiò, Sancha di Majorca, Carlo d’Angiò e la sua consorte, Maria. Al centro un solenne Cristo Pantocratore assiso sulla Cattedra tra San Giovanni Apostolo, la Vergine Maria e le altre figure. Dall’altro lato l’affresco più piccolo, anche questo di scuola giottesca, attribuito al «Maestro di Giovanni Barrile» e intitolato «La mensa eucaristica con San Francesco, Santa Chiara e stemmi angioini», commissionato da Roberto d’Angiò (1332-1333). L’affresco grande ha bisogno di restauri, ma mancano i fondi: suor Chiara Paola Tufilli confida nelle istituzioni, ma anche nelle associazioni cittadine che hanno a cuore i beni storico-artistici-monumentali della nostra città.

02/12/2007 CAMPANIA: ENTRO UN ANNO LA STIPULA DI UN ACCORDO PER I BENI CULTURALI

Questo vasto programma si realizzerà attraverso protocolli specifici per le singole città. Quello per Napoli - fra Regione, Comune, Arcidiocesi, ministero dei Beni culturali - è stato già firmato. Si procederà, entro un anno, alla stipula di un accordo di programma cui aderiranno anche il ministero dell’Università e quello dell’Interno. Per le altre città interessate, il dicembre di quest’anno dovrebbe segnare il punto di partenza di un analogo percorso. Si tratta indubbiamente di un programma ambizioso dal momento che, se ben spese, queste risorse potrebbero costituire un vero programma di rigenerazione urbana. Un programma in grado di dare forza a quel «sistema di città» che oggi va visto come uno dei motori dello sviluppo regionale. Non è poca cosa: soprattutto se si evita di ridurre il tutto ad una distribuzione a pioggia di queste risorse e si privilegiano quelle soluzioni attraverso le quali, anche per l’esistenza di forme di cofinanziamento pubblico e privato, è ragionevole ipotizzare che si possa giungere a risultati di effettiva concretizzazione di poli strategici del «sistema delle città». Risultato raggiungibile se si mette in moto una discussione vera, fatta di competenze e conoscenze storiche, che possa evitare stravolgimenti modernisti delle nostre città, assicurandocene peraltro un effettivo adeguamento ai tempi. Naturalmente tutto questo, proiettato su Napoli, acquista fascino ed interesse, ma anche livelli singolari di problematicità e difficoltà. Il centro storico è una realtà vasta e complessa e si trascina il peso di discussioni lunghe ed annose che, riproposte oggi, non servono a molto. Forse, più che la storia e le polemiche napoletane del passato, possono essere d’aiuto le esperienze di altri e i più attuali indirizzi di intervento sui centri urbani. Prima di tutto c’è un concetto di base da affermare e condividere. Il centro storico è un bene da conservare e rigenerare ma che, proprio attraverso il suo rilancio, deve rappresentare il motore di una ripresa anche delle zone limitrofe: deve insomma servire, nel suo insieme, a tutta la città. Un secondo punto riguarda le attività o le funzioni. Un centro storico come quello di Napoli non può privilegiare sulle altre una sola funzione urbana, ma piuttosto deve proporsi, nel suo insieme, come una parte urbana complessa, in cui trovino posto le residenze civili, i servizi, le attività culturali, il turismo. Una terza indicazione può riguardare i «punti di attacco» dell'intervento, punti che debbono rappresentare pezzi di città ristrutturati in modo compiuto ed in grado di innescare processi di riqualificazione estesi anche ad altre parti interne al centro storico. Ecco perché credo che sia importante pensare ad interventi su spazi di margine: come quello della zona a monte di piazza Dante, come quello spazio delicato e straordinario che lega piazza Cavour a Santa Maria di Costantinopoli, come quello di piazza Mercato con il pezzo di tessuto intercluso fra la vecchia murazione di corso Garibaldi e il Rettifilo. Sono aree che praticamente corrispondono ad ambiti del Piano regolatore generale e che il piano stesso ha già individuato come aree mature alla trasformazione, secondo indirizzi, anche funzionali, piuttosto precisi. Sono parti chiare e definite, peraltro già di recente oggetto di un workshop internazionale di progettazione organizzato a Napoli con il patrocinio dell’Unesco ed i cui risultati, in corso di pubblicazione, sono gratuitamente a disposizione di tutti. Risultati concreti, idee realizzabili che non mettono in discussione le previsioni di uno strumento urbanistico faticosamente messo a punto dalla città ma anzi partono da esso per provare a prefigurare, attraverso l’architettura, la trasformazione possibile della città. Naturalmente si tratta solo di una proposta. Altre idee dovranno confrontarsi in un clima di discussione civile nel quale il mondo delle competenze - e delle università in particolare - respingendo ogni posizione lobbistica che pure le viene attribuita, possa mostrare segni convincenti di un impegno politico autorevole, risolto nell’interesse collettivo.

01/12/2007 MARIGLIANO (NA): DAGLI SCAVI RIEMERGE LA STORIA

Millecinquecento metri quadrati di storia. Tre civiltà e un´epoca a occupare un paesaggio che è un patchwork temporale: età del Bronzo, sannitica, romana e Medioevo. Quattro tombe, di cui una con un bambino sepolto in un´anfora, tutte contrassegnate con un misterioso "logo" che assomiglia a un labirinto. Una villa con un lussuoso ninfeo intarsiato in marmo, protetta da un fossato. E monete, lucerne, vetri, avori, frammenti di affresco che cominciano a rivelare l´intervento di mani di artisti dotati, con un bellissimo vaso in ceramica sigillata italica con una scena di vittoria in cui compare un cammello. Questo è lo scavo archeologico in corso a Marigliano, in via Sentino vicino alla frazione di Faibano, in una zona dove si concentrano importanti interessi economici - a quattro chilometri in linea d´aria dal Vulcano Buono di Renzo Piano e nel cuore di quella che, come ha annunciato l´assessore alle attività produttive della Regione Andrea Cozzolino, dovrebbe diventare la Città dei Fiori, un´area di sviluppo del commercio floro-vivaistico.
La scoperta, che rivela la storia dell´antica Marilianum, delle cui origini sannitiche finora non c´era traccia, in un´area destinata a insediamenti produttivi, dove lo scorso giugno cominciarono dei lavori di scavo. Le pale meccaniche inciamparono in quella che si rivelò una vasta necropoli a due strati, quello romano più sotto, mentre al di sopra c´era quella del primo secolo dopo Cristo. I lavori furono interrotti ma, prima che la soprintendenza potesse intervenire, gli abitanti della zona denunciarono furti di tombaroli nell´area di scavo. L´interrogazione del presidente della Commissione tutela beni ambientali in Senato, Tommaso Sodano, ha suscitato l´interesse del ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli e l´ipotesi di un Parco Archeologico a Marigliano, anche con l´inserimento nel Por 2007-2016 che ha annunciato l´assessore Di Lello non sembra remota. «Siamo arrivati in tempo - dice il direttore dello scavo, Giuseppe Vecchio, della soprintendenza archeologica di Napoli - e c´è un´ottima collaborazione con il Comune e le istituzioni. Non vogliamo bloccare il progetto di importanti lavori che erano in corso prima della scoperta, ma andrà rivisto nei prossimi mesi, anche se ancora non sappiamo se l´area sarà tutta destinata alla fruizione dei visitatori oppure no. I danni per fortuna non sono stati gravi e stiamo facendo un lavoro eccezionale: siamo sicuri che ci saranno scoperte interessanti».
Alla ripresa dello scavo da parte degli archeologi (nella trincea è all´opera Officina Memoriae, che ha lavorato anche al villaggio preistorico di Nola), si è delineato un intero paesaggio storico, dal Bronzo al Medioevo, con la villa sannitica - finora i Sanniti non avevano oltrepassato Nola, dove fu trovata la famosa tomba dei guerrieri con l´elmo con le antenne conservato all´Archeologico - costruita con grossi blocchi di tufo, ampliata poi in epoca romana, periodo a cui sembra risalire il ninfeo. La zona da residenziale venne convertita in agricola: per oltre 60 metri si stendono i campi arati romani, che sembrano ancora "lottizzati" come per essere destinati a veterani. L´agro nolano diventò campagna molto produttiva nel Medioevo. Il pavimento della villa fu sfruttato per costruirci su una capanna rurale: nel terreno vicino sono stati trovati noccioli di pesca e resti di frumento. Marigliano ritrova le sue origini, finora poco leggibili, e qualche bel reperto. Come il vaso trovato due giorni fa, ora in restauro: fatto con la ceramica più pregiata dell´epoca romana, rivestita di rosso lucido ottenuto con un´argilla ricca di ferro.
(Stella Cervasio da "Repubblica")

01/12/2007 DA VILLA DEI PAPIRI AD ERCOLANO ECCO UN TRONO LIGNEO

È un altro pezzo di storia e di cultura strappato alla cenere del Vesuvio, quel trono in legno e avorio che dopo 20 secoli è tornato alla luce all’interno dell’area di Villa dei Papiri, negli scavi di Ercolano. Il reperto, frammentato e chiuso in un blocco di cenere, è riemerso dieci giorni fa in prossimità del tunnel che mette in comunicazione la città scavata da Amedeo Maiuri e il settore interessato ai lavori di restauro e consolidamento che negli anni ’80 - ’90 vennero eseguiti, con fondi Fio, dall’archeologo Antonio De Simone. L’intercetto conferma ancora una volta la giustezza della percezioni di numerosi studiosi, tra i quali e per primo Marcello Gigante che, avendo intuito l’importanza dell’area attorno alla villa dei Pisoni, chiese sempre che fosse possibile riportare alla luce l’edificio e le fabbriche vicine. Alcuni elementi del reperto, assieme a un filmato con le fasi del recupero, saranno presentati martedì prossimo nell’ex chiesa di Santa Marta, a Roma, dal Soprintendente archeologo di Pompei, Pietro Giovanni Guzzo. Con lo studioso saranno la direttrice degli scavi di Ercolano, Maria Paola Guidobaldi e l’archeologo Ernesto De Carolis, responsabile del Laboratorio di restauro della Soprintendenza e tra i maggiori studiosi dei legni ercolanesi. Il trono, secondo indiscrezioni, sarebbe assimilabile al solium (soglio) latino, sia per le dimensioni, molto prossime a quelle di una moderna sedia, sia perché ha spalliera e braccioli. Insomma, la «sedia importante» dei re greci e poi degli imperatori romani. Tutto di legno, ovviamente mineralizzato dal forte calore delle nuvole di cenere e gas scese dal Vesuvio, salvo nei punti in cui gli artigiani l’avevano ricoperto con applique di avorio per renderlo maggiormente prezioso, il solium, presenta anche graffiti e scritte ancora da interpretare.

29/11/2007 SALERNO: NUOVI IMPORTANTI RINVENIMENTI DEL BRONZO

Una parure di bronzo ben conservata, centinaia di anellini per la sopravveste della tunica, fibule ben rifinite: è il piccolo tesoretto rinvenuto in questi giorni a Fuorni, lungo la statale Miglio dritto, il ricco corredo di una tomba femminile risalente al IV secolo avanti Cristo. Gli archeologi non hanno dubbi, appartiene ad una necropoli della Facies indigena di Oliveto Cairano. Ipotesi non tanto campata in aria, giacchè, poco più in là del luogo della scoperta, è stata trovata un’altra tomba, gravemente lesa e priva del suo contenuto. «Era al di sotto di un tombino - spiega Maria Antonietta Iannelli, responsabile della città di Salerno per la soprintendenza archeologica - Purtroppo la necropoli era in superficie ed è stata danneggiata nel corso dei secoli in seguito alle continue trasformazioni dell’area. Devo dire che siamo stati fortunati a trovare quasi intatta questa tomba femminile con il suo letto e la copertura in ciottoli quasi intatti. Peccato che manchi il corredo vascolare». L’archeologia segna un altro punto nel ricostruire la storia più antica di Salerno. Un mosaico che sta, poco alla volta, ricucendo tutti i suoi tasselli. Con sorprese incredibili che provengono soprattutto dalla zona orientale, la Cenerentola salernitana. E se la periferia cittadina non può vantare presenze illustri e testimonianze ricche e celebrate come quelle lasciate dai romani, dai bizantini, dai longobardi e dai normanni, sicuramente può vantare la frequentazione di popolazioni a partire dalle epoche più remote. A riprova il villaggio preistorico messo in luce nella zona industriale dove doveva sorgere la Finmatica. «Abbiamo da un mese o poco più ripreso gli scavi -dice la Iannelli - Stiamo lavorando congiuntamente con il Comune. Dove l’amministrazione effettua opere di nuova edificazione o di ricostruzione noi facciamo da apripista, verificando quanto nasconde il sottosuolo. Sappiamo che la zona orientale è un vero e proprio giacimento culturale, per cui siamo impegnati continuamente nella ricognizione». Tre interventi, quello di Fuorni, sicuramente il più importante, poi altri due cantieri a Mariconda e a Pastena. Un accampamento archeologico tra i palazzi, quello di Mariconda, che ha attratto centinaia di persone, soprattutto bambini. Già, in quello spicchio di strada pronta ad accogliere la nuova illuminazione ed i nuovi impianti fognari, è spuntata una fornace calcara tardo antica, splendida con il rosso dei suoi mattoni a piena vista. «L’abbiamo dovuta ricoprire per consentire la ripresa e l’ultimazione delle opere comunali - fa notare la Iannelli che auspica la creazione di un museo della città - Siamo costretti, sia pur a malincuore, a questo gioco di svelare e celare, il progresso è anche questo. Restano in ogni caso i documenti, la mappa che stiamo tracciando dell’antica Salerno e che attesta l’utilizzo antropico della grande arteria costiera e del suo essere cerniera tra i monti, Fratte, Pontecagnano e la Piana del Sele. Poi ci sono i reperti, tanti, alcuni anche preziosi, che giacciono al momento nei nostri depositi. Insomma cerchiamo di recuperare quel che è possibile». È quello che è successo anche a Pastena, dove è emerso un quartiere artigiale con fornaci non solo per l’edilizia, ma anche per l’oggetistica, attestata dalla presenza di numerose anfore e bacili decorati. Fino ad ora un opificio simile era stato attestato solo a Fratte. «Stiamo ancora procedendo alla ricognizione - svela la Iannelli - Ci saranno sicuramente risultati sorprendenti».

25/11/2007 NUOVAMENTE FERMI GLI SCAVI A SUESSOLA DI ACERRA (NA): FINITI I SOLDI!

Si ferma di nuovo la campagna di scavo per riportare alla luce la vecchia Suessola. A determinare l'ennesimo stop è la mancanza di finanziamenti destinati alla sovrintendenza archeologica di Napoli. Ad annunciarlo è stato l'assessore comunale ai beni culturali di Acerra, Giovanbattista De Laurentis. I lavori erano partiti subito dopo Pasqua avevano portato alla luce parte della basilica, del foro romano, una porticus, un sacello ed un tratto dell'antica strada lastricata, allargando il perimetro disegnato con gli scavi iniziati nel 1999. Uno stop improvviso per mancanza di fondi che potrebbe mettere in discussione il progetto di costituzione del parco archeologico per il quale sono stati accreditati circa 150 mila euro dal governo. «Il finanziamento arriverà a giorni e servirà per progettare la fruibilità dell'intera area ARCHEOlogica, anche se andrebbero recuperati i precedenti stanziamenti erroneamente attribuiti a Napoli», spiega l'assessore De Laurentis. Il primo nucleo del parco archeologico dovrebbe essere costituito da un ettaro di superficie che dovrebbe costituire il primo nucleo di un parco archeologico e secondo i programmi doveva essere visitabile già da questo autunno. Ad annunciarlo fu nel marzo scorso la funzionaria della soprintendenza Napoli Daniela Giampaola, responsabile per Acerra e per il centro storico napoletano nel corso di un convegno sui parchi archeologici che si tenne ad Acerra. Attualmente, con i lavori di scavo fermi, tutto è slittato a data da destinarsi. L'intera area dovrebbe essere dotata di parcheggio per le auto, di biglietteria e di un' area di sosta attrezzata per i visitatori. Gli scavi finora hanno portato alla luce parte del foro romano, alcuni edifici pubblici che per il docente universitario Luca Cerchiai «non hanno nulla da invidiare a quelli di Pompei». Sembra invece in dirittura d’arrivo il museo archeologico cittadino. Doveva essere inaugurato tre anni fa, ma poi per una serie di intoppi burocratici e per alcuni lavori ritenuti necessari a garantire la sicurezza della sale espositive non se ne fece nulla. Nei prossimi giorni dovrebbero essere appaltati gli ultimi lavori e poi dovrebbe aprire i battenti. A gestire il museo saranno il Comune e la Sovrintendenza di Napoli a cui stata affidata la direzione scientifica. Nel museo cittadino dovrebbero essere collocati molti dei reperti rinvenuti in più recenti campagne di scavo risalenti al III secolo avanti Cristo.

22/11/2007 NAPOLI: ATTI VANDALICI A PORTA CAPUANA

Si sono introdotti, di notte, in un’area del cantiere di Porta Capuana, dove il Comune sta effettuando scavi archeologici preliminari per accertare la reale sistemazione dell’area nel Cinquecento, oltre che per verificare la probabile esistenza di un fossato antistante le mura. I vandali sono entrati e con un palo di ferro hanno sfondato una struttura - già ampiamente compromessa - che quasi certamente, secondo gli esperti, era quella che dava accesso alla porta: un ponte sul fossato, emerso dagli scavi, a dieci-quindici metri dall’arco trionfale. «Hanno danneggiato una volta che presumiamo appartenga al ponte - dice l’architetto del Comune che dirige i lavori, Giancarlo Ferulano - La struttura era stata già pesantemente danneggiata in passato, dopo alcuni lavori di realizzazione di pozzetti di fognatura. Era stata svuotata alla base, aveva sicuramente un punto debole e aveva già bisogno di interventi importanti di restauro. Certo, da sola non sarebbe crollata». Un atto voluto, conferma l’architetto. «Oltre all’affronto storico, conta molto il brutto segnale che viene da questo episodio». Cioè? «C’è da parte nostra il fondato timore che questi atti vandalici non si fermino». Ieri mattina gli archeologi e gli operai del Comune, quando sono tornati nel cantiere, hanno scoperto subito quello che era successo durante la notte. Immediatamente è partita la denuncia ai carabinieri, che ieri mattina hanno effettuato un sopralluogo nell’area interessata dall’inspiegabile episodio di vandalismo. Un gesto che ha causato l’immediata reazione del Comune. «A seguito del gesto vandalico nel cantiere di scavo archeologico di Porta Capuana - si legge in una nota dell’amministrazione comunale - che ha causato il parziale sfondamento di una volta della struttura, emersa nel corso dei lavori e che rappresenta il possibile ponte di accesso alla porta, si è tenuto un sopralluogo con i tecnici del Comune e della Soprintendenza per la constatazione del danno prodotto». L’assessore all’arredo urbano Elisabetta Gambardella confessa il suo avvilimento. «È demoralizzante - dice - assistere a continui atti vandalici che vanno a danneggiare interventi tesi a rendere più vivibili luoghi di interesse storico, culturale della nostra città. La cosa più sconfortante è che il tutto viene compiuto quando c’è ancora l’area di cantiere a delimitare una porta di rilevanza storica, realizzata alla fine del Quattrocento, che consentiva l’accesso alla città provenendo da Est, da sempre crocevia di importanti vie di comunicazione».

15/11/2007 SPUNTA UNA NECROPOLI GRECO-ROMANA SOTTO IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI

Basta scavare, diceva Marcello Gigante, lo scomparso maestro di filologia e di archeologia. A Napoli, poi, se si fa un buco in un posto qualsiasi e ci si ritrova letteralmente nella storia. Come è capitato agli archeologi della Soprintendenza di Napoli quando durante i lavori di ampliamento del cosiddetto braccio nuovo del Museo nazionale si sono imbattuti in quella necropoli situata proprio sotto il corpo di fabbrica in ristrutturazione. Oltre cento tombe, tra le sepolture greche e le altre d’epoca romana, capaci di raccontare sette secoli della vita cittadina, dal IV secolo avanti Cristo al III secolo dopo, con tumulazioni in casse di tufo, sepolture alla cappuccina o, ancora, con gli scheletri posti in anfore spaccate a metà. L’area sepolcrale, secondo gli esperti, fa parte di un più vasto cimitero che potrebbe arrivare sin quasi alla zona di Capodimonte, dove c’è l’esteso complesso delle Catacombe di San Gennaro. Un primo indizio circa la presenza di sepolture nell’area del Museo nazionale si era avuto alla fine dell’Ottocento, quando si rinvennero delle tombe e i classici materiali a corredo: vasi, oggetti d'uso quotidiano e personale. «Questo rinvenimento - spiega la Soprintendente archeologa, Maria Luisa Nava - è però particolarmente interessante perché ci consente di acquisire ancora altri dati sulla Neapolis greco-romana». Alcune delle tombe, difatti, sono state datata dagli archeologi al IV secolo avanti Cristo: hanno forma di cassa e sono fatte con lastre o blocchi scavati, in tufo giallo napoletano. I tufelli che le compongono, poi, in alcuni casi risultano lavorati sul posto, visto che si sono rinvenute le scaglie del materiale sgrossato dagli scalpellini; in altri casi, arrivavano gia squadrati dalle cave. E forse quei segni che talvolta sono incisi sui mattoni indicano appunto la provenienza. Nella maggioranza dei casi, le casse , accanto agli scheletri, custodivano ricchi corredi fatti di vasellame decorato a figure rosse, oggetti metallici e, talvolta, contenitori in alabastro e statuette di terracotta. Solo sporadicamente sono state rinvenute monete di bronzo o d’argento, cadute, si ritiene, nelle tombe dai sacchetti fatti di tessuti vegetali e appesi alle pareti delle casse. Spesso, nelle casse più profonde, sono state trovate le tracce di letti funebri, come segnalato dai rinvenimenti di borchie di bronzo. Insomma, è il passato di Neapolis che torna alla luce. Il passato di una città fatta a strati, degradante dalle colline verso il mare e che «in epoca greca - come sottolinea James Bishop, l’archeologo incaricato di sorvegliare i lavori - aveva il territorio urbano del tutto simile a un immenso cimitero». Molte tombe furono riutilizzate. Ovvero, si spostava all’esterno lo scheletro precedente o gli si sovrapponeva il nuovo e si richiudeva la tomba. «A questa fase - riprende la Soprintendente - appartiene anche una interessante doppia deposizione di ossa cremate in urna». Forse la necropoli era ancora attiva quando venne colpita dalle ceneri lanciate durante l’eruzione vesuviana del 79 dopo Cristo: uno strato di materiale vulcanico spesso pochi centimetri è all’esame degli specialisti per essere correttamente datato. Oltre ad alcune deposizioni di neonati in anfore tagliate e a poche tombe a incinerazione diretta, in nuda terra, le sepolture riferibili al III secolo avanti Cristo sono scavate in fossa semplice o hanno copertura di tegole a doppio spiovente. Infine, a testimoniare la funzione sacra dell’area, ci sono le formule con le maledizioni, scritte sulle lamine di piombo e ritrovate custodite in vasi interrati all'esterno delle sepolture. I napoletani di 2400 anni fa le portavano personalmente alle divinità infernali. E non c’erano scongiuri a difesa, per il malcapitato.

15/11/2007 ANCORA REPERTI ARCHEOLOGICI SEQUESTRATI

Anche a largo di Positano in azione i carabinieri del nucleo tutela del patrimonio. Sull’isolotto de «li Galli» che fu di Nureyev, ora di proprietà di una grande compagnia alberghiera, si sono spinti i militari alla ricerca di tracce di tesori archeologici trafugati e immessi sul mercato delle opere d’arte rubate. A caccia di reperti antichi messi in circolazione da tombaroli e ricettatori, i militari hanno ritrovato veri pezzi di storia antica che facevano bella mostra di se nelle vetrinette di lussuose ville, di resort frequentati dalle star di Hollywood, nelle abitazioni di rappresentanza di industriali e professionisti. Sotto i piedi, intarsiate nel pavimento, le tessere autentiche di un mosaico pompeiano; alle pareti, affreschi ritenuti della stessa epoca: bellezza a portata di sguardo - ora sotto sequestro - dalla sala da pranzo di un grande hotel di Sorrento. Tre denunce per ricettazione, e il recupero di oltre cento reperti è il bilancio di una serie di operazioni condotte dal nucleo Tutela Patrimonio culturale del Comando dei carabinieri di Napoli, guidati dal tenente Carmine Elefante. Nell'elenco, una vera lezione di archeologia classica, ci sono un capitello corinzio, una ventina di crateri neri a figure rosse, anfore, esemplari di kilix e dolio, bassorilievi in marmo di epoca romana. I controlli, in abitazioni private e in alberghi di alta categoria, hanno portato all'individuazione di materiale dal valore inestimabile - immesso nel mercato clandestino varrebbe diverse centinaia di migliaia di euro - che attende adesso la valutazione della Soprintendenza archeologica di Napoli. Il capitello corinzio viene ritrovato, lo scorso 2 ottobre, in un negozio di Napoli. Anfore pregiate, vasellame in ceramica appula ed italiota a figure rosse, e reperti in perfetto stato di conservazione, vengono individuati il 24 ottobre, nel Casertano, in abitazioni private di Marcianise e Capodrise. Cinque giorni dopo scattano i controlli in due alberghi a cinque stelle di Sorrento e in sull'isola «li Galli», a largo di Positano: vengono sequestrati pregiati frammenti di affreschi e pavimenti a mosaico ritenuti di epoca pompeiana, reperti in marmo di epoca romana, tra cui spiccano un'erma bifronte e vari bassorilievi.

15/11/2007 WERNER JOHANNOWSKY CITTADINO ONORARIO DI TEANO (CE)

Una salva di applausi ha accolto ieri a Teano, sul loggione della Cavallerizza al museo archeologico, il conferimento della cittadinanza onoraria al professor Werner Johannowsky. Le sue intuizioni permisero l'avvio dei primi veri scavi dai quali emersero le tracce del passato storico di Teanum Sidicinum. A consegnargli la cittadinanza il sindaco, Raffaele Picierno. Nella sala piena di oltre cento esperti, presenti tra gli altri l'assessore Gian Paolo D'Aiello fautore dell'iniziativa, il vicesindaco Carmine Corbisiero, il responsabile del Museo, Francesco Sirano.

14/11/2007 ECCO IL PROGETTO DEL PARCO NELLA ZONA DELLA VILLA DEL CAPO DI SORRENTO (NA)

Presentato il progetto del Parco urbano di interesse regionale che verrà realizzato nel sito che circonda i Bagni della Regina Giovanna, al Capo di Sorrento. L’iniziativa è finalizzata al recupero e alla valorizzazione del fondo acquistato nel 2003 dal Comune di Sorrento con l’istituzione di una riserva ambientale. Il progetto definitivo, redatto dall’ingegner Lucio Trifiletti, è stato presentato l’altro pomeriggio ai componenti a sindaco, assessori e consiglieri, oltre che ai rappresentanti delle associazioni ambientaliste presenti sul territorio. Ora l’iter burocratico prevede la presentazione dell’elaborato alla Regione perché venga approvato. In particolare, con l’istituzione della riserva, Palazzo Santa Lucia finanzierà il Comune di Sorrento con un milione di euro da utilizzare per il recupero dei sentieri che attraversano la proprietà di oltre 50 ettari, la messa in produzione delle colture, sia agrumeto che oliveto, la salvaguardia dei reperti archeologici risalenti all’epoca romana presenti nell’area, la realizzazione di un impianto di illuminazione e la ristrutturazione degli immobili esistenti che occupano una superficie di circa 400 metri quadrati. «Il parco deve avere una gestione autonoma per cui si potrebbero realizzare al suo interno attività come visite guidate, vendita di prodotti tipici, spettacoli o anche matrimoni, purché il tutto avvenga nel rispetto degli equilibri eco-ambientali», sottolinea Trifiletti. Con la realizzazione del Parco urbano, l’amministrazione comunale potrà attingere ai fondi del Piano per lo sviluppo rurale per il rifacimento dei muretti a secco, l’installazione di pannelli didattici, il recupero della rete sentieristica, l’istituzione di aree attrezzate per i visitatori, oltre ad un centro per il recupero della fauna selvatica, l’introduzione di colture biologiche e interventi per la prevenzione degli incendi boschivi, mentre risorse del Por 2007-2013 sarebbero utilizzate per le attività di promozione turistica. «L’amministrazione comunale – spiega il sindaco Marco Fiorentino – potrebbe valutare, caso per caso, se predisporre eventuali finanziamenti in proprio una volta avviato il parco. Intanto, la priorità è la messa in sicurezza dell’area, anche per quel che riguarda la parte a mare». C’è anche la possibilità di altri progetti: «Potremmo prevedere – aggiunge il sindaco Fiorentino – un accordo con l’imprenditrice alberghiera Teresa Naldi per una convenzione che renda fruibile anche il fondo confinante di sua proprietà dove sono presenti alcuni cisternoni romani di notevole pregio archeologico». Le associazioni ambientaliste chiedono però l’introduzione di alcuni paletti. «È il caso – propone Andrea Fienga del Wwf - di creare un regolamento per la gestione e la fruizione dell’area», mentre Massimo Maresca di Italia Nostra ha auspicato «la garanzia del rispetto dei vincoli ambientali ricadenti sull’area». Entrambe le proposte hanno trovato l’approvazione degli amministratori comunali.

14/11/2007 UN ANTICO PERCORSO DETURPATO DAL DEGRADO A TEANO (CE)

Quando i lavori pubblici si dimostrano inutili, dannosi e come se non bastasse i privati ci mettono lo zampino peggiorando la situazione. Questa è la giusta premessa per descrivere, oggi, l'antica via Molara, strada di elevato interesse archeologico, protetta da una serie di vincoli della Soprintendenza, ma inverosimilmente in degrado. La via che conduce al cratere di Monte Lucno sulla catena vulcanica di Roccamonfina è ora interessata da un cantiere preliminare ad un progetto di riqualificazione. Ma contemporaneamente è martoriata, da oltre una settimana, da una perdita d'acqua che defluisce da una condotta che a tratti la percorre in senso longitudinale. Non è finita. Anche quindici anni or sono fu interessata da lavori di regimentazione delle acque pluviali. Ebbene, forse il progetto iniziale, sicuramente il tempo e il disinteresse istituzionale hanno svelato che quelle opere non erano la giusta soluzione. Anzi, la situazione è via via peggiorata. E siamo a oggi, con un nuovo progetto che promette soluzioni adeguate sia per il recupero del prezioso sentiero che per l'ennesima opera di regimentazione. E a tale proposito le idee dei preposti non sembrano molto chiare. Ma, forse, proprio questo può costituire un punto a vantaggio di uno studio più approfondito alla ricerca della situazione migliore. A confermarlo sono sia il sindaco di Teano Raffaele Picierno che il responsabile dell'ufficio tecnico comunale Fulvio Russo. «I cantieri in atto rientrano nelle prescrizioni preliminari per l'attuazione del progetto di recupero di via Molara - precisa Picierno -. Utilizzando i fondi Pit ammontanti a circa 400mila euro contiamo di recuperare anche la stradina che risalendo a sinistra il fiume Savone conduce alla sorgente delle Caldarelle. A proposito, anche da Via Molara è possibile accedere all'acqua ferrata. Perché non ha funzionato la vecchia regimentazione? Beh, a mio avviso per assenza di manutenzione». «Sì, esiste già un preciso progetto per l'incanalamento delle acque, ma ciò non significa che non possa essere modificato sfruttando i vecchi scarichi. Sia inteso, qualora ci accorgessimo della loro non solo esistenza ma anche efficienza. Anche a questo servono i sondaggi portati avanti in questi giorni». Netta diffidenza tra qualche residente. Il signor Elio Sasso, per esempio, è convinto che rinunciare agli antichi scarichi delle acque meteoriche significhi ripetere esattamente gli errori del passato.

13/11/2007 AVERSA (CE), SBARRATE LE PORTE DELLE CHIESE DI PROPRIETA' PUBBLICA

«Se dovessimo fare affidamento sui fondi pubblici per il restauro delle chiese aversane, sarebbero già tutte chiuse da un pezzo». Monsignor Ernesto Rascato, responsabile regionale e della diocesi normanna per i beni culturali religiosi, non lo dice in maniera netta, ma tra le righe delle sue dichiarazioni si capisce che lo Stato, la Regione e il Comune non hanno affatto a cuore le chiese aversane. Eppure i luoghi di culto sono stati da sempre un vanto per Aversa che è conosciuta sin dall'ottocento anche come la città delle cento chiese. Un patrimonio inestimabile che potrebbe fare la differenza con altre città molto più quotate a livello turistico e dare vita ad un indotto in grado di risollevare le sorti di un'economia cittadina sempre più appiattita da centri commerciali che sorgono come funghi a pochi chilometri dal centro cittadino. «La nostra è una voce inascoltata da tutte le istituzioni e a tutti i livelli. Era meglio quando non avevamo rappresentanti a livello nazionale, giungevano più fondi. Lo Stato (e in verità nemmeno Regione e Comune) - afferma un monsignor Rascato piuttosto seccato per quanto sta avvenendo - non concede fondi da tempo per le chiese di proprietà della diocesi. In zona ricordo solo il comune di Casaluce (grazie ai commissari prefettizi) che ha concesso un contributo per il restauro della chiesa di Maria Santissima di Casaluce, compatrona della diocesi». zLe nostre chiese, quelle di proprietà della diocesi - continua il Rascato - sono tutte aperte. Ad avere i battenti chiusi sono le chiese di proprietà pubblica. E si tratta di veri e propri gioielli che sono chiuse al culto da tempo immemorabile». Tra esse quattro monumenti, quattro pezzi di storia cittadina che non possono assolutamente continuare ad essere ignorate pena l'impossibilità di recuperarle e restituirle alla città. La chiesa del Carmine, nella piazza omonima, di proprietà del demanio (ministero delle finanze), è chiusa e non si intravede possibilità di riapertura in tempi brevi, nonostante sia stato fatto un convegno sul riutilizzo dell'intero complesso, già caserma di cavalleria, oltre che convento. Santa Maria degli Angeli, invece, è la chiesa annessa a quella parte dell'ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito ed è contigua alla scuola sottufficiali di polizia penitenzia, di proprietà, ovviamente, del ministero della giustizia. La chiesa della Maddalena, annessa all'omonimo ex manicomio civile, che, attualmente ospita uffici ed ambulatori dell'Asl Ce2, di proprietà della Regione Campania, è quella più malconcia, con il tetto completamente sfondato. Infine, la chiesa di San Domenico, di proprietà del Fec (un fondo per i luoghi di culto che fa capo al ministero degli interni), ha usufruito del restyling della sola facciata.

13/11/2007 SORPRESE CONTINUE DAL RESTAURO DELLA CHIESA DI MASSAQUANO A VICO EQUENSE (NA)

Non finisce di riservare sorprese il restauro della cappella di Santa Lucia a Massaquano, un autentico scrigno d'arte che custodisce il ciclo pittorico del quattordicesimo secolo più completo della costiera sorrentina. Nel corso degli attuali interventi di preservazione del monumento, finanziati con trentamila euro dalla Soprintendenza ai beni architettonici ed al paesaggio con fondi del ministero dei Beni Culturali, sono emerse interessanti tracce pittoriche nella lunetta esterna alla cappella, sita nell'area che sormonta via Santa Caterina. Nella parte inferiore della lunetta, che presenta lo stile gotico del XIV secolo, sono state rinvenute delle tracce originali di colore con raffigurazione parziale di Santa Lucia e con il simbolo iconografico, gli occhi che ricordano il martirio, della celebre vergine di Siracusa. Oltre a questo intervento che sta rivalutando l'esterno della cappella le operazioni di restauro coordinate da Cinzia Giacomarosa ed eseguite unitamente a Emanuela Cetrangolo e Daniela Di Leo hanno interessato il portone in castagno del monumento, restituito all'originale colore. Evidenziati, grazie alla rimozione dello strato di vernice verde, le linee architettoniche gotiche della massiccia struttura dove sono state scoperte due finestrelle con croce lignea centrale che permettono di scrutare all'interno della cappella ammirandone la parete frontale con le varie scene affrescate. Ai lavori che hanno riguardato il portone ha collaborato anche l'artigiano locale Vincenzo Esposito su invito del parroco don Antonio Guida, artefice fin dal 1986, dopo un oblio di oltre un secolo, del ritorno alla luce e del restauro degli affreschi di scuola giottesca della cappella ubicata nel centro della frazione di Massaquano. Nella prossime settimane è prevista la conclusione dei lavori, in modo da permettere i riti della festa di Santa Lucia, tra cui il pittoresco lancio delle «nocelle», che ricordano le pupille delle santa, dal tetto della cappella. Gli interventi in corso stanno riguardando anche l'estrazione dei sali superficiali comparsi in parti degli affreschi ed il consolidamento e fissaggio di alcune parti di colore ed intonaco, con ritocco delle superficie dipinte. Inoltre, eseguiti gli interventi portalino di ingresso della cappella, elemento architettonico realizzato all'epoca in tufo grigio. «Con questi ultimi restauri - afferma don Antonio Guida - la cappella sta in parte riacquistando l'antico splendore, restituendo agli appassionati d'arte altre tracce significative del nostro passato». Un monumento unico nel suo genere, sorto nel 1385 grazie al presbitero Bartolomeo de Cioffo, antenato della famiglia Cioffi che per secoli ha avuto il patrocinio della cappella, ubicata in un'area dove sono molteplici i beni architettonici da valorizzare. Non a caso il Comune ha da tempo progettato un intervento di riqualificazione urbana di tutta l'area del centro di Massaquano: «Si tratta di un insediamento urbano - afferma Ida Maietta, responsabile di zona della Soprintendenza - molto interessante per la presenza di stratificazioni monumentali che testimoniano il passaggio di vari stili artistici legati a diverse fasi di sviluppo sociale».

12/11/2007 SI COMINCIA A LIBERARE LE CISTERNE ROMANE DI CAIAZZO (CE)

Da due giorni perlustrano i sotterranei di piazza Giuseppe Verdi, a Caiazzo, ritrovando ambienti di epoca romana: sei grosse camere comunicanti tra loro da numerosi cunicoli. L’operazione è iniziata con l’intervento dei vigili del fuoco e della protezione civile, che hanno svuotato un antico pozzo con l’aiuto di pompe che hanno per circa 5 ore prelevato 250 mila litri d'acqua. Poi è stata la volta degli speleologici del Gruppo Matese e del Gruppo Grottaferrata 2007 (Natalino Russo, Antimo Peccerillo e Manuela Merlo) i quali si sono calati alla profondità di 10 metri per constatare e fotografare lo stato dei luoghi. Tutto ciò è stato possibile grazie al Comune di Caiazzo e alla Soprintendenza archeologica all’indomani del ritrovamento di reperti di epoca romana in piazza Verdi durante i lavori di ristrutturazione di uno stabile per la realizzazione di un centro polifunzionale per anziani. Ieri mattina altro sopralluogo da parte del responsabile del settore archeologico della Soprintendenza, Antonio Salerno. Nei prossimi giorni si conoscerà l’intenzione della Soprintendenza se recuperare l’intera area di piazza Verdi e renderla fruibile ai visitatori.

11/11/2007 SPUNTANO MURA ROMANE A NOCERA SUPERIORE (SA)

Una serie di opere murarie parallele al percorso della statale 18 sono venute alla luce durante le operazioni di scavo per la realizzazione della rete fognaria a Nocera Superiore. rispettando in pieno le previsioni degli esperti, non si è dovuto attendere molto perché si trovasse qualcosa di interessante durante i lavori che stanno riguardando la Statale 18 nel tratto che attraversa Nocera Superiore. I responsabili della Castalia, la ditta appaltatrice dei lavori, si sono imbattuti nei reperti archeologici durante i lavori che stanno interessando il tratto della statale all'altezza del quartiere Pareti e per evitare di recare danno alle preziosissime strutture, hanno provveduto a coprirle e ad allertare immediatamente i responsabili della Soprintendenza ai beni archeologici della Provincia di Salerno. Saranno infatti questi ultimi, sotto la direzione dell'archeologa Teresa Virtuoso, nominata responsabile del procedimento dall'amministrazione Montalbano, a condurre uno studio per stabilire l'epoca a cui le mura risalgono e per tentare di individuare la funzione dell'opera stessa. «Non possiamo fare per il momento ipotesi precise sulla natura dei resti - ha dichiarato la dottoressa Laura Rota, responsabile della Soprintendenza - poiché bisogna ancora valutare tanti elementi». Questo "inconveniente" ha determinato il momentaneo blocco dei lavori, ma il sindaco si è premurato di rassicurare i cittadini, rendendo noto che i lavori stanno proseguendo lungo il resto del percorso. Sarà il responso dello studio appena iniziato a determinare il livello di importanza della struttura e a determinare le sorti che essa subirà. La speranza è che non si debba procedere a ricoprirla e che, in qualche modo, possa andare a costituire un altro tassello del ricco tesoro archeologico di cui la città di Nocera Superiore è ricca.

11/11/2007 ARRESTATO A SERINO (AV) ANTIQUARIO CHE VENDEVA ANFORE GRECHE

Crateri e vasi apuli risalenti al IV secolo avanti Cristo erano finiti in un borsone chiuso ermeticamente nel doppiofondo di un armadio. Con questo stratagemma un 40enne di San Michele di Serino, residente in via Zappelle, aveva pensato di occultare all'interno del suo laboratorio di restauro un patrimonio di rara bellezza e dal valore inestimabile. Probabilmente la refurtiva, proveniente dall'antica Apulia, l'attuale Puglia, era pronta ad essere venduta al migliore offerente. A riportare alla luce del sole i preziosissimi reperti, però, ci hanno pensato i carabinieri di Avellino, diretti dal capitano Nicola Mirante, e quelli della stazione di Serino, coordinati dal maresciallo Genovino Moschella. I militari dell'Arma, l'altra sera, hanno fatto irruzione all'interno del laboratorio. A condurli sul luogo del ritrovamento sarebbe stata un'attività di indagine partita da molto lontano e che già in passato avrebbe visto il 40enne sanmichelese al centro di simili reati. Sta di fatto che, dopo un'accurata perquisizione, i carabinieri hanno posto sotto sequestro dei crateri e dei vasi apuli risalenti all'epoca ellenica, finemente decorati con figure mitologiche greche. Cinque gli oggetti sequestrati che sono stati così catalogati dagli uomini del comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri e della Soprintendenza per i beni archeologici di Avellino: un oinochoe a figure rosse e bianche con raffigurazione di scena teatrale, produzione magno-greca di area apula, IV-III sec. a.C.; un'anfora biansata tipo nolano a figure rosse e bianche, produzione magno-greca di area apula, IV-III sec. a.C.; un'anfora monoansata a figure rosse e bianche, produzione magno-greca di area apula, IV-III sec. a.C.; un'anfora monoansata a figure rosse e bianche, produzione magno-greca diarea apula, IV-III sec. a.C.; un cratere a campana a figure rosse e bianche, produzione magno-greca di area apula, IV-III sec. a.C.. Dinanzi a questo rinvenimento il restauratore con la passione dell'antico, già noto alle forze per qualche precedente specifico, non ha saputo fornire spiegazioni in merito al possesso ed alla provenienza del materiale. Da qui la decisione dei carabinieri di deferirlo all'autorità giudiziaria per ricettazione e detenzione illecita di materiale archeologico. All'interno del locale, però, va detto che sono state ritrovate anche delle altre fotografie sulle quali sono apparsi visibili altri oggetti tutti ricollegabili alla stessa epoca ellenica. Quanto basta per innescare il naturale sospetto sulla presenza di un vero e proprio catalogo per ordinativi. Per questa ragione le indagini coordinate dal procuratore della Repubblica di Avellino, Mario Aristide Romano, e svolte ancora tuttora in stretta collaborazione con il comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri e la soprintendenza per i beni archeologici di Avellino, potrebbero riservare nuovi ed importanti sviluppi. In queste ore, infatti, gli stessi inquirenti oltre ad accertare la provenienza furtiva degli oggetti stanno cercando di risalire ad eventuali complici del restauratore di San Michele di Serino. Ben occultati e al riparo da occhi indiscreti i cinque vasi antichi erano nascosti in un borsone, e sistemati sotto un mobile. Con ogni probabilità i reperti archeologici, di notevole valore artistico, erano già stati "piazzati" e l'acquirente avrebbe potuto ritirarli in questi giorni. Ovviamente sono solo delle ipotesi sulle quali i carabinieri della compagnia di Avellino stanno ora indagando. Il valore, nell'ambito dei commercianti di opere d'arti illegali, non supera i 50mila euro, ma il prezzo era destinato notevolmente a salire una volta venduti ad esperti collezionisti. Infatti i vasi recuperati dai carabinieri della stazione di Serino, considerato il valore, sarebbero potuti essere acquistati solo da esperti. Di certo l'acquirente aveva visto i cinque reperti archeologici su delle fotografie, poi una volta accertata l'originalità aveva preferito vederli da vicino. Una trattativa, con ogni probabilità, stroncata sul nascere. «Questa operazione - ha commentato il comandante provinciale dei carabinieri, colonnello Giammarco Sottili - si incardina nella lotta contro il commercio illegale di opere d'arte appartenenti al patrimonio dei beni artistici dello Stato. Attraverso l'ausilio dei carabinieri del reparto patrimonio culturale, i cinque vasi stanno per essere catalogati ed inseriti in quella che è la banca dati più grande del mondo. Ora bisogno accertare se le opere d'arte siano state trafugate in qualche museo, o presso degli scavi archeologici. Fatto sta che la persona che abbiamo denunciato non ha saputo fornire indicazioni sulle modalità di acquisto, come è previsto dalla legge». Quello di ieri rappresenta uno dei maggiori recuperi di opere d'arte rubate. Si pensa che siano giunti ad Avellino dalla Puglia. Un commercio molto redditizio che avviene in una prima fase attraverso fotografie. Solo dopo che gli acquirenti, solitamente esperti collezionisti, si mostrano interessati alla merce proposta, i pezzi rari e illegali si materializzano. Stando al materiale sequestrato nella bottega e nell'abitazione dell'artigiano, gli inquirenti sospettano che era possibile far giungere ad Avellino, su richiesta, ancora altri oggetti preziosi. Infatti sono decine le fotografie ritrovate, che ritraggono vasi antichi e statuette di marmo. Si indaga ora per capire chi avesse commissionato i cinque vasi di inestimabile valore.

11/11/2007 ARRESTATI PREDATORI SUBACQUEI DI REPERTI A CAPO MISENO (NA)

Una mattinata movimentata al largo di Capo Miseno: sotto il mare falsi turisti con mute e bombole stavano saccheggiando il sito archeologico sommerso del mitico porto romano. E sotto il mare si sono imbattuti in altri sub che però sul petto avevano la scritta «carabinieri» e sul cappuccio la fiamma d’argento. Sorpresa: i predatori venuti dal Belgio avevano scelto una giornata di mare forza 5 per essere più sicuri di agire indisturbati. I militari della motovedetta dalla compagnia di Pozzuoli assieme a quelli del nucleo carabinieri subacquei di Napoli invece sono arrivati con il gommone e li hanno colti in flagrante, mentre con un rastrello facevano a pezzi le anfore e la storia per portare a casa frammenti - ne avevano già messi da parte 38 - da collocare sul mercato clandestino o da consegnare a chissà quale committente straniero. La barca, un 16 metri di nome «Primavera» attrezzato con verricelli e scandagli per esplorare e depredare i fondali, era già stata fermata per un controllo a maggio al largo di Ischia. Poi era sparita nel nulla. Quando, qualche giorno fa, è ricomparsa, i militari hanno subito rafforzato la sorveglianza. E si sono attrezzati per intervenire. È scattata così l’operazione del comando provinciale dei carabinieri guidati dal colonnello Gaetano Maruccia. Appena in tempo per evitare altri danni: oltre a spaccare dolia e vasetti la banda aveva scavato anche nella zona dei moli in legno, riportandone alcune parti in superficie. Che è come scrivere una condanna definitiva: fuori dal fondale sabbioso quel legno è destinato a marcire. Forse i tombaroli cercavano statue simili a quelle rinvenute nella zona qualche tempo fa, e che i ricettatori avrebbero pagato qualsiasi prezzo, o forse speravano di essere talmente fortunati da trovare reperti in metallo. Possibile, in un braccio di mare supertrafficato fin dall’antichità da imbarcazioni che trasportavano di tutto, dai dobloni d’oro alle opere d’arte, dal vino all’olio ai tessuti alle spezie. Sei piccoli «cantieri» di scavo, dai 3 metri e mezzo agli otto metri di pronfondità, erano stati aperti con una tecnica che pregiudica definitivamente la leggibilità del sito. Sbancando fino a un metro e mezzo il fondale, i predatori di storia hanno mescolato oggetti finiti sul fondo del mare in epoche diverse. I cocci appoggiati su un lato delle buche sono stati collocati dagli archeologi che li hanno poi esaminati in un periodo che va dal I secolo avanti Cristo al IV dopo Cristo: uno scarto enorme. Colpa della fretta più che dell’ignoranza: i cinque arrestati per gli inquirenti dimostrano anzi di conoscere bene la materia. A bordo dell’imbarcazione riviste specializzate, la stessa individuazione dell’area esatta in cui cercare non è cosa da sprovveduti. Uno della gang, inoltre, parla anche l’italiano. John Mary Swinnen 60 anni, Frank Van Frausum, 39, la 42enne Tom Yingdee, Constant Serneels Gommaar 51 anni, Eduard Josephine Bal Willy, 69 anni i nomi degli arrestati. Ufficialmente erano in Italia per motivi turistici. Sulle loro attività in patria si sta ora indagando tramite Interpol. Non è escluso che si tratti di insospettabili appassionati d’arte.

11/11/2007 I RESPONSABILI DELLA TUTELA CHIEDONO UN CONFRONTO CON PALAZZO SAN GIACOMO SU LICENZE E CONTROLLI 

Il mercato abusivo, disperato e selvaggio non è soltanto violazione delle regole ma anche offesa alle città d’arte: tanto che il ministro per i beni culturali, Francesco Rutelli, è sceso in campo con una circolare alle direzioni regionali e alle soprintendenze invitandole a ristabilire la dignità dei luoghi attraverso un confronto con i Comuni, la revisione delle autorizzazioni concesse agli ambulanti, il controllo a tappeto contro ogni forma di illegalità. E la risposta da Napoli è immediata. Gli enti che tutelano centro storico, siti archeologici, monumenti e musei si dicono pronti a intervenire con tutti gli strumenti in loro possesso, non esclusa l’imposizione di nuovi vincoli sulle aree di pregio. Per la «grande pulizia» Rutelli fissa anche il tempo a disposizione: un mese. Sarà sufficiente per un’inversione di tendenza? «Più che sufficiente - è la replica di Vittoria Garibaldi, da due mesi direttore regionale dei beni culturali - avevo già chiesto alle soprintendenze di inviarmi una relazione dettagliata sullo stato dei luoghi d’arte, chiedendo ragione del personale impegnato, dei servizi offerti, del volume di visitatori ma anche del contesto ambientale. Poiché non tutte mi hanno risposto, le inviterò a provvedere al più presto. Completato il monitoraggio, solleciterò un tavolo di confronto con gli enti locali per studiare le opportune contromisure. Le autorizzazioni vengono rilasciate dai Comuni, ma le soprintendenze possono intervenire direttamente sulle aree vincolate e imporre nuovi vincoli laddove ce ne sia bisogno. Sono tornata in questa città dopo qualche anno di assenza e la trovo sempre affascinante, però la ricordavo più attenta al rispetto e al decoro dei luoghi: dobbiamo riprendere possesso delle strade di Napoli, attraversarle senza sentirci in difficoltà». Più che soddisfatto dall’intervento di Rutelli anche Nicola Spinosa, soprintendente al Polo museale: «Basta guardare lo scempio all’ingresso della Reggia di Caserta e degli scavi di Pompei, completamente invasi da mercanzie abusive, per rendersi conto che non si può restare con le mani in mano. Ai cancelli di Capodimonte, per fortuna, non abbiamo la stessa emergenza. Nemmeno gli abusivi si accorgono di noi...». Una nota polemica, se pure accompagnata da un sorriso, per riallacciarsi al tema che gli sta più a cuore: la posizione decentrata del museo rispetto ai percorsi turistici e la necessità di potenziare la rete del trasporto pubblico sulle rotte dell’arte, prevedendo un collegamento in metrò con l’Archeologico. Pronto a confrontarsi con il Comune sul tema degli ambulanti, abusivi e non, il soprintendente per i beni ambientali e architettonici Enrico Guglielmo: «Posso citare molti esempi di zone vincolate che vengono quotidianamente offese dal commercio senza regole. Il corso Garibaldi, sotto tutela perché a ridosso dell’antica cinta muraria; il corso Umberto e via Toledo, percorsi strategici del centro storico, dove è ormai impossibile camminare sui marciapiedi senza inciampare nelle mercanzie; l’area compresa tra piazza San Gaetano e San Gregorio Armeno, dove lo scempio si consuma a Natale con una folla di bancarelle presepiali disordinate se non addirittura indecenti».

10/11/2007 RECUPERATI I TERRENI A RIDOSSO DEGLI SCAVI DI ERCOLANO (NA)

Accordo raggiunto tra la Sovrintendenza archeologica di Pompei e i coloni dell’area a ridosso del parco archeologico: da due giorni infatti l’Ente ha preso possesso dell’area demaniale posta a monte dalla zona dove attualmente c’è il parcheggio riservato ai dipendenti: lì sorgerà un’area verde attrezzata, destinata a diventare un parco pubblico. La procedura ha subito molti rinvii, l’ultimo lo scorso 24 ottobre, quando la presenza di animali e attrezzi agricoli di proprietà dei coloni impedì alla Sovrintendenza la presa di possesso dell’area. Un incontro tenutosi lo scorso 5 novembre presso la sede dell’assessorato al Lavoro e alla Formazione della Regione Campania, al quale parteciparono anche il sindaco di Ercolano Nino Daniele, il sovrintendente Pietro Giovanni Guzzo, il deputato di Rifondazione Comunista Salvatore Iacomino, il consigliere regionale Luisa Bossa e una rappresentanza dei coloni, ha posto fine alla querelle tra le due parti: su proposta del sindaco Daniele, ai coloni è stato garantito lo sfruttamento dei terreni a valle del parcheggio dei dipendenti fino al prossimo 26 giugno, dove sono in corso coltivazioni florovivaistiche e agricole, mentre gli assessorati regionali alla Formazione e alle Attività produttive hanno programmato il ricorso a procedure e risorse disponibili per quanto avviene in merito a incentivi, formazione e accompagnamento delle nuove attività aziendali che saranno collocate in aree diverse da quelle attuali, di concerto con il Comune: «Siamo soddisfatti dell’accordo», spiega Angelo Loiacono». Gli accordi dovrebbero quindi salvaguardare le quattro abitazioni presenti e le trenta unità lavorative impegnate nel campo agricolo e della floricoltura: «Siamo alla ricerca di terreni disponibili e idonei dove poter trasferire le nostre attività lavorative - prosegue Loiacono - nell’area che va da Via Benedetto Cozzolino fin verso le pendici del Vesuvio». I terreni erano coltivati dai coloni dal lontano 1920, quando furono presi in fitto dal marchese De Bisogno, nell’area in cui sorgeva una masseria. Nel 1950 i terreni passarono in possesso della Soprintendenza archeologica di Napoli che le fittò ai coloni Pasquale Ruggiero e Vincenzo Scognamiglio: oggi le terre interessano proprio l’area dove sorgerà il parco urbano (i lavori saranno consegnati l’8 giugno 2008) e il nuovo ingresso degli Scavi. Soddisfazione anche dal sindaco di Ercolano Nino Daniele: «Sarà realizzata un’opera fondamentale per la valorizzazione degli Scavi - dice il primo cittadino - e per l’integrazione del parco archeologico con la città stessa».

8/11/2007 REPERTI ARCHEOLOGICI RINVENUTI NELL'EX PALAZZO IPAI A BENEVENTO

Il rettore dell'Università del Sannio Filippo Bencardino, durante un convegno, ha annunciato le problematiche che stanno emergendo durante la ristrutturazione dell'edificio ex Ipai, acquistato dall'Università. Sono stati, infatti, ritrovati dei reperti archeologici e i lavori potrebbero subire un rallentamento. «L'intenzione - ha assicurato il rettore - è di preservare, d'accordo con la Soprintendenza, i rinvenimenti e renderli patrimonio fruibile dall'intera città».

6/11/2007 CHIESTA LA SALVAGUARDIA DELLE ANTICHE NEVERE DI ROCCAMONFINA (CE)

Il recupero delle antiche nevere di Roccamonfina - i caratteristici ”frigoriferi” di un tempo – come attrazione turistica del territorio e conservazione della memoria e delle tradizioni locali. Da anni ormai in completo stato di abbandono, queste costruzioni hanno rappresentato in passato una fiorente attività economica per il territorio, poiché il ghiaccio prodotto con l’accumulo della neve, era poi particolarmente richiesto in estate nei mercati di città come Napoli, Gaeta e Formia. Da Roccamonfina, i blocchi di ghiaccio (ricoperti di pula di cereali e conservati in sacchi di iuta) sistemati su carretti trainati da cavalli, raggiungevano decine e decine di località del centro-sud d’Italia, ed utilizzati sia nel campo alimentare che medico. Ora da più parti, a cominciare dagli anziani del paese, si chiede ai vari enti presenti sul territorio di salvaguardare queste testimonianze di ”archeologia rurale” (per molti veri e propri monumenti, oltre che simboli del paesaggio) sia per finalità turistiche che per le future generazioni.

6/11/2007 FURTO ALLA BASILICA DI CARINOLA (CE): RINVENUTI ALCUNI FRAMMENTI ARCHITETTONICI

Forse erano troppo pesanti, forse ingombranti, forse non sono stati ritenuti necessari, fatto sta che i pezzi che costituivano la lunetta del portale della Basilica di Santa Maria in Foro Claudio, trafugati insieme ad altri pregevoli elementi della facciata della chiesa, sono stati ritrovati a pochi metri dal misfatto, durante un sopralluogo della Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta condotto dall'architetto Rosa Carafa nella mattina dello scorso sabato. Tra gli altri era presente l'assessore alle finanze del Comune di Carinola Enzo Ceraldi, il primo a denunciare alle autorità competenti il furto e lo scempio perpetrato ai danni della basilica. Nonostante le indagini condotte dai carabinieri, non sono stati ancora rintracciati gli altri pezzi del portale, brutalmente deturpato dai ladri due settimane fa. I soliti ignoti, probabilmente balordi al soldo di ricettatori di pezzi d'arte, hanno agito indisturbati di notte, portando via, pezzo per pezzo l'intera architrave, gli stipiti di destra e sinistra e i capitelli. Nel divellere i pezzi di marmo antico, i ladri hanno danneggiato sia i basamenti che la lunetta poi ritrovata gravemente danneggiata. La chiesa, dove non si tengono celebrazioni liturgiche fatta eccezione per alcuni matrimoni, è stata per anni abbandonata a se stessa, vittima dell'incuria figlia della completa assenza di una politica culturale e turistica del Comune di Carinola. Nonostante da due anni sia stata assegnata al restauro dell'Episcopio parte dei fondi devoluti alla città calena per il Piano integrato territoriale domizio, l'antica basilica, risalente all'anno Mille e quindi una delle più antiche testimonianze del romanico nell'intera provincia di Terra di Lavoro, è stata lasciata in balia di se stessa e dell'abbandono più totale: il Comune di Carinola non ha mai pensato di proteggere l'edificio con un sistema d'allarme esterno o neanche con un'attenta sorveglianza. La chiesa è immersa nel verde, per arrivarci bisogna percorrere una viuzza stretta e senza asfalto, condizioni che hanno facilitato il lavoro dei ladri. Sono ora in corso da parte delle forze dell'ordine che indagano sull'accaduto, le indagini e le ricerche dei pezzi unici trafugati. Quelli ritrovati, sono stati portati in un posto sicuro dai dipendenti comunali presenti all'ultimo sopralluogo. Forte indignazione è stata espressa proprio dall'assessore Ceraldi, uno dei pochi cultori dell'arte carinolese e della sua unicità e preziosità.

3/11/2007 ASSEGNATO L'APPALTO PER I LAVORI AL TEATRO GRECO ROMANO DI NEAPOLIS

Un sogno che diventa realtà. Perché di questo si tratta. La gara d’appalto per l’assegnazione dei lavori per la sistemazione dell’area del Teatro romano di Neapolis è terminata. Il teatro di via dell’Anticaglia, quello che il 64 dopo Cristo ospitò le esibizioni canore di Nerone, tra due-tre anni al massimo tornerà alla luce e, soprattutto, diventerà visitabile. Il progetto di recupero è stato elaborato nel tempo, soprattutto in visione delle graduali acquisizioni e scoperte archeologiche. Con poco più di un milione di euro, la «Caccavo srl» di Salerno realizzerà i lavori di sistemazione dell’area che prevedono scavo archeologico, opere di restauro, demolizione di immobili, e soprattutto la creazione di un parco archeologico urbano. Nel dettaglio sarà effettuato lo scavo dei vomitori antichi di accesso alla grande cavea, che dovrà anch’essa essere interamente scavata, il restauro degli ambulacri interni e del frons scenae, e infine la creazione di impianti e allestimenti per consentire l’utilizzo del teatro per rappresentazioni teatrali e manifestazioni culturali. Un progetto a cui manca soltanto la data di inizio lavori, che «verrà fissata la settimana prossima», come precisa il vice sindaco Tino Santangelo, nonché assessore all’Urbanistica. «Il nostro intento è di farli partire il prima possibile - dichiara -. Tuttavia, le esigenze commerciali del quartiere, da sempre a vocazione natalizia, potrebbero far slittare il tutto agli inizi di gennaio». Particolarmente ansioso che i lavori prendano il via è David Lebro, presidente della quarta Municipalità. «Questa riqualificazione del Teatro romano è un tassello fondamentale per il quartiere – afferma – e si riallaccia ai lavori di riassetto di via Duomo e via Tribunali, questi ultimi terminati da pochi giorni e a cui manca soltanto il palettamento». Un quartiere che guarda lontano, a un turismo culturale meno «mordi e fuggi» e che spesso è fuori dagli itinerari per via di quei vicoli stretti che lo caratterizza. «Il nostro principale problema è la viabilità – continua Lebro -. Il decumano dove sorge il Teatro di Neapolis è un po’ figlio di un dio minore, perché i turisti si fermano sempre e solo nella zona di piazza del Gesù, dove parcheggiano gli autobus che qui non possono transitare. Mi auguro che il restauro dell’area e l’apertura del parco archeologico favorisca il rilancio del quartiere».

1/11/2007 UN PARCHEGGIO PER L'AREA ARCHEOLOGICA DI TEANO (CE)

Ci sarà posto anche per un parcheggio per le auto dei visitatori e dei residenti nel «giardino-archeologico» di viale dei Platani a Teano, la zona parco che sta per nascere ai piedi della scuola media «Delle Chiaie». Ad annunciarlo è stato l'assessore all'urbanistica Gian Paolo D'Aiello a conclusione dell'ultimo consiglio comunale. «Si tratta di un'opera che mette assieme storia e modernità, un parcheggio per le auto perché ma anche diverse panchine per il relax ed un percorso con tanto di tabelle informative sullo storico sito».

26/10/2007 STAVOLTA SI PARTE: RIAPRONO GLI SCAVI AL RIONE TERRA DI POZZUOLI (NA)

Riaprono domani i percorsi archeologici sotterranei del Rione Terra. Interrotti lo scorso 30 settembre per un contenzioso tra il Consorzio, la Regione Campania e il Comune di Pozzuoli, i tesori nascosti della Puteoli coloniale tornano a essere visitati dopo la firma del nuovo protocollo d'intesa siglato ieri in Regione. Fra 15 giorni, quindi, tornerà ad essere l'Azienda di Soggiorno e Turismo a curare le visite guidate al Rione Terra di Pozzuoli.

26/10/2007 ABBIAMO LA META' DEI SITI ARCHEOLOGICI D'ITALIA MA NEL TURISMO TUTTI CI BATTONO

Il turismo è la più clamorosa occasione mancata per il Mezzogiorno: nonostante conti la metà dei siti archeologici e il 65% delle coste italiane, è surclassato da Francia, Spagna e Centro Nord e deve accontentarsi delle briciole. L’atto di accusa della «London school of economics», che, insieme alla «V&V», ha messo a punto il dossier sull’uso delle risorse europee di «Agenda Duemila» presentato ieri al Cnel, è tanto duro quanto circostanziato. «Attenti a non rifare gli stessi errori nell’attuale, ultimo Quadro comunitario di sostegno 2007-2013», è il monito che viene dal Rapporto. La cui ufficializzazione, guarda caso, avviene proprio nel giorno in cui Confindustria rivela che perfino l’Europa dell’Est ex comunista ha sorpassato, in alcuni casi, il Sud d’Italia: il riferimento è alla Repubblica Ceca, all’Ungheria, alla Slovenia, «paesi che - spiega il vicepresidente Artioli - sono più capaci di noi di attrarre nuovi investimenti». Mentre, secondo l’istituto di Londra è davvero sorprendente «il ritardo delle aree meridionali in termini di attrazione di nuovi flussi di capitali dall’estero». Un esempio per tutti: la sola Umbria registra un volume di investimenti stranieri superiore a quello di tutte le Regioni del Sud messe insieme. Naturalmente, spulciando tra le tabelle e i grafici della ricerca, emergono differenze interne al nostro Mezzogiorno tra Regioni e anche all’interno delle stesse: prendiamo il caso, emblematico, della Campania. Eccelle in ricerca, al punto da investire quattro volte di più delle altre e da fagocitare oltre il 50% del totale delle risorse spese nelle aree Obiettivo Uno per l’innovazione. Ma la stessa Campania è quella che detiene il triste primato dell’illegalità, peraltro concentrata nelle due province di Napoli e Caserta, nonostante gli impegni e i finanziamenti profusi dal ministero dell’Interno per il Piano sicurezza. Lo studio quantifica infine le risorse europee 2000-2006 impegnate e spese finora nel Mezzogiorno, tenendo conto che c’è tempo fino a dicembre 2008 per utilizzarle, perché successivamente saranno irrimediabilmente perdute. Gli impegni dei diversi Por delle Regioni Obiettivo Uno sono pari al 93%, le erogazioni sono attestate al 63%. Complessivamente si tratta di circa 32 miliardi. La palma della più brava spetta alla piccola Basilicata, quella che finora ha speso meno è la Puglia, quella che ha impegnato meno la Calabria. E tra i diversi programmi, quello che va maggiormente a rilento è l’asse cinque, che riguarda le città, dove siamo fermi a poco meno del 55% delle erogazioni.

25/10/2007 RINVIATA LA PRESA DI POSSESSO DEL TERRENO DEMANIALE AGLI SCAVI DI ERCOLANO (NA)

Doveva essere il giorno della presa di possesso del territorio demaniale (prossimo a diventare area verde attrezzata) situato a ridosso del parcheggio per i dipendenti della Soprintendenza archeologica degli scavi di Ercolano ma invece tutto è stato rinviato all’8 novembre: la presenza di auto, attrezzi agricoli e animali di proprietà dei coloni che risiedono e lavorano nell'area interessata dai lavori per il parco pubblico, ha rinviato la presa di possesso dei terreni dall'estensione di circa ventimila metri quadri da parte della Soprintendenza, impossibilitata a prendere da subito in custodia i beni mobili di proprietà dei coloni. Tutto era pronto per procedere: la presenza di polizia e carabinieri, oltre che dei tecnici e legali di Tribunale e Soprintendenza faceva presagire l'avvio del procedimento, ma dopo colloqui tra le parti e l'arrivo del soprintendente Pietro Giovanni Guzzo si è deciso per il rinvio. Lo spostamento della data all’8 novembre dà tempo dunque alle parti di addivenire ad un accordo: per lunedì 5 è stato convocato un tavolo di lavoro sulla vicenda dall'assessore regionale al Lavoro Corrado Gabriele: prenderanno parte all'incontro anche il sindaco Nino Daniele e l'assessore regionale alle Attività Produttive Andrea Cozzolino. «Vogliamo che vengano prese in giusta considerazione le nostre ragioni - dice Angelo Loiacono, portavoce delle sei famiglie residenti nell'area demaniale - lavoriamo da tre generazioni in quest'area e non possiamo permettere che vengano minacciate le nostre attività lavorative e le nostre case». Sono trenta infatti, tra lavoratori stagionali nel campo della floricoltura ed agricoltori locatari, le unità lavorative a rischio sui terreni che dal 1950 la Soprintendenza archeologica di Napoli (all'epoca responsabile anche del parco archeologico ercolanese ndr) cedette in fitto ai coloni Pasquale Ruggiero e Vincenzo Scognamiglio. Oggi le terre e le abitazioni in possesso degli eredi attraversano proprio l'area del parcheggio dei dipendenti, interessata anche dai lavori per il parco urbano e il nuovo ingresso degli scavi.

25/10/2007 DOPO LE DENUNCE IN TIVU' ORDINANZA CONTRO LA PROSTITUZIONE DINANZI AGLI SCAVI DI POMPEI (NA)

Da anni cercano di combattere il fenomeno della prostituzione praticata a ridosso delle rovine romane e a pochi metri dal santuario della Vergine, ma denunce e fogli di via a poco sono serviti. E allora l’amministrazione decide di sanzionare la domanda piuttosto che l’offerta, così da oggi entra in vigore l’ordinanza che punisce gli automobilisti che sosteranno accanto a una prostituta o procederanno al rilento in modo da intralciare la circolazione. Chi non rispetterà i divieti potrà essere contravvenzionato con un’ammenda che va da 800 a mille euro. Nei mesi scorsi contro la città a luci rosse aveva protestato anche l’arcivescovo Carlo Liberati: «Questa città - è la sintesi delle diverse accuse - è afflitta dal male della prostituzione e della droga». E poi, solo l’alra settimana, il presidente degli industriali Luca Cordero di Montezemolo aveva rilanciato ricordardo che se Pompei fosse stata negli Usa intorno si sarebbe creato un indotto fiorente. E allora il sindaco Claudio D’Alessio riprende: «Il provvedimento serve a ridare decoro alla nostra città. Il mito Pompei deve avere una risonanza mondiale solo per il suo prestigioso patrimonio archeologico e per il santuario. La prostituzione deve essere combattuta e vinta. Con questo divieto i clienti saranno severamente puniti e mi auspico non avranno più il coraggio di venire a Pompei per cercare un'avventura sessuale a pagamento». L’ordinanza che inasprisce le misure contro la prostituzione riguarda in particolare la zona di Villa dei Misteri, a ridosso dell'area archeologica, dove è forte la presenza di lucciole e viados, ma non esclude anche altre vie del centro. «Il divieto fa parte del pacchetto sicurezza che già da tempo abbiamo messo in campo a beneficio della città - dice il sindaco - La scorsa settimana ho avuto un incontro con le forze dell'ordine impegnate sul territorio. Quelle che come amministrazione abbiamo varato sono misure che mirano, tra l'altro, a migliorare la sicurezza stradale. Colpire il fenomeno della prostituzione è solo un aspetto della lotta contro l'illegalità che stiamo combattendo».

24/10/2007 IL COMUNE DI AGROPOLI (SA) ACQUISTERA' IL CASTELLO

Entro Natale il castello di Agropoli sarà acquistato dal Comune. A confermarlo è Franco Alfieri, sindaco della cittadina cilentana che nei giorni scorsi, con una delibera di giunta, ha ricevuto il mandato per concludere l’acquisto del fortilizio. Attualmente di proprietà della famiglia Dente, originaria di Portici, il castello era stato messo in vendita lo scorso anno con una inserzione su internet. “Sono sicuro che per la fine dell’anno giungeremo ad un preliminare di vendita”, spiega Alfieri.
All’acquisto della fortezza potrebbero partecipare anche imprenditori, commercianti e professionisti di Agropoli. L’amministrazione comunale starebbe infatti pensando ad una sottoscrizione pubblica per quello che è considerato il vero simbolo della cittadina cilentana. Gravitante su un antico baluardo realizzato in epoca greco-bizantina intorno al VI secolo avanti Cristo, esso presenta attualmente l’aspetto assunto durante il periodo angioino-aragonese e rinascimentale. Caratterizzato da una pianta triangolare munita di tre torri circolari, il castello, che si incunea nell’antico borgo, è circondato da un profondo fossato, oggi in parte scomparso, che si estende per circa 28 mila metri quadrati.
Di proprietà dei vescovi di Paestum-Capaccio fin dal VII secolo, la fortezza, occupata dapprima dai saraceni, poi dai normanni, dagli svevi e dagli angioini, è entrata nella storia soprattutto per la breve permanenza tra le sue mura di Luisa Sanfelice, l’eroina della rivoluzione partenopea.
Nel secolo scorso, la grande scrittrice francese Marguerite Yourcenar, dopo averla visitata, vi ambientò un racconto dal titolo “Anna, soror”. Mistero sulla cifra che dovrà essere sborsata per il suo acquisto: si parla di 5 milioni di euro, trattabili.

20/10/2007 PARTE IL RESTAURO DEI LOCALI PER IL MUSEO ARCHEOLOGICO A STABIA (NA)

Al via il restauro dell’ex convento delle Stimmatine: ospiterà la sede della Fondazione Viviani. È iniziata la procedura che porterà alla ristrutturazione dell’edificio situato nel cuore del centro antico, destinato ad accogliere l’ente per la tutela del patrimonio artistico, storico e culturale di Castellammare. Comune, Provincia e Regione già da diversi mesi sono al lavoro, assieme agli eredi del commediografo stabiese, per stilare lo statuto che guiderà la fondazione nel percorso di recupero, valorizzazione e promozione delle opere di Raffaele Viviani. Secondo le prime indiscrezioni emerse dai progetti di riqualificazione, l’ex convento ospiterà oltre agli uffici direzionali della fondazione, anche un museo, al cui interno verranno raccolte tutte le memorie, gli oggetti personali, riconducibili a Viviani e ai suoi lavori teatrali. Una struttura polifunzionale, corredata di una serie di servizi pubblici per i cittadini del centro storico, che avrà il compito di gestire tutte le attività culturali, teatrali e musicali che verranno realizzate sul territorio stabiese. Dunque, il Comune affiderà al nuovo ente culturale il compito di pianificare l’intera programmazione culturale e artistica di Castellammare. «La Fondazione Viviani è uno dei principali obiettivi della nostra amministrazione – spiega Massimo De Angelis, assessore alla cultura – evidenziato nelle linee programmatiche del sindaco Salvatore Vozza. Un percorso difficile, ma ormai la discussione sta maturando e a breve toccherà alla commissione cultura di palazzo Farnese esprimersi in merito alla concretizzazione di questo nuovo ente destinato a diventare il braccio operativo del Comune nel settore dell’arte e della cultura». Entro dicembre, infine, toccherà al consiglio comunale esprimersi sull’efficacia dello statuto e sugli obiettivi fissati da Comune, Provincia e Regione. Secondo il piano di lavori, dunque, già nel 2008 la fondazione avvierà la sua attività di tutela del patrimonio stabiese e tra i primi compiti fissati si impone l’istituzione di un teatro dedicato a Viviani, una struttura da individuare tra gli edifici già esistenti, per consentire ai tanti giovani della città delle acque di avvicinarsi al mondo del teatro. «Il prossimo anno sarà di grande importanza per la città – aggiunge De Angelis – che punta ormai a candidarsi sempre più come meta privilegiata del turismo culturale campano. Infatti, il 2008 vedrà non solo la promozione dell’opera del commediografo stabiese con il via libera alla costituzione della Fondazione, ma anche la conclusione delle opere di recupero del Palazzo reale di Quisisana, al cui interno verrà istituita la Scuola di Alta Formazione per l’insegnamento del restauro, sotto l’egida dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma. All’interno di altre sale, inoltre, sarà anche il Museo archeologico di Stabiae, per dare in questo modo una sede degna agli ottomila reperti provenienti dalle ricerche effettuate in tutto il territorio stabiano». Illustre autore figlio di Stabia, Viviani non sarà però l’unico artista al centro delle attenzioni della fondazione, che, infatti, si occuperà anche di promuovere i lavori di artisti come Annibale Ruccello, Luigi Denza, Michele Esposito e molti altri. Con l’avvio delle procedure di ristrutturazione dell’ex convento, è stato fissato anche il termine dei lavori, 480 giorni dall’appalto che verrà conferito a breve. «Il restauro delle ex Stimmatine – commenta Paolo Pisciotta, assessore all’urbanistica – è un altro importante tassello per il rilancio del cuore della città».

12/10/2007 CONTRORDINE: GLI SCAVI DI RIONE TERRA A POZZUOLI (NA) NON RIAPRONO

Contrordine: non basta più la delibera del Comune di Pozzuoli per riaprire i percorsi archeologici sotterranei del Rione Terra. Il Consorzio di imprese che ha in appalto il restauro della rocca di proprietà del Municipio adesso punta i piedi. «Non vogliamo fare polemiche con nessuno - s'affretta a chiarire il presidente del Consorzio, Sergio Fiore - ma mancano le condizioni legali e amministrative per poter riaprire le porte agli scavi. Questo è pur sempre un cantiere». Un duro altolà a chi sognava una riapertura dei percorsi già per il prossimo fine settimana. L'assessorato regionale ai Beni culturali ci ha riprovato ad accelerare i tempi ma ha incassato le perplessità delle imprese che da metà degli anni '90 lavorano per il restauro del Rione Terra. «La nostra parte l'abbiamo recitata - spiega il commissario straordinario del Comune, il prefetto Domenico Bagnato - Ora la questione riguarda Regione e Consorzio e noi non vogliamo entrarci». Una chiarimento che sposta così le attenzioni sul Consorzio di imprese. «Non ci sono le premesse e me ne dispiace - continua ancora Fiore - Noi siamo stati i primi a favorire le visite sotterranee del sito ma il vecchio accordo provvisorio è scaduto nel 2004 e da allora, nonostante i nostri solleciti, non ce ne sono stati altri. E noi non intendiamo assumerci altri oneri, né economici né burocratici che non ci competono». Sullo sfondo, anche se il Consorzio chiarisce che l'argomento «è secondario e non impedisce l'apertura immediata dei percorsi», anche un braccio di ferro per crediti che il Consorzio vanta nei confronti per la gestione temporanea, dal 2002, dei percorsi sotterranei. Una cifra di poco superiore ai 500 mila euro. «Non è una questione di soldi arretrati - ribadisce l'ingegnere Fiore - Appena firmato il nuovo accordo, noi apriremo gli scavi al pubblico». Le perplessità del Consorzio scatenano la bagarre. E preoccupano Franco Mancusi, amministratore dell'Azienda autonoma di Soggiorno e Turismo di Pozzuoli. «Non dobbiamo vanificare il buon lavoro di immagine fatto fino ad ora - dice - Dopo i buoni risultati nella fase sperimentale, una volta ottenuto il via libera potremmo subito riaprire anche le visite notturne». Nella delibera della commissione straordinaria, infatti, il percorso archeologico del rione Terra viene affidato dal Comune all'Azienda, con l'indicazione che «la Regione contribuisce alle spese di gestione»: la deliberazione con la presa d'atto del protocollo di intesa fra l'assessorato regionale ai Beni Culturali, il presidente della Regione quale delegato all'attuazione della Legge 80, la Direzione regionale per i Beni Culturali e paesaggistici, la Diocesi e il Comune, pareva mettere la parola fine alla querelle sollevata il 30 settembre, quando il Consorzio decise la chiusura dei percorsi archeologici sotterranei del Rione Terra, il quartiere terremotato sgomberato nel 1970, costruito sull'antica colonia di ”Puteoli” e a lungo oggetto di scavi che hanno riportato alla luce interi lembi della città romana con le strade e con gli edifici destinati alla vita civile e commerciale della colonia.

12/10/2007 SCAVI DI STABIA (NA) DA SALVARE

Una petizione popolare contro il degrado degli Scavi di Stabia. A proporre l’iniziativa sono storici, archeologi, docenti, appassionati dell’arte e semplici cittadini che, riuniti in un comitato, hanno deciso di scendere in campo attivamente per tutelare il grande patrimonio archeologico di Castellammare. Un gruppo di volontari che, attraverso un manifesto, intende promuovere un patto per la difesa e la valorizzazione di questi beni, realizzando un’azione organica e condivisa tra soggetti istituzionali, organizzazioni culturali e cittadini. Alla guida del direttivo il giornalista Antonio Ferrara, lo storico Pippo D’Angelo, il preside Antonio Carosella e l’archeologo Domenico Camardo. Un’iniziativa dettata dalla necessità di porre rimedio alle precarie condizioni in cui sono conservate le due ville romane (Villa Arianna e Villa San Marco), e l’Antiquarium che ospita gli oggetti rinvenuti sul comprensorio stabiese. Un vasto patrimonio archeologico visitato ogni anno da numerosi studiosi e turisti ma carente di servizi, di collegamenti e di assistenza ai visitatori. «La scorsa settimana – spiega un custode – siamo stati costretti a recuperare un gruppo di studiosi davanti alla clinica ospedaliera Villa Stabia. All’uscita dalla circumvesuviana avevano chiesto indicazioni per raggiungere le storiche ville di Stabia». L’eccezionalità del patrimonio archeologico e l’importanza della collezione di pittura romana esistente ha indotto i membri del comitato ad attivare un programma di gestione dei beni denominato «Progetto Stabiae», attorno al quale raccogliere i principali istituti archeologici stranieri operanti in Italia, le università e tutti gli studiosi e personalità scientifiche che si sono occupate di Stabiae nel corso degli anni. «Si tratta di progetto che rientra a pieno titolo – spiega lo storico D’Angelo – nel processo di Pianificazione strategica avviato dal Comune con il documento «Stabia 2010», approvato dalla giunta nel dicembre 2006, e si ricollega al Piano operativo regionale «Grandi attrattori culturali», promosso dalla Regione Campania nell’ambito delle linee strategiche definite dal ministero per i Beni culturali». Il «Progetto Stabiae» si articolerà su alcuni elementi fondamentali: dalla realizzazione del parco archeologico di Stabiae, all’inserimento di Stabiae nella lista dei siti protetti dall’Unesco, accanto a Pompei, Ercolano e Oplontis, e la redazione del relativo piano di gestione, alla realizzazione di laboratori di archeologia aperti a studenti e giovani di tutto il mondo, fino al collegamento dell’area archeologicacon la città. «La tutela di questo grande patrimonio è un obiettivo irrinunciabile – sottolinea Ferrara – stiamo raccogliendo adesioni anche attraverso internet, all’indirizzo comitatostabia@iol.it e quando avremo raccolto un numero sufficiente di adesioni allora invieremo la nostra petizione a Rutelli, Bassolino, al sindaco Vozza e al sovrintendente di Pompei Guzzo».

12/10/2007 SPUNTANO REPERTI ARCHEOLOGICI A FORCHIA (BN)

Oggi c’è il campo sportivo, ieri molto lontano forse c’era una villa romana o tombe appartenenti alla stessa epoca storica. Frammenti del passato sono emersi durante i lavori di sistemazione del campo sportivo di Forchia. Reperti archeologici che rimandano alla storia del popolo caudino e che, inevitabilmente, mettono in moto una serie di ricerche e controlli. L’iter burocratico va avanti da mesi quando, a seguito di una segnalazione, esperti della Soprintendenza archeologica, guidati da Luigi Della Rocca, direttore del museo nazionale del Sannio Caudino e funzionario della zona archeologica di Montesarchio, hanno effettuato un sopralluogo al campo sportivo, rilevando la presenza di reperti antichi e bloccando, così, i lavori. «Si tratta di frammenti ceramici, tufo antico e frammenti di tegolame vario», spiega l’assistente tecnico-scientifico Lucio Iuliano. Pochi giorni fa, un ulteriore sopralluogo. C’erano, insieme a Della Rocca e Iuliano, l’ingegnere Lanzotti e il sindaco di Forchia, Margherita Giordano. I lavori, al momento, sono stati sbloccati, quindi riprenderanno, ma la ricerca continua. «Ulteriori saggi archeologici - precisa Iuliano - ci permetteranno di stabilire se i reperti rinvenuti sono i resti di una villa romana o piuttosto tombe antiche». E i saggi partiranno lunedì 15 ottobre. «È un lavoro di ricerca archeologica - precisa Iuliano - per evidenziare maggiori certezze circa la possibilità che si tratti di una villa o di tombe romane». Ma il sopralluogo al campo sportivo di Forchia è stato anche l’occasione per effettuare una breve visita alle cisterne cosiddette ”sannitiche”, di vico Sannita,alle spalle del municipio. Attualmente le cisterne sono piene di immondizia e di materiale di scarto, depositato nel corso degli anni ma sembra che al più presto saranno svuotate e ripulite, sotto la sorveglianza del personale tecnico della Soprintendenza archeologica.

11/10/2007 INTESA PER LE VISITE AL RIONE TERRA DI POZZUOLI (NA)

Cade il veto del Comune di Pozzuoli sulle gestione provvisoria del percorso archeologico sotterraneo del Rione Terra: i commissari straordinari firmano stamattina la delibera che dà il via libera alla riapertura degli scavi, le cui visite sono state sospese a causa della mancata ratifica del nuovo protocollo d'intesa tra Municipio, Regione, Consorzio concessionario e Azienda di cura, soggiorno e turismo. «È davvero una bella notizia - dice Franco Mancusi, amministratore della locale Azienda di turismo - La chiusura è stata davvero uno smacco per l'immagine dei Campi Flegrei». A questo punto, il sito potrebbe riaprire già sabato prossimo. «Volevamo delle garanzie e le abbiamo ottenute», ha spiegato il prefetto Domenico Bagnato. «Le carte sono pronte, le relazioni che chiedevamo sono state firmate - conferma il direttore generale del Comune, Edoardo Oliva - Non ci sono ostacoli per l'accordo». In realtà, ora occorre la convocazione di una nuova conferenza dei servizi per ratificare l'ok del Comune di Pozzuoli. Ma, dicono dalla Regione, «potremmo convocarla già venerdì mattina». Tempi ristretti per correre ai ripari, dopo che anche l'assessore regionale Marco Di Lello è intervenuto chiedendo l'intervento del prefetto Alessandro Pansa. Centinaia di visitatori, nell'ultimo fine settimana, hanno protestato dopo aver trovato le porte del percorso sotterraneo sbarrato: il Consorzio le ha chiuse in seguito alla mancata sottoscrizione del protocollo d'intesa da parte del Comune che del Rione Terra è il proprietario. Le visite agli scavi hanno riportato alla luce interi lembi della città romana, con le strade e gli edifici destinati alla vita civile e commerciale della colonia di Puteoli, sono stati inaugurati nel giugno del 2002 e dalla fine di agosto di quest'anno, sono aperti anche by-night. Cinque anni fa, venne decisa «l'apertura sperimentale» del percorso attrezzato, con l'allestimento di un itinerario archeologico sulle meraviglie del Rione Terra. Visite che proseguono di pari passo con il restauro del Rione, la cui consegna dei primi lotti è attesa - stando alle previsioni - per il giugno del 2008. Il Consorzio, sia pur non supportato da atti amministrativi e contabili, si è accollato anche la gestione provvisoria del percorso archeologico. A fine luglio, l'Azienda di cura, soggiorno e turismo è divenuta responsabile dell'organizzazione delle visite. «E c'è stato un boom - spiega ancora Mancusi - Speriamo di riprendere il trend interrotto». Il Rione Terra ora può riaprire alle sue meraviglie: la botola del tempo è sempre stata lì, nascosta tra le vie del quartiere terremotato, coperta da strati e secoli di vita cittadina. Il viaggio inizia sotto Palazzo Migliaresi, basta un piano di scale per tornare indietro di duemila anni, nel Rione Terra che fu la città dei savi del sesto secolo avanti Cristo.

09/10/2007 RUBATO UN CAPITELLO ROMANO A TEANO (CE)

Ladri di storia in azione, ieri notte, nella piazza centrale della frazione Versano di Teano. Ignoti, con metodi subito giudicati da tutti «a dir poco barbari» senza alcun rispetto per la sacralità e l’importanza culturale del luogo, hanno trafugato il capitello di pregevole fattura e di epoca romana posto in cima alla colonna votiva dedicata dai fedeli a Gesù redentore. Non solo. Nell’estrarre il capitello dalla sua sede originaria non si sono fatti scrupolo di scaraventare al suolo, riducendola a pezzi, una colonna in marmo di origine imperiale caratterizzata da incavi verticali. Danni anche alla cortina in ferro battuto che circonda il cippo e alla pavimentazione della piazza. Sul posto, nella mattinata, si sono recati i carabinieri della locale stazione e del personale della Soprintendenza archeologica per valutare i danni e stilare un rapporto, sui possibili interventi di recupero. Di difficile individuazione l’origine del capitello che comunque si ritiene emerso, probabilmente, da una delle domus romane che costellano il vasto territorio tagliato in due dalla Via Latina. Impossibile e inutile attribuire alla sezione di marmo lavorato (che solitamente sormonta una colonna), oggetto di furto, un valore venale. «Il danno maggiore, infatti - come sottolinea l'esperto di archeologia e storia locale, l'architetto Alfredo Balasco - nei confronti della conoscenza della storia del territorio. Inoltre, una simile brutale trafugazione, mette in luce il disprezzo che la risma di ladri di ieri notte nutre nei confronti delle cose notevoli, dei segni e dei simboli del nostro passato». Profonda indignazione per l'atto vandalico è stata anche espressa da molti residenti della ridente comunità periferica nota, oltre che per storicità di alcuni siti archeologici (come Madonna dell'Arco, presso Borgonuovo), anche per la manifestazione ormai di caratura ultraregionale di promozione dei vini «Vèrsano a Versàno». Il monumento è frutto di un lungo periodo di raccolta di oboli tra i fedeli del circondario. Fu eretto dai cittadini di Versano di Teano nel lontano 1903. Muto testimone di tante manifestazioni civili e religiose che si tengono periodicamente nella borgata, ora reca i segni di un assalto incivile degno solo dei malviventi che l'hanno commesso. Le indagini degli inquirenti si muovono sulla base dalla plausibile ipotesi del furto su commissione.

07/10/2007 SARà SCAVATA E RECUPERATA LA FORTEZZA RINASCIMENTALE DI NOLA (NA)

«Lo scavo e il totale recupero della fortezza rinascimentale rinvenuta nel sottosuolo di piazza d'Armi saranno interamente finanziati dalla Regione Campania. Per farlo useremo i finanziamenti europei 2007-2011»: Gianfranco Nappi, capo della segreteria del governatore della Campania Antonio Bassolino lo ha annunciato davanti ad una folta platea di amministratori e addetti ai lavori. L'occasione è stata quella del seminario dal titolo «Per un discorso sul futuro del Nolano», manifesto programmatico di una serie di iniziative che saranno portate avanti per favorire «l'organico rilancio del territorio». Nappi ha infatti lanciato l'idea della costituzione di un tavolo di lavoro costituito da rappresentanti delle istituzioni ed esponenti della società civile per recuperare quel gap di «partecipazione, progettazione e rappresentanza che di fatto hanno costituito fino ad oggi gli impedimenti maggiori al decollo dell'hinterland». E ancora una volta ed essere indicato come la strada maestra per il riscatto è stato il ricco patrimonio storico e culturale di un'area che vanta il villaggio della preistoria, la basiliche paleocristiane, l'anfiteatro e che ultimamente si è arricchito proprio con la scoperta della fortezza rinascimentale. Incassata la disponibilità a finanziare i lavori dell'ultimo ritrovamento adesso toccherà alla soprintendenza archeologica di Napoli il compito di disegnare un progetto che, oltre al completamento dello scavo preveda anche il restauro della struttura. Il responsabile degli scavi, l'archeologo, Giuseppe Vecchio assicura che il processo è già stato avviato: «Le operazioni future dovranno essere pianificate e conciliate con quelle predisposte per la costruzione del museo della cartapesta che sorgerà nelle immediate vicinanze del complesso archeologico. Se è vero quanto ipotizziamo porteremo alla luce un edificio grande e robusto, dentro il quale ci sarà spazio in abbondanza anche per poter ospitare una sala concerti». Insomma è bastato uno scorcio del robusto muro che caratterizza il perimetro della fortezza a indicare la portata della scoperta avvenuta nel corso dei sondaggi preliminari alla costruzione del museo della cartapesta al posto dello stadio comunale di piazza d'Armi. Il ritrovamento rappresenta infatti la conferma dell'ipotesi sulla presenza di una fortezza, avanzata attraverso lo studio di alcune cartine, risalenti al 1700, che riproducevano la pianta della città durante il vice regno spagnolo: un edificio robusto, denominato «la cittadella», destinato ai soldati di Carlo V, protetti dagli attacchi esterni anche da un fossato che potrebbe essere ancora perfettamente custodito dalle viscere della terra. Una premessa incoraggiante, lo stimolo a continuare i lavori e soprattutto ad allargare la zona da ispezionare. Obiettivo, quest'ultimo, che non ostacolerà il progetto che proprio in quella zona prevede la realizzazione della città della cartapesta, già finanziata dalla regione Campania attraverso fondi europei.

07/10/2007 MONDRAGONE (CE): INIZIATI I LAVORI DEL PARCO ARCHEOLOGICO DEL MONTE PETRINO E DELL'ANTICA VIA APPIA

I Beni Culturali rimangono una delle priorità dell’Amministrazione Comunale di Mondragone guidata dal Sindaco Ugo Alfredo Conte e, a conferma di ciò, da qualche giorno sono iniziati i lavori di realizzazione del Parco Archeologico del Monte Petrino e dell’Appia Antica. Tali lavori, fortemente voluti e perseguiti dall’Assessore alla Cultura Giovanni Schiappa, potranno consentire di cominciare ad inquadrare i beni culturali in una ottica nuova: non solo tutela ma anche valorizzazione turistica ed economica.
"La recente illuminazione notturna del Castello di Monte Petrino" afferma l'assessore Schiappa "ha creato una fortissima sensazione di appartenenza della Città al suo passato antico. L'illuminazione notturna, a suo modo, ha permesso di ricordarci a tutti quanti e quali ricchezze Mondragone possiede. Ebbene l'avvio dei lavori per la valorizzazione del sentiero di Monte Petrino e l'area archeologica dell'Antica Via Appia sono una ulteriore risposta concreta alla volontà di far diventare i nostri tesori un punto di orgoglio e di riqualificazione turistica."
Preservare e custodire gli importanti ritrovamenti avvenuti rappresenta soprattutto la volontà di proseguire con ulteriori lavori di scavo rivolti ad altre zone con particolare interesse archeologico che gravitano sul territorio della Città di Mondragone. L’imponente progetto dell'Appia Antica e del sentiero di Rocca Montis Draconis affiancherà idealmente quello già in opera de La Starza.
Gli interventi in essere riguardano due aree distinte.
La prima è l'area archeologica dell'Appia nella quale è stato rinvenuto un tratto della antica via consolare perfettamente conservato con un inserto di una strada secondaria che, probabilmente, si collegava con il tratto rinvenuto nella costitutenda area archeologica de La Starza.
L'area sarà organizzata in modo tale da consentire una visita organica e sequenziale non solo della strada ma anche delle antiche tabernae rinvenute.
Nell’area, poi, ubicata di fronte al muro occidentale del Cimitero Comunale, saranno valorizzati i resti di strutture murarie, connessi ad ampi tratti di pavimentazione in cocciopesto ed una serie di ambienti in opera incerta che sono venuti alla luce da ulteriori scavi.
Cronologicamente l’insieme delle strutture sembra databile entro un arco di tempo che va dalla tarda età repubblicana fino alla tarda età imperiale.
La seconda parte dell'intervento riguarderà il sentiero che conduce da località Cantarella fino al pianoro di Rocca Montis Draconis.
Il sentiero, che sarà adeguato per la percorrenza sia a piedi che in auto, sarà dotato di segnaletica e di illuminazione pubblica fino al pianoro sul quale sarà predisposto un piccolo parcheggio ma soprattutto un’area attrezzata nella quale poter sostare e dove sarà costruito, sempre con materiali eco-compatibili, un box informazioni per i turisti. Il tratto di strada interessato dall'intervento è lungo 1.700 metri e consentirà in modo agevole di poter raggiungere con facilità l'area pianeggiante a ridosso dell'insediamento medievale. Da qui in poi sono previsti dei interventi di ripristino dell'antico sentiero medievale per poter consentire un più agevole accesso all'area che da diversi anni è oggetto di campagne di scavo archeologico finanziate interamente dall'Amministrazione Comunale.
"Con l'assessore Schiappa, dopo l'avvio dei lavori di Monte Petrino e della Via Appia" afferma il Sindaco Conte "abbiamo deciso di porre tra le priorità dell'Amministrazione il finanziamento del Parco Archeologico di Rocca Montis Dragonis. La strada di accessopermetterà a tanti godere in modo agevole dell'area archeologica. E' necessario fare un ulteriore passo avanti: creare un vero e proprio parco archeologico sul Castello"
Viene a concretizzarsi, quindi, un percorso non solo ideale ma reale che, partendo dalla centralissima piazza Umberto I si snoderà attraverso il Santuario della Madonna Incaldana e le sue Chiese e Cappelle, passando per il Museo Civico Archeologico “Biagio Greco” per inoltrarsi, poi, nel cuore della storia della Città.
Palazzo Ducale, la Chiesa di S. Michele con gli splendidi affreschi, il borgo di Sant'Angelo con la Chiesetta di San Mauro, la realizzanda area archeologica de La Starza e ora il parco archeologico che comprenderà l'Appia Antica ed il sentiero di Rocca Montis Draconis.
In tal modo i turisti potranno attraversare e vedere non solo le vestigia di un passato ricco di presistenze, ma anche di tipo naturalistico in modo da poter coniugare cultura e natura.
Soltanto con questo tipo di interventi si potrà perseguire una più efficace valorizzazione e tutela del territorio, garantendo la fruibilità e l'accessibilità a tutti, partendo dai cittadini di Mondragone ai quali la storia ha affidato dei beni culturali ed ambientali unici nel loro genere.
Una presenza continua sulla montagna, improntata al rispetto del verde e dell'ecosistema presente, non potrà che portare utili benefici a tutti.
Tutto questo per riuscire a compiere un passo avanti di grande coraggio: attivare un turismo intelligente, sensibile sia alla natura che alla cultura ma che possa attivare un circuito economico forte e duraturo.
"Abbiamo le idee chiare su quello che vogliamo realizzare" conclude l'assessore Schiappa "Non appena la Regione Campania attiverà nuove fonti di finanziamento, possiamo candidare con immediatezza il Castello di Monte Petrino. Il Comune possiede già un progetto esecutivo, realizzato dall'Ufficio tecnico in collaborazione con la Direzione Scientifica dle Museo, per realizzare un parco archeologico di facile fruizone e di grande impatto visivo. Ci impegneremo affinché questo progetto possa avere tutta l'attenzione dovuta nelle sedi opportune".
Al fine di poter inserire in via permanente il sentiero di Rocca Montis Draconis nell'ambito dei sentieri nazionali, il percorso sarà dotato della segnaletica convenzionale in uso nei sentieri italiani al fine di fornire non solo notizie di carattere storico-archeologico ma anche di tipo naturalistico e sentieristico, consentendo al sentiero di Mondragone di essere inserito nell'ambito più vasto dei sentieri nazionali.
Valorizzare la montagna del Petrino e consentire una serie di escursioni a cadenza regolare permetteranno una sempre migliore conoscenza e fruizione.
Un parco archeologico, quindi, che potrà divenire un vero e proprio centro attrattivo.

06/10/2007 SOSPESE LE VISITE AL RIONE TERRA DI POZZUOLI (NA)

I percorsi archeologici sotterranei del Rione Terra, fiore all’occhiello del turismo culturale puteolano, da oggi chiudono ai visitatori. E la decisione del Consorzio che ha in gestione il restauro dell’ex quartiere terremotato, costruito sull'antica colonia di «Puteoli», provoca dure reazioni. Franco Mancusi, amministratore dell’Azienda di Cura, soggiorno e turismo, che da fine agosto si è preso cura dell’allestimento, con voci narranti e illuminazioni, anche delle visite notturne, spiega: «La sclerosi burocratica e le difficoltà di far incontrare i diversi enti rischiano di compromettere seriamente l’avviato processo di rilancio del turismo archeologico». Lo stop ai percorsi è un duro ostacolo all’inserimento del circuito «Campi Flegrei by night» da affiancare a quelli già esistenti di Pompei, Reggia di Caserta, Paestum e Oplonti. «Sono preoccupato, a settembre abbiamo quintuplicato le visite al Rione Terra: un record che ora rischia di essere vanificato». All’origine della decisione del Consorzio c’è la mancata firma del Comune di Pozzuoli al protocollo d’intesa per la gestione temporanea degli scavi del Rione Terra: alla riunione a Palazzo Santa Lucia, alla presenza anche dell'assessore regionale Marco Di Lello, c’erano il commissario straordinario del Comune Raffaele Sarnataro e il segretario generale Edoardo Oliva: «Noi abbiamo solo chiesto del tempo per avere dei chiarimenti, ma non è detto che non firmeremo», spiega Sarnataro. In realtà al Comune - che è il proprietario del Rione Terra - vogliono delle garanzie: chiedono che in questa fase, con il cantiere aperto, i lotti in fase di completamento e il recupero del Duomo-Tempio in dirittura d’arrivo, siano dispensati da ogni forma di responsabilità. Perché il municipio flegreo non ha personale per vigilare sugli scavi, né appare intenzionato a farlo prima della consegna del Rione. Oggi, comunque, per la prima volta dopo oltre 5 anni le visite sono sospese. «Uno smacco incredibile - sbotta amareggiato Fulvio Bausano, presidente dell’Assoalbergatori flegrei - Il percorso rappresenta una delle principali attrattive culturali della zona. E fa ancora più male sapere che all’origine di tutto c'è ancora il mancato accordo tra enti pubblici». I percorsi sotterranei consentono di visitare uno dei decumani principali dell’antico tessuto urbano della Puteoli romana e di scoprire osterie, depositi e botteghe. Amarezza anche nella parole di Antonio Di Somma, presidente dell’Associazione flegrea delle agenzie di viaggio. «Le presenze sono in aumento, Pozzuoli è proiettata a immettersi a pieno titolo nel circuito turistico regionale - dice - Questo è un colpo durissimo, ma sono certo che tutti insieme troveremo una soluzione». Dal mondo della politica Filippo Lucignano, ex presidente del Consiglio comunale, alza la voce: «Apprezzo la decisione dei commissari straordinari, il Rione Terra è proprietà della collettività puteolana e auspico che ogni decisione sulla sue gestione venga presa dai rappresentanti eletti dalla comunità».

05/10/2007 NUOVAMENTE FRUIBILE IL VILLAGGIO PROTOSTORICO DI NOLA (NA)

Liberato da erbacce e dall'acqua è finalmente fruibile nuovamente lo scavo archeologico del villaggio protostorico di Nola (vedi lo speciale NOLA per ulteriori notizie).

05/10/2007 LA VILLA ROMANA E' ABBANDONATA DA PIU' DI UN ANNO A MONTEMILETTO (AV)

«Siamo stanchi di subire questi disagi e di vedere soprattutto un gioiello del passato come questa villa romana completamente abbandonato». Esordisce così Giuseppe Musto, residente in contrada San Giovanni, alle porte di Montemiletto. E lo fa anche a nome delle altre cinque famiglie della zona che da oltre un anno sono costrette a muoversi con estrema difficoltà per raggiungere l'ingresso delle rispettive abitazioni perchè la strada che doveva essere realizzata dal comune è stata bloccata per la scoperta di una dimora patrizia. L'intervento della Soprintendenza ha sospeso il cantiere ma, nel contempo, sono stati bloccati pure i lavori di scavo per riportare alla luce l'intero perimetro della dimora signorile. E da allora Giuseppe Musto, e con lui l'intero vicinato, faticano ogni giorno a uscire di casa, sia a piedi sia con le auto. In attesa che dal palazzo municipale qualcuno si decida a dare loro un segnale Musto, incoraggiato da parenti e vicini, ha deciso di sollevare il caso e di promuovere almeno un'iniziativa a favore della tutela del piccolo, ma prezioso, patrimonio archeologico rinvenuto. «Abbiamo chiesto più volte - prosegue l'anziano signore - al sindaco dei chiarimenti su questa vicenda, ma finora abbiamo assistito solamente ad uno scaricabarile di responsabilità. Non è giusto che una villa di epoca romana sia coperta ormai da rovi e sterpaglie, e l'unica strada che collegava le nostre case al paese sia interdetta». Gli amministratori locali si difendono sostenendo di essere a loro volta in attesa del via libera della Soprintendenza per riaprire il cantiere fermo da oltre un anno.

03/10/2007 ARRIVANO FONDI PER IL PARCO ARCHEOLOGICO DI SUESSOLA AD ACERRA (NA)

Un importante contributo per la realizzazione del parco archeologico di Suessola, da costruirsi in località Calabricito, situata a ridosso del confine con il Casertano, è stato stanziato, con decreto, dal ministero dell'Economia e Finanze per «interventi diretti a tutelare l'ambiente e i beni culturali e a promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio». La somma destinata al Comune di Acerra è pari a 150mila euro. Il finanziamento servirà sia per l'avvio della realizzazione del parco che per l'inizio delle procedure di acquisizione al patrimonio comunale della Casina Spinelli.

28/09/2007 MANCANO I FONDI PER LA VILLA DI ANTEROS ED HERACLIO A STABIA (NA)

Niente fondi per la messa in sicurezza dei resti della «Villa di Anteros ed Heraclio». Tegole, pezzi di mura, pavimento e pareti intonacate. Che sono stati rinvenuti un anno fa ma che sono adesso di nuovo sepolti da cespugli e terreno al rischio delle intemperie. Si tratta della quinta villa romana situata nella zona di Varano, all'epoca a pochi metri da villa San Marco. Una scoperta che fu del tutto casuale e che era avvenuta a seguito di un'operazione di scerbatura commissionata dall'assessorato all'ambiente del comune di Castellammare di Stabia. All'epoca dei fatti, bastò solo una semplice pulizia del costone di via Passeggiata archeologica (conosciuta dai residenti come Varano), per riscoprire il pavimento e le mura della villa di cui si credevano persi i resti. Alla pulizia sarebbe dovuta seguire una messa in sicurezza, ma a quanto pare nessuna istituzione competente è riuscita a rispettare il vincolo archeologico. Se si percorre la strada, e ci si ferma proprio di fronte i campetti di calcio, spostando parte della vegetazione, un po’ più su del livello stradale si possono ammirare quei resti che sono dipinti ancora di rosso. «Ricordo molto bene quella scoperta - afferma Raffaele Longobardi assessore comunale all'ambiente - e per metterla in sicurezza occorrono fondi che il portafoglio del settore ambientale non possiede». Già, perché a far parte dello stesso settore ambientale c’è anche la questione rifiuti, che con la partecipata comunale pare abbia assorbito buona parte dei fondi comunali destinati all'ambiente, riducendo di fatto il budget del settore. «Ma quei resti non verranno abbandonati - continua l’assessore Longobardi - stiamo effettuando uno studio. Nello studio si sta valutando l'ipotesi di un collegamento archeologico tra il centro della città e la zona collinare di Varano, ed è in quest'ambito che intendiamo porre in sicurezza i resti della quinta villa di Stabia, ma il tutto sarà inserito nel piano delle opere pubbliche e se tutto continuerà ad avere esiti positivi entro la fine dell’anno potremo far partire il bando per l'eventuale messa in sicurezza». Intanto, fa sapere il portavoce del soprintendente Pietro Giovanni Guzzo «la scoperta è stata trattata secondo il procedure dell'Icr (istituto centrale di restauro); i resti sono stati scavati per motivi di studio, e poi ricoperti per mancanza di protezioni idonee a tenerli in luce».

26/09/2007 PRONTA UNA CAMPAGNA DI SCAVO A CUMA (NA)

Alla vigilia di una grande campagna di scavi nel parco archeologico di Cuma, grazie ai fondi dell'Ue, attenzione puntata anche sulle antiche Terme di Baia. Stanno per partire i percorsi di luce by night nei weekend. Ad organizzarli la Sovrintendenza ai Beni archeologici di Napoli e Caserta. Ma c’è attesa per l’inizio delle ricerche nel parco archeologico  di Cuma. Il sovrintendente Maria Luisa Nava, spiega: «A Cuma, la più antica e settentrionale colonia euboica della Magna Grecia (730 a.C), nuove ricerche sistematiche sono riprese per la tutela, la valorizzazione e la fruizione e l'ampliamento del parco archeologico , il più antico dei Campi Flegrei. Grazie al Progetto Kyme, ora alla sua terza fase, è stata spostata l'attenzione verso la città bassa, posta ai piedi dell'Acropoli e sede dell'abitato. Qui si concentreranno le prossime ricerche», rileva la Nava. Nel corso delle indagini la Soprintendeza ha effettuato il consolidamento e il restauro dell’Arco Felice di Cuma, il consolidamento, restauro e il primo allestimento della masseria del Gigante, futuro centro di accoglienza e la realizzazione del nuovo ingresso e della recinzione di tipo monumentale. Partners della Sovrintendenza che, oltre ad eseguire importanti interventi in aree urbane e extraurbane, ha coordinato le attività, sono stati i Dipartimenti di archeologia delle Università Federico II e l'Orientale, e il Centre Jean Bèrard. Le indagini sono concentrate nell'area del Foro e dei monumenti circostanti, lungo il perimetro delle mura della città e nelle aree litorali e portuali. E nel parco archeologico di Baia prendono il via i percorsi by night. Dopo il successo della grande lirica organizzata dall'Azienda di soggiorno e turismo di Pozzuoli in joint venture con il teatro San Carlo, parte «Bagliori d'antichità. Nuovi Lumi sulle Terme di Baia», itinerario nelle antiche Terme di Baia. «Dopo il successo delle visite guidate notturne al Rione Terra, dove abbiamo triplicato le presenze a settembre - dice Franco Mancusi, amministratore dell'azienda di Soggiorno e Turismo di Pozzuoli - realizzeremo un servizio di navette, un collegamento tra i siti archeologici flegrei illuminati per le visite notturne. Un unico percorso unirà rione Terra, Anfiteatro Flavio, Castello aragonese e parco archeologico di Baia».

26/09/2007 SCAVI DIMENTICATI A STABIA (NA): INVITO AL MINISTRO RUTELLI

«Signor ministro, la aspettiamo a Stabia». È diretta Annamaria Boniello, amministratrice della locale azienda turistica, quando scrive al ministro per i beni culturali Francesco Rutelli invitandolo a visitare ufficialmente Villa San Marco, Villa Arianna e il secondo complesso del Varano. Un invito dell'amministratrice, a verificare di persona le bellezze di un «grande sito archeologico su cui non si vogliono puntare i riflettori». E poi si intende far chiarezza sul perché tra due istituzioni aventi lo stesso scopo, quello della promozione archeologica, non vi è mediazione. L'esigenza di richiedere un intervento del governo sarebbe scaturita proprio da una mancata attenzione - secondo il vertice dell’azienda - della soprintendenza locale verso gli scavi stabiesi. «Qualche sera fa, abbiamo messo in scena uno spettacolo ambientato negli Scavi - spiega Annamaria Boniello - ma per avere l’ok c’è voluto un mese. La soprintendenza per poterci concedere l'uso del luogo ha chiesto un nolo, che di norma è a discrezione del soprintendente, e una serie di condizioni tra cui quella di un pubblico ristretto di sole 100 persone». 6 i custodi imposti dalla soprintendenza e pagati a servizio notturno straordinario, 140 i metri quadri di moquette da stendere sul prezioso pavimento, server, compresi di trasformatore per corrente, assicurazione e piano sicurezza. In tutto «Abbiamo speso più di 5 mila euro - continua la Boniello - potevo usare come location le terme, mi erano concesse gratis, ma ho voluto fare questo autogol per portare all'attenzione il problema degli Scavi affrontando una difficoltà economica». Intanto l'azienda turistica propone meno custodi e almeno una guida archeologica che informi chi vuole visitare quei luoghi del passato. «Gli Scavi - conclude l'amministratrice - sono finiti nel dimenticatoio; i siti archeologici di Castellammare non sono stati valorizzati, ed è uno scandalo che un'istituzione come la soprintendenza non mostri una certa attenzione quando si parla di eventi, organizzati da altre istituzioni, che non possono far altro che pubblicizzare i siti stabiesi». Intanto alla Boniello arrivano lettere di solidarietà: «Non è normale - scrive l'attore Italo Celoro - che la strada di Varano sia più nota per i suoi bar che per il territorio ricco di bellezze che hanno dato vita alla nostra città».

23/09/2007 IN EVIDENZA RESTI ARCHEOLOGICI A VICO EQUENSE (NA)

Appaltati e pronti a partire i lavori di riqualificazione del borgo di Marina d’Equa e delle antiche strade che dal centro urbano e da Seiano conducono al borgo marinaro. Un restyling dal costo di 760 mila euro di cui 510 mila per le sole opere edili e di illuminazione, che si propone di restituire all’antico fascino una delle località della penisola sorrentina più interessanti per l’aspetto ambientale e storico. Infatti, nell’intervento che riguarda via Pezzolo e Torretta saranno evidenziate con specifici punti luce e segnaletiche le testimonianze archeologiche romane e medioevali presenti lungo il tracciato viario e nei suoi pressi. Per queste strade ci sarà a un nuovo impianto di illuminazione e una parziale ripavimentazione in cotto mentre più significativo è l’intervento riguardante via Arcoleo, il lungomare che fiancheggia il porticciolo di Marina d’Equa e per la piazzetta. Qui sarà realizzato un impianto di raccolta delle acque piovane che si estenderà anche nella sovrastante via Marina di Equa, la stradina pedonale che raggiunge Seiano e da cui in occasione di forti piogge si riversano sulla piazzetta cospicue quantità di acque e fanghi che invadono l’area nei pressi della chiesa di Sant’Antonio. Nella piazzetta sarà ripristinata l’antica pavimentazione in basoli vesuviani, mentre nell’attigua via Arcoleo sarà ripristinata nelle aree mancanti la stessa tipologia di lastricato in pietra lavica. Lungo il lungomare sarà abbattuto il muretto che lo delimita sul lato del porticciolo e al suo posto installata una ringhiera in ferro alta un metro e 10 centimetri, così da favorire la visione dello specchio d’acqua sottostante. Inoltre, a circa metà della strada che da via Murrano raggiunge la piazzetta del borgo sarà realizzata una rotonda panoramica, facilmente accessibile anche ai diversamente abili, che poggerà su profilati in acciaio impiantati sulla spiaggia ed avrà una pavimentazione in legno ikoko, materiale simile al pontile degli aliscafi di fronte, capace di resistere ottimamente all’azione della salsedine. Tutta la passeggiata del lungomare sarà ripavimentata in basoli, dello stesso tipo di via Arcoleo, con rimozione dello strato cementizio che caratterizza l’attuale marciapiede. L’inizio dei lavori è ormai prossimo. L’ultimazione dell’intervento è prevista in 180 giorni. «Contiamo di iniziare nelle prossime settimane – dice Matteo De Simone, assessore ai lavori pubblici – una serie di interventi integrati che cambieranno volto alle due marine cittadine sia in termini di funzionalità che soprattutto nelle possibilità di accesso». La riqualificazione è salutata con soddisfazione dagli operatori turistici locali: «Abbiamo avuto assicurazione – afferma Giovanni Maresca, vice presidente del consorzio di Marina d’Equa – che per la prossima estate i nostri ospiti troveranno un borgo più accogliente e rispondente alle nuove esigenze manifestate da un settore come il turismo in continua evoluzione».

19/09/2007 NAPOLI, REPERTI DI 8000 ANNI FA SOTTO IL CONVENTO DI SANT'ANDREA DELLE DAME

Complesso di Sant´Andrea delle Dame. Una delle più importanti chiese convento della Controriforma in cima alla città. Tanto in cima che la strada alla quale corrisponde la sua parte alta una volta si chiamava "via Settimo Cielo". In queste sale, dall´800 sede della facoltà di Medicina della Seconda Università, a cui si accede da via Costantinopoli 16, salendo all´ultimo piano dell´edificio, "abiteranno" uno stabulario e un centro per la risonanza magnetica tra i più avanzati dell´Italia meridionale. Ma prima bisognerà fare i conti col passato. Mentre gli operai scavavano per sistemare gli impianti di condizionamento dell´aria, infatti, la storia è tornata ancora una volta alla ribalta. Un pozzo romano del IV-III secolo a. C., un pezzo di muro del V-IV secolo a. C. (fortificazione o tempio, considerato che ci troviamo sull´acropoli?) e - sorpresa delle sorprese - una fetta di suolo che porta i segni dell´aratro di un "napoletano" vissuto tra Neolitico ed Eneolitico, quando l´umanità si risolse a diventare stanziale e a coltivare la terra. Lo scavo è andato ancora più in profondità, arrivando di eruzione in eruzione, fino a 8000 anni prima di Cristo.
Passato e presente viaggiano insieme, come si è visto scavando per la metropolitana. Anche il Secondo Ateneo con il rettore Franco Rossi e il coordinatore del progetto Pasquale Belfiore hanno dovuto rivolgersi alla Soprintendenza archeologica e Maria Luisa Nava ha attivato immediatamente la massima esperta di "archeologia urbana", Daniela Giampaola. Gli studiosi sono intervenuti già in fase di progetto. E il sospetto ha avuto conferma il 27 agosto, quando al centro degli ambienti del porticato al quale si accede dalla parte alta dell´"acropoli", via De Crecchio, è venuto alla luce un pozzo con un sistema per prelevare acqua prima che sotto Augusto fosse realizzato l´acquedotto di Serino.
Infrastrutture del passato alle quali fu sovrapposto nel XVII secolo il monumentale convento. I frammenti di ceramica, come sempre, hanno aiutato gli archeologi a datare il pozzo. Poco distante, sempre negli ambienti a volta che si trovano 12 metri sopra via Costantinopoli, ecco invece una massiccia parete di blocchi di tufo di un metro per settanta. Dista poco Sant´Aniello a Caponapoli, la chiesa che contiene una parte della cinta muraria che parte da piazza Bellini e passa per Sant´Antoniello, dove un altro pezzo di murazione è stato recentemente rintracciato. Il nostro pezzo è ancora da collocare nel percorso della cinta muraria urbana. «Solo ipotesi, finché l´università non ci autorizza a scavare al piede - sottolinea l´archeologa Giampaola - sull´acropoli c´erano edifici pubblici, templi importanti. A San Gaudioso, non lontano da quest´area, sono stati trovati reperti collegati al culto di Demetra». Potrebbe trattarsi di un muro come di un edificio.
Alle spalle del pozzo-cisterna, circa tre metri sotto i nostri piedi, sono stati trovati poi dei suoli arati che datano alla fase finale del Neolitico. Dello stesso periodo sono i terreni il cui calco è esposto nella mostra sotto il Museo Archeologico, trovati in via Diaz nello scavo della metropolitana. «Il terzo - completa l´archeologa - è apparso durante il restauro del Madre in via Settembrini. La prova che questo pianoro ha da sempre il problema della sovrappopolazione. Coltivavano i declivi, anche per sfruttare il corso delle acque, e abitavano sull´altura, per essere meglio difesi». Napoli fu fondata nella piana del centro nel VI-VII a. C, 2700 anni fa, ma scoperte come quella di Sant´Andrea delle Dame o di via Diaz raccontano che gli insediamenti umani c´erano anche prima. I "napoletani" sono ancora più antichi: per 4000 anni sicuramente abitarono quelle zone. (Fonte: STELLA CERVASIO su REPUBBLICA)

13/09/2007 RIAPERTI GLI SCAVI DI ABELLINUM (AV)

Riapre al pubblico il sito archeologico dell'Antica Abellinum. Da ieri mattina il grosso cancello di via Manfredi, custode delle radici romane del capoluogo avellinese, ha nuovamente riaperto i battenti (con orario continuato dalle 8 di mattina fino alle 19.30) per accogliere i numerosi visitatori che in un'area di circa 20mila mq. potranno così ammirare le tracce ed i segni dell'antica Civita romana risalente al II secolo a.C. con la sua Domus e le Terme. La Domus, in particolare, riportata totalmente alla luce, di stile ellenistico-pompeiano, con un'estensione di circa 2500 mq, è appartenuta nel periodo iniziale dell'impero a Marcus Vipsanius Primigenius, liberto di Vipsanio Agrippa, genero di Augusto. Una riapertura degli scavi attesa dopo la chiusura dell'area per circa una decina di giorni con provvedimento del Soprintendente ai Beni Archeologici di Avellino, Benevento e Salerno, dottore Angelo Maria Ardovino, a causa dell'interruzione della fornitura di energia elettrica da parte dell'Enel per morosità. Alla base della decisione del soprintendente di chiudere gli scavi il mancato funzionamento dei sistemi di videosorveglianza ed allarme presenti nel parco, tali da non garantire le condizioni minime di sicurezza ai visitatori e agli stessi operatori. Una decisione che aveva suscitato la reazione del primo cittadino Aldo Laurenzano, che aveva scritto al Ministro Rutelli per manifestare il proprio sconcerto per il provvedimento adottato, chiedendo l'immediata riapertura. E proprio il sindaco Laurenzano ieri ha salutato positivamente la riapertura del sito. «Una buona notizia per la città - commenta - ne prendiamo atto con soddisfazione». La segreteria provinciale ed il coordinamento nazionale della Cisl ”Beni Culturali” ringrazia il ministero ed il Comune, oltre al soprintendente che si è attivato nel risolvere il problema tempestivamente. Anche l'assessore Luigi Adamo, delegato alla riqualificazione del Parco Archeologico, si dichiara soddisfatto per la riapertura. «Un fatto positivo - spiega Adamo - che ci tranquillizza rispetto alle preoccupazioni che avevamo espresso all'atto della chiusura. Speriamo che ora ci sia una rapida attuazione del progetto di sistemazione dell'intero Parco Archeologico». L'assessore fa riferimento al progetto di riqualificazione curato dalla stessa Soprintendenza che punta a far rinascere l'antica «civitas foederata» di Roma sul modello di Pompei e per il quale ci sono a disposizione già 4 milioni di euro, soldi rientranti dalla ripartizione dei Fondi Fas regionali.

04/09/2007 RIAPERTURA ANNUNCIATA PER GLI SCAVI DI ABELLINUM (AV)

Riaprirà al pubblico nel giro di pochi giorni l'Antica Abellinum, il grande Parco Archeologico della valle del Sabato, custode delle radici romane del capoluogo avellinese, chiuso venerdì scorso dal Soprintendente ai Beni Archeologici di Avellino, Benevento e Salerno, dottore Angelo Maria Ardovino, a causa dell'interruzione della fornitura elettrica da parte dell'Enel per morosità. Ad assicurare la riapertura degli scavi ai numerosi visitatori ed il ritorno alla normalità è lo stesso Soprintendente Ardovino. «L'Enel ha accettato una transazione. Per cui il tempo tecnico necessario per effettuare un primo pagamento e nel giro di due-tre giorni la società riattiverà l'erogazione dell'energia elettrica ed il parco sarà riaperto al pubblico». Lo stesso Soprintendente ripercorre l'intera vicenda. «Ci sono stati dei problemi di liquidità della Soprintendenza legati a carenza di fondi ministeriali - prosegue - una carenza non solo relativa al sito atripaldese. L'Enel, creditrice, ha deciso di interrompere la fornitura dell'energia elettrica per morosità partendo proprio dall'Antica Abellinum. Una situazione che ho trovato al momento del mio insediamento». Da qui la decisione del soprintendente di chiudere l'area di interesse archeologico visto che la mancanza di corrente aveva bloccato i sistemi di videosorveglianza ed allarme presenti nel parco, non garantendo così le condizioni minime di sicurezza ai visitatori. Una decisione che ha fatto andare su tutte le furie il primo cittadino Aldo Laurenzano che ha scritto al Ministro Rutelli per manifestare sconcerto e «viva preoccupazione per il provvedimento adottato». Ma anche le segreterie provinciali e nazionali della Cisl Beni Culturali hanno protestato contro la decisione del Soprintendente. E proprio con il sindaco Laurenzano, che ieri mattina ha richiesto un incontro urgente al soprintendente, restano tesi i rapporti. «La situazione va sdrammatizzata - conclude Ardovino - il sindaco può far a meno di agitarsi inutilmente visto che nel giro di due-tre giorni dovrebbe normalizzarsi tutto con la riapertura degli scavi».

01/09/2007 STACCATA LA LUCE, SCAVI CHIUSI AD ABELLINUM (AV)

Chiude al pubblico (e il sospetto è che ciò sia avvenuto per morosità) l'Antica Abellinum, il grande Parco Archeologico simbolo dell'Irpinia, custode delle radici romane del capoluogo avellinese. A comunicare la decisione al primo cittadino Aldo Laurenzano lo stesso Soprintendente ai Beni Archeologici di Avellino, Benevento e Salerno, Angelo Maria Ardovino. Nella missiva, inviata all'attenzione del Ministero dei Beni ed Attività Culturali, alla Prefettura di Avellino, al Comune del Sabato e agli Uffici distaccati di Avellino della Soprintendenza, le motivazione alla base della decisione. A spingere infatti il Soprintendente di Salerno ad emettere ieri il provvedimento di chiusura, l'interruzione della fornitura elettrica (ma non si spiega il motivo) avvenuta lo scorso 27 agosto e segnalata dallo stesso personale che custodisce la più grande area archeologica provinciale per estensione, risalente al I secolo a.C.. Proprio la mancanza di energia elettrica ha nei fatti bloccato tutte le attrezzature presenti nel parco, compreso il sistema di videsorveglianza. Non sussistendo così più le condizioni minime di sicurezza per mantenere il parco aperto al pubblico, il soprintendente Ardovino ha deciso di procedere alla sua chiusura fino a quando non sarà garantita nuovamente la sicurezza dell'area, ai visitatori e agli stessi operatori. Una decisione accolta con sconcerto e preoccupazione dal primo cittadino Aldo Laurenzano, che ha scritto al Ministro Rutelli per manifestare il proprio sconcerto e «viva preoccupazione per il provvedimento adottato che preclude la possibilità di fruire di una emergenza storica ed archeologica di massima importanza per la città di Atripalda, la Provincia e la Regione tutta». Laurenzano chiede, perciò, che venga posto in essere ogni provvedimento utile ad assicurare nel più breve tempo possibile la riapertura dell'importante sito archeologico. «La notizia rappresenta una nota stonata - commenta rammaricato l'assessore Luigi Adamo, delegato alla riqualificazione del Parco Archeologico - anche perché siamo alla vigilia della sistemazione del parco stesso con un progetto importante. Questo segnale va nel segno opposto». La notizia del provvedimento di chiusura viene anche valutata con fermezza dalla Cisl Beni Culturali irpina e dalla la segreteria nazionale che si sono da subito attivate facendo pervenire al Ministero dei Beni Culturali una nota per evidenziare la gravità della situazione, chiedendo al contempo l'annullamento del provvedimento con il quale il Soprintendente ha disposto anche la sospensione del servizio di vigilanza all'interno del sito archeologico, disponendo invece solo quello esterno all'area.

25/08/2007 PRESTO UN PARCO ARCHEOLOGICO A MONTE DI PROCIDA (NA)

Seppelliti per millenni, i militari della flotta imperiale riportati alla luce saranno conservati nel primo parco archeologico della città: prosegue a ritmo serrato la realizzazione del sito, che chiuderà in una cornice idonea la necropoli ritrovata durante opere di ordinario assetto urbano nella frazione Cappella, in piazza Mercato di Sabato. Erano poco più di un centinaio gli uomini della flotta dell'Antica Roma, la Praetoria Classis Misenensis, riemersi da un'altra epoca grazie alle ricerche eseguite a poche centinaia di metri dalla base militare di Misenum, stabilita nel lago e nel porto di Miseno. Ma la scoperta non è solo delle spoglie dei marinai vissuti tra il I e il II secolo dopo Cristo. Sono stati ritrovati intatti anche i loro sepolcri: tre metri sotto il livello stradale sono riaffiorati grazie ai ricercatori due colombari, ossia delle camere con la volta a cupola dove sono disposte decine di nicchie con le urne cinerarie. E gli archeologi hanno capito di aver ritrovato la necropoli di Misenum per la presenza di un'iscrizione che un sottufficiale della triremi Capricorno, Lucius Vibus Valens, dedicò a Tiberius Claudius. Dopo la singolare scoperta è iniziato un piano di recupero del monumento con accurate opere di scavo e di restauro, seguite dalla Sovrintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta. Ciò è stato possibile grazie ad una spesa di un milione di euro, assegnata con un accordo di programma siglato da Regione e ministero per i Beni Culturali. Il complesso funerario, intanto, faceva parte di un itinerario che dal lago Miseno proseguiva fino al promontorio di Cuma. E con il programma di valorizzazione intrapreso e ora in via di conclusione, la necropoli entro il prossimo dicembre diverrà un parco archeologico raggiungibile dai visitatori, rigorosamente videosorvegliato. Secondo il prospetto delineato dai tecnici, la realizzazione di una struttura trasparente ne consentirà la vista dall'alto. E anche la facciata sulla strada principale sarà vetrata. L'atmosfera dell'epoca imperiale sarà poi riprodotta con suoni, video e testi narrati, mentre si potrà raggiungere e visitare con delle scale laterali la necropoli situata sotto il livello stradale. In via di riqualificazione anche lo spazio esterno. Inoltre, l'area sarà collegata con una passeggiata storico-paesistica attraverso il promontorio di Monte di Procida con il centro della città.

25/08/2007 ARRIVANO NUOVI FONDI PER GLI SCAVI A CUMA (NA)

Cento milioni di euro per una grande campagna di scavi nel Parco Archeologico di Cuma, la colonia greca situata a metà tra Bacoli e Pozzuoli. I fondi, stanziati dall’Unione Europea, si aggiungono ai 50 milioni di euro della Regione Campania assegnati nell'ambito del Progetto Integrato Territoriale. Il via ai lavori è previsto a settembre. L'annuncio è del sindaco di Bacoli, Antonio Coppola: «Sta per partire il più vasto progetto di ricerca dell’area grazie ad un programma congiunto di Regione e Unione Europea, che ha concesso 100 milioni di euro. Cuma è uno dei più importanti siti archeologici. Il suo recupero è fondamentale per il rilancio del territorio». Intanto con le opere già realizzate finora, la Sovrintendenza ai Beni Archeologici, diretta da Maria Luisa Nava, ha coinvolto le università Federico II e Orientale per eseguire scavi nella parte bassa della città. Quest'area sarà collegata all'Acropoli, da unire alla Grotta di Cocceio sul Lago d'Averno. I progetti sono stati già appaltati. Un’operazione che è destinata a incrementare anche lo sviluppo turistico di tutta l’area dei Campi Flegrei. Cuma, fondata nel 730 a.C. dai coloni calcidesi, è tra le più antiche zone archeologiche d'Italia. Fu abitata, infatti, sin dall'età del ferro e molto probabilmente sin dall'epoca del bronzo finale, tra l'undicesimo e il decimo secolo a.C. I programmi delineati per il suo recupero sono prestigiosi. E mirano a rilanciarla sul palcoscenico internazionale. Basti pensare che la più antica colonia greca d'occidente è un intreccio unico al mondo di monumenti: uno scrigno di opere incastonate nel verde del promontorio a picco sul mare. Famosa soprattutto per l'Antro della Sibilla, citato da Virgilio nell'Eneide, un percorso scavato nel tufo in due epoche differenti: risale al IV secolo a.C. lo scavo più antico, di forma trapezoidale. Mentre quello più recente, rettangolare, è probabilmente di età augustea. Considerato inizialmente l'antro della Sibilla Cumana, le più recenti ricerche hanno potuto dimostrarne invece una funzione militare. E poi lungo il percorso è possibile visitare la Cripta, un altro tratto tufaceo che unì in epoca tardo repubblicana il porto di Cuma al Portus Julius. E ancora il Tempio di Apollo, fondato dai Greci e ricostruito dai Romani con le sue peculiari colonne trilobate, il Santuario di Iside, il Tempio di Hera. Troneggia in alto il Tempio di Giove con i muri in opus reticulatum. Nella città bassa, invece, il Foro con la Masseria del Gigante e le Terme, il Capitolium, il Tempio con Portico. Questi sono solo alcuni dei resti racchiusi nel Parco Archeologico che si estende per chilometri da Cuma a Licola e sul versante opposto verso il Fusaro. Ed è recente la scoperta dell'Anfiteatro, uno dei più antichi del mondo romano. Fuori della cinta fortificata, poi, vi è conservata la necropoli settentrionale con una tomba regale dell'ottavo secolo a.C., una sotterranea a tholos (con volta a pseudocupola in tufo) del IV secolo a.C. e una monumentale di età imperiale. Qui i ricercatori hanno rinvenuto resti umani privi di cranio ma con maschere di cera.

25/08/2007 TORNANO GLI AFFRESCHI DI STABIA (NA)

«Esistono capolavori che sono essenziali per un museo e per tale ragione non possono allontanarsene. E, come al Louvre ci sono la Gioconda e la Venere di Milo, così all’Archeologico vi sono la Flora e le statue della Collezione Farnese, opere che assieme ad altre grandi testimonianze dell’antichità rappresentano la ragione della fama del Museo di Napoli. Di conseguenza, ci spiaceva che, assieme agli altri affreschi di Stabiae, se ne stesse lontana per così tanto tempo dalle collezioni esposte». Maria Luisa Nava, soprintendente archeologa di Napoli e Caserta, gelosa dei tesori custoditi al museo nazionale? Forse. Anche se la studiosa pare più dispiaciuta per il fatto che testimonianze uniche al mondo siano state per tre lunghi anni fuori della loro sede naturale senza poter essere ammirate dalle centinaia di migliaia di turisti che hanno visitato il Museo. Così ha frtemente e fermamente prreteso che i preziosi affreschi le fossero restituiti quanto prima, così come era stato garantito allorché i reperti partirono per gli Usa con l’obiettivo di girare gli States assieme nella grande mostra «In Stabiano», dedicata alle testimonianze archeologiche recuperate nelle ville dell’antica Stabiae. Tornano dunque, dopo ben tre anni di assenza la Flora, Medea, Diana e Leda con il cigno. Le figure, sono state ripresentate dalla soprintendente Nava e dalla direttrice dell’Archeologico, Maria Rosaria Borriello, al museo nazionale, nel salone della Meridiana. E, in quegli spazi resteranno visibili sino a quando - già alla fine del prossimo settembre, assicurano gli addetti ai lavori - troveranno definitivamente posto all’interno della sala alle pitture di Stabiae destinata nel nuovo allestimento museale. Un montaggio, quest’ultimo, che se da un lato dovrà rendere più organica la visita, dall’altro tenderà a favorire la lettura e la comprensione delle opere proposte. «Oltre all’ambiente per le pitture provenienti dalla Villa di Arianna e da Stabiae - rivela la direttrice - avremo una sala in cui esporremo quelli che all’epoca erano noti come paesaggi e ritratti». Solo più in là, quindi, si provvederà ad allestire con i nuovi criteri tutte le sale con le pitture pompeiane. Ad accogliere i quattro affreschi ci sarà lo stesso supporto antico e girevole sul quale vennero messi quando arrivarono al museo. I dipinti provengono da un unico ambiente, un cubicolo della Villa di Arianna (si trova sull’attuale collinetta di Varano, a Castellammare di Stabia), esplorato per la prima volta nel 1759. I quadretti si trovavano inseriti nella zona mediana delle pareti e le figure dipinte sui pannelli, datati alla prima metà del I secolo dopo Cristo, propongono quattro personaggi del mondo mitologico. La Flora è il più noto tra tutti. Dipinta su un fondo color verde acqua, la ninfa (così la definisce il poeta Ovidio), madre di Marzo (e quindi annunciatrice della primavera e del ritorno della natura rigogliosa), è stata da sempre considerata la pittura di Stabiae per eccellenza, tanto da diventarne il simbolo sia per la delicatezza dei colori sia per la maestria delle pennellate, o ancora per la raffinatezza con cui è costruita l’intera scena. Non va ovviamente dimenticata l’importanza degli altri quadretti, non solo eccezionali testimonianze di gusto e lusso della proprietà, ma anche di maestria della bottega pittorica che fornì artisti e cartoni: gli affreschi venivano realizzati sfruttando matrici preparate in precedenza e che per l’officina erano una sorta di catalogo ante litteram da mostrare ai clienti, che potevano quindi scegliere in base a preferenze e offerte. «Ecco, questi sono alcuni tra i motivi - riprende la soprintendente - per i quali non potevamo impoverire e per un tempo tanto lungo un ciclo pittorico così importante come quello degli affreschi dell’area vesuviana». (Fonte: IL MATTINO)

10/08/2007 SCOPERTA UNA NECROPOLI ETRUSCA A GIFFONI VALLE PIANA (NA)

Spuntano nuovi tesori archeologici a Santa Maria a Vico. Probabilmente di rilevanza straordinaria, giacchè sembra che nel corso degli scavi nell’area sia stata messa in luce una necropoli etrusca. Gli addetti ai lavori non si sbilanciano, ma le prospettive ci sono, visto che la storica frazione di Giffoni Valle Piana non è nuova a queste straordinarie scoperte di vestigia del passato. Durante lo sbancamento per la costruzione di un capannone artigianale sono state ieri rinvenute tre, quattro tombe di individui adulti ed il corredo sepolcrale. Si pensa che l'estensione di questa che ha tutto l’aspetto di una necropoli sia ben più ampia. La località è top Segret. La zona è sorvegliata giorno e notte. Si temono intrusioni di tombaroli. Bocche cucite ed occhi bendati anche tra gli amministratori comunali e funzionari degli uffici preposti. I dirigenti della soprintendenza salernitana sono riservatissimi ed almeno per il momento non fanno trapelare nulla. Come detto, però, la stragrande maggioranza della zona di Santa Maria a Vico, ubicata sulla strada provinciale Giffoni-Fuorni in prossimità del tempio di Giunone Argiva - all'interno otto antichissime colonne, sei di granito e due di diaspro d'Egitto, stile corinzio che fa la sua comparsa in Grecia solo nel V secolo - non è affatto nuova a simili scoperte. Ovviamente i lavori di completamento per la realizzazione di un capannone di tipo commerciale-artigianale stanno purtroppo slittando. La soprintendenza ce la sta mettendo tutta per recuperare in fretta il prezioso materiale. Si scava con minuziosa cura, mentre tutta la comunità parrocchiale di S. Vico, sotto l'attenta regia del dinamico parroco don Giosuè Santoro, si sta preparando per i solenni festeggiamenti in onore della festa patronale in programma il 14 agosto. Tra le manifestazioni civili e religiose la «Notte del Pellegrino» e la messa solenne presieduta da Sua Eccellenza monsignor Gerardo Pierro e da monsignor Antonio Tedesco, giffonese e dirigente del Pantheon di Roma.

06/08/2007 LE NAVI DEL PORTO DI NEAPOLIS ERANO IN LEGNO D'ABETE

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04/08/2007 VITTORIA GARIBALDI NUOVA DIRETTRICE REGIONALE DEI BENI CULTURALI

Avvicendamento sulla poltrona di Direttore regionale per i Beni Culturali della Campania. Al posto di Stefano De Caro, arriva Vittoria Garibaldi dall'Umbria. Racconta Vittoria Garibaldi che la prima reazione avuta alla notizia della nomina a direttrice regionale per i Beni culturali della Campania è stata di cercarsi una sedia. In piedi non avrebbe retto. Emozione? «Beh, è una di quelle comunicazioni che cambiano la vita. Dopo 27 anni a Perugia, ora Napoli. Ho pensato che in fondo era il destino: 25 anni fa, quando vinsi il concorso, mi si offrì la scelta proprio tra le due città. Io avevo un bambino piccolo e scelsi l’Umbria. Adesso, arriva il momento della Campania», dice. Martedì la telefonata del ministro Francesco Rutelli, ieri gli ultimi impegni a Spoleto per l’apertura del Museo del Ducato Longobardo presso la Rocca Albornoziana, lunedì mattina a Castel dell’Ovo lo scambio delle consegne con Stefano De Caro, promosso al vertice del settore archeologico nazionale di via del Collegio Romano: tutto in rapidissima sequenza, nemmeno il tempo per abituarsi all’idea di dover avere a che fare con una regione dal patrimonio culturale ricco e disordinato, articolato in una presenza vasta e complessa, costantemente in bilico tra lo splendore e l’emergenza. Vittoria Garibaldi è una storica dell’arte della scuola di Angela Maria Romanini, medievista di fama, con cui si è laureata alla Sapienza e poi specializzata. Romana, ha superato da qualche anno i 50, è bisnipote di Giuseppe Garibaldi per via diretta, suo padre Ezio era l’ultimo figlio maschio di Ricciotti, a sua volta quartogenito dell’eroe dei due mondi e di Anita. Che cosa le ha detto il ministro, quale compito prioritario le ha dato per la sua missione in Campania? «Di andare, e si è limitato a tanto. In realtà non ho avuto modo di parlare diffusamente con lui, lo farò prestissimo. Ma mi pare sufficientemente chiaro lo scenario della regione dove opererò, sono informata e so anche bene che dovrò mettermi subito al lavoro». Iniziando da che cosa? «Innanzitutto confrontandomi con i soprintendenti, gli amministratori regionali, comunali e provinciali, i rappresentanti della Chiesa, con tutti coloro che sono titolati nella salvaguardia e nella gestione dei beni culturali presenti in Campania. Lo interpreto come un mio dovere e sono convinta che saranno miei utili collaboratori nell’importante compito affidatomi». Questa è una buona indicazione di metodo. Ma immagina già su quale terreno sperimentare la collaborazione che verrà? «Penso di farmi guidare dall’esperienza maturata in Umbria, una regione che per densità e diffusione di opere d’arte è certamente al livello della Campania, anche se non problemi assolutamente diversi. Io credo fortemente nella valorizzazione del bene culturale, nell’aperta al pubblico e nella possibilità che la frequentazione dei luoghi - nei limiti ovvii - possa essere garantita ai più. So bene che andrò a lavorare in luoghi dove tra gli scavi di Pompei ed Ercolano, la Reggia di Caserta, la stessa città di Napoli - solo per citare gli esempi di maggior notorietà - si trovano posti in cima alle graduatorie di affluenza di visitatori e turisti. Sono pure convinta che bisognerà continuare su questa strada e farlo sempre al meglio». A questo proposito, lei sa di dover affrontare questioni che da tempo sono all’ordine del giorno, e con accenti di vivace polemica, del dibattito regionale. Il caso della Scabec, l’utilizzo dei fondi per il por Campania, la riorganizzazione delle soprintendenze secondo le indicazioni del ministro Rutelli, tanto per dire. «Sono questioni sulle quali dovrò approfondire la mia conoscenza. Mi aiuterà l’incontro che avrò con De Caro lunedì e i rapporti con alcuni dei soprintendenti che operano nella regione. A fine agosto potrò essere in grado di dire qualcosa in più». Chi conosce dei soprintendenti che troverà in Campania? «Di fama tutti. Personalmente bene Antonio Spinosa, meno Giuseppe Zampino ed Enrico Guglielmo, poco Pier Giovanni Guzzo. Non conosco purtroppo Maria Luisa Nava». Nel settore dei beni culturali campani la parte archeologica ha una dimensione importante, per qualità e quantità di valore assolutamente internazionale e con problemi di contesto però allarmanti. Lei è una storica dell’arte: avrà difficoltà a confrontarsi con tale scenario? «Anche in Umbria ho affrontato una situazione di questo genere, non delle dimensioni di quella campana ma comunque importante. I risultati del lavoro sono stati positivi e l’esperienza di aiuterà. Dalla direzione regionale dovrò avere uno sguardo largo e confesso di non credere che la mia formazione di base possa risultare un ostacolo. Poi, se proprio vogliamo metterla su questo piano, ricordo che non sono diventata archeologa soltanto perché all’Università presi 29, e non 30, all’esame». La sua carriera di direttrice regionale pare essere segnata dalle critiche che le muovono alcune organizzazioni sindacali, imputandole - come la Uil fa - di non aver un curriculum adeguato per il ruolo coperto. Che cosa risponde? «Niente. Perché a certe malignità e falsità non si risponde. Dico che sono dispiaciuta e rammaricata ma non altro. Quando si superano i limiti bisogna difendersi in altre sedi». Lei lunedì prenderà possesso del nuovo incarico e da allora sarà a Napoli. Mancherà dunque all’inaugurazaione della mostra su Pinturicchio, da lei curata, il prossimo due febbraio alal Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia? «Per nessun motivo, a Perugia ci sarò. Quella è una sfida che ho vinto, ora me ne tocca un’altra».

04/08/2007 TORNANO REPERTI DAL MUSEO PAUL GETTY

Anche quattro frammenti di un affresco di Boscoreale, un altro di dimensioni maggiori proveniente da Pompei e una Lekythos attribuita al pittore Asteas trafugata a Paestum tra i 40 reperti archeologici che entro il 31 dicembre torneranno in Italia restituiti dal «Getty Museum» in base all’accordo sancito con il ministero per i Beni culturali. Solo la «Venere» di Morgantina rientrerà entro il 2010, e sarà esposta in Sicilia in un luogo da definire. Tre ulteriori reperti (un gruppo scultoreo che raffigura un poeta tra due arpie, una armatura di cavallo bronzea, una statuetta in legno di ragazza) sono in discussione: si attende il completamento delle prove sia giudiziarie che scientifiche. Sull’«Atleta» attribuito a Lisippo, si aspetta intanto il pronunciamento del tribunale di Pesaro.

02/08/2007 RUBATO UN TORCHIO NELLA VILLA ROMANA DI TERZIGNO (NA)

Un torchio per la pigiatura del vino è stata trafugata dalla villa romana che si trova all'interno della cava Ranieri. Sepolta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo e scoperta, assieme ad altre tre, agli inizi degli anni '80, la villa rappresenta una delle testimonianze più importanti dell'archeologia dell'area vesuviana. Qualcuno è riuscito a entrare nella cava e ha portato via una macina, una di quelle che servivano per la produzione del Vesuvinum. Si tratta di un reperto piuttosto ingombrante, grande più o meno quanto una poltrona, che per essere portato via ha bisogno di essere messo su un mezzo di trasporto. Chi ha agito, sicuramente più di una persona, sapeva dunque di andare incontro ad un lavoro faticoso e complicato. Il furto è stato scoperto da un archeologo della soprintendenza di Pompei incaricato di monitorare periodicamente i reperti. Accortosi della scomparsa della macina, ha avvertito i dirigenti che immediatamente hanno presentato una denuncia contro ignoti alla procura della Repubblica di Torre Annunziata. «Sconcertato e preoccupato» si dice il city manager Luigi Crimaco che pure afferma di apprendere «solo ora la notizia: ma mi attiverò subito per fare luce sull'increscioso episodio», assicura il direttore generale. Nella denuncia si legge che per portare via il reperto i ladri non hanno esitato a distruggere alcune colonne posizionate vicino alla macina. Un ulteriore danno, dunque, al complesso monumentale che, secondo quanto ricostruito dagli studiosi, risale alla fine del II secolo avanti Cristo. La procura ha aperto un fascicolo. Gli ignoti, comunque, sono riusciti a portare via un pezzo archeologico dal valore inestimabile. Proprio per questo appare singolare che la macina fosse stata lasciata lì, tra i resti delle ville, e non messa al sicuro in qualche museo o almeno in deposito. Peraltro, su questa ed altre ville del territorio vesuviano, non esiste alcun tipo di vigilanza: gli scavi sono lasciati incustoditi e, una volta introdottisi nella cava Ranieri, non deve essere stato difficile per i ladri farsi largo tra le sterpaglie e i blocchi di pietra lavica e raggiungerli. Anche entrare nella stessa cava è tutt'altro che impossibile: il cancello principale è perennemente chiuso, ma dalle campagne circostanti molti sono i percorsi naturali che introducono al sito. Percorsi impervi che, però, non hanno certo spaventato i malviventi, i quali probabilmente hanno agito di notte, quando anche dalle abitazioni a ridosso della cava non è possibile vedere nulla.

Un'indagine interna per fare chiarezza sul furto della macina avvenuto due mesi fa all'interno della villa romana della cava Ranieri. L'ha avviata il city manager della soprintendenza ai Beni archeologici di Pompei Luigi Crimaco: «Ho predisposto degli accertamenti, scrivendo agli uffici competenti. È necessario che sulla vicenda sia fatta chiarezza e spero di avere risposte in tempi rapidi». Il furto della macina (un «catillus» in pietra lavica) era già stata segnalata dalla soprintendenza con una denuncia alla Procura della Repubblica di Nola e alle foze dell’ordine e agli uffici del ministero per i Beni e le attività culturali. La macina, situata accanto a delle colonne in laterizio (distrutte dai ladri nel corso del raid) all'interno della villa 1, una delle tre rinvenute agli inizi degli anni '80 a Terzigno, risale al II secolo avanti Cristo. Intanto, nella cittadina vesuviana è forte il disappunto per l'episodio che danneggia un patrimonio culturale di inestimabile valore. Spiega Angelo Massa, ex assessore alla cultura e direttore del gruppo archeologico Terre di Ottajano: «Da tempo sollecitiamo maggiore attenzione e sorveglianza per le ville romane». I volontari del gruppo archeologico si offrono alla soprintendenza per vigilare sugli scavi: «Abbiamo proposto alla soprintendenza un protocollo d'intesa che ci affidi la gestione delle ville romane di Terzigno. Speriamo che questo spiacevole episodio acceleri l'iter». Il consigliere comunale ed ex vicesindaco Salvatore Annunziata si dice «amareggiato ma non stupito»: «Purtroppo le ville della cava Ranieri sono dimenticate».

31/07/2007 CALA IL SIPARIO SU ATELLA (CE)

«Il destino le riservò una fama burlesca e una delle più tragiche sorti che si conoscano della travagliata storia campana». L’archeologo Maiuri così scrive di Atella, antica e gloriosa città preromana ubicata nello spazio che oggi annovera i comuni di Sant’Arpino, Orta di Atella, Frattaminore e Succivo. Sotto la duplice influenza della primitiva farsa italica e della farsa fliacica, qui vennero per la prima volta rappresentate le grandi maschere della commedia antica: Maccus, Bucco, Dossennus, Pappus che deliziavano le popolazioni. Con le sue «Fabulae» ha acquisito una tale fama letteraria da essere apprezzata in tutto il mondo. Ma proprio nella sua terra d’origine non sembra che gli faccia eco una così vasta considerazione dal momento che l’unica testimonianza archeologica emersa, il Castellone, è diventata addirittura un «autosalone». Qui, quando dici Atella, il pensiero subito corre al Castellone, rudere termale del II sec. d.C. con strutture in laterizi e «opus reticulatum». Posizionato nel perimetro di Sant’Arpino, lungo la trafficata provinciale Martiri Atellani, ha di fronte a sé l’ex municipio di Atella che delimita la zona archeologica la quale si presenta come una grossa distesa di terra dal cui sottosuolo sono stati asportati importanti materiali a opera dei tombaroli. A parte qualche fossato da cui si scorgono le mura perimetrali della città antica, qui del passato davvero non si intravede nulla. È facile dunque immaginare il valore storico-archeologico del Castellone che da solo si erge prepotente a testimoniare una civiltà sepolta. Dagli anni Cinquanta a oggi, tuttavia, ha subìto un progressivo declino: si è sempre più rimpicciolito, tanto che oggi sembra quasi del tutto scomparso. Basta confrontare una foto d’epoca (in cui «torreggia solitario tra i filari alti delle viti») con l’attuale stato del rudere e si nota che dei quattro lati dell’edificio, oggi resiste a malapena uno. Come se ciò non bastasse, al decadimento fisico si è aggiunto quello «funzionale». Neanche un cartello ne segnala la presenza: è completamente nascosto alla vista degli ignari passanti da una fitta e variegata «vegetazione»; di sera, su di esso regna il buio più fitto di quello in cui l’ha ricacciato il destino. L’unica cosa che oggi si scorge con chiarezza è la concessionaria di auto che è sorta nel cortile privato nel cui recinto ricade ciò che resta dell’edificio termale, ormai ridotto ad elemento coreografico per la vendita di automobili di ultima generazione. Questo è ciò che resta dell’emblema della «città archeologica atellana». Sin dal 2003, i volontari del circolo atellano di Legambiente «Geofilos», hanno a più riprese pubblicamente denunciato questa assurda destinazione del bene archeologico senza però sortire a oggi alcun risultato. Un ragionamento quello dei volontari ambientali che parte dal Castellone per approdare a uno sviluppo turistico del territorio atellano complessivamente inteso. «Non ci potrà essere uno sviluppo del turismo se non passando attraverso la salvaguardia del territorio e del paesaggio - spiega Antonio Pascale, presidente del circolo verde - Il paesaggio è una carta fondamentale che l’Unione dei Comuni deve giocare per guardare con ottimismo al futuro. Passa infatti per la capacità di valorizzare le qualità del territorio, una chiave imprescindibile per rispondere alle sfide della globalizzazione. Una sfida a essere un territorio capace di attrarre attenzioni e investimenti, intorno a un’idea di paesaggio come valore aggiunto dello straordinario patrimonio di beni storici e culturali. Per cogliere questa sfida occorre superare una visione del paesaggio ferma alla tutela di alcune aree e beni, ragionare di gestione e di salvaguardia ma anche di come contaminare con la chiave della qualità gli interventi sul territorio. Ripianificare lo sviluppo del comprensorio - conclude Pascale - non in un’ottica di aumento di capacità insediativa bensì di riqualificazione e valorizzazione dell’esistente, rappresenta la vera sfida». Da un lato il Museo archeologico dell’Agro atellano a Succivo, dall’altro la realizzazione del Parco archeologico ambientale di Atella rappresentano le speranze di inversione di una concezione malata del turismo, di cui il Castellone è la triste ed eloquente testimonianza. «Il museo - spiega Giuseppe Petrocelli, presidente dell’Archeoclub di Atella - è una grossa risorsa di cui non si ha ancora piena consapevolezza. Mancano infatti un’adeguata segnaletica e soprattutto un’opera forte di promozione. Eppure, lo stesso riscuote un vivo entusiasmo dagli studiosi e visitatori che nel 2006 sono stati più di novemila. Da alcuni anni è stata richiesta la costruzione di un ascensore: benché siano stanziati i fondi la sua realizzazione è ancora lontana da venire». Da alcuni mesi sono in corso i lavori del parco archeologico, per il cui finanziamento fu decisiva la visita del premio Nobel Dario Fo. «Il parco e più in genere il sistema museale atellano possono vincere la scommessa - conclude Petrocelli - solo se sin d’ora ci si preoccupa di una efficiente e moderna gestione. È necessario che quanto prima si siedano intorno a l tavolo la Soprintendenza, i comuni, l’Unione, il privato e il volontariato». (Fonte: IL MATTINO)

27/07/2007 UNA FORTEZZA RINASCIMENTALE ALLA LUCE A NOLA (NA)

Le mura perimetrali di una fortezza rinascimentale del XVI secolo: sono affiorate a Nola, durante i lavori di scavo per la realizzazione del museo della cartapesta. Dopo l’anfiteatro romano ed il villaggio della preistoria un altro importante ritrovamento si aggiunge al ricco patrimonio storico ed archeologico della città. In perfetto stato di conservazione, le mura di pietra calcarea sono spesse più di due metri e rappresentano, secondo Giuseppe Vecchio, responsabile per l’area nolana della soprintendenza archeologica di Napoli e provincia, «una scoperta eccezionale, uno dei reperti meglio conservati che sia stato mai ritrovato a Nola». Le mura inoltre rappresentano la conferma dell’ipotesi della presenza di una fortezza, avanzata attraverso lo studio di alcune cartine, risalenti al 1700, che riproducevano la pianta della città durante il viceregno spagnolo: un edificio robusto, denominato «la cittadella», destinato ai soldati di Carlo V, protetti dagli attacchi esterni anche da un fossato che potrebbe essere ancora perfettamente custodito dalle viscere della terra. Quanto basta insomma per disporre l’allargamento degli scavi che attualmente interessano un’area di 1500 metri quadrati, all’interno dello stadio comunale di Piazza D’Armi, nel posto insomma dove sta per sorgere la cittadella della cartapesta nolana. D’altra parte gli esperti hanno pochi dubbi: «oltre le mura c’è dell’altro». Scavando più in profondità, visto che le pale si sono fermate soltanto ad un metro dalla superficie, potrebbero infatti venir fuori, praticamente intatte, le stanze della fortezza fatta costruire nel XVI secolo, all’epoca del dominio spagnolo. Il castello fortificato, secondo gli archeologi della sovrintendenza che hanno seguito passo dopo passo i sondaggi preliminari all’apertura del cantiere per la costruzione del museo, sarebbe stato realizzato dopo il tramonto della signoria degli Orsini. Era l’epoca del regno di Carlo V e del Sacro Romano Impero e a Nola, con la costruzione della fortezza, si decretava la futura e duratura vocazione dell’area in cui sorge Piazza D’Armi: avamposto di difesa della città. Un ruolo strategico che la zona ha continuato a conservare nei secoli. Sempre lì infatti, tra il 1750 ed il 1756, ai tempi di Carlo III di Borbone, prese corpo la Caserma Principe Amedeo. L’edificio è attualmente interessato da una serie di lavori di restauro e di adeguamento strutturale che lo renderanno idoneo ad ospitare la futura cittadella giudiziaria di Nola. Diverso, almeno così si ipotizza, dovrebbe essere il destino assegnato alla fortezza appena ritrovata. Una volta completati gli scavi, l’antica costruzione potrebbe addirittura ospitare il museo della cartapesta finanziato dalla Regione Campania. Un modo insomma per conservare e valorizzare il passato ed il futuro, la sintesi perfetta tra le rendite assegnate dalla storia e le opportunità offerte dall’arte tipica nolana e le attività produttive del terzo millennio. «Se lo stato della struttura ce lo consentirà - anticipa infatti l’archeologo, Giuseppe Vecchio - non escludo che la stessa possa ospitare buona parte delle opere del museo della cartapesta in modo da valorizzare sia questa incredibile scoperta, sia la nuova struttura che è stata progettata per rilanciare l’attività artistica e artigiana tipica di Nola». E a sperare nella realizzazione della suggestiva ipotesi è anche il sindaco Felice Napolitano: «La cittadella giudiziaria, quella rinascimentale e quella della cartapesta dovranno essere il volano per lo sviluppo di Nola e del suo hinterland. L’idea di realizzare il museo all’interno della fortezza comporterà l’impiego di maggiori risorse e anche un nuovo sforzo progettuale, ma siamo sicuri che insieme con la Regione Campania riusciremo a valorizzare ogni singola pietra, senza fermare il necessario sviluppo che la città insegue».

24/07/2007 CALES (CE) RESTA SEPOLTA

Non c’è più posto nella storia moderna per l’antica Cales. Di quella che fu una città preromana crocevia di civiltà antiche come l’aurunca, l’etrusca e la sannita, divenuta colonia romana già nel 420 a.C., sopravvissuta nel medioevo ai Longobardi e agli Aragonesi, resta solo qualche cenno su libri dedicati ad appassionati di archeologia mentre altre informazioni si possono trovare su qualche sito internet. Il solo e unico aggancio con il territorio, è la scritta a caratteri cubitali che campeggia sul pannello di benvenuto all’ingresso di Calvi Risorta in cui si ricordano le sue origini che si perdono nella notte dei tempi. Poi più nulla, se si eccettua qualche rudere visibile come il castello Aragonese o la dogana borbonica, divenuti ormai discariche a cielo aperto. Il resto, ossia l’intera parte meridionale dell’antica Cales, il cuore dell’urbs con il foro, il teatro, le terme, i templi, l’anfiteatro, rimane invisibile, completamente divorata dalla vegetazione, dove si possono trovare auto abbandonate; e attraversata irrimediabilmente dal ponte dell’A1 Napoli-Roma. Se Teano è la città delle occasioni sfruttate e perdute, almeno per il momento, Calvi è forse il centro più ricco di storia della provincia di Caserta ma che, alla storia, e quindi ai tanti appassionati turisti, ha completamente voltato le spalle. C’è un’unica cifra lì a confermarlo: quel 5% di scavi effettuati. Il patrimonio, insomma, è ancora tutto da riportare alla luce e da scoprire. «Sempre che - ricorda Colonna Passaro, funzionaria della Sovrintendenza per i beni archeologici di Napoli e Caserta responsabile dell’ufficio di Calvi - la camorra ci faccia trovare qualcosa». Sono proprio gli uomini dei clan, non solo i Casalesi ma anche gli affiliati alle potenti famiglie del luogo, i tombaroli più attivi da oltre 20 anni, gli unici che in pratica scavano e riportano alla luce reperti inestimabili. La stessa funzionaria calcola che, per colpa degli scavi clandestini, «si sia volatilizzato quasi il 40% di tutto il patrimonio sotterraneo». Il paradosso è che, solo dopo il ritrovamento di scavi illegali, la Sovrintendenza riesce ad intervenire nei siti violati proseguendo lo scavo grazie a fondi per le emergenze. Altrimenti, non si scaverebbe affatto. «Quei reperti che poi vengono trovati - dice la funzionaria - finiscono nei depositi di Santa Maria Capua Vetere o di Napoli o in musei stranieri. Ce ne sono alcuni al Prado di Madrid». L’ex Sovrintendente di Napoli e Caserta, Stefano De Caro, voleva creare un museo a Calvi, sfruttando l’ex seminario settecentesco, ora a rischio crollo, ma non se n’è fatto nulla. «Cercammo di sensibilizzare la curia e il Comune, ma fu inutile» dice Passaro. Così come non si è fatto nulla del Parco Archeologico. Una serie di idee mai attuate, non solo per la scarsità di fondi ma anche per la mancanza di volontà delle varie amministrazioni locali che si sono succedute a collaborare per riportare alla luce il patrimonio. «Chiedemmo al Comune uno spazio per esporre i pannelli illustrativi sugli scavi - cita come esempio la Passaro - ci diedero il sottoscala del Municipio». Ora, ci sarebbero 760 mila euro per restaurare il castello medioevale, sbloccati grazie ai fondi Por (dell’Unione Europea), ma i lavori proseguono a rilento. Si parla di contenziosi tra le ditte che devono eseguire i lavori e il comune. Comunque una goccia nel mare. I circa 60 ettari dell’antica Cales restano così dimenticati. Non c’è nemmeno un cartello che indichi l’area dove sorgeva l’urbs: dalla Casilina, si imbocca una normale stradina di campagna. Senza saperlo, ci si trova a percorrere il «cardo maximus» (la via principale) e a passare per l’area del foro, dell’anfiteatro; le terme centrali sono sommerse dai rovi, si scava solo al teatro. E nel punto in cui ci sarebbero delle tombe, c’è una discarica sormontata dal ponte dell’A1. Nella parte nord dell’antica città, resiste solo la cattedrale del patrono San Casto, aperta per le cerimonie religiose. A poca distanza, il castello aragonese e la dogana borbonica muoiono tra i rifiuti.

12/07/2007 ALIFE (CE), LA STORIA CANCELLATA DAL CEMENTO

Eccolo lì il perimetro della cinta muraria dell’antica Allifae, la colonia romana fondata nel 42 a.C., dopo un burrascoso susseguirsi di guerre e scontri cruenti con i Sanniti, abitanti delle più sicure vette del Matese. Porta Napoli, a due passi dalla villa comunale, dal Municipio e dall’acqua zampillante delle fontane: l’arco che ancora oggi segna l’ingresso nel castrum romano, sembra reggere a fatica il peso irriverente dei secoli e delle devastazioni più recenti, come quelle del maledetto ottobre del 1943, quando il perimetro urbano delle mura, risalenti al I secolo dopo Cristo e realizzate in opus incertum, restò gravemente danneggiato da un bombardamento. Via un pezzo di storia, tranciato, cancellato. Oggi, giungendo da piazza Municipio, l’opus incertum si interrompe radicalmente, per far posto alle costruzioni moderne delle abitazioni, sorte all’epoca della ricostruzione, nel dopoguerra. Da allora, gli anni sono volati via, le mura romane hanno continuato a subire scempi e ferite, ma sono ancora lì, violentate da tapparelle in plastica e infissi in alluminio anotizzato. Col tempo, il torpore si è fatto sonno profondo e l’oblio, per decenni, ha sepolto un patrimonio archeologico che avrebbe fatto del comparto turistico il settore trainante dell’economia locale. L’indifferenza e l’incuria degli ultimi quaranta anni hanno fatto di Alife una città per certi versi anonima, ignara delle sue infinite potenzialità, soprattutto inconsapevole delle risorse economiche che il suo patrimonio archeologico cela sotto il mortificante tempo perduto. Tutta in salita, di conseguenza, la strada verso il recupero e la valorizzazione dei siti di maggiore interesse, come l’anfiteatro, che oggi, invece di ospitare grandi eventi, manifestazioni culturali, rassegne musicali, è ancora l’emblema del senso di non appartenenza di una comunità ai suoi tesori d’arte. E non è un caso che Alife non abbia neanche uno straccio di albergo a due stelle, una scelta variegata di aziende agrituristiche, né tanto meno infrastrutture e collegamenti tali da potenziare i flussi turistici e consentire l’inserimento della città nei circuiti che contano del turismo archeologico. La città negli ultimi due anni ha scelto, seppure pigramente, di non restare a leccarsi le ferite e il ritmo del nastro trasportatore che scandisce il lavoro di una equipe di giovani archeologi è oggi il suono del futuro. Si scava, già da un paio di mesi, a qualche metro di profondità, ed emergono, a poca distanza dal torrione normanno-longobardo, ceramiche, laterizi ed affreschi di un grande criptoportico, lunghe gallerie sormontate da archi, una costruzione straordinaria di età augustea, probabilmente attigua ad un meraviglioso palazzo che l’aristocratica famiglia degli Aedii aveva deciso di costruire proprio in una zona prospiciente l’ingresso in città dell’antico acquedotto. Una manna dal cielo per gli appassionati, ma quanti lo sapevano prima d’ora? Dagli scavi, però, emerge la prospettiva di un futuro a medio e lungo termine, una speranza che assume, giorno per giorno, i contorni e le linee dell’anfiteatro, immediatamente fuori città, a est. Anche qui archeologi e studiosi sono al lavoro: si scava, per interpretare e capire le trasformazioni, le evoluzioni subite nel tempo dall’arena e dalle fondazioni della struttura, rimasta per secoli e secoli sepolta dopo che, in età medievale, per ragioni difensive, si decise di raderla completamente al suolo. Oggi, Alife, è per eccellenza la città sospesa fra passato e futuro, quella delle mille occasioni perdute: il presente sta tutto nella capacità di immaginare, di qui ad un futuro non così remoto, un parco delle mura con aree verdi, un centro storico in cui preservare gli ultimi scorci di paesaggio e di verità storica, da riconsegnare ad una vocazione, quella turistica, tanto antica eppure mai compresa. L’identità di Alife è stata da sempre caratterizzata da due fattori di primaria importanza: l’agricoltura e la millenaria storia con le tante testimonianze della sua grandezza dall’epoca sannitica a quella medievale. L’agricoltura dal dopoguerra in poi ha seguito il tracollo registrato in tutta l’Italia meridionale. La parte storica, per meglio dire quella archeologica, orgoglio e vanto non solo di Alife ma di tutto il suo hinterland, rappresenta la carta vincente per una adeguata valorizzazione e per una crescita culturale ed economica. È vero che la maggiorparte del patrimonio archeologico è sepolto sotto l’attuale struttura del centro storico, ma molto può essere riportato alla luce e riconsegnato alla comunità. Un recupero lento; da un paio di mesi, si sta lavorando alacremente per rendere fruibili l’anfiteatro ed il criptoportico di epoca romana. Si sta realizzando un sogno di molte generazioni perché questi gioielli dell’antica «civitas allipharum» diventino testimonianze tangibili della grandezza di questa terra che tanta parte ha avuto nella complessa storia d’Italia.  (Fonte: IL MATTINO)

10/07/2007 SCONOSCIUTA AI PIU' L'ANTICA SINUESSA A MONDRAGONE (CE)

È una delle mete preferite dei pendolari del mare che, però, non sanno che è anche una delle città più ricche di storia. A Mondragone sorge l’antica città di Sinuessa, per anni dimenticata, ora teatro di scavi intensivi. L’idea è di creare parco archeologico. Una leggenda che trova però riscontro nella realtà è quella che racconta che, se si scava neanche troppo in profondità nel vasto territorio fatto di enormi distese di verde e campagne che si perdono a vista d’occhio che va da Sessa a Mondragone, passando per Carinola e Falciano del Massico, si trova sempre qualcosa: che siano ancorette di ridotte dimensioni ma finemente decorate o intere città di origine romana è uguale, fatto sta che l’antico ager falernus e quello della Sinuessa hanno restituito alla luce, negli anni addietro e ancora oggi moltissime testimonianze della storia antica. I romani avevano scelto e non a torto sia l’entroterra che la costa per la salubrità del clima, la vicinanza al mare e la qualità dei vigneti che hanno regalato all’inimitabile vino Falerno l’immortalità. Mondragone è stata uno dei fulcri della vita estiva dei romani che potevano permettersi una villa, una vacanza, un periodo di svago in una terra dalle mille risorse e le testimonianze sono ancora oggi evidenti. Scavare per rifare ad esempio, le tubature, porta nel novanta per cento dei casi alla scoperta di testimonianze intatte della vita dei secoli scorsi fino ad arrivare ai primi insediamenti umani. Monte Petrino, il massiccio che sovrasta la città di Mondragone, è una miniera di informazioni e di resti che l’amministrazione comunale della città litoranea ha voluto affidare agli scavi delle migliori università e i risultati sono evidenti. I resti dell’antica via Appia, ritrovati pochi anni fa di fronte al cimitero comunale, sono di una bellezza incomparabile e hanno dato l’input a un progetto di grandi dimensioni: la costruzione di un parco archeologico che, data la mole dei ritrovamenti, assumerà la forma di un percorso che salirà sul monte Petrino per vedere da vicino l’insediamento della Rocca Montis Draconis, purtroppo abbandonata e senza alcuna vigilanza. La grotta preistorica di Rocca San Sebastiano è vicina all’ormai celeberrima fornace: una scoperta straordinaria per l’ampiezza della struttura stessa, sopravvissuta ai secoli che andrà a far parte del «Parco archeologico» al cui progetto sono stati vincolati i fondi del Pit «Litorale Domizio». Il Parco nascerà tra via Duca degli Abruzzi e via Vecchia Starza. Lo scavo sistematico da parte della Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta ha permesso di mettere in luce non solo la fornace ma anche diverse sepolture italiche con corredi funerari (oggi in custodia presso la stessa Soprintendenza), due cisterne, un tratto di strada lastricata in pietra, molto probabilmente il prosieguo del diverticolo messo in luce all’altezza dell’Antica Via Appia che dista, in linea d’aria, pochi centinaia di metri. Il tutto costituirà la predisposizione di un vero e proprio percorso che si snoderà dalla fornace, costeggerà il manufatto romano e terminerà vicino il tratto di strada lastricato. Pannelli espositivi, panchine ed aiuole faranno si che il parco archeologico sarà non solo area di fruizione culturale, ma anche verde pubblico per i cittadini residente nell’area vicina. Insomma, Mondragone sta scommettendo sul turismo culturale. Agli onori delle cronache per il traffico infernale della Domiziana, presa d’assalto per chi vuole andare al mare non pagando i prezzi alti delle coste del sud pontino, la città dell’antica Sinuessa (se si passa per la strada che costeggia Monte Petrino si può ancora sentire il classico odore sulfureo delle terme, anch’esse luogo privilegiato dai romani) sta cercando di attirare un turismo d’elite e non solo quello dei pendolari del mare. Per il momento non sono molti i turisti che arrivano in città per ammirare i reperti custoditi dal Museo civico né sono tanti quelli che si fermano a guardare la strada romana di fronte al cimitero anche perché i lavori di scavo sono ancora in corso. Non c’è insomma lo stato di abbandono riscontrato in altre realtà della provincia, qui si cerca di recuperare il tempo colpevolmente perduto in passato.

Se il parco archeologico è in fase di allestimento, è invece aperto ma poco fruibile il museo civico «Biagio Greco» nelle cui sale è conservata la maggior parte dei reperti arrivati dalle annuali campagne di scavo. Negli ultimi due anni, il centro museale ha riscosso un’attenzione sempre maggiore anche per le numerose e seguite conferenze che hanno illustrato i ritrovamenti, ma è stato centro di interesse soprattutto perché ha ospitato l’icona della città per eccellenza per alcuni mesi, la Venere di Sinuessa, del secondo secolo a.C., una delle maggiori attrattive tanto che il suo arrivo è stata una vera e propria festa per la città: per farla «tornare a casa», nonostante sia rimasta a Mondragone per poco in quanto concessa in prestito dal Museo Nazionale di Napoli (il pezzo fa parte delle Collezioni Storiche), il Comune ha dovuto apportare modifiche al plesso museale affinché potesse ospitare la statua. Un plesso che non presenta le condizioni adatte, specie di sicurezza, per ospitare la statua tanto che, quando è arrivata la Venere, è stato necessario ampliare la sala grande, collocare un impianto di condizionamento dell’aria e un indispensabile servizio di sicurezza. Tutte misure che probabilmente potevano essere adottate in precedenza; intanto la Venere resta a Napoli.

05/07/2007 UNA COLONNA ROMANA DAL MARE DI CAPRI (NA)

Ancora ritrovamenti archeologici nelle acque dell’isola azzurra. Anche questa volta a compiere la scoperta il subacqueo-archeologo Mario Rosiello, durante i lavori di spianamento del fondale di Marina Grande, commissionato alla sua impresa dalla Caremar, la compagnia di navigazione dotata di navi di dimensioni maggiori rispetto a quelle degli aliscafi, che si era preoccupata di far procedere allo spianamento della superficie dove è costretta a lanciare l’ancora per consentire l’ormeggio ai maxi traghetti. Rosiello, l’altra notte insieme al figlio Massimiliano e il suo gruppo di esperti sommozzatori si è accorto, forte di un esperienza consolidata nel corso degli anni, che il masso che sbucava dalla sabbia era di natura diversa rispetto alle rocce che comunemente si trovano in quello specchio d’acqua. Infatti dopo aver sbancato la sabbia intorno è uscito allo scoperto un pezzo di colonna di marmo pregiato risalente all’epoca romana di circa due metri di lunghezza e sessanta centimetri di larghezza. Poco distante dalla colonna sono stati rinvenuti altri due reperti che probabilmente a causa dei tre buchi che presentavano in alcuni lati, si tratta di ancore di epoca fenicia o romana. Tutto ciò deve essere verificato dalla Sovrintendenza ai beni archeologici che e stata immediatamente allertata e che dovrà prendere in custodia gli importarti rinvenimenti. I reperti dopo essere stati ancorati sono stati lasciati a circa un metro di profondità pronti per essere consegnati agli esperti della Sovrintendenza archeologica che arriveranno a Capri probabilmente nella giornata di oggi.

30/06/2007 SCOPERTA UNA TOMBA LUCANA A PAESTUM (SA)

Del corredo custodito all’interno non sono rimaste che due fibule, le spille che i Lucani utilizzavano come ornamento o per agganciare il mantello. «Lo scavo clandestino non solo rappresenta un depredamento degli oggetti ma, soprattutto, ci priva di una parte della nostra storia. Non potremo mai sapere il sesso della persona che qui è stata seppellita, la sua età, eventualmente la patologia», raccontava con rammarico Marina Cipriani, direttrice del Museo di Paestum, ieri mattina, mentre assisteva al recupero di una tomba dipinta lucana in località Andreiuolo, databile intorno alla prima metà del quarto secolo avanti Cristo. Intorno allo scavo alberi da frutta. I proprietari del fondo avevano notato che il terreno era stato mosso e avvertito la direzione del museo. Ignoti tombaroli hanno scoperto la tomba, fatto un foro sul coperchio e prelevato tutti gli oggetti che i lucani erano soliti seppellire a corredo dei defunti. Accanto a quella scavata ieri c’era un’altra tomba, non dipinta. In quel posto sorgeva di certo una necropoli. «Ci sono molte tombe ancora sepolte - ha proseguito la dirigente del Museo - purtroppo non ci sono i fondi per scavarle. Qui siamo intervenuti perché c’erano tracce di scavo clandestino». Sulle pareti interne della tomba sono raffigurati vasi, brocchette e dei nastri. «Particolarmente interessanti sono le raffigurazioni sui lati corti con due scene di caccia, una al cinghiale, l’altra al cervo. È una tomba importante, sia per le scene che rappresenta, sia perché di epoca abbastanza alta», spiega la Cipriani. In tanti ieri si fermavano per assistere allo scavo, proprio ai bordi di via Magna Graecia. Appresa la notizia è arrivato anche l’assessore alla Pubblica istruzione e ai Beni archeologici del Comune di Capaccio, Eugenio Guglielmotti che, come architetto, in passato ha studiato in maniera approfondita Paestum. «Vedere queste cose è una grande emozione - ha commentato - Avvenimenti come questo ci invitano a sentirci più responsabili nei confronti del patrimonio culturale».

29/06/2007 A TEANO (CE) MUSEO APERTO SOLO A RICHIESTA ED INTANTO SI CERCA DI REALIZZARE IL PARCO ARCHEOLOGICO

Ufficialmente non è chiuso ma, per mancanza di personale, è come se lo fosse. Il Museo Archeologico Teanum Sidicinum, uno dei più importanti della Campania e forse dell’intero meridione, è la prima tangibile testimonianza del triste primato che tocca a Teano: quello di una città dall’enorme patrimonio storico-artistico quasi del tutto inutilizzato. In quella che fu, in epoca romanica, la seconda città campana dopo Capua, sopravvissuta ai barbari, di nuovo florida nel Medio-Evo e ritornata nota nell’età moderna grazie all’incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, le occasioni perse non si contano più: non solo i reperti archeologici, risalenti anche all’VIII secolo a.C., ma anche un centro storico abbandonato al 70%, e un museo dedicato all’unità d’Italia, il Maui, incustodito e visitato solo da qualche scolaresca. E ironia della sorte, quasi quotidianamente, il sottosuolo sidicino continua a regalare sorprese come l’area del «Macellum» di epoca romanica, rinvenuta due anni fa, o la vicina domus romana venuta alla luce alla fine dello scorso anno durante scavi per la costruzione di un edificio privato. Il Museo Archeologico Teanum Sidicinum è quasi interdetto alle visite: per osservare i reperti come i coltelli a dorso dell’VIII secolo a.C., i resti delle Necropoli di Torricelle o di Settequerce, gli oggetti di terracotta del V e IV secolo a.C. o quelli in oro, i tegami con le decorazioni interne del tutto simili a quelli ritrovati a Pompei, le statue dei Dioscuri o di Afrodite e il mosaico che raffigura padre, madre e figlio (forse la Sacra Famiglia) riconsegnato dal monastero di San Martino a Napoli, è necessario infatti avvisare ed essere fortunati che ci siano gli unici due dipendenti ora in organico. Una cronica mancanza di personale che non permette ai normali turisti di arrivare; vengono così solo le scolaresche, una goccia nel mare. «Arrivano circa in 15mila l’anno - dice l’architetto Alfredo Balasco, consulente della Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Napoli e Caserta - sono cifre piuttosto basse. Il budget ministeriale, purtroppo, non ci consente di fare di più. Pensi che le lampadine interne alle teche sono fulminate e non ci sono i soldi per comprarle». Il museo, ricavato all’interno di un edificio angioino del 1300 che a sua volta sorge su una villa romana, è stato inaugurato appena sei anni fa ma non è mai stato valorizzato. Uno dei due addetti, dice che mancano all’appello «tra le cinque o le sei persone». Ci spostiamo di poche decine di metri e arriviamo al Maui, il Museo dell’Unità d’Italia ospitato al piano terra dell’edificio dove è sistemata la Biblioteca comunale. Le porte sono aperte, entriamo e nessun dipendente si fa vivo. C’è un primo banchetto su cui giace il registro delle visite, l’ultima risale all’otto maggio scorso, fatta dai 17 allievi. più tre professori, dell’Istituto Primario di Casafredda, frazione di Teano, poi più nulla. Su un altro banchetto ci sono i depliant illustrativi, quindi due sale con quadri, fotografie, altri tavoli con libri vecchi di decenni. Ancora nessuno si fa vivo. «I dipendenti, ci spiega più tardi, a piazza Duomo, un impiegato del Comune - ci sono, fanno la spola tra il museo a piano terra e la biblioteca al piano superiore». Come a dire che in assenza di turisti è inutile stare al museo; almeno fino a quando, qualche ladro non verrà a far visita.

«La nostra è un corsa contro il tempo per evitare speculazioni edilizie e realizzare un Parco Archeologico come quello di Pompei. Ma serve l’aiuto del Comune di Teano; gli amministratori locali devono avere atteggiamenti più coerenti e meno ambigui». L’architetto Alfredo Balasco, libero professionista da anni al «servizio» della valorizzazione artistica del territorio (è stato anche ad Ercolano), e ora consulente, per gli scavi di Teano, della Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Napoli e Caserta, testimonia le difficoltà incontrate nell’apporre vincoli ad un’area, come quella sidicina, ricca di sorprese archeologiche. «Non basta - dice - che il ministero dichiari vincolata una zona ad alto interesse archeologico. Ci vogliono poi gli espropri, e spesso mancano i soldi; e bisogna stare attenti a tutti quei privati che costruiscono a pochi metri dai monumenti». A Teano sono numerosi i siti in cui si sta scavando: Fondo Ruozzo, Gradavola, l’area del macellum ma gli scavi più importanti stanno riportando alla luce il teatro romano risalente al II secolo a.C.. «E nessuno di questi luoghi è immune dagli appetiti edilizi» dice Balasco che, con il funzionario della Sovrintendenza Francesco Sirano (direttore del Museo Archeologico), ha in mente di ricostruire da capo, con i resti delle colonne ritrovate, l’intera scena del teatro; e sarebbe l’unico esempio di monumento archeologico riportato a nuova vita. Gli ostacoli però sono numerosi, tra tutti le ambiguità contenute nel Puc (Piano urbanistico comunale) del comune di Teano, lo strumento, ancora non adottato, che pianifica l’urbanizzazione del territorio. «Il Puc - dice Balasco - prevede 2000 vani abitativi e soprattutto un’espansione edilizia a Gradavola, dove sono in corso degli scavi. Stessa situazione per la collina di Sant’Antonio, dove è prevista una forte lottizzazione. Bisogna far conoscere a tutti l’importanza di salvaguardare e valorizzare le tantissime risorse del nostro territorio, aumentare una consapevolezza che attualmente, nei miei concittadini, purtroppo manca». Una prima parte del progetto di Parco Archeologico c’è già: nell’area del macellum si creerà, grazie al Pit Antica Capua, finanziato dall’Ue, un parcheggio e un padiglione con la cartografia della città antica. Sarà l’ingresso del Parco. Inoltre Teano dovrebbe trovare un’ulteriore tutela rientrando nei confini del Parco di Roccamonfina. «Sempre che - conclude Balasco - le istituzioni capiscano che la valorizzazione archeologica farà da volano anche all’economia».

28/06/2007 TANTE PAROLE MA POCHI FATTI PER I MONUMENTI DI MADDALONI (CE)

È lastricata di delibere la strada che conduce verso il degrado. A Maddaloni, non c’è monumento, avente pregio artistico, storico o architettonico, che non sia accompagnato da regolare delibera indicante progetti virtuali di recupero o restauro. Solo che i buoni propositi non bastano perché quasi sempre mancano i soldi, e spesso le idee. Così, accade che la caserma Annunziata, il più grande complesso militare borbonico dismesso della provincia di Caserta, è stato prima trasformato in deposito per i compattatori dei rifiuti e oggi in discarica delle suppellettili gettate dal comune. L’edificio, tormentato dai cedimenti statici, è stato oggetto di numerose ipotesi prima di acquisizione dal demanio e poi di nuova destinazione d’uso. In mezzo secolo di abbandono, non si contano gli atti deliberativi per l’acquisizione, l'azione di tutela e di conservazione del castello, delle torri medioevali e del parco collinare. Una delibera per monumento. Così, a salvaguardia delle circa 40 luoghi di culto (chiese, congreghe e conventi), la giunta Lombardi produsse ovviamente una delibera, caduta nel vuoto, per un’azione di tutela concertata con la Curia vescovile. Il record però spetta al sito archeologico dell’antica Calatia: c’è un progetto per il parco archeologico, uno per il recupero dell’Appia antica e uno per ampliare gli scavi. Mancano i soldi e le condizioni tecnico-giuridiche per riesumare i resti del centro abitato. Unica eccezione è il recupero del complesso monumentale di Santa Maria de' Commendatiis: saccheggiato dai ladri di opere d’arte, è oggi le sede del museo civico. n’atmosfera da lento e inarrestabile declino avvolge il castello medioevale e l’intero quartiere che vi sorge a ridosso. Santa Margherita, conosciuto nei secoli come il quartiere dei Formali, dal nome dei vicoletti, appare come un corpo estraneo rispetto alla Maddaloni moderna. Un corpo che si va decomponendo progressivamente in tutte le sue parti. È così che, a distanza di pochi metri l’una dall’altra, tre chiese del periodo paleocristiano sono abbandonate per mancanza di fondi, molte abitazioni medioevali che potrebbero attirare schiere di turisti perdono pezzi giorno dopo giorno. E il castello (ancora di proprietà della famiglia De Sivo) e le due torri, la più antica realizzata dai Longobardi intorno all’anno 1000 d.C., la seconda, nel 1400 dal Conte Artus, sono ormai ruderi per i quali servirebbero anni e molti milioni, che non ci sono, per riportarli all’antico splendore. Con tali premesse, di turismo non si parla, anche perché, l’idea di recuperare il sito è stata abbandonata, forse, definitivamente. L’ultimo progetto è del 1997, fu presentato dall’ufficio della Sovrintendenza di Palazzo Reale; Maddaloni rientrava infatti nel «Piano di recupero dell’orizzonte visivo delle delizie borboniche della Reggia di Caserta». Il progetto non ebbe però seguito. E da allora, la situazione è peggiorata. «Ogni giorno, dalle 15 fino a notte fonda - dice Nicola, una sorta di guardiano dell’area attorno al castello - arrivano nel piazzale della parrocchia di San Benedetto (a ridosso della collina dove sorge il sito medioevale, ndr) auto e motorini. I ragazzi vanno poi a fumarsi gli spinelli o a bucarsi». Eppure, la zona, non è completamente abbandonata visto che, accanto al sentiero che si inerpica sulla collina del castello, ci sono le scale usate dai pellegrini per raggiungere il Santuario di San Michele Arcangelo, patrono di Maddaloni. Destini diversi per il sito medioevale e quello religioso, separati da poche centinaia di metri in linea d’aria. «La gente del quartiere Santa Margherita è rassegnata - dice don Angelo Delli Paoli, rettore del Santuario - ci vorrebbe una riscossa morale che purtroppo non arriva anche per colpa delle classi dirigenti. È normale che il recupero del castello diventa così un’utopia». Qualche anno fa, in effetti, un comitato di quartiere cercò, tramite i privati, di presentare un piano ma l’indifferenza delle istituzioni fece naufragare il sogno di ridare nuova vita allo storico complesso. Oggi, recarsi al castello vuol dire, prima di tutto, districarsi tra i mille sensi unici istituiti dal comune di Maddaloni; quindi, scegliere la strada giusta. Più di una via d’accesso infatti è chiusa per crolli. È il caso di via Maddalena e di via Alturi, dove qualche casa dell’antico borgo è crollata. Lungo i vicoletti, si scorgono tre chiese antichissime, risalenti ad un periodo che va dal ’300 al ’600 dopo Cristo, e rigorosamente chiuse. Santa Caterina dei Marrocchi (dal nome degli artigiani che lavoravano la maiolica), Sant’Aniello, la più antica, e San Giovanni, con la cripta caratteristica dei primi periodi cristiani. Ma Maddaloni non è solo il castello e il suo quartiere. La caserma borbonica dell’Annunziata, usata per l’aqquartieramento delle truppe dell’Italia meridionale, è abbandonata. Un vero e proprio record di siti storici dimenticati ma con un’eccezione: la casina ducale sull’Appia antica dei Carafa, in cui soggiornò Carlo III di Borbone, oggi trasformata nel Museo Archeologico Calatia grazie alla determinazione della Sovrintendenza dei Beni Argheologici di Napoli. Dall’inizio degli anni ’90 vanno avanti, sia pur con enormi difficoltà, i lavori di recupero; oggi è aperto solo il primo piano. «Vengono solo le scolaresche - dice l’addetto alla vigilanza Riccardo D’Abruzzo - purtroppo siamo un po’ oscurati dalla Reggia. Nel 2009, anche se la data è orientativa, dovrebbero finire i lavori». Vanno a rilento anche gli scavi dell’antica Calatia, città sull’Appia distrutta dai Saraceni nell’880 d.C.. Qui c’era l’idea di creare un Parco Archeologico, come quello di Pompei, ma la mancanza di fondi, la presenza di abitazioni civili e, soprattutto, la vicinanza della discarica di Lo Uttaro, hanno reso l’ipotesi ormai impraticabile.

20/06/2007 RIAPRONO LE TERME DEL FORO A POMPEI (NA)

Dopo una anno di chiusura per restauri, riaprono oggi al pubblico le Terme del foro. L’intervento ha interessato in particolare i mosaici pavimentali, per i quali è stato predisposto un percorso obbligato su moquette. L’edificio, situato nei pressi del Foro, fu costruito dopo l'80 a.C., secondo lo schema delle più grandi Terme Stabiane. Ai lati delle fornaci sono la sezione femminile e maschile, nella sequenza apodyterium (spogliatoio), frigidarium (sala per il bagno freddo), tepidarium (sala tiepida), calidarium (sala calda). Alla palestra porticata s'accedeva dalla via del Foro o dallo spogliatoio della sezione maschile. Il tepidarium non era riscaldato con moderni impianti, ma da un grande braciere bronzeo donato da M. Nigidio Vaccula: telamoni separano le nicchie per accogliere unguenti e oggetti da bagno; stucchi a rilievo (del restauro successivo al 62 d.C.) decorano la volta con partizioni geometriche e figure mitologiche. Le terme pubbliche erano poco costose e molto frequentate: l'ora del bagno sembra fosse al primo pomeriggio. La visita alle Terme del foro sarà possibile senza prenotazione per gruppi non numerosi e adeguatamente distanziati.

17/06/2007 PORTE APERTE A POMPEI (NA)

Parte oggi il progetto “Pompei porte aperte”. E' un progetto sperimentale della Soprintendenza Archeologica di Pompei, finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il Fondo Unico di Amministrazione anno 2006, che prevede l’apertura stabile di edifici di pregio restaurati. Per quattro mesi e mezzo (sino al 31 ottobre) saranno aperte dieci case pompeiane restaurate che normalmente sono chiuse o visitabili solo su prenotazione. Senza costi aggiuntivi al biglietto i visitatori degli scavi di Pompei potranno accedere quindi ai seguenti edifici:
1. Casa del Giardino di Ercole
2. Casa del Menandro
3. Terme Suburbane
4. Casa del Principe di Napoli
5. Casa della Fontana Piccola
6. Villa di Diomede
7. Casa del chirurgo
8. Casa di Apollo
9. Casa degli Amorini Dorati
10. Casa del Larario di Achille
L’accesso alle case sarà possibile negli stessi orari di visita agli scavi: 8,30 – 19.00 con ultimo ingresso alle 18,00

13/06/2007 LAVORI SOTTO SORVEGLIANZA NELLA NECROPOLI DI MARIGLIANO (NA)

Dopo lo scempio nella necropoli, riprendono i lavori nell'area del piano di insediamenti produttivi a Marigliano. I cantieri saranno sorvegliati dai carabinieri. E il Comune corre ai ripari dando mandato a un pool di tecnici e archeologi di controllare movimenti di terra e scavi per evitare altri danni alla necropoli sannitica. Un passaggio che sarebbe dovuto avvenire prima dell'apertura del cantiere e che è avvenuto solo dopo la denuncia al Comune e alla Procura da parte della Soprintendenza del ritrovamento di una necropoli di cui non erano stati messi a conoscenza gli organi competenti. A sorvegliare i lavori sarà il nucleo tutela del patrimonio artistico di Napoli che già ha avviato ronde per controllare la necropoli. Nei giorni scorsi sono state generalizzate numerose persone che si erano portate sul posto e che dovranno chiarire lo scopo della loro presenza in zona. Il sindaco, Felice Esposito Corcione, d'intesa con l’ufficio tecnico, ha avviato un piano di tutela e salvaguardia. Una zona che si presenta pluristratificata dove si suppone sorgesse un tempio, a giudicare dalle tracce di alcuni affreschi rinvenuti, e che già in passato ha riservato sorprese con il ritrovamento di una villa di epoca romana poi interrata per mancanza di fondi e per evitare pericoli di saccheggi. La magistratura ha aperto un'inchiesta sulla mancata segnalazione del ritrovamento della necropoli. Si cerca di far luce anche su una perizia con cui era stato attestato che la zona non si presentava interessante sotto il profilo archeologico. A condurre l'inchiesta è il nucleo di tutela del patrimonio artistico di Napoli, guidato dal tenente Lorenzo Marinacci, che sta avviando controlli a tappeto per recuperare reperti già finiti in mano ai tombaroli. Nelle mani degli inquirenti ci sarebbero foto e filmati. «Basta scempi» afferma il sindaco Corcione.

27/05/2007 SCOPERTO UN QUARTIERE ARTIGIANALE SANNITICO A MONTESARCHIO (BN)

Nel comune di Montersachio (BN) in occasione di lavori edilizi in Via Napoli sono emerse evidenze archeologiche riferibili almeno in parte ad un quartiere artigianale di epoca sannitica, databile tra la metà del V sec a. C. e la fine del IV sec a.C. Il quartiere si presenta diviso in due aree separate da un percorso viario in terra battuta, delimitato da grosse pietre calcaree lungo la fascia E/W. L'area a N/E ha rivelato, oltre alle tracce delle fondazioni murarie, la presenza di molte fosse e di pozzi per la ricerca dell'acqua. Dallo scavo delle fosse, oltre a moltissimo materiale ceramico omogeneo e cronologicamente coerente, sono state recuperate due antefisse e frammenti di lastre architettoniche.

27/05/2007 SCOPERTA MEDIEVALE A CASTELLAMMARE DI STABIA (NA)

Affiorano dagli scavi per la riqualificazione di piazza Fontana Grande i resti delle fortificazioni che in età medioevale cingevano la città delle acque. La scoperta è avvenuta ieri mattina all’interno del cantiere del centro antico durante la fase di indagini archeologiche lungo l’area interessata alla ristrutturazione. Un intervento già programmato in collaborazione con gli esperti della soprintendenza archeologica di Pompei che, secondo le informazioni rilevate dalle fonti cartografiche storiche, avevano già ipotizzato la presenza di resti dell’antica Stabia. A poche ore dalla scoperta, gli archeologi non sono ancora in grado di definire i dettagli, ma in molti suppongono che si tratta della Torre Piccola, un segmento delle vecchie fortificazioni realizzate secondo specifiche architetture militari. Fortificazioni a mura basse e spesse per poter resistere alle cannonate. In questo caso il ritrovamento riguarda la Torre Piccola della Fontana, non lontana dai resti della Torre Alfonsina, una costruzione simile realizzata intorno al quindicesimo secolo nei pressi della riva, nella parte sottostante il Castello e a cui si collega attraverso una muraglia. Una ricostruzione storica del quadro urbanistico confermato anche da documenti d’archivio che testimoniano l’esistenza delle due torri, una esterna, detto appunto Alfonsina, e una interna di dimensioni ridotte, realizzata nei pressi della fontana e denominata Torre Piccola. «Si tratta di una scoperta di grande valore storico – spiega lo storico Pippo D’Angelo – visto che è ilprimo ritrovamento di resti riguardanti fortificazioni medievali, infatti, anche il castello non conserva l’aspetto originario in quanto nei secoli è stato sottoposto a continui restauri. Se confermato che si tratta della Torre Piccola allora siamo di fronte a parte di quella fortificazione che correva lungo le mura della città fino al Quartuccio». Adesso gli esperti della soprintendenza sono al lavoro per verificare la presenza di altri reperti lungo la piazza devastata da colate di cemento e condotte fognarie. «Indagini approfondite – aggiunge D’Angelo – potrebbero portare alla luce anche resti di epoca romana, visto che piazza Fontana Grande rappresenta un insediamento umano dalla notte dei tempi, dove sicuramente è sorto il primo nucleo abitativo di questa città». Intanto, da palazzo Farnese, i tecnici responsabili del cantiere, guidati dall’architetto Giovanna Cerchia, già si preparano a rimodulare il piano dei lavori, per la realizzazione di un’opera che avrà il compito di valorizzare la fontana e porre in evidenza il neoscoperto sito archeologico.

25/05/2007 ALLARME VANDALISMO NEGLI SCAVI DI ERCOLANO (NA)

L’ultimo episodio è del 10 maggio. Allora i custodi degli scavi di ercolano segnalarono l’intrusione di sconosciuti all’interno dell’area archeologica. I danni furono ingenti: venne divelta parte della rete di protezione verso gli uccelli e i piccioni del piano nobile di villa dei Papiri, frantumato il calco del rilievo neoattico con satiri e ninfa, rimosso il telaio di una delle finestre della piscina calida del complesso termale, gettati numerosi oggetti nella vasca. Un episodio oltre i limiti del vandalismo, un’offesa alla memoria e alla bellezza. Ma i raid vandalici contro gli scavi sono all’ordine del giorno: da ottobre dello scorso anno sono numerosi i casi segnalati nell’area archeologica e in particolare contro villa dei Papiri. «A questo - sottolinea la direttrice degli scavi, Maria Paola Guidobaldi - vanno aggiunti gli atti di teppismo che vengono perpetrati ai danni dei turisti lungo corso Resina, proprio all’ingresso del nostro sito, soprattutto tra le 13 e le 16». Un dossier folto che Guidobaldi ha inviato nei giorni scorsi al soprintendente Pietro Giovanni Guzzo,il quale ora chiede, con una nota ufficiale, «la presenza di forze dell’ordine in maniera permanente» soprattutto se si tiene conto che è imminente «l’apertura del nuovo ingresso, che rende accessibile a tutti la passeggiata archeologica da corso Resina a via Alveo». Non è il primo segnale di allarme. Già a ottobre la direttrice degli scavi aveva inviato una denuncia alla Procura di Torre Annunziata, al sindaco di Ercolano, all’Arpac, ai carabinieri e alla polizia. «Per la manomissione dei pannelli di recinzione di Villa dei Papiri - ricorda Maria Paolo Guidobaldi - con lo scarico di materiale nell’area archeologica e continui episodi di lancio di pietre e rifiuti dall’area antistante la scuola materna di vico Posta, la stradina posta nei pressi del Comune, e la villa comunale, strutture che sovrastano il monumento». All’epoca l'ufficio tecnico della Soprintendenza mise a punto un progetto per potenziare e ripristinare la recinzione di villa dei Papiri, mentre il Comune predispose la realizzazione di una recinzione più alta in villa comunale. «Sono molto rammaricato - afferma il primo cittadino di Ercolano, Nino Daniele - degli atti vandalici contro villa dei Papiri. Come amministrazione, abbiamo realizzato una nuova recinzione a corso Resina e tra alcuni giorni partirà anche quella per meglio proteggere gli scavi dalle possibili intrusioni dalla scuola materna di vico Posta». L’aspetto legato alla sicurezza non lascia ovviamente indifferenze il sindaco: «L’associazione dei carabinieri in congedo sta svolgendo un servizio all’ingresso degli scavi per dare assistenza ai turisti. Ritengo però che non solo con la repressione risolveremo il problema. Il vandalismo adolescenziale e giovanile hanno una dimensione assai ampia nella città. Dobbiamo allora favorire una migliore integrazione tra la città ed il parco archeologico. Solo se l’insieme della città avvertirà come patrimonio proprio gli scavi, come fattore di identità e di crescita culturale ed economica, essi saranno effettivamente tutelati. Abbiamo bisogno di progetti in tale direzione capaci di coinvolgere scuola e associazionismo, ma anche persone semplici. Daremo vita nei prossimi giorni ad un tavolo anche con le forze dell'ordine, proprio per avviare al meglio questo esperimento». Ma il soprintendente Guzzo avverte: «Sull’area archeologica ercolanese è attivo il progetto Ercolano finanziato dal ”Packard Humaties Institute” e coordinato dalla ”British School of Rome”. L’antica città, insomma, è divenuta uno dei centri vesuviani a vantaggio dei quali si indirizzano considerevoli risorse finanziarie e professionali, in un’ottica di collaborazione internazionale. Il Comune, a sua volta, ha reso funzionante il centro studi ”Herculaneum”, rivolto ad incrementare una qualificata presenza professionale internazionale. I vandalismi e le intimidazioni registrati corrono il rischio di interrompere al loro inizio tali importanti iniziative».

24/05/2007 STORIA E ARCHEOLOGIA PER MONTESARCHIO (BN), L'ANTICA CAUDIUM

Tre protocolli e finanziamenti pubblici per valorizzare il patrimonio archeologico dell'antica Caudium. Con un duplice obiettivo da raggiungere: valorizzare il patrimonio storico-archeologico e attrarre flussi turistici. È l’obiettivo degli attuali inquilini dell'ex convento di piazzetta San Francesco. Obiettivi che sembrano facilmente raggiungibili considerando l’imminente apertura di una prima sezione del museo caudino. «L'archeologia, la storia di un luogo ed il suo ambiente naturale - afferma Antonio Izzo alla guida del governo locale da 4 anni -, se adeguatamente valorizzati e proposti, rappresentano la base su cui si può sviluppare il turismo. A Montesarchio c'è un inestimabile patrimonio storico, culturale ed ambientale, per cui in questi anni di consiliatura abbiamo proteso tutti gli sforzi per un rilancio completo della nostra cittadina. Dopo il primo anno di amministrazione dove sono stati affrontati alcuni fra i principali problemi, abbiamo immediatamente avviato le procedure al fine di «valorizzare la storia» di questo paese». Il governo del sindaco Izzo ritiene infatti, che «la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico e del patrimonio storico-culturale-ambientale costituiscono le componenti principali delle risorse territoriali che, allo stato attuale, non risultano idoneamente utilizzate». E quindi, nelle intenzioni dell'amministrazione vi è la creazione di «un sistema integrato di parchi mettendo in relazione, sia simbolicamente che materialmente, la città antica di Caudium con la città medioevale, l'una ancora sepolta sotto terra, l'altra sepolta dall'incuria, con la precisa funzione di rendere produttive queste importanti risorse». Più che di archeologia, anche le precedenti amministrazioni hanno puntato sulla valorizzazione e recupero del centro storico ma, di concreto c'è stato ben poco. Potrebbe essere ancora così? Antonio Izzo non ha dubbi. «C'è chi parla da politico e chi opera concretamente. Questa amministrazione ha raggiunto obiettivi importanti anche per il centro storico e sono noti. Oggi stiamo concretizzando la valorizzazione archeologica. Anche questo è stato un argomento sbandierato spesso come elemento caratterizzante lo sviluppo territoriale ma, nulla di concreto si è poi registrato. Oggi, sono state intraprese importanti iniziative di concerto con gli enti preposti alla tutela e, già abbiamo sottoscritto ben tre importanti protocolli. Non è cosa da poco». Protocolli che hanno permesso anche l'acquisizione di finanziamenti pubblici. Finanziamenti inerenti le indagini archeologiche pari a 470.634,05 euro ottenuti con la legge 144/99, gli interventi di supporto al complesso museale Caudium sono stati finanzaiati per 1.183.718,61 euro di cui 570.000,00 è la cifra ottenuta dal ministero dei Beni Culturali.

24/05/2007 GROSSI INTERVENTI PER GLI SCAVI DI CUMA (NA)

Cinquanta milioni di euro per la più vasta campagna di scavi archeologici che la Regione ha in programma per i prossimi 10 anni. Il via ai lavori previsto a settembre. Marco Di Lello, assessore ai Beni culturali, vara il piano di recupero di Cuma, la più antica delle colonie greche d'occidente. «È tra i siti più straordinari che abbiamo - spiega - quello che ha forse subìto meno di tutti i danni dell'urbanizzazione forsennata del territorio: e allora è giusto mettersi al lavoro per trasformare Cuma nella nuova Pompei». Cuma è il museo all'aperto, forse, più strabiliante del mondo. Quale altro potrebbe vantare dieci chilometri di monumenti eccezionali da vedere e 2737 anni da raccontare? Tombe e catacombe che mischiano morti benedette ed edifici poderosi. E anfiteatri, fori, cripte, mausolei, ville e dimore lungo la valle che si distende in direzione di Licola. Fosse una soap avrebbe bisogno di mille puntate, e poi ancora mille: l'anfiteatro di 90 metri di lunghezza, il mausoleo delle Teste cerate, il tempio di Hera, il santuario di Iside, il Capitolium cittadino. E ancora la Cripta romana che sboccava al porto, il tempio di Apollo, la cisterna greca, il tempio di Giove, l'antro della Sibilla. «Con il nuovo finanziamento verranno espropriati altri 15 ettari di terreno, per continuare i lavori di scavo - continua ancora Di Lello - Secondo gli esperti, l'area archeologica è vasta almeno 100 ettari e fino ad adesso gli scavi hanno interessato meno del 20 per cento». Città prima greca, fondata nel 730 a.C. dai coloni euboici poi, allontanata la minaccia etrusca, conquistata dai Sanniti, Cuma era un caposaldo strategico per il controllo del territorio. Ma Cuma è anche l’esempio dello scempio edilizio del millennio scorso. Come si può, per esempio, individuare quel piccolo e sconosciuto anfiteatro da quattromila posti che il demanio ha fittato a lungo a un contadino e che questi, per decenni, ha coperto di terra e concime gradone per gradone, coltivandovi sopra ortaggi e mimetizzandolo da podere, con l'arena seminata a fave e broccoli, mentre agli ingressi erano sistemati recinti per polli e maiali? L'anfiteatro del secondo secolo è sulla strada che porta al Fusaro, parzialmente recuperato negli anni passati. Ma adesso, nascosto dalla inferriata, non è ancora visitabile. Ed è una fortuna: perché è ricoperto da erbacce.

23/05/2007 CHIESTO IL RINVIO DEI LAVORI ALLA FERROVIA DI MARCIANISE (CE)

Un’accurata indagine per recuperare eventuali resti archeologici prima di realizzare la strada di collegamento tra la provinciale Ponteselice e la zona Santa Veneranda ed il sottopasso della ferrovia in località Airola. Lo chiede il consiglio direttivo dell’Archeoclub Italia di Marcianise, presieduto da Franco Delli Paoli, presentando uno studio realizzato nella zona dall’archeologo Pasquale Fecondo. L’associazione che promuove la tutela e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, ha inviato una nota alla Soprintendenza dei beni archeologici di Napoli e Caserta, all’Ufficio territoriale di Maddaloni, al sindaco ed all’assessore ai lavori pubblici di Marcianise chiedendo delle misure cautelari e preventive, ai sensi del decreto legislativo 42 del 2004, per le zone San Pietro e Palmentata, dove stanno per iniziare i lavori di ammodernamento della provinciale «Casa Del Bene» fino al passaggio a livello di Airola dove, ad opera di Trenitalia, a giugno, comincerà la realizzazione del sottopasso ferroviario. Secondo l’Archeoclub, studi recenti, condotti dalla Sun, hanno evidenziato l’importanza dell’area interessata dai lavori nella ricostruzione della storia dell’intero territorio a ridosso del fiume Clanio, compreso tra le antiche Capua, Atella, Calatia e Suessola. A sostegno di tale tesi, alla nota è allegata una relazione dell’archeologo Fecondo che ha individuato nella zona alcune evidenze di notevole interesse archeologico. «Le località San Pietro e Palmentata - afferma nella relazione Fecondo - oltre ad essere integralmente inserite nella centuriazione dell’Ager Campanus, sono state più volte interessate da ritrovamenti di carattere archeologico: nel 1929, nel corso di uno scavo vennero alla luce resti di ossa umane. L’archeologo Paolino Mingazzini, recatosi sul posto, riscontrò la presenza di due tombe a cassa di tufo contenenti ceramica a vernice nera ed a figure rosse e propose uno scavo sistematico dell’area, purtroppo mai realizzato. Nel 1970, nella stessa località fu rinvenuto, a circa due metri dal piano di calpestio, un sarcofago in marmo bianco, ed infine, nel 2004 - aggiunge Fecondo - in località Palmentata, durante una ricognizione di superficie, in un campo a pochi metri dal passaggio a livello, furono documentati numerosi frammenti di materiali fittili, tra i quali: ceramica a vernice nera, terra sigillata italica, terra sigillata africana, ceramica comune, ceramica da cucina, anfore, dolia, tegole e coppi». Testimonianze insomma che farebbero configurare l’area come una zona di notevole interesse archeologico (considerata, tra l'altro, «paesaggio di alto valore ambientale e culturale» dal P.T.R. Campania).

23/05/2007 MISTERO SU UNA TOMBA RINVENUTA A CALES (CE)

C'è un mistero in quella sepoltura di 2000 anni fa trovata alla periferia di Calvi Risorta, l'antica Cales. Un rebus che gli archeologi della Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta, guidata da Maria Luisa Nava, sono impegnati a risolvere scientificamente. Perché se non si fosse ritrovato quel frammento di vetro dalla sagoma del tutto particolare nella tomba a cassa sistemata venti secoli fa nel monumento funerario, tutto sarebbe filato liscio e il rinvenimento sarebbe stato archiviato come uno dei tanti che si fanno nell'area, peraltro ricchissima di antiche testimonianze. Il fatto è che il vetro si mostra diritto e ben levigato. A questo dato si aggiunge l'altro presentato dalla cassa di sepoltura: un unico blocco di tufo ma con un'apertura, piccola, di forma quadrata nella parete laterale. Perché il vetro di quella forma e perché l'apertura, nel sarcofago, quindi? «Per adesso - suggerisce Colonna Passaro, l'archeologa responsabile dell'area - possiamo solo fare delle ipotesi, che peraltro vanno sostenute con ricerche e comparazioni. Una di queste considera quel frammento di vetro, così caratteristico per lo spessore e la lavorazione presentata, come appartenuto a una teca, posta all'interno della sepoltura, e spaccata durante il riutilizzo della tomba per altre inumazioni». La cassa, difatti, è stata trovata in un monumento funerario, di pregio, con sepolture multiple. L'edificio, con fronte affacciato lungo una delle vie poste fuori del perimetro urbano di Cales (consentivano al centro di collegarsi con la via Latina) è stato datato in un periodo compreso tra il secondo secolo avanti Cristo e il II secolo dopo Cristo e deve essere certamente appartenuto a una famiglia importante dell'area. Tra le altre presenta la caratteristica di essere costruito a ipogeo, vale a dire che la camera delle sepolture è interrata in un banco di ignimbrite, prodotto vulcanico della maggiore eruzione esplosiva avvenuta nell'area campana quasi 40 mila anni fa. Nel sarcofago, oltre ai resti umani si sono trovati anche gli elementi classici per i corredi tombali dell'epoca: vasetti di vetro, balsamari e colombine (boccette di profumo di vetro a forma di colomba; si spezzava il becco e si prelevava l'essenza) messi dai parenti del defunto. Un'altra ipotesi, difatti, considera anche che quel frammento di vetro possa essere derivato da uno degli oggetti descritti prima. Così come si pensa possa trattarsi di scheggia appartenuta al fondo piano di un'urna cineraria, che conteneva le ceneri del defunto. Infine c'è ancora una eventualità, definita dagli addetti ai lavori di quasi nessuna probabilità, che vorrebbe il frammento vitreo appartenuto (caso unico al mondo per l'epoca) a una sorta di oblò - finestra di forma quadrata incastrata nell'apertura del sarcofago di tufo. «Queste - dice l'archeologa - le ipotesi su cui lavoriamo. Qualunque sia il risultato, tuttavia, resta il fatto che dovunque mettiamo le mani, Cales ci restituisce il suo passato, perché anche dove troviamo una semplice tomba ci viene data la possibilità di capire qualcosa in più di un'area su cui si hanno pochissime notizie in quanto mai è stata fatta oggetto di indagini approfondite».

15/05/2007 CONTINUA LA POLEMICA SUI BENI CULTURALI IN CAMPANIA

«La Scabec? Trovi il governo un'altra soluzione per gestire i siti archeologici e non costringerci a chiuderli per mancanza di personale». Marco Di Lello non perde l'occasione per ribattere a muso duro al no della Commissione Cultura della Camera dei Deputati alla Scabec, la società campana per la gestione dei beni culturali. Lo fa durante il convegno che tiene a battesimo Lapis, il nuovo progetto voluto dalla Regione per valorizzare la terra del Mito, nel complesso Stufe di Nerone, lo stesso in cui Pietro Folena, presidente della Commissione, a inizio marzo bocciò pubblicamente la Scabec rivendicando il «ruolo centrale dello Stato nella gestione dei suoi gioielli di famiglia». Parole che bruciano ancora a Di Lello. «La Commissione ha lavorato in malafede, i suoi componenti hanno preso una decisione senza sapere neppure di cosa stessero parlando - è l’affondo dell’assessore regionale - Hanno parlato di privatizzazione, e tutti sanno che è una menzogna. Al ministro Rutelli ho chiesto tre mesi fa una risposta. Che sia, una volta per tutte, quella definitiva. L'attendo ancora. Ma non vorrei che mentre il medico studia, il malato muore». Di Lello fa quindi notare che la polemica che si è aperta non ha riscontri in nessun altro Paese. «Al Louvre vivono di marketing e merchandising. E qui invece a malapena, qualche giorno fa, ho scongiurato la chiusura del percorso archeologico del Rione Terra per mancanza di personale. Sarebbe stata una incredibile beffa - insiste ancora l'assessore - La Regione Campania ha speso oltre 200 milioni di euro per il restauro e la valorizzazione dei siti archeologici e monumentali dei Campi Flegrei e il governo pretende che restiamo a guardarli da fuori? Se la Scabec non gli sta bene, trovino loro la soluzione gestionale. A me va bene anche così. Basta, però, che la trovino alla svelta». Non solo il Rione Terra a rischio chiusura. «Di fatto restano blindate la piscina Mirabilis e le Centocamerelle e sono seriamente preoccupato anche per Cuma». (Fonte: IL MATTINO)

03/05/2007 SACCHEGGIATA NECROPOLI SANNITICA A MARIGLIANO (NA) FRA L'INDIFFERENZA DI TUTTI

Una ventina di tombe a cassa di epoca sannitica saccheggiate e distrutte. Le pesanti pareti di tufo spezzate sotto i colpi di pale e picconi. I frammenti ossei degli inumati gettati nel materiale di risulta delle nuove trincee fognarie. I preziosi corredi funerari trafugati. Solo pochi frammenti di ceramica antica con resti di cornici modanate sono ancora visibili. È scempio nella necropoli venuta alla luce e distrutta nel cantiere dei lavori di infrastrutturazione dell'area degli insediamenti produttivi a Marigliano. Nessuna tutela e nessuna forma di messa in sicurezza era scattata per il sito archeologico giudicato dagli esperti di eccezionale importanza. Secondo le prime ipotesi, le tombe danneggiate risalirebbero presumibilmente al VI secolo a.C.ma non si esclude che accanto alla necropoli sannitica sia stata intercettata e distrutta anche una seconda necropoli di epoca romana. Ritrovamenti di cui nessuno delle autorità competenti era al corrente. Sono stati gli abitanti di via Sentino, insospettiti dallo strano via vai di persone, che andava avanti da circa un mese, a dare l'allarme. Era soprattutto nel tardo pomeriggio che strani personaggi arrivavano nel cantiere e andavano via a mani piene. Vasellame, anfore, reperti metallici, prezioso materiale funerario depredato dalle tombe che poi sono state anche parzialmente distrutte. Ed è proprio su questi oltraggi che ora dovrà far luce l'inchiesta della magistratura di Nola, sollecitata dalla Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta. Le indagini saranno affidate al Nucleo speciale dei carabinieri. Il responsabile dell'ufficio di Nola del Ministero ai beni culturali, Giuseppe Vecchio, è furente: «Nessuno ci ha avvertito. È pazzesco. C'è addirittura una perizia giurata in cui è stato attestato che nell'area non vi era nulla di archeologicamente rilevante». I magistrati ora dovranno accertare eventuali responsabilità sulle omissioni e i danni aggravati al patrimonio culturale rinvenuto che appartiene allo Stato. Nel frattempo la Soprintendenza ha predisposto gli opportuni rilievi per classificare il sito e procedere allo scavo archeologico di tutta l'area circostante. Si pensa che dalle viscere della terra possano emergere altri importanti tesori. Ad avvalorare questa ipotesi, la scoperta avvenuta qualche anno fa nel sito di Ponte delle Tavole, dove fu rinvenuta una villa di epoca imperiale impiantata su resti sannitici. (Fonte: IL MATTINO)

23/04/2007 I FONDI CI SONO MA LE RICHIESTE SONO POCHE...

Arte e archeologia da salvare, il governo mette a disposizione i fondi ma la Campania sembra non raccogliere l’invito. Pochi progetti spediti a Roma per la richiesta di finanziamento: e la circostanza è ancora più sbalorditiva se si pensa che le proposte presentate riescono quasi semrpe a conquistare il sostegno economico. Il quadro emerge con chiarezza dal rapporto della società Arcus, costituita nel febbraio 2004 dal ministro per i beni culturali (unico azionista il ministero dell’economia) con l’obiettivo di sostenere progetti di alta qualità per la valorizzazione dei beni e delle attività culturali. I suoi compiti: selezionare le iniziative proposte, seguirle nella loro evoluzione, dare impulso alla realizzazione delle necessarie infrastrutture, procurare i fondi attingendo ai più diversi strumenti di finanziamento, compresa la percentuale riservata all’arte sui proventi del lotto e delle lotterie. Dal 31 marzo l’Arcus è guidata da un napoletano, Arnaldo Sciarelli, che ha voluto dare subito un’occhiata ai fascioli per verificare quale fosse la posizione della Campania, e di Napoli in particolari, tra le aree che hanno finora meritato l’attenzione della società. Risultato: su un totale di 182 milioni di euro assegnati (80 già materialmente erogati), la cifra relativa ai progetti campani si ferma a 7 milioni e mezzo. Somma non altissima, considerando l’estensione del territorio regionale e le sue enormi potenzialità. Ma in questo caso non si può parlare di scarsa attenzione da parte dello Stato. Sul tavolo dell’Arcus sono arrivate appena quindici proposte made in Campania (10 per cento circa del totale nazionale, sotto metà classifica se si facesse un elenco delle regioni per numero di progetti presentati): su quindici, ben undici hanno avuto accesso ai fondi disponibili. La società ha detto sì all’intervento multimediale negli scavi di Pompei, all’eliminazione delle barriere per disabili a Capaccio, agli spettacoli teatrali di Tato Russo, al parco archeologico di Fratte, al restauro del castello di Calvi Risorta, all’eliminazione delle barriere per disabili a Capaccio. Ma la fetta più consistente della cifra assegnata in totale, tre milioni e 700mila euro su 7 milioni e mezzo, va a beneficio degli scavi archeologici nelle future stazioni Municipio e Duomo della tratta bassa del metrò linea 1: la continua comparsa di reperti nei cantieri (dalle barche romane al tempio dei giochi augustali, dai pavimenti greci alle testimonianze della preistoria) ha reso indispensabile un’opera di «salvataggio» tecnicamente perfetta e, insieme, compatibile con il proseguimento delle opere civili. Dunque, costosa. E in questo non è mancato il supporto del ministero. Resta invece aperto il problema dei mille tesori che sarebbe doveroso proteggere, recuperare, valorizzare e «spendere» sul mercato del turismo. Ma come si possono ottenere i fondi, è il messaggio del commissario Sciarelli, se nessuno li chiede? (Fonte: IL MATTINO)

20/04/2007 APERTO IL NUOVO MUSEO DI PONTECAGNANO (SA)

La superficie impegnata per le esposizioni è pari a 1800 metri quadri, cinque volte più esteso è lo spazio occupato dai tre piani dell’edificio. C’è un Auditorium capace di 200 posti, un laboratorio di restauro, sale per mostre temporanee, una postazione per internet, la Biblioteca. Per la realizzazione e l’allestimento del contenitore si sono spesi 13 milioni di euro, somma finanziata sia dal Ministero per i Beni Culturali (10,5 milioni) sia dalla Regione Campania. Oltre ai materiali conservati nei depositi, in mostra ci sono duemila reperti archeologici in quaranta vetrine. Questi, i numeri de «Gli Etruschi di frontiera» il nuovo Museo archeologico, diretto da Angela Iacoe, che sarà inaugurato domani a Pontecagnano Faiano. Per la cerimonia arriveranno Anna Maria Reggiani, Antonia Pasqua Recchia, Stefano De Caro, Marco di Lello e Angelo Villani. Un’area, quella di Pontecagnano, su cui la prima presenza umana fissa è stata datata al 1000 a. C., allorché la zona fu scelta da popolazioni dell’Etruria marittima, la Maremma toscana, per le sue caratteristiche geo-morfologiche e per la possibilità di controllare i traffici marittimi. Un insediamento che si sviluppa in maniera eccezionale e dove la cultura, nel periodo Orientalizzante (VIII-VII secolo a.C.), viene influenzata dalle raffinate manifestazioni artistiche originate in Oriente e in Grecia. Il potere è in mano a grandi famiglie aristocratiche in cui spiccano principi e principesse che hanno stili di vita raffinati e lussuosi, così come testimoniano i corredi funerari finemente lavorati, oltre a quelli esotici provenienti da Fenicia, Asia Minore, Cipro. Pontecagnano ben presto ha smesso la sua primitiva veste di insediamento agricolo per rivestire il ruolo di centro commerciale ed emporio per tutte le città dell’entroterra. Poi, la presenza degli Etruschi che, tra il VI e il V secolo a.C., fanno sentire tutta la loro influenza culturale. Quindi, la romanizzazione della piana del Sele con la fondazione della colonia latina di Paestum, nel 273 a.C., e la deportazione a Pontecagnano da parte dei Romani di un nucleo di Piceni dalla costa adriatica. Nasce così Picentia, centro che sarà messo a ferro e a fuoco dalle legioni per essersi alleato con Annibale. Giuliana Tocco, soprintendente archeologo di Salerno, sottolinea: «Abbiamo sviluppato le tematiche più interessanti e significative perché l’esposizione non fosse monotona e stancante». La notizia è recente: presto arriveranno anche i supporti multimediali, grazie ai 500mila euro dei fondi Lotto.

La parola più comune quando si parla o si scrive degli Etruschi è «mistero». La disinvoltura di molta pubblicistica, ma anche un nucleo oscuro interno alla civiltà ha contribuito a creare un mito conturbante e in parte menzognero. Per i non addetti ai lavori domani cadrà qualche velo, grazie all’apertura del nuovo museo nazionale di Pontecagnano dedicato agli «Etruschi di frontiera». All’interno del parco archeologico, sulla stessa border line che tracciò i confini meridionali dell’espansione, la Soprintendenza di Salerno ha raccolto quarant’anni di scavi, una magnifica selezione dei circa ottomila corredi funerari dalla prima età del ferro all’epoca romana. Occasione unica per conoscere da vicino forme di religiosità e vita quotidiana di questo mondo. «Dopo i pregevoli lavori di settore, è il momento di affrontare un saggio esaustivo sugli Etruschi a sud del Tevere» dice Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore di best-seller internazionali. A questo popolo affascinante Manfredi ha dedicato un saggio scritto a quattro mani con Luigi Malnati, che si ferma appunto sopra la linea del fiume: Gli Etruschi in Val Padana (Mondadori, 2003). Ma di enigmatiche statue etrusche parla anche Chimaira, thriller archeologico del 2001. Insomma, anche lei non ha resistito alla tentazione. «Succede, come per gli Egizi. Gli Etruschi calamitano l’attenzione, e troppi sono disposti ad abbracciare ipotesi fantasiose che fanno imbestialire gli etruscologi. Però, se l’aura permane, ciò è dovuto principalmente all’oscurità della lingua, che ancora non riusciamo a decifrare». La lingua, l’enigma per eccellenza. «Precisiamo, innanzitutto, che non esiste difficoltà di lettura dei testi etruschi, dal momento che sono scritti in alfabeto greco, il vostro calcidese di Cuma. Il problema è il significato: non si capisce che cosa dicono. È come leggere il turco con il nostro alfabeto senza conoscere la lingua. Abbiamo decifrato pochi nomi propri e alcune parole che sono presenti anche in latino». Nessun documento bilingue paragonabile alla stele di Rosetta? «Suscitò molte speranze negli anni Sessanta il ritrovamento delle Lamine d’oro di Pirgi, oggi Cerveteri. Erano tre, due in etrusco, una in fenicio. Purtroppo le iscrizioni corrispondevano, ma non erano le traduzioni l’una dell’altra. Anche la Tabula Cortonensis, rinvenuta nel ’92, non ha dato i risultati sperati. Ci sono riferimenti territoriali e vincoli parentali, ma il testo integrale resta oscuro». I ritrovamenti di Pontecagnano ci aiutano ad affrontare il nodo delle origini di questo popolo? «Chissà. Il dilemma resta quello tra Erodoto e Dionigi di Alicarnasso. Il primo, con altri studiosi, propendeva per una provenienza orientale, una migrazione dalla Lidia. Il secondo sosteneva la tesi autoctona. Ancora oggi sussistono elementi che suffragano entrambe le tesi. Massimo Pallottino preferì parlare di un lungo processo di formazione, forse con innesti di gruppi aristocratici mediorientali. Ma è un escamotage che non risolve la questione. Gli Etruschi non assomigliano a nessun altro popolo». La ricchezza dei corredi funerari fa pensare che siano stati un popolo di profonda religiosità. «Per l’attenzione minuziosa e ossessiva all’oltretomba li paragonerei agli Egizi. Il loro aldilà è un mondo affascinante e intenso. Va ricordato che essi, a differenza di Romani e Greci, ebbero una fede fatalistica nel destino, la convinzione assoluta che gli dèi preordinassero la sorte degli uomini». Quanto importanti sono i «nostri» Etruschi di frontiera? «Tanto, perché i confini meridionali rappresentano la saldatura con i Greci. Con la battaglia di Cuma del 474 a.C., i siracusani posero fine all’espansione e poco a poco gli etruschi si contrassero fin quasi a scomparire». Perchè gli Etruschi sono finiti nel nulla? «Non è così, né c’è stato alcun genocidio. Gli Etruschi, come gli altri popoli precipitati nel crogiolo dell’Italia unificata da Roma, hanno capito che bisognava integrarsi con il vincitore. Troviamo generali etruschi al servizio di Giuliano l’Apostata e l’Etruria meridionale si chiama ancora Tuscia».

Seimilacinquecento metri quadri, un vero e proprio parco della cultura, un’isola felice all’interno della tanto cementificata Pontecagnano. Su quest’area, concessa dal Comune alla Soprintendenza archeologica di Salerno, è sorto il nuovo museo dei picentini, dedicato all’antica civiltà che ha abitato dal X secolo avanti al I secolo dopo Cristo la piana tra l’irno e il Sele. Il complesso, disegnato da Giancarlo e Andrea Cosenza, è su tre piani, oltre novemila metri quadrati di cui milleottocento destinati all’esposizione. Progettato in maniera polifunzionale, l’edificio comprende, oltre al museo, anche gli uffici della Soprintendenza, un auditorium di 200 posti, la biblioteca, il laboratorio di restauro, quello fotografico, i depositi archeologici, sale per mostre temporanee, sale per proiezioni e postazioni Internet. Un sogno realizzato, finalmente dal soprintendente Giuliana Tocco che, con quest’opera monumentale che si appresta a diventare uno dei poli turistico-culturali più interessanti della Campania, dà l’addio al suo mandato salernitano. Salutato con due attestati importanti, la cittadinanza onoraria di Pontecagnano e quella di Buccino, i due siti che ha contribuito a scoprire e valorizzare. Città diverse, ma entrambe strappate al destino di un’urbanizzazione massiccia che avrebbe sicuramente cancellato storia e memoria. E c’è un altro comune identificatore: a dar man forte alla Tocco sia a Buccino che a Pontecagnano è stato Luca Cerchiai, che, oggi docente all’Università di Salerno, continua a portare nel cuore Pontecagnano. Così come Bruno D’Agostino, il primo a scoprire i tesori degli etruschi nel lontano 1962, quando, alla guida dell’équipe dei giovanissimi archeologi dell’Orientale di Napoli, scavò nel cuore delle necropoli picentine. Sono passati oltre quarant’anni, di corredi portati alla luce se ne contano più di ottomila: i più significativi sono esposti nel nuovo museo che vanta un allestimento d’eccezione curato proprio da chi vi ha lavorato per tantissimi anni: oltre D’Agostino e Cerchiai, Gianni Bailo Modesti, Patrizia Gastaldi e Angela Pontrandolfo. Ma c’è ancora tanto da scoprire. «Abbiamo rinvenuto parte delle necropoli e dei due santuari - dice la direttrice del museo Angela Iacoe - Ora è la volta della città, di cui abbiamo grosso modo circoscritto il perimetro. C’è una grossa area libera al di sotto dell’autostrada, lì dove ci sono le tracce dell’asse viario. L’abbiamo espropriata, aspettiamo solo i finanziamenti per metterci all’opera». Soldi: la nota dolente. Per ora il museo aprirà solo di mattina, tutti i giorni tranne il lunedì. Info: 089 848181.

19/04/2007 PROTOCOLLO D'INTESA SUI REPERTI DI SANTA MARIA LA CARITA' (NA)

Siglata tra l'amministrazione comunale di Santa Maria La Carità e la fondazione Restoring Ancient Stabiae un protocollo che prevede siano chiaramente indicati come d'origine sammaritana tutti reperti archeologici provenienti da quel territorio e per i quali sono previste future esposizioni nelle mostre della Ras. L'accordo fa seguito al «grande interesse per i propri fini istituzionali» mostrato dal Comune che individua nel progetto della Fondazione la possibilità di «sviluppo sociale e crescita economica del territorio». L'area della cittadina difatti è una delle più ricche di resti antichi tra tutte quelle dell'Ager stabianus, il territorio occupato dalla Stabiae d'epoca romana. La sua importanza deriva oltre che dalle numerose fattorie e ville agricole destinate alla conduzione di fondi di ridotte dimensioni e adatti alla coltivazione intensiva dei cereali (oltre che della vite e dell'olivo) anche dall'essere territorio attraversato dalla via Stabiana appunto, la grande arteria che collegava Stabiae con Nuceria Alfataerna, l'antica Nocera, favorendo i traffici tra l'interno e la costa. Certamente importante, per i numerosi corredi tombali rinvenuti, è la necropoli arcaica di via Madonna delle Grazie che testimonia la frequentazione della zona sin dalla seconda metà del VII secolo a. C. ed ha restituito vasi, fibule, anelli, assieme a oggetti provenienti dalle regioni africane come scarabei egizi e fenici ed elementi di ambra e pasta vitrea per collane. «Oltre a indicare chiaramente i reperti d'origine sammaritanese - conferma Ferdinando Spagnuolo, notaio stabiese e consigliere delegato di Ras - promuoveremo anche studi specifici sul patrimonio archeologico comunale e una mostra didattica in cui evidenziare il livello del patrimonio culturale e scientifico della cittadina». «Si tratta di un progetto che arrecherà notevoli benefici, sia dal punto di vista sociale che economico, a tutti i cittadini - afferma Francesco Cascone, sindaco di Santa Maria la Carità - Il protocollo stilato con la Restoring Ancient Stabiae giunge al termine di una lunga attività amministrativa che ha puntato molto sulla rivalutazione delle proprie ricchezze archeologiche. Siamo convinti pertanto che la riscoperta delle nostre origini rappresenta uno dei punti fondamentali per completare lo sviluppo complessivo della città».

17/04/2007 CATULLO E VIRGILIO IN UN AFFRESCO A POMPEI (NA)

Trovati i ritratti di Catullo e Virgilio in un affresco di Pompei. A scoprire che i due personaggi dipinti su una parete della «Casa VI, 17» - una stupenda dimora dell’«Insula Occidentalis», l’isolato occidentale - non rappresentavano due individui qualsiasi, ma erano le immagini dei due grandi poeti latini fissate su intonaco da un ignoto pittore del I secolo avanti Cristo, è stato Paolo Moreno, docente di Archeologia all’Università Roma Tre. «In effetti - rivela il professore, che ha illustrato il ritrovamento sui periodici specializzati «Il Giornale dell’Arte» e «Archeo» - quelle due figure sono note da almeno trent’anni, tuttavia nessuno le aveva mai analizzate tenendo conto degli elementi e del contesto in cui erano inserite». L’ultimo a studiare il complesso, in ordine di tempo, è stato Ferdinando De Simone, che ha visto inserito il suo lavoro, assieme a quelli di altri archeologi, nel volume Pompei, l’Insula Occidentalis, sostenuto dall’Università di Tokio e curato da Masanori Aoyagi e Umberto Pappalardo. L’affresco, del II stile (caratteristico del I secolo avanti Cristo), è stato dunque rinvenuto in un’area che viene indicata come «Biblioteca», visto che si sono trovate tracce di uno scaffale e i personaggi sono certamente dei poeti: quello che sta sul fondo, poi indicato come Gaio Valerio Catullo, ha una lira poggiata alla sua destra e dei rotoli per scrittura contenuti in una cesta, a sinistra; l’altro, Publio Virgilio Marone, raffigurato sulla parete sud, stringe nella mano destra un nodoso bastone da pastore, nella sinistra regge il «volumen», il rotolo di papiro usato per scrivere. Ancora, la corona che cinge il capo di Catullo è fatta di edera, dunque appannaggio di un poeta lirico (quella intrecciata con alloro, invece, si attribuiva ai poeti epici): e Catullo era appunto un poeta lirico. Quindi, nella nicchia che sovrasta il capo dell’individuo, si intravede Eros, ovvero Amore che veglia le notti del poeta mentre pensa alla sua amata Lesbia. Tutti particolari, insomma, che indirizzano al poeta originario di Sirmione, sulla riva meridionale del lago di Garda, nella Gallia Cisalpina, all’epoca morto da poco (nel 54 avanti Cristo) e inserito nella nicchia perché luogo di grande dignità. «L’altro - riprende l’archeologo - è certamente Virgilio perché se lo confrontiamo con le figure sui mosaici di Treviri in Germania, di Sousse in Tunisia e con un busto in marmo nei Musei capitolini della Centrale Montemartini notiamo una spettacolare somiglianza». Tra le altre, Virgilio in Campania era di casa: insieme a Filodemo di Gàdara, divenne allievo del filosofo epicureo Sirone e quasi certamente fu tra gli intellettuali più assidui della Villa dei Papiri a Ercolano. La leggenda, poi, narra di presunte qualità magiche del poeta (Matilde Serao le tratteggia magistralmente in un suo brano) messe in pratica a Napoli. C’è un altro elemento importante, però: in quel periodo, tra il 39 e il 37 avanti Cristo, Virgilio aveva già composto le Bucoliche. Ciò significa che l’opera era contemporanea all’affresco, datato appunto al 40-30 avanti Cristo. E questo senza dimenticare che la casa che ospita le pitture è una domus finemente decorata, con vista sul golfo e certamente appartenuta a un personaggio pompeiano colto ed estremamente raffinato, che verosimilmente aveva potuto conoscere di persona il poeta. Un Virgilio che è stato dipinto mentre era ancora in vita, dunque, già arcinoto come autore, prima che iniziasse a comporre l’Eneide. «Ecco - sottolinea Moreno - questa è la cosa che mi ha più emozionato, ed è il dato assolutamente eccezionale del ritrovamento». (Fonte: IL MATTINO)

15/04/2007 SI ARRICCHISCE IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO DI NUCERIA (SA)

Un patrimonio archeologico che si arricchisce di anno in anno. Nocera Superiore, già famosa per lo splendido battistero paleocristiano, per il teatro ellenistico, per la necropoli monumentale di Pizzone, sta aggiungendo un altro gioiello al suo tesoro. A spiegarlo sono stati gli stessi archeologi, nel corso di una conferenza tenutasi ieri sera alla biblioteca comunale ed intitolata «Nuceria Alfaterna, la scoperta continua». Le dottoresse Rota e Lombardo, responsabili del locale ufficio scavi della soprintendenza di Salerno, hanno illustrato cosa è venuto alla luce fin'ora nell'area dell'ex mercato boario. Qui, secondo un progetto dell'amministrazione cittadina, sta prendendo forma il nuovo parco archeologico, su una superficie di diecimila metri quadrati, a pochi passi dal battistero. Con l'ausilio di supporti multimediali, preparati dalla dottoressa Teresa Virtuoso, che cura la parte operativa dello scavo, è stata offerta al pubblico ed alla stampa una ricca panoramica dei nuovi reperti. Sembra dover regalare ancora molte sorprese l'antica Nuceria Alfaterna. Cinque metri al di sotto dell'attuale piano di campagna, infatti, sta venendo alla luce quella che molto probabilmente era l'area termale dell'antica città. Circostanza che potrebbe trovare riscontro, e supportare a sua volta, l'ipotesi formulata anni fa dal professor Werner Joannowsky, sostenitore della presenza, in quella zona anche del foro romano. Proprio tenendo conto di tutto questo, gli amministratori stanno vagliando l'ipotesi di raddoppiare l'area del parco destinata allo scavo, portandola a duemilaottocento metri quadri. Consulente ad hoc per l'ente è il professor Teobaldo Fortunato.

14/04/2007 ALLAGATO IL VILLAGGIO PROTOSTORICO DI NOLA (NA)

Vedi l'articolo nello SPECIALE NOLA.

07/04/2007 BASTA COSTRUIRE NELL'AREA ARCHEOLOGICA DI TEANO (CE)

«Basta colate di cemento in zona parco archeologico: giù le mani dalla città antica». Mentre c’è chi spreme come un limone il vecchio programma di fabbricazione alla ricerca di zone da edificare e chi chiede altre concessioni edilizie (sei rilasciate solo nel mese di marzo), dall’altra parte c’è chi alza la voce per la difesa del patrimonio archeologico. È il caso della schiera sempre più vasta di associazioni provinciali e locali che hanno sottoscritto un documento di denuncia presentato al Ministero per i beni e le attività culturali, alla Regione, alla Soprintendenza, all’Ente Parco e al comune di Teano. Un vero scudo a difesa dell’ambiente nel periodo che divide il territorio dall’approvazione del Puc (Piano Urbanistico comunale; un documento che arriva sulla scia dell’opera svolta dall’archeologo Francesco Sirano e più in particolare dalla Soprintendenza archeologica che continua ad annullare concessioni edilizie irregolari e invasive. Hanno già firmato la richiesta di «blocco immediato tutte le attività costruttive invasive» Italia Nostra, WWF, Legambiente, Acli Anni Verdi, Proloco Teano e Borghi, Turino Club, il Campanile, i Palazzuoli, Teano Jazz e Arci Popluna. In procinto di firmare Cia e Coldiretti di Teano, Lipu, Masseria Felix e Proloco Teanum Sidicinum. La richiesta è quella di procedere, in accordo con la soprintendenza, alla progettazione esecutiva dell’Archeoparco avviando uno studio per l’esproprio di tutte le aree utili. Ancora più puntuale il documento che accompagna la sottoscrizione con la quale si arriva a chiedere l’abbattimento degli edifici in corso di realizzazione. Per i sottoscrittori «la costante aggressione edilizia dell’area archeologica, ora particolarmente virulenta, mette in serio pericolo non solo l’integrità della città antica ma anche l’idea stessa di Parco, frutto di un disegno complessivo di valorizzazione del paesaggio e della eredità storica della capitale dei sidicini». «Sull’argomento l’amministrazione comunale di Teano - dicono le associazioni - ha espresso pubblicamente la volontà di perseguire una politica di valorizzazione con i progetti Puc e Parco». Una svolta epocale sancita nel corso dell’ultimo e più recente convegno sul tema durante il quale fondamentali sono stati i contributi del Soprintendente Maria Luisa Nava, del Direttore regionale Stefano De Caro e dell’assessore provinciale all’urbanistica Maria Carmela Caiola. Ora si tratta di vigilare perché le idee degli esperti non siano sciupate e le intenzioni dell’amministrazione comunale siano tradotte in fatti concreti. Tutto per scongiurare irreparabili e gravi compromissioni del vero tesoro del territorio: Teanum Sidicinum.

04/04/2007 APRE FINALMENTE IL MUSEO DI CAUDIUM NEL CASTELLO DI MONTESARCHIO (BN)

E finalmente fu apertura. Tanti proclami, aperture spesso annunciate ma niente di fatto. Oggi, una data è certa. Il prossimo 12 maggio, nell'ambito della nona settimana della cultura, sarà aperta una prima sezione del museo archeologico nazionale nel castello di Montesarchio. Ad annunciarlo è Antonio Izzo, sindaco di Montesarchio. «È solo di un primo importante passo verso la definitiva apertura del museo caudino - afferma -, ma anche del decollo del centro storico». Oltre all'apertura di parte del museo, sono diversi i cantieri aperti in più zone della vecchia Montesarchio. «Abbiamo avviato tanti progetti - prosegue Izzo -, tutti mirati alla riqualificazione della città vecchia affinché Montesarchio possa tornare a ricoprire il ruolo di capoluogo della Valle Caudina. Un ruolo che, spetta a ragione, a questa città che ha tanto da offrire, dalla storia, all'enogastronomia, non dimenticando i suoi naturali scenari come appunto il centro storico. Bisogna solo saperla scoprire e proporla. L'apertura di una sezione del museo caudino rappresenta un primo importante passo». Poco più di un mese e i caudini potranno vedere esposti fino al 20 maggio, i reperti trovati lungo la via Appia. Nelle vetrine predisposte in alcune sale del castello, saranno messi in mostra reperti di scavi di tomba dell'età del ferro, un contenitore che conterrà reperti di scavo della tomba 2217 di Montesarchio». Oltre all'esposizione di parte di quanto ritrovato in tanti anni di scavi lungo l'Appia ma anche in altre zone periferiche di Montesarchio, saranno realizzate ed esposte una sagoma in legno di una figura umana con riproduzione di gioielli, che verrà collocata accanto ad una vetrina a torre che conterrà gioielli ed ornamenti originali. Poi, si potrà vedere la parte di falda di tetto di un tempio ed una sfinge. Per ammirare i tanti reperti ritrovati e che saranno esposti in tutte le sale del primo piano del castello medioevale, dapprima sede di principi poi fortezza, in anni recenti e vicini a noi sede di orfanotrofio, ed oggi museo, bisognerà però, ancora attendere. «L'amministrazione sta continuando a fare la sua parte - conclude il sindaco - affinché il paese decolli verso un definitivo turismo, dopo il boom commerciale che si è registrato da qualche tempo. Una new economy è possibile, basta impegnarsi. Come amministrazione abbiamo messo in campo tutto quanto nelle possibilità. Infatti, sono numerosi i cantieri aperti, soprattutto nel centro storico. Di centro storico se ne è sempre parlato ma poco si è fatto. Oggi le parole sono diventate realtà. L'apertura di una prima sezione museale oltre che dei lavori avviati nella zona antica, rappresentano la realtà di quanto annunciato».

28/03/2007 IMPORTANTE SCOPERTA ARCHEOLOGICA A SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE)

Importanti reperti archeologici, probabilmente i resti di un’intera basilica, sono stati rinvenuti sotto Piazza San Pietro dove sono attualmente in corso dei lavori di riparazione del manto stradale dopo che lo stesso, circa due settimane fa, aveva ceduto a causa del quotidiano traffico veicolare. I reperti trovati nel sottosuolo sembrerebbero essere attribuibili alla basilica costantiniana che, già in passato, ha restituito testimonianze archeologiche della propria esistenza: una colonna e un capitello di chiaro stile corinzio, ornato appunto da foglie di acanto, custoditi oggi nella chiesa di San Pietro in Corpo. Quest’ultima, di gran lunga più moderna e restaurata nel corso degli anni settanta, sorge infatti nella zona immediatamente contigua alla sede stradale dove è avvenuto il cedimento e, come è sostenuto da tutti gli archeologi che hanno potuto studiare i reperti anche in passato, essa sorgerebbe esattamente sull’area che, sin dal 300, ospitava la basilica costantiniana, voluta dallo stesso imperatore ed edificata in onore degli Apostoli, composta da tre navate e comprendente strutture di epoca romana. Lentamente, sembra che proprio tale parte della struttura stia venendo alla luce anche se i reperti trovati dovranno essere valutati con attenzione prima di poter emettere un qualsiasi giudizio di carattere storico. Proprio per questo i lavori sono stati sospesi e ora si dovrà pronunciare la Soprintendenza. Si procederà nei prossimi giorni ad un primo sopralluogo del sito e alla necessaria messa in sicurezza dell’intera zona interessata dalle indagini archeologiche per consentire a tecnici ed esperti di calarsi negli scavi con la maggiore efficienza e i minori costi possibili, soprattutto in termini di tempo. Restano chiaramente sempre più attuali i problemi relativi alla temporanea impraticabilità della zona; sono non poche infatti le difficoltà alla viabilità cittadina, nella fattispecie al traffico in entrata alla città, costretto a lunghi percorsi alternativi.

28/03/2007 IL COMUNE DI MADDALONI (CE) PRONTO AD ACQUISIRE IL CASTELLO

Sorpresa. Il sindaco Farina rompe gli indugi e intraprende un’azione giuridica e finanziaria per «l’acquisizione, l’azione di tutela e di conservazione del castello, delle torri medioevali e del parco collinare». Dopo 57 anni di colpevole ritardo, è scattata insomma la mobilitazione tante volte invocata dalla Pro Loco, dal Gruppo archeologico calatino, dalle associazioni culturali locali. In sintonia con la regione Campania e con la Sovrintendenza ai Beni Architettonici, l’amministrazione punta «all’acquisizione del diritto di proprietà sul maniero fortificato che è il simbolo e la storia stessa di Maddaloni». Non è il solito sogno romantico di attempati cultori di storia patria. «È stato già avviato - rivela l’assessore Angelo Schiavone - la stima patrimoniale del bene ad opera del genio civile». In numeri, il parco collinare vale poco meno di mezzo milione di euro. Più sostanziosa è la stima della torre Artus, della torre longobarda e del castello fortificato: il loro valore patrimoniale si aggira sugli 800 mila euro. «Sorvolando - spiega Schiavone - sui dettagli contabili, l’operazione castello vale circa un milione e mezzo di euro». Soldi che il comune, in sintonia con le indicazioni regionali sulla tutela di monumenti di «singolare pregio storico, architettonico, intende acquisire all’interno di progetti per il recupero delle delizie borboniche, per il risanamento dell’orizzonte visivo della reggia di Caserta e per il recupero ambientale di cave storiche». L’«operazione castello» si inquadra in un più ampio tentativo di recupero del centro storico pedemontano, il più vasto e abbandonato della provincia. Nei panni di assessore provinciale al turismo, il sindaco Farina conclude: «È inutile elencare le ragioni storico-architettoniche della nostra iniziativa, è sufficiente solo dire che vogliamo restituire questo monumento alla fruizione della città». Ma per farlo bisogna superare l’ostacolo degli eredi de ’Sivo, ancora titolari della proprietà del maniero. «Dell’operazione comune-regione - anticipa Schiavone - è stata data regolare comunicazione agli avvocati degli eredi. Ma siamo pronti ad affrontare anche l’eventuale opposizione». Ma c’è chi spinge per un confronto a tutto campo. «È tempo - spiega Gaetano Giglio, vice-presidente della Pro Loco - di restaurare la piena legalità nella gestione del cuore urbano della nostra città. Sconcerta che un monumento, vecchio di 23 secoli, in soli 60 anni sia stato trasformato in un rudere pericolante». La controparte tace. Pasquale D’Alessio, avvocato ed erede di Annamaria de 'Sivo, si limita a dire: «Gli eredi vogliono ribaltare il teorema che vuole i de'Sivo unici responsabili del grave degrado. Siamo disposti a rinunciare a una parte significativa del nostro diritto di proprietà se questo coincidesse con un processo virtuoso di restauro architettonico-ambientale».

26/03/2007 A BREVE NUOVI SCAVI A SUESSULA - ACERRA (NA)

La basilica, il foro romano una porticus, un sacello ed un tratto dell'antica strada lastricata: questo è quello che l’antica Suessola restituirà dopo l’opera di scavo che partirà subito dopo Pasqua. Gli archeologi saranno all’opera su un ettaro di superfice che costiuirà il primo nucleo di un parco archeologico visitabile a partire dal prossimo autunno. Ad annunciarlo è stata la funzionaria della soprintendenza archelogica di Napoli Daniela Giampaola, responsabile per Acerra e per il centro storico napoletano nel corso del convegno sui parchi archeologici organizzato dalla locale sezione dell'Archeoclub nel Castello baronale di Acerra. L'intera area sarà dotata di parcheggio per le auto, di biglietteria e di un'area di sosta attrezzata per i visitatori del parco. E il Comune rilancia puntando alla creazione di un parco urbano d'interesse regionale di circa 150mila metri quadri: «Entro un anno se la Regione ci autorizza si potrebbe realizzare, noi abbiamo già affidato a Sviluppo Italia lo studio di fattibilità», spiega il sindaco di Acerra Espedito Marletta. All'interno dell'area protetta al confine con Maddaloni e Marcianise, nel casertano, verrebbero recuperati l'antica Casina Spinelli, i mulini ad acqua, le masserie e le sorgenti che alimentavano fiumi e canali. «Avete un tesoro tra le mani: qui c'è un paesaggio libero che ripropone quello di 2000 anni fa e questo è un caso unico in Italia», esorta Walter Mazzitti, presidente nazionale dell'Archeoclub. Le campagne di scavo a Calabricito ripresero dopo un secolo nel 1999. Finora sono stati portati alla luce parte del foro romano, alcuni edifici pubblici «che non hanno nulla da invidiare a quelli di Pompei», rivela il docente universitario Luca Cerchiai. Nel prossimo autunno, poi, insieme con il primo nucleo di parco archeologico probabilmente sarà inaugurato anche il museo archelogico nel castello baronale.

26/03/2007 SCAVI NEL LAGO MISENO (NA) PER RITROVARE L'ANTICO PORTO

L’ipotesi è che sul fondo del lago si trovi la gloriosa flotta. Quella che costituì la squadra navale di Cesare Ottaviano Agrippa contro le navi di Antonio e Cleopatra. Così è partita una campagna di scavi alla ricerca dell’antico porto romano. Le indagini, condotte dalla soprintendenza di Napoli e Caserta, si stanno svolgendo sul fondo del lago di Miseno, e l’attesa tra gli archeologi è enorme, soprattutto dopo la scoperta della necropoli di prima età imperiale a Cappella, che ha riportato alla luce il cimitero della flotta. Il doppio bacino del lago di Miseno, provvisto di uno sbocco marino, costituì la base della flotta imperiale che per prima giunse in Scandinavia. Il bacino interno era un cantiere navale dove si costruivano imbarcazioni leggendarie, quello esterno, la baia di Miseno, era naturalmente occupato dal porto. Dalla campagna di scavi ci si aspetta che possano emergere navi da guerra, liburnae e triremi.

«Ampliai il territorio di tutte le province del popolo romano. La mia flotta navigò per l'Oceano dalla foce del Reno verso oriente fino al territorio dei Cimbri, dove né per terra, né per mare alcun romano, prima di allora, si era mai spinto», scriveva Augusto nelle «Res gestae divi Augusti». La flotta che arrivò in Scandinavia per prima fu quella di Miseno, cui era affidato l'Occidente. L'altra, diretta a Oriente, era quella ravennate. E le navi della flotta misenate potrebbero essere ancora custodite nel lago Miseno. Da qui mosse la squadra navale di Cesare Ottaviano e Agrippa, contro le flotte di Marco Antonio e Cleopatra nel 31 a.C.. Per ritrovare le tracce dell'antico porto romano è in corso una campagna di scavi realizzata con un milione di euro, fondi stanziati dal Pit Campi flegrei. Le indagini geofisiche ed archeologiche sono condotte dalla soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta. L'attesa tra i tecnici intorno a questo evento è enorme, soprattutto dopo la scoperta della necropoli di prima età imperiale a Cappella, che ha riportato alla luce il cimitero della flotta. «Attendiamo con interesse l'esito delle indagini sui fondali del lago - dice Francesco Escalona, presidente dell'ente Parco Campi flegrei - Il Miseno era il cantiere delle corazzate. Non è escluso che possano esservi navi da guerra, liburnae e triremi, tracce dell'antico Misenum». E tutto ciò potrebbe ricongiungere l'area flegrea al suo passato. Intrecci di storia e di archeologia non fanno altro che chiuderla nel cerchio delle sue origini. Il doppio bacino del lago, lacustre e marittimo, costituì la base della flotta imperiale. Mentre il bacino interno era un cantiere navale, quello esterno, la baia di Miseno, costituiva naturalmente il porto. Ed erano collegati da un canale. L'ingresso era protetto da due moli, i prolungamenti di Punta Pennata e di Punta Terone. Due tunnel artificiali mettevano al riparo il bacino da ogni rischio di insabbiamento. Il Misenum raggiunse il massimo splendore quando l'imperatore Augusto, dopo la battaglia di Anzio nel 31 a.C., vi pose la base della Classis Praetoria, la flotta al diretto servizio della corte imperiale. Furono sistemate lungo il litorale le attrezzature necessarie ad una potente base militare che ospitava circa seimila uomini. Si costruirono ville patrizie, teatri, strutture funzionali quali le Centum Cellae e la Piscina Mirabilis, i depositi idrici per la flotta. Le navi, costruite ed armate nel bacino interno, si muovevano con estrema velocità, grazie ad una sapiente velatura e alla forza dei rematori. L'insenatura flegrea, tra l'altro, era ideale grazie ad una privilegiata posizione geografica per ospitare la flotta praetoria che assicurò la pax nel Mediterraneo per più di tre secoli. Tutto questo non può non aver lasciato traccia sui fondali del lago, che prende il nome dal leggendario trombettiere di Enea, Miseno.

23/03/2007 COLONNA DANNEGGIATA NEGLI SCAVI DI  POMPEI (NA)

Stavolta non ci sono assassini da scoprire, ma i tecnici della sezione provinciale dei Ris di Roma e del nucleo per la tutela dei patrimonio dei carabinieri cercano particolari utili per risalire a chi, o cosa, nella notte tra domenica e lunedì, ha fatto crollare la colonna della casa di Obellio Firmo. Il soprintendente Pietro Giovanni Guzzo ha bollato il danneggiamento come un «atto intimidatorio»: nella domus è aperto un cantiere per il restauro e qualcuno potrebbe aver voluto lanciare un messaggio. Ma per gli inquirenti, che ieri hanno anche sequestrato l’area, non va esclusa alcuna ipotesi, compresa quella di un fatto accidentale. Dal ministero per i Beni e le attività culturali confermano di seguire «con attenzione le indagini avviate dai carabinieri per accertare le cause dell’episodio. In attesa delle conclusioni degli investigatori, il ministero è comunque in contatto con il soprintendente Pietro Giovanni Guzzo, a cui ha testimoniato solidarietà e sostegno», scrivono in una nota. E mentre il responsabile della soprintendenza pompeiana conferma la posizione assunta all'indomani della scoperta, secondo i carabinieri, diretti dal luogotenente Vittorio Manzo e coordinati dal capitano Pasquale Sario, a far cadere e spaccare in sei parti la colonna potrebbe essere stato il vento. Ma tutto ora è nelle mani dei tecnici dei carabinieri. Ieri sono stati anche visionati i filmati registrati dalle telecamere poste lungo il perimetro nord dell'area archeologica. Ieri mattina, nell'antica domus di Obellio Firmo, dunque, gli uomini del corpo speciale dei carabinieri di Napoli hanno effettuato i rilievi sulla colonna danneggiata per stabilire se, dopo la rottura, i pezzi siano stati spostati. I militari hanno ricostruito con strumenti sofisticati l'angolazione della caduta della colonna e la forza impressa per la spinta. Tutti questi dati saranno elaborati da un programma speciale che ricostruirà la dinamica dell'incidente stabilendo se a causarlo sia stato un evento accidentale o la mano dell'uomo. Questa mattina, al termine di un'assemblea sindacale che farà slittare di due ore l'apertura degli scavi, i lavoratori della Cgil, Cisl, Uil, Unsa, Flp e Intesa, marceranno in nome della legalità da piazza Esedra a Porta Marina Superiore. Anche la segreteria regionale dei Ds esprime una forte preoccupazione per la situazione dell'area archeologica di Pompei: «Gli ingenti investimenti previsti per l'area di Pompei e le ricadute sul territorio possono scatenare gli appetiti della camorra. Occorre vigilare e muoversi con la massima energia e con una forte sinergia istituzionale», dicono. L'Ugl, invece, non crede che il danneggiamento della colonna possa addebitarsi ad un atto intimidatorio: «Francamente - dice il coordinatore nazionale Beni Culturali, Renato Petra - non crediamo neanche che la colonna caduta a Pompei sia opera di vandali temiamo, invece, che sia opera dell'abbandono in cui versa il sito archeologico».

23/03/2007 APRE L'ORTO BOTANICO NEGLI SCAVI DI  POMPEI (NA)

Aperto al pubblico l’Orto botanico degli scavi di Pompei, un’area di oltre 800 metri quadri dove sono raccolte tutte le specie che vivevano già nella città antica, nel 79 dopo Cristo, quando la terrificante eruzione del vesuvio annientò la cittadina: alberi da frutta, piante medicinali e sacre, ortaggi, piante palustri e tessili. Con accesso da Via dell’Abbondanza ed uscita nei pressi del Foro triangolare, accanto ad un ampio giardino adibito ad area di sosta per i visitatori, l’orto Botanico presenta un percorso diviso per temi con apparato informativo in italiano e inglese.
L’apertura dell’Orto Botanico, curato dal Laboratorio Ricerche Applicate della Soprintendenza archeologica di Pompei, diretto da Annamaria Ciarallo, rientra nella manifestazione “Le stagioni di Pompei” per la Primavera 2007: esso rimarrà aperto al pubblico negli orari di apertura degli Scavi. La guida all’Orto Botanico è edita da Electa.
L'iniziativa è in collaborazione con l’ Antica Erboristeria Pompeiana (per la presentazione di prodotti sperimentali e semi all'interno dell'Orto dal 23 marzo fino al 15 luglio) e l’azienda cementiera Pagano di Scafati (per la preparazione dei semi delle piante coltivate già nell'antica Pompei).
Per gli antichi, che non avevano frigorifero, uno dei problemi più grandi era la conservazione dei cibi: per questo motivo erano molto importanti frutti a guscio duro come le noci, mandorle e nocciole.
Presenti nell’orto pompeiano anche alberi di mele, pere cotogne, sorbe e soprattutto fichi e olivi i cui frutti potevano essere essiccati o conservati a lungo.
La presenza di questi alberi testimonia inoltre l’importanza del legno tra gli antichi per gli usi di falegnameria a fini edili e navali. Tra le piante medicinali e aromatiche troviamo nell’orto il basilico, la maggiorana e il timo, ancora oggi riconosciuto come antisettico, così come l’aglio, indicato per la pressione alta e la ruta, dagli effetti abortivi.
Nel percorso dell’orto Botanico non potevano mancare le piante fluviali e palustri, che avevano grande importanza nella vita di ogni giorno: il frassino, con il cui legno molto flessibile si costruivano le doghe dei letti; il salice, usato per intrecciare canestri; il pioppo, ridotto in lamine per i cesti. Per colare la ricotta venivano utilizzati invece i giunchi, con i quali si legavano anche le verdure. Importantissime erano le canne, con le quali si costruivano strumenti musicali, trappole e lance, tutori per le viti e pareti divisorie per le case, ma con le infiorescenze venivano anche imbottiti materassi.
Tra gli ortaggi, tutti citati dagli agronomi classici, nell’orto si possono trovare tutte le granaglie, ovvero leguminose e cereali (ceci, lenticchie, piselli, fave, cicerchie) che venivano cucinate come zuppa.
Le piante tessili più comuni erano il lino, la canapa, la ginestra, con le quali venivano realizzate stoffe ma anche cordami, reti, vele, mentre i cascami servivano per gli stoppini delle lucerne.
Con le infiorescenze di ontano si tingevano invece le stoffe, mentre il cardo dei fulloni era usato per cardare la lana.
Infine, sono presenti nell’orto botanico anche le piante coronarie sempreverdi a cui Plinio dedicherà il 21esimo libro della sua opera, che erano usate per intrecciare corone celebrative, cultuali o terapeutiche. (Fonte: IL DENARO)

22/03/2007 RINVENUTA TOMBA PREROMANA A SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE)

Una tomba non violata, risalente verosimilmente al IV secolo avanti Cristo potrà essere ammirata presto nel Museo archeologico di Santa Maria Capua Vetere. Il prezioso reperto è venuto alla luce nei giorni scorsi durante alcuni scavi nei pressi dell'asse di collegamento fra via Olanda e via Galatina (a pochi metri del nascente svincolo autostradale), in un contesto archeologico rilevante ed in una zona che negli ultimi tempi è stata particolarmente prodiga nel restituire vestigia custodite nelle profondità dell’Antica Capua.

21/03/2007 SCHEGGIONI GRECI SUL TRACCIATO DI PUNTA CAMPANELLA

Scheggioni di roccia intagliata in stile greco affiorano dal sottosuolo stradale. L’interessante scoperta avviene nel corso dei lavori per la messa in sicurezza della Via di Minerva, la strada che da Termini conduce a Punta Campanella, il sito archeo-ambientale della penisola sorrentina più famoso al mondo ed unico itinerario della Magna Grecia in costiera. I primi interventi delle maestranze dell’impresa Corit di Napoli, aggiudicataria del primo lotto di opere per la sistemazione e la messa in sicurezza della strada d’accesso a Punta Campanella, hanno portato alla scoperta di diversi scheggioni di roccia intagliata da quei greci che, tra il X ed il IX secolo avanti Cristo, imposero il loro dominio anche sul Promontorio di Minerva, la penisola sorrentina. Gli scheggioni ritrovati ad una profondità di circa 60 centimetri sotto l’attuale livello stradale di via Campanella, l’antica Via Minervae, ricoperto in parte di conglomerato cementizio e bituminoso frantumato però da profonde e larghe buche, si presentano come quelli praticati nei vicini siti di Namonte e Cancello lungo la stessa strada. Oltre a mettere in sicurezza tratti del muro di parapetto sbrecciato nel lato a picco sul mare i lavori sono finalizzati a colmare le profonde buche scavate dalle piogge torrenziali sul tratto finale che porta all’area archeologica della villa romana di epoca imperiale costruita sulle rovine del tempio greco edificato in onore di Minerva e della torre antisaraceni del 1300. Al primo progetto di miglioramento della viabilità di Via Campanella è legata la priorità dell’accesso a Punta Campanella riconosciuta ai portatori di handicap motorio. Il progetto dell’architetto Maurizio Schiazzano prevede anche l’acquisto d’uno speciale mezzo cingolato per il trasporto dei disabili. Ai saggi sulla via di Minerva diretti dall’archeologa Tommasina Budetta, direttrice dell’ufficio della Soprintendenza e del museo archeologico di Villa Fondi di Piano di Sorrento, che portarono alla luce alcune tracce dell’acquedotto romano tra Termini e Punta Campanella e vari tratti della strada di epoca medievale soprapposti a quella romana, se ne aggiungeranno altri in questa settimana per verificare la consistenza dei ritrovamenti. Altre analisi di carattere ambientale poi saranno affidate all’azienda «Giardini e paesaggi» di Napoli per far partire i lavori finanziati con 312 mila euro dalla Comunità Montana Monti lattari-Penisola sorrentina nell’ambito del Pir (Piano integrato rurale) per consentire l’accesso ai fondi agricoli tra Namonte e la Torre di Fossa di Papa. «Un ultimo progetto, - spiega l’assessore ai lavori pubblici Diego Piroddi - riguarda il bando di altri 400mila euro che il Comune di Massa Lubrense spera di aggiudicarsi con l’articolo 2 della legge 51/78 sugli interventi per il recupero edilizio del patrimonio storico di proprietà pubblica. Potremmo iniziare ad intervenire sulla torre antisaraceni e sui resti della villa romana».

21/03/2007 UN ANTICO ARCO DI DOGANA TORNA ALLA LUCE A MONTORO INFERIORE (AV)

Una scoperta archeologica di grande interesse. Il rinvenimento, puramente casuale, fatto dallo storico Gino Noia e da Gaetano Izzo, ispettore della Soprintendenza Archeologica Sa-Av, ha riaperto pagine di storia nascosta per secoli. La zona dove è stato scoperto il reperto è Piazza di Pandola, via Federici, sito poco lontano dalla cappella di S. Vito, ex Chiesa del paese che rappresentava il punto di confine dell’antico feudo di San Severino. La scoperta è avvenuta nel corso dei lavori di restauro ad un comparto di abitazione. A venire alla luce è stato un arco catalano. La struttura è apparsa in buone condizioni statiche e indicherebbe l’antico sito del «Palazzo del Passo». Sbalordisce che, a distanza di secoli, la pietra chiave dell’intradosso dell’arco rechi ancora visibilmente impressa l’arma araldica della potente famiglia Sanseverino: uno scudo attraversato da una fascia orizzontale. Il ritrovamento dell’arco, in piperno, conferma che la struttura risale all’inizio del secolo ’400, epoca in cui per accedere nel feudo di Sanseverino (che inglobava i comuni di Castel San Giorgio, Fisciano, Calvanico, Roccapiemonte e Montoro Inferiore) bisognava fermarsi sotto il «Palazzo del Passo» per pagare la dogana, ossia il dazio sulle merci ivi transitanti, tasse che gravavano specialmente sul grano proveniente dalla Puglia o sulla lana che veniva lavorata nei casali di Salerno e di Mercato;c’era anche il pagamento di gabelle sulle pelli nonché sul sale, prodotti costretti a transitare per il punto di confine. «Il Palazzo del Passo» era un edificio occupato dalla guarnigione addetta alle operazioni di dogana e aveva anche la funzione di taverna e soprattutto rappresentava il luogo adibito ad abitazione del barone con la responsabilità di attendere al compito amministrativo e giurisdizionale di controllo doganale. Lo stemma che ufficialmente rappresenta l’ingresso al feudo, si è mantenuto intatto in quanto ricoperto dalla «crosta» dell’intonaco. In seguito alla caduta di Sanseverino, testimonia il blasone, subentrarono nello Stato i Conzaga, la cui ”arma” (scudo) campeggiava in uno dei due cortili adiacente il Passo,di cui è tuttora è dotato lo stesso bene. Allo stato sia Noia che Izzo sono alla ricerca della lapide di marmo su cui erano impresse le gabelle da pagare.

21/03/2007 IMPORTANTE NECROPOLI ENEOLITICA SCOPERTA A TORRE LE NOCELLE (AV)

L'entusiasmo della scoperta e il rigore della burocrazia. Sensazioni opposte che però equilibrano la ricerca archeologica. La gente di contrada Felette, un vasto spicchio di campagna alle porte di Torre le Nocelle, è relativamente stupita per quanto sta venendo poco alla volta alla luce dagli scavi appena avviati dalla Sovrintendenza ai beni archeologici di Avellino. Che quest'area fosse stata abitata sin dall'età del rame erano in molti a saperlo da tempo, da quando sono stati ritrovati per caso cocci e frammenti di utensili assai antichi. Qualcuno si è preso finanche la briga di sollecitare a più riprese l'intervento di studiosi e archeologi prima che potessero arrivare i soliti tombaroli sciacalli a fare scempio di un patrimonio di notevole valenza. La necropoli che sta emergendo, finora sono state già rinvenute una decina di tombe, risale infatti all'eneolitico, quindi alla preistoria. E secondo gli esperti questo sito, più o meno contemporaneo a quello di contrada Madonna delle Grazie di Mirabella Eclano e forse più esteso di questo, potrebbe fornire nuovi e altrettanto interessanti spunti di studio e di ricerca sulla presenza umana nel bacino della valle del medio Calore. Gli scavi di contrada Felette stanno fornendo materiale utile per approfondire, in un prossimo futuro, la conoscenza dei primi insediamenti in loco e la civiltà che ha abitato queste terre. Già negli anni sessanta, come ricorda più di una persona che vive in questa zona, importanti reperti erano stati restituiti dalle zolle di terreno arate, ma nessuno allora ha mai pensato che lì sotto potesse nascondersi una miniera di oggetti preziosi per ricostruire la storia e l'antropologia di questi luoghi popolati da millenni. E chissà quante tombe sono andate distrutte a causa di questa negligenza. Ora che la Sovrintendenza ha aperto il cantiere e un team di archeologi, guidati dal dottore Piero Talamo, ha cominciato la prima fase degli scavi c'è molta curiosità attorno al perimetro di terra che ha custodito per così tanto tempo tutte queste meraviglie presitoriche che stanno ritornando in superficie per essere catalogate e studiate.”Le mappe archeologiche non mentono- ha affermato il sovrintendente Talamo-, e anche stavolta la scoperta è stata più che giusta. Questo di Torre potrebbe rivelarsi un sito preistorico davvero molto importante. Forse è il maggiore al momento rinvenuto”.

15/03/2007 STOP AGLI SCAVI DI NUCERIA (SA)

Chiude i battenti lo scavo archeologico alle spalle del Battistero Paleocristiano di Santa Maria Maggiore a Nocera Superiore. Esauriti, nel corso di questa settimana, i fondi intercettati dall'amministrazione comunale per finanziarlo, il lavoro non potrà proseguire, almeno per il momento. Il sogno di realizzare un'attrattiva turistica del calibro di quello presente a Pompei è rinviato a data da destinarsi, sotto la pesante alea di nuovi fondi da fare pervenire a Nocera Superiore. il blitz riuscito all'amministrazione Montalbano qualche anno fa, consentì di avviare e portare a buon punto i lavori di scavo, grazie anche alla paziente, e gratuita, collaborazione di decine di giovani archeologi volontari e sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni Archeologici salernitana. Le ultime risorse sono state impiegate per la realizzazione di una copertura, sorretta da ponteggi metallici, che impedisse l'aggressione da parte di agenti atmosferici ai reperti portati alla luce. Con il lavoro di questi giorni, però, lo stop annunciato già nel mese di dicembre diviene definitivo. I reperti più preziosi e quelli di maggiore rilievo sono già stati portati a Salerno, presso la Soprintendenza, ma il pericolo maggiore è per il complesso di opere e strutture emerse drenate le operazioni di scavo e che non è possibile portare al sicuro. Esauriti i fondi, infatti, pare non sia possibile nemmeno istituire un adeguato servizio di sorveglianza del sito. L'amministrazione comunale si è già messa alla ricerca di nuove risorse, ma il cammino della macchina burocratica, si sa, è lento.

13/03/2007 ALLA LUCE TOMBE PREROMANE AD ACERRA (NA)

Riaffiorano dopo 2200 anni tre tombe di epoca preromana ad Acerra. La scoperta in un cantiere dell'Arin durante la riparazione di una condotta. All'interno gli archeologi della Sovrintendenza hanno rinvenuto intatti i corredi funerari. Le tombe in tufo furono costruite a ridosso della cinta muraria dell'antica Acerrae, la città distrutta da Annibale nel 216 avanti Cristo. Insieme ai tre tumuli funerari è stato ritrovato anche un pezzo di muraglione che finora non è stato possibile datare. Corredi e tombe sono stati rimossi e trasferiti nei depositi della Sovrintendenza archeologica a Napoli. Secondo gli esperti, i reperti risalirebbero al IV-III secolo avanti Cristo prima che la città venisse colonizzata dai Romani. L'eccezionale scoperta è avvenuta tra il centralissimo corso della Resistenza e via Stendardo in un'area da sempre tenuta sotto osservazione dagli archeologi. Poco lontano dalle tre tombe nel 1977 furono ritrovati i resti di un'antica villa suburbana di epoca romana. A scoprire quella che potrebbe essere una vera e propria necropoli sono stati alcuni operai dell'Arin che avevano cominciato le operazioni di scavo. Ed è così che dal terreno è spuntata fuori una prima tomba e a poca distanza le altre due. Gli archeologi sono soddisfatti perché le tombe sono sfuggite in tutti questi anni all'opera devastatrice dei trafugatori di reperti. Al loro interno sono state trovate anfore-granaie e vasellame di vernice scura, secondo gli esperti, di chiara epoca campana. Le tombe sono state smontate e traslate a Napoli, per consentire la ripresa dei lavori alla rete idrica. Nei pressi del nuovo sito archeologico sono state rinvenute negli ultimi 10 anni alcune ville rustiche usate nell'antichità dai contadini che praticavano un'agricoltura di tipo itinerante. Ed è probabile, secondo gli esperti, che accanto ai resti dei manufatti ci sia una vera e propria necropoli usata dagli antichi abitanti di Acerrae. La città dopo la distruzione ad opera di Annibale fu ricostruita nel 211 avanti Cristo dai Romani a circa 500 metri dall'attuale corso della Resistenza, lì dove si incrociano via Duomo e via Roma, nel cuore cioè del centro storico. A delimitare per la prima volta i confini dell'Acerrae ricostruita dai Romani fu nel 1937 Amedeo Maiuri. Le tre tombe e i relativi corredi funerari finiranno probabilmente per arricchire il previsto museo archeologico locale in fase di allestimento nel castello baronale insieme ad altri reperti provenienti dalla collezione Spinelli (attualmente conservata nel museo Nazionale a Napoli) e dalle ultime campagne di scavo nel vicino sito archeologico di Suessola. «I ritrovamenti testimoniano che questo territorio può offrire ancora molto sorprese». Lo storico locale Tommaso Esposito nonché direttore del museo di Pulcinella, è convinto che non bisogna cessare di indagare sul passato di Acerra e che occorrerebbe avviare nuove campagne di scavi. Qual è l'importanza dei nuovi reperti? «Ci fanno comprendere come già all'epoca ci fossero nuclei organizzati di abitanti che avevano ben chiare le funzioni produttive e quelle legate all'esito finale della vita». Corredi funerari e tombe potranno arricchire il museo archeologico cittadino? «In linea di principio tutti i materiali rinvenuti nelle recenti campagne di scavo dovrebbero far parte del museo archeologico di Acerra, almeno secondo quanto ha previsto la Sovrintendenza». A quando l'inaugurazione? «Se tutto va bene nella prossima primavera: sono in fase di ultimazione i lavori per una maggiore funzionalità e sicurezza delle sale».

13/03/2007 FINANZIAMENTI PER IL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI MONDRAGONE (CE)

"Un risultato bellissimo" è questa la prima affermazione dell'Assessore alla Cultura Giovanni Schiappa subito dopo aver preso visione della nota ufficiale della Camera di Commercio di Caserta che comunicava il finanziamento di ben 16.000 euro per la pubblicazione dei risultati delle campagne di scavo eseguite su Rocca Montis Draconis fin dal 2001 "Non posso che esprimere il mio più sentito ringraziamento al Commissario della CCIAA Gustavo Ascione. In occasione della presentazione del testo della professoressa Jolanda Capriglione in occasione dei "Giovedì al Museo", il Commissario rimase favorevolmente sorpreso dal grande lavoro in essere presso il Museo Civico. Da qui la volontà di dare un sostegno concreto non solo per la pubblicazione dei risultati scientifici conseguiti dal dottor Luigi Crimaco, ma anche per attivare un circuito promozionale delle bellezze archeologiche di Mondragone". Il finanziamento concesso dalla CCIAA di Caserta è l'ultimo di una serie di importanti finanziamenti attivati dall'Assessorato alla Cultura che hanno permesso al Museo Civico Archeologico "Biagio Greco" di beneficiare di oltre 100.000 euro nel 2006, di provenienza regionale, che permetteranno di esporre i numerosi e preziosi reperti rinvenuti negli ultimi anni nelle campagne di scavo finanziate dal Comune. A questo intervento si aggiungono risorse per altri 100.000 euro, di provenienza comunale, con i quali si procederà alla completa ristrutturazione della nuova Sala Conferenze e lo spostamento della Sala Medievale. Nel mentre è stato presentato un ulteriore progetto di altri 35.000 euro a valere sui fondi 2007 della Regione Campania. "Puntare in modo attivo sl Museo Civico" afferma il Sindaco Ugo Alfredo Conte "ci sta consentendo non solo di ricevere enormi benefici in termini di immagine, con un significativo cambio di opinione in merito all'attività amministrativa di Mondragone, ma anche di beneficiare di fonti di finanziamento esterne all'Ente che ci permetteranno di poter ampliare le attività di ricerca e divulgazione".

12/03/2007 PROGETTI DIDATTICI AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI EBOLI (SA)

I giovani e l'antico, un ritorno alle origini, alle mode e ai costumi che per secoli hanno caratterizzato la piana del Sele e le sue popolazioni: è con questo spirito che la direttrice del Museo archeologico nazionale di Eboli e della alta e media valle del Sele, Giovanna Scarano, ha inteso organizzare quest'anno due singolari laboratori didattici dedicati agli studenti di ogni ordine e grado. Nascono così un laboratorio di restauro e uno di tessitura e filatura in cui gli studenti, sotto la guida di esperti in materia, potranno non solo apprendere attraverso videoproiezioni e lezioni teoriche le diverse tecniche utilizzate, ma anche cimentarsi per la prima volta nel restauro di vasellame, intervenendo su cocci fedelmente riprodotti da artigiani locali, oltre che a realizzare tessuti e stoffe. Con la costruzione fedele di un telaio verticale rudimentale, commissionato ad hoc dal Museo, i ragazzi infatti saranno in grado di comprendere il significato di fusi, rocchette e pesi, rinvenuti durante gli scavi effettuati nel comprensorio e custoditi nelle teche del museo archeologico. «E' dal ritrovamento di vasellame e dei numerosi corredi funerari che nasce l'idea di spiegare alle nuove generazioni l'importanza della manualità nella società civile di una volta. La vera novità- prosegue Giovanna Scarano- è che ai ragazzi saranno insegnate le tecniche di pulitura e restauro a cui i reperti sono sottoposti prima di raggiungere le vetrine di un museo, e l'attività di filatura e tessitura, vitale un tempo per le donne di ogni età: dalla pianta di lino e al suo trattamento, fino alla realizzazione del filo e degli splendidi tessuti».

10/03/2007 PIANO URBANISTICO DI SALERNO: LA SOPRINTENDENZA CONTRO

Sarebbe illegittimo e, quindi, da bocciare il Piano urbanistico comunale. Lo sostengono il ministero per i Beni e le attività culturali, diretto da Francesco Rutelli, e la Soprintendenza per i Beni archeologici di Salerno, diretta da Giuliana Tocco, che hanno presentato ricorso al Tar. Al Tribunale hanno chiesto l'annullamento del decreto con cui il presidente della Provincia, Angelo Villani, ha approvato il Puc e di altri atti amministrativi propedeutici. Il ricorso, predisposto dall'Avvocatura distrettuale dello Stato (avvocato Olga Itri), è stato notificato a Palazzo di Città l'ultimo giorno utile e la domanda “sospensiva”, presentata contestualmente al ricorso, sarà esaminata in tempi abbastanza rapidi dal Tar. Oltre al cosiddetto “fumus” (apparenza delle buone ragioni), l'Avvocatura dello Stato ha evidenziato il cosiddetto “periculum in mora” che è rappresentato da «danni gravi ed irreparabili che il patrimonio archeologico cittadino potrebbe subire dall'entrata in vigore del Puc, il quale connota come parchi pubblici attrezzati aree archeologiche». Il ricorso conclude chiedendo che il Tar imponga al Comune ed all'amministrazione provinciale il riesame del Piano «al fine di dare la giusta risposta alle istanze della Soprintendenza che è preposta alla tutela del vincolo storico archeologico». In buona sostanza, sempre secondo il ricorso, il Puc avrebbe annullato (“obliterato”) del tutto immotivatamente specifici interessi storico-archeologici. I presunti vizi di legittimità che il ricorso ha inteso sottolineare sono raggruppati in 5 capitoletti. Si parte dalla violazione del giusto procedimento, imposto dalla legge regionale n°16 del 2004, che assegna alla Soprintendenza un ruolo centrale. La Soprintendenza ha formulato, nei termini di legge, specifiche osservazioni tese a migliorare la salvaguardia dell'interesse storico archeologico. Tali osservazioni, però, non sono state mai esaminate né dal Comune né da Palazzo Sant'Agostino. Mancherebbe, peraltro, anche la valutazione di impatto ambientale. L'eccesso di potere per difetto di istruttoria riguarda il mancato rispetto delle aree sottoposte a vincolo archeologico ed il conseguente mancato adeguamento del Puc al vincolo di destinazione di parco archeologico. Un altro eccesso di potere (illogicità manifesta) riguarda le nuove aree adibite a parco pubblico. La localizzazione, secondo il ricorso, di tali aree sarebbe stata effettuata a tavolino, senza verifica in loco per valutare le soluzioni più idonee. Anche il parco pubblico attrezzato sarebbe illegittimo per violazione del criterio di proporzionalità (tra costi e benefici) e dei principi di logicità e ragionevolezza dell'esercizio della funzione di piano. Illegittima, infine, sarebbe la completa esclusione della Soprintendenza per tutti gli interventi disposti nel centro storico. Un'ultima, polemica denuncia: è stato impedito alla Soprintendenza di partecipare al procedimento per la valutazione delle osservazioni di sua competenza. La giunta comunale non ha ancora deciso il nome del legale che dovrà difendere il Comune.

«Il parco archeologico è per definizione urbanisticamente immodificabile, fatti salvi gli interventi di ricerca e valorizzazione archeologica anche ai fini della fruizione. Ricomprendere aree di rilevante interesse archeologico in regime di parco pubblico attrezzato è inconcepibile per un’amministrazione che ha a cuore l’interesse della città, perchè può procurare danni gravi ed irreparabili al suo patrimonio storico. Un parco attrezzato porta in sè l’idea di trasformazione dell’esistente con la possibilità di poter costruire strutture a servizio, come strade, parcheggi, palestre, piscine, centri polivalenti». Il soprintendente per i beni archeologici Giuliana Tocco spiega i motivi che l’hanno spinta a ricorrere contro Comune e Provincia, chiedendo la sospensione del piano urbanistico comunale. Una scelta obbligata, dice, visto che nella formulazione del Puc l’amministrazione comunale «non ha tenuto conto nè di pregressi accordi, nè delle conferenze di servizi, nè delle delibere definitive, nè delle norme che stabilivano che le intese venissero formalizzate nello strumento urbanistico». In ultimo, rileva la Tocco, «gli enti locali non hanno tenuto in alcun conto le osservazioni da noi prodotte in tempo utile, rigettandole con poche parole e nessuna motivazione». A rischio, secondo il soprintendente, sarebbero le aree archeologiche del centro storico, Fratte, S, Leonardo e S, Eustachio. «Tutte vincolate - chiarisce Maria Antonietta Iannelli, responsabile di Salerno - e ampiamente documentante in merito alla presenza di significative testimonianze del passato dalla preistoria al periodo osco-etrusco fino ad arrivare all’età romana. Per loro avevamo prescritto la destinazione a parco archeologico, cosa elusa dal Comune e per nulla valutata dalla Provincia, malgrado sia la prima, in quanto proprietaria, a doversi impegnare per la valorizzazione dell’acropoli di Fratte». Quel che più preoccupa la Iannelli è il centro storico, divenuto ora «zona libera». «Nel Puc - osserva - non è stabilito l’obbligo di sottoporre preventivamente alla soprintendenza i progetti edilizi anche in assenza di vincolo. Viene quindi a cadere la possibilità di preservare il patrimonio archeologico da interventi incompatibili. È vero che l’indagine preventiva si traduce in un maggior onere per il privato, ma rappresenta anche la sicurezza di non avviarsi in un progetto costruttivo che potrebbe restare, nel caso emergessero preesistenze archeologiche, irrealizzato».

10/03/2007 NUOVE SCOPERTE AD ERCOLANO (NA)

Si fa presto a dire fogna quando invece in quella galleria che si percorre, quattro metri sotto terra, c’è una vera e propria miniera scientifico-archeologica. Là dentro c’è di tutto e di più: quel budello che si sviluppa sotto il V cardo dell’Insula Orientalis II, a Ercolano, alto tre metri e largo ottanta centimetri, in realtà è una ben costruita fossa settica, realizzata dagli ingegneri romani con tutti crismi della legalità. Chiusa all’inizio e alla fine, accoglieva i liquami che piovevano dalle latrine degli appartamenti posti lungo la via. La pendenza che la caratterizzava permetteva di convogliare rifiuti e deiezioni in un punto ben preciso. Allorché l’ambiente-vasca di raccolta si riempiva, intervenivano i putearii, i manutentori dei pozzi neri di 2000 anni fa e ripulivano il tutto ripristinandone la funzionalità. Di più. Chi l’aveva progettata aveva pensato anche a come bloccare il fetore che inevitabilmente si sarebbe fatto sentire nelle case e nella stessa strada. Per questo aveva collegato il condotto con lo scarico delle acque della vicina fontana dell’Idra di bronzo in maniera che il liquido, scorrendo, formasse una barriera alta pochi centimetri e tuttavia in grado di bloccare i gas maleodoranti sviluppati. Insomma aveva applicato in grande e 2000 anni prima il principio del water con sifone. Ancora, quell’acqua non stagnava. Favorita dalla leggera pendenza circolava nel budello e rientrava negli scarichi della fontana, non trasportando però le parti solide. Ed è stata proprio questa sua caratteristica che ha fatto diventare la condotta una miniera scientifica. Nella melma indurita, gli archeologi dell’«Herculaneum Conservation Project», sostenuto dal Packard Humanities Institute e sotto la supervisione di Maria Paola Guidobaldi direttore del sito Ercolanese per la Soprintendenza di Pompei, stanno recuperando vasi di bronzo, anelli, monete, anfore, lucerne, residui di cibo, aculei di riccio, lische di pesci, gusci d’uovo, noccioli d’oliva. «Elementi assolutamente straordinari e capaci di disegnare uno spaccato quanto mai significativo della vita di Ercolano nell’immediatezza della catastrofe. - spiega Domenico Camardo, l’archeologo dell’Hcp che ne sta curando il recupero - Ad esempio sono state individuate delle larve di grano, prodotte appunto dalle granaglie guaste, che erano state ingerite con il cibo e poi espulse per vie naturali». Insomma, c’è un intero ciclo vitale, una sorta di immediatamente prima che riappare a distanza di venti secoli: nel volgere di un giorno o poco più, chi aveva mangiato il grano guasto panificato, dopo averne espulsi i residui, è stato ucciso dai gas dell’eruzione e forse è stato rinvenuto sotto forma di scheletro nei fornici della marina, cento metri più in basso. Tutti quei residui vengono via via conservati in sacchetti; li analizzerà Mark Robinson, responsabile del Museo di storia Naturale all’Università inglese di Oxford e uno dei massimi esperti sull’analisi dei materiali organici. Alla fine, quando le indagini saranno completate, i risultati consentiranno di conoscere, con assoluta precisione, non solo le specie alimentari (peraltro già note) che entravano nella dieta di 2000 anni fa ma addirittura di calcolare le percentuali delle varietà consumate e le malattie che affliggevano gli ercolanesi. «Analizzando i residui di una latrina - racconta Camardo - i biologi hanno scoperto una folta colonia di globuli bianchi, sintomo di una grave infezione in atto in quell’organismo». Dati non da poco per la città da sempre, a torto, considerata la gemella sfortunata» di Pompei. (Fonte: Il Mattino)

28/02/2007 UN LABORATORIO MOBILE PER L'ARCHEOLOGIA IN CAMPANIA

La tecnologia al servizio dell’archeologia. È costato come un camper di lusso - poco meno di 150 mila euro - e presto sarà impiegato negli scavi dell’antichità e per il restauro dei beni culturali. Il primo laboratorio mobile per la sicurezza, la conservazione e la valorizzazione del «costruito storico e archeologico» ha il marchio del made in Campania. Un primato che porta, infatti, la firma di «Innova», il Centro regionale di competenza per lo sviluppo, che ieri mattina ha presentato il suo ultimo prototipo nel polo scientifico dell’ex Olivetti, a Pozzuoli: un laboratorio mobile concepito e realizzato, su telaio Mercedes a trazione integrale, come mezzo di supporto per archeologi e geologi. Già è stato prenotato, per le prossime settimane, dalle Soprintendenze di Salerno e Benevento. Alla sua prima apparizione in pubblico, nei giardini dell’Istituto di cibernetica del Cnr, erano presenti l’assessore regionale alla Ricerca, Teresa Armato, il direttore scientifico di «Innova» Antonio Massarotti e il progettista Claudio Claudi. «Siamo orgogliosi di questi risultati - spiega Teresa Armato - Sono la conferma della centralità del Centro di Competenza, in cui sono al lavoro decine di giovani ricercatori che rappresentano un fiore all’occhiello della nostra ricerca scientifica. La scorsa settimana - continua - abbiamo finanziato cinque centri con ulteriori 6 milioni e 900 mila». Paletta, georadar, microscopio elettrico, magnetometro: ora la valigia virtuale dell’archeologo moderno ha anche un mezzo a quattro ruote con tecnologia avanzata al servizio degli studiosi. Cinque anni e mezzo per passare dalle bozze progettuali alla realizzazione del prototipo: il laboratorio mobile somiglia a un camper, ma è capace di allungarsi o allargarsi, attraverso una serie di moduli, a seconda delle esigenze, passando dai 2,40 centimetri di lunghezza a una superficie interna di oltre 16 metri quadrati: auto-produce energia, con un impianto fotovoltaico che alimenta le batterie ed è una struttura capace di muoversi su tutti i terreni e a spostarsi anche nei più remoti centri. E a rimanere su un sito per tanti giorni, ospitando fino a cinque persone. Antonio Massarotti già proietta il laboratorio verso altri impieghi. «Potrebbe diventare una sala operatoria per le emergenze e per poter fronteggiare con immediatezza disastri o calamità naturali», conclude il direttore scientifico di Innova.

24/02/2007 BENEVENTO: ALLA LUCE AFFRESCHI MEDIEVALI

Il sottosuolo della città restituisce altre testimonianze del suo passato storico. Questa volta sono venuti alla luce frammenti di affreschi di epoca medievale. L’importante ritrovamento, anche se si è soltanto alla fase iniziale, è avvenuto durante le fasi di scavo in piazzetta Sabariani (nota anche come piazzetta Santa Teresa), lato Archivio di Stato, da parte di alcuni tecnici dell’Enel per la posa di una nuova condotta elettrica. I lavori stavano avvenendo sotto la stretta sorveglianza della Soprintendenza Archeologica di Salerno-Avellino-Benevento alla presenza della dottoressa Luigina Tomai, funzionario e responsabile di zona, assistita da Giuseppe Marino. In un primo momento dagli scavi è emerso un vano riempito, come del resto se ne trovano parecchi nel centro storico del capoluogo. Quindi, con la cautela dettata dal caso, ha avuto inizio lo svuotamento del materiale di riempimento. Sembrava una fase che dovesse concludersi senza grosse novità, quando, invece, dalla volta del vano sono emersi frammenti di affreschi. Il funzionario della Soprintendenza Archeologica di Salerno-Avellino e Benevento, avendo constatato che, probabilmente, trattavasi di affreschi di epoca medievale, ha allertato la dottoressa Vega De Martini responsabile della Soprintendenza storico-artistica di Caserta e Benevento in uno spirito di reciproca e sinergica collaborazione tra le due istituzioni. Sul luogo sono subito giunti i funzionari della stessa Soprintendenza Ferdinando Creta e Italo Mustone che con professionalità hanno proceduto, con una equipe di restauratori, alla messa in sicurezza di tutte le superfici interessate. Ovviamente i lavori dell’Enel sono stati momentaneamente sospesi, in attesa di ulteriori e più approfonditi studi su questi primi ritrovamenti effettuati. Ora i due organismi coinvolti auspicano, insieme alla collaborazione del Comune, di poter restituire quanto prima alla città una ulteriore testimonianza del suo glorioso passato storico. Gli affreschi, almeno secondo un primo sommario studio, rappresentano figure di santi. Appaiono, comunque, di buona qualità e potrebbero essere della stessa epoca di quelli presentii nella chiesa di Santa Sofia in quanto lo stile appare abbastanza simile. Una conferma in tal senso potrà avvenire, comunque, quando saranno portate alla luce parti certamente ben più consistenti del corredo figurativo. Comunque, già da lunedì saranno attivate tutte le procedure, affinchè, si possa elaborare al più presto un piano d’azione con un progetto organico per la restituzione alla città di un ”momento” così importante del suo passato. I frammenti di affreschi riportati alla luce fanno pensare che ci si possa trovare quasi sicuramente di fronte ad un edificio di culto che nella fase di riproposizione urbanistica della città beneventana nel ’700, venne ”riempito”.

23/02/2007 POMPEI: STUDIATA IN GIAPPONE LA VILLA DEI MOSAICI

Individuato l’uso della tecnica sinòpiale per la costruzione dei mosaici sui pavimenti pompeiani. L'impiego di quel procedimento, già noto per le ville di Stabiae e così chiamato dalla terra di colore rosso (era utilizzata per tracciare le linee guida necessarie a una pittura parietale) che si trovava a Sinòpia, sul mar Rosso, è stato accertato per la prima volta sui mosaici della casa di Fabio Rufo, a Pompei, nell’Insula Occidentalis, una sorta di immenso condominio con vista sul golfo, abitato dai vip cittadini dell’epoca. «In effetti - spiega Mario Grimaldi, l’archeologo dell’equipe di studiosi dell’Istituto Suor Orsola Benincasa che ha individuato quei mosaici di secondo stile - quando si doveva realizzare un’opera musiva importante, i maestri che guidavano la bottega incaricata del lavoro mettevano in pratica un mezzo semplicissimo: tracciavano disegno e scene sul pavimento nudo e le dipingevano con gli identici colori dei marmi che vi sarebbero stati incollati sopra». In quella maniera per l’operaio posatore, che poteva anche essere a digiuno di ogni tecnica, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di sbagliare su numero e colore delle tessere da inserire. Le scoperte tuttavia non si fermano ai mosaici. Le indagini hanno permesso di svelare come la casa di Marco Fabio Rufo fosse una vera e propria villa e tra le più belle della città. Gli architetti di 2000 anni fa, partendo da un nucleo base fatto di abitazioni senza alcuna pretesa, erano riusciti a realizzare un unico fabbricato a più livelli. C’era un portico esterno, in tufo giallo, con un giardino al cui centro si trovavano fontane con giochi d’acqua. L’ambiente, poi, continuava con una serie di giardini pensili degradanti verso il mare, distante solo qualche centinaio di metri. Le scoperte fatte nella casa di Rufo e le altre nelle case e nelle ville adiacenti (Umbricio Scauro, Maio Castricio, Casa del Bracciale d’oro, lo scavo del principe di Montenegro) hanno quindi consentito la pubblicazione di Pompei, insula Occidentalis, saggio imponente, che accoglie tutti gli studi fatti di recente su circa trecento metri di fronte ovest della città. Quell’area, indagata già nel 700 e nell’800, fu sistematicamente spogliata di oggetti e decorazioni confluite nei depositi e nelle collezioni del Museo nazionale di Napoli. Nel volume, coordinato da Masanori Aoyagi, professore emerito dell’Università di Tokio, e Umberto Pappalardo, docente all’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa, al quale hanno messo mano archeologi ed esperti in ricostruzioni 3D (Varriale, De Simone, Ciardiello, Grimaldi, Esposito, Notomista, Piccirilli, Vallifuoco) e che è stato patrocinato dall’Università di Tokio attraverso il Centro Ricerche sulla pittura di quella istituzione, dunque propongono anche tutti gli apparati spostati da Pompei e oggi presenti nelle collezioni napoletane. La presentazione del libro è prevista a Pompei, nel mese di giugno. (Fonte: IL MATTINO)

17/02/2007 DONATO ALLA CITTA' L'ARCHIVIO DI FOTO DI LIBERO D'ORSI SUGLI SCAVI DI STABIA

Cinquecento lastre fotografiche, due album, centinaia di fotografie sono stati donati dal Comitato per gli scavi di Stabia, presieduto da Antonio Ferrara, al Comune di Castellammare. Si tratta di immagini realizzate a partire dal 1950 sulla collina di Varano, subito dopo l'inizio degli scavi archeologici avviati dal preside Libero d'Orsi. Il fondo fotografico è stato consegnato al sindaco Salvatore Vozza. «Si tratta di un importante patrimonio - commenta il sindaco - che metteremo a disposizione di studiosi e studenti presso il nostro Archivio storico: non solo si arricchisce la raccolta comunale di foto storiche, ma si conferma un rapporto di lunga collaborazione tra questa prestigiosa organizzazione fondata da Libero d'Orsi e il Comune». Le immagini in bianco e nero documentano le esplorazioni condotte dal preside d'Orsi, ispettore onorario ai monumenti, il quale, alla testa del Comitato per gli scavi di Stabia, a partire dal 9 gennaio 1950 sostenne e finanziò i primi interventi di scavo sulla collina di Varano. Vennero riportate alla luce la Villa San Marco, la Villa di Arianna e il Secondo Complesso. Tra il 1950 e il 1970 vennero poi esplorata la necropoli di Madonna delle Grazie e altre sepolture a Casola: anche dello scavo di queste tombe vi è traccia nell'archivio fotografico del Comitato per gli scavi di Stabia. «Queste foto - spiega il preside Antonio Carosella, socio del Comitato ed ex presidente - furono realizzate quasi tutte da Ilio Meledandri, un fotografo stabiese ingaggiato da d'Orsi per documentare le fasi dello scavo. Durante la mia presidenza, venuto a sapere che l'archivio era stato messo in vendita dagli eredi chiesi invano il sostegno delle istituzioni, e alla fine come Comitato raccogliemmo due milioni di lire e acquistammo le foto».

14/02/2007 IMPORTANTE SCOPERTA: TROVATO IL FORO DELL'ANTICA NUCERIA

Trovato il Foro dell'antica Nuceria Alfataerna, l'odierna Nocera Superiore. La scoperta è stata fatta dagli esperti della Soprintendenza archeologica di Salerno nel corso delle indagini sull'area di Via Mercato, meglio nota come "Mercato boario". «Le strutture rinvenute - conferma Matilde Lombardo, l'archeologa della Soprintendenza salernitana responsabile dello scavo assieme a Teobaldo Fortunato e Teresa Virtuoso - sono particolarmente imponenti e ricche. Ciò fa ritenere che ci troviamo in presenza di edifici pubblici posizionati, verosimilmente, nei pressi di quello che doveva essere il cuore della città antica, il Foro». I reperti, in maggioranza murature, locali, terme, strade, occupano una superficie di quasi duemila metri quadri e disegnano un periodo storico che va dall'epoca Repubblicana al 1800; e con una sovrapposizione di fasi che secondo gli archeologi ha dell'incredibile perché ben conservate nonostante i sette metri di profondità. Tra le altre, l'area di scavo si trova nelle immediate vicinanze del Battistero di Santa Maria Maggiore, esempio eccezionale di architettura paleocristiana (la costruzione risale al VI secolo dopo Cristo), edificato sui resti di un grandioso complesso architettonico romano d'epoca imperiale (forse un edificio di culto pagano) del quale sono ancora visibili i mosaici a tessere colorate del pavimento e gli avanzi delle mura. Particolarmente interessanti, a circa sette metri di profondità, i resti di un edificio monumentale dalle colonne maestose, poggianti su un alto podio, realizzate con mattoni e rivestite d'intonaco decorato con incisioni. Alla costruzione si sovrappongono strutture e ambienti che gli esperti ritengono siano appartenute a un impianto termale di cui è stato individuato, per ora, l'apodyterion - spogliatoio. Il locale, proprio per questa sua caratteristica d'impiego, presenta, nella parte più alta, delle nicchie destinate a custodire i vestiti di chi andava al bagno pubblico. In una fase del funzionamento della terma, l'antico proprietario, provvide ad arricchire il locale con raffinati bassorilievi in stucco (datati alla prima età imperiale) che proponevano soggetti mitologici legati al mito di Ercole. Le figure, a detta degli archeologi, sono di stupefacente fattura, vista la finezza e la plasticità con cui sono stati rappresentati i corpi. Nuceria Alfataerna, nata alla fine del VI secolo a.C. dalla fusione di numerosi villaggi, fu prima un importante centro sannita a capo di una confederazione di città che comprendeva anche Pompei ed Ercolano. In seguito, alterne vicende di assedio, distruzione e riedificazione la videro protagonista della storia romana sino all'eruzione del 79 e oltre, quando con l'arrivo dei Longobardi, nel 603, perse diocesi e cessò la vita amministrativa. Gli scavi hanno permesso anche di recuperare numerosi reperti tra cui un grande numero di spilloni di osso e avorio, finemente lavorati, utilizzati nella preparazione delle acconciature femminili. Ancora, molte monete sia di bronzo che d'argento, ben conservate; quindi, elementi architettonici di marmo di eccellente fattura come il sostegno di un ripiano raffigurante un grifone.

08/02/2007 NUOVI SVILUPPI PER CALES

Qualcuno la potrebbe definire come una giornata storica sulla strada del recupero e della valorizzazione del patrimonio storico-archeologico dell’antica Cales: sono, ufficialmente, partiti i lavori per il recupero e sistemazione dell’area medievale di Calvi Vecchia, per i quali l’amministrazione comunale calena ha ottenuto un finanziamento di 760 mila euro. Dopo più di 20 anni di attesa, è stata, forse, scritta la pagina più importante per tramutare in realtà il parco archeologico caleno: il primo parco «on the road» poiché accomunato al programma della Società Autostrade di realizzare l’uscita autostradale Cales. Cattedrale Romanica, Dogana Borbonica e Castello Aragonese che, peraltro, dovrebbe divenire la sede del museo di Cales; quindi, saranno al centro di lavori di riqualificazione sia sotto il profilo strettamente artistico- culturale che logistico-organizzativo.

03/02/2007 CANTIERI PER SISTEMARE LE AREE ARCHEOLOGICHE A BENEVENTO

Antiche Mura, area Bagni e teatro Romano, tre delle zone più importanti della Benevento antica ritorneranno al loro antico splendore. Nel consegnare ufficialmente i cantieri, il sindaco ha affermato che l’intervento è finalizzato a: «Ridare dignità ai nostri monumenti». Il primo cittadino ha illustrato ieri mattina, nel corso di un incontro avvenuto nei pressi dell'Arco di Traiano, i numerosi interventi che il Comune di Benevento ha avviato e che investono l'intero centro storico. «Si tratta di lavori - ha dichiarato il sindaco - che superano i 25 milioni. Ma, oltre all'entità del finanziamento, va ribadita la qualità degli interventi che sono stati immaginati dai tecnici, nel corso di questi primi mesi di mandato». La prima area ha come punto centrale piazza Cardinal Pacca, dove sarà avviato uno scavo archeologico. In questo contesto sarà realizzata la "Galleria Urbis". In questa prima area è prevista, infine, la realizzazione di un belvedere che sarà ottenuto abbassando il tracciato di via Posillipo in prossimità di via Torre della Catena e consentendo di trasformare la parte terminale di quest'ultima in una piazza pedonale dove verrà riposizionato il Bue Apis. Per quanto attiene la seconda area, è prevista riqualificazione della zona prospiciente il Teatro Romano. In questa area, attraverso l'ampliamento degli scavi esistenti, si realizzerà un " Giardino Archeologico" che costituirà un ampio vestibolo urbano del Teatro Romano. La terza area interesserà i lavori di riqualificazione di calata Olivella e dell'area in cui è inserito l'antico monastero di san Modesto. I ruderi del monastero di San Modesto e la nuova "Galleria della lettura", edificio che sarà realizzato per ospitare una biblioteca e vari servizi, delimiteranno una corte trapezoidale che diverrà il cuore di Calata Olivella. In tale contesto sarà realizzata anche "La terrazza Belvedere" che sarà il terminale su calata Olivella, di piazza Orsini e da cui sarà possibile ammirare i monti che chiudono ad ovest la geografia di Benevento.

31/01/2007 ECCO IL PORTO DI VENERE A POMPEI

La notizia arriva proprio alla vigilia del convegno che farà il punto su quattro anni di scavi. A Pompei c’era un porto, duemila anni fa, proprio a ridosso delle mura di cinta e occupava tutta l’area dell’attuale piazza Esedra. Vale a dire che nella zona sottostante il tempio di Venere, sul lato Sud degli scavi, a pochi metri dall’ingresso di Porta Marina, si trovava una rada dove attraccavano barche di piccolo cabotaggio il cui compito era quello di trasbordare le merci dalle più grosse navi commerciali, costrette dalla stazza a fermarsi al largo della «Petra Herculis», la pietra di Ercole, l’odierno scoglio di Rovigliano. La scoperta è stata fatta da Emmanuele Curti, docente di Archeologia e Storia dell’arte romana all’Università di Matera, confrontando i dati emersi dalle indagini (carotaggi e analisi geofisiche) compiute a circa otto metri di profondità dall’attuale livello stradale. Le analisi effettuate dagli specialisti sui materiali trivellati hanno evidenziato le tracce di un antico letto di fiume. «Evidentemente - sottolinea Curti - il Sarno, venti secoli fa, lambiva la città». E proprio per sfruttare quella opportunità i pompeiani avevano deciso di attrezzare uno scalo. Ecco spiegato il tempio di Venere, protettrice dei marinai, i magazzini nell’area inferiore dell’edificio sacro, il Foro Triangolare e il mercato del pesce. Di questa scoperta, e non solo, si discuterà durante il convegno internazionale «Nuove ricerche archeologiche nell’area vesuviana (scavi 2003- 2006)» che si aprirà domani a Roma per continuare fino a sabato, nella Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia. Tre giorni in cui il gotha dell’archeologia internazionale sarà chiamato a illustrare scoperte, rinvenimenti, metodologie di lavoro utilizzati a Pompei, Ercolano, Stabiae, Oplontis, Terzigno, Boscoreale. Nell’area di pertinenza della Soprintendenza archeologica gli istituti archeologici di mezzo mondo: dagli inglesi ai francesi, dai tedeschi agli svedesi, agli americani, ai giapponesi, hanno difatti sviluppato indagini e fatto ipotesi ardite, ottenendo risultati eccellenti. «L’importanza di questo convegno - sottolinea con soddisfazione il soprintendente Piero Giovanni Guzzo che introdurrà i lavori subito dopo il saluto di Claudio Strinati, soprintendete del Polo Museale romano - sta in prima battuta sul livello raggiunto nella conoscenza storica e archeologica delle aree vesuviane. La soddisfazione è quella di aver potuto organizzare e coordinare un lavoro così esteso che ha portato a importanti nuove acquisizioni storiche». Così al tavolo dei relatori si alterneranno, tra gli altri, studiosi e ricercatori di prestigiosi istituti universitari, come Henrik Boman, Margareta Staub, dell’Università di Stoccolma e Istituto d’Archeologia svedese di Roma; Fabrizio Pesando dell’Orientale di Napoli; Ann Laidlaw e Marco Salvatore Stella, dell’Accademia Americana di Roma e Università di Perugia. Ancora: Filippo Coarelli, Albert Ribera da Valencia, José Uroz Saez dell’Università di Alicante, Umberto Pappalardo e Antonio De Simone del Suor Orsola Benincasa di Napoli, Satoshi Sakai e Vincenza Iorio dell’Istituto paleologico di Kyoto. E Andrew Wallace-Hadrill della Scuola Britannica di Roma, Maria Paola Guidobaldi della Soprintendenza pompeiana, Domenico Camardo dell’Herculaneum Project, il piano finanziato da David Packard attraverso il Packard Umanities Institute che sta permettendo salvaguardia e recupero degli scavi di Ercolano. «Le ultime indagini fatte nel vicolo meridionale - rivela difatti Camardo - ci hanno permesso di recuperare l’antica pendenza della città ricavando un quadro prospettico simile a quello della costiera sorrentina. In uno scavo nell’area meridionale della Casa di Telefo abbiamo intercettato, poi, un piano della domus volontariamente interrato dai romani e abbiamo riaperto i cunicoli borbonici puntellando percorsi e colonne delle case ancora interrate». Insomma, un convegno con enormi possibilità di ricaduta scientifica e culturale per Pompei e gli altri siti vesuviani. «In effetti - sottolinea Guzzo - la ricaduta c’è già, considerato che l’apertura delle aree archeologiche alla collaborazione internazionale ha fatto sì che i siti vesuviani diventassero il centro delle attività archeologiche internazionali». (Fonte: Il Mattino)

30/01/2007 ALLA LUCE LA CINTA MURARIA ARAGONESE A VIA TOLEDO A NAPOLI

Torna alla luce la cinta muraria d’epoca aragonese di via Toledo. La scoperta del complesso è avvenuta durante i lavori per la realizzazione del metrò nell’area compresa tra l’incrocio di Via Diaz e appunto via Toledo, l’arteria napoletana la cui costruzione venne iniziata dal vicerè spagnolo don Pedro Alvarez nel 1536. Una cortina difensiva possente, quella trovata nel «pozzo» della stazione della linea 1: era spessa tre metri ed era modellata «a scarpa» per meglio favorire la difesa. Per realizzarla, le maestranze si servirono di migliaia di blocchi quadrati di tufo giallo che estraevano dal sottosuolo o facevano arrivare dalle cave aperte sulle colline circostanti. Nelle intenzioni di Federico d'Aragona, che ne iniziò la costruzione nel 1499, la barriera doveva servire a rendere la città inespugnabile. «Le caratteristiche strutturali del muro, la cronologia dei materiali ceramici rinvenuti nella sua fossa di fondazione - conferma Daniela Giampaola, l'archeologa della Soprintendenza archeologica di Napoli che ha l'alta sorveglianza sul cantiere di scavo - fanno appunto ritenere che il tratto emerso sia appartenuto alla fortificazione cittadina di epoca aragonese». Gli scavi effettuati per il Metrò avevano peraltro già dato importanti risultati sottolineati dai resti degli edifici del quartiere fondato dal vicerè spagnolo agli inizi del ’500; poi, erano emerse le evidenze appartenute a un complesso d'epoca romana, forse una terma, datato al II secolo dopo Cristo. Quei reperti era importantissimi perchè segnalavano l'espansione della città verso l'area del porto e in direzione delle grandi strade di comunicazione per Pozzuoli e i Campi Flegrei. Quindi, si erano scoperti dei suoli sui quali c'erano i segni delle arature risalenti al Neolitico finale, circa 3500 anni fa, lasciate da uomini che avrebbero abitato e coltivato l’area adesso occupata dai Quartieri spagnoli. Infine, ci si era imbattuti in tracce di vegetazione risalenti al 9000 avanti Cristo: segni in assoluto di alcune tra le più antiche evidenze di età preistorica mai rinvenute a Napoli e appena successive alla fine dell’ultima glaciazione datata 12 mila anni fa. Insomma, un vero e proprio «pozzo di San Patrizio» quello scavato a Toledo che, oltre alla cinta muraria, ha svelato anche un vallone in cui si incanalavano i detriti e le sabbie che trasportati dall’acqua piovana scendevano dalle colline messe a corona attorno alla città. Tra le altre, il recupero del frontone del muraglione ha anche evidenziato numerose feritoie destinate a essere usate come postazioni per arcieri e frombolieri in caso di guerra. Federico d’Aragona ben sapeva quanto fosse importante contare su una forte barriera difensiva sia perchè allora stavano soffiando venti di guerra e sia perché aveva visto che un suo predecessore, Alfonso d’Aragona, aveva messo a ferro e a fuoco la città (Alfonso, a quel tempo, in Europa, possedeva un potenziale bellico micidiale) riducendo Castelnuovo a un mucchio di macerie. La cinta partiva dalla Porta Reale vecchia, messa in corrispondenza di piazza del Gesù, inglobava il Monastero di Santa Maria di Monteoliveto, proseguiva lungo l’allineamento che sarà successivamente ricalcato da via Toledo, e girava poi in corrispondenza di Castel Nuovo. L’opera servì a ben poco perché Napoli fu conquistata dagli spagnoli e la fortificazione non molto tempo dopo fu messa fuori uso da Don Pedro di Toledo che impostò la strada che da lui prese il nome. Adesso per quelle mura ’è un disegno che ne prevede recupero e mostra, visto che un ampio tratto sarà inserito nel progetto del mezzanino del metrò non solo quale ricordo di un fondamentale segno urbano: la fortificazione cittadina tardo - quattrocentesca, ma anche perchè «permetterà ai napoletani - sottolinea la soprintendente archeologa Maria Luisa Nava - di riappropriarsi di una altro pezzo della loro storia».

30/01/2007 E I VISITATORI INGLESI CONTRIBUISCONO AL VILLAGGIO PROTOSTORICO DI NOLA (NA)

Prima lo stupore per trovarsi di fronte a un’autentica meraviglia di età preistorica, poi la delusione per come il sito - risalente a 4000 anni - è conservato. E così hanno deciso di dare un segno tangibile dell'interesse che si risveglia intorno alle capanne dell'età del bronzo: in 15, tra turisti e studiosi inglesi, hanno versato complessivamente 750 euro e sono entrati a far parte del club «Gli amici del villaggio», l'iniziativa promossa dall'associazione di volontari Meridies per concorrere alla salvaguardia del sito. I visitatori inglesi erano giunti a Nola attraverso l'agenzia londinese «Andante Travels», specializzata in tour archeologici. E sono stati gli stessi operatori turistici a mettere mano al portafogli. D'altra parte è proprio dall'Inghilterra che arrivano i più numerosi gruppi di turisti. Da settembre ad oggi sono giunti 200 inglesi ed altrettanti sono arrivati dalla Germania. «Siamo orgogliosi - ha sottolineato intanto Alexandra Lucchetti, di Andante Travels - di poter essere di aiuto nella salvaguardia del sito». «È bello - ha evidenziato invece il presidente di Meridies, Angelo Amato de Serpis - ricevere un riconoscimento dall'estero ma è anche molto triste dover lottare, spesso invano, nella propria città». Il contributo raccolto servirà alla realizzazione di pannelli didattici. Un piccolo passo in avanti dopo la mano tesa della Provincia che ha messo a disposizione dei fondi per sostenere l'apertura settimanale del sito e l'acquisto dell'area da parte della regione Campania. (Fonte: Il Mattino)

17/01/2007 FORNACI DI EPOCA ROMANA RINVENUTE A PONTELATONE (CE)

Tre fornaci di epoca romana sono state rinvenute in località Cerri di Pontelatone lungo la provinciale Barignano-Dragoni, nel corso dei lavori di ampliamento e sistemazione della strada. Una è stata riportata completamente alla luce le altre due sono state solo contornate. I lavori, coordinati dalla Soprintendenza archeologica di Napoli, hanno condotto alla decisione di ripristino della situazione precedente con l'occultamento sotto terra delle fornaci. In molti però si chiedono perché non viene sondata la zona che presenta una tomba a pluriloculi, per metà distrutta e poco lontano, affiorante sulla superficie, una cripta paleocristiana. Inoltre tutta la rada che si inerpica verso collina che divide Pontelatone da Bellona, presenta a vista cocci di terracotta e di mattoncini. Da tempo si ritiene che quel terreno sia una vasta necropoli, come fanno supporre le tombe rinvenute nella poco distante località Cervarecce. Il rinvenimento delle fornaci rafforza questa ipotesi. Inoltre quella che ora si chiama Colla a parere di numerosi studiosi di storia locale e di storia romana sarebbe il famoso monte Callicola ove Fabio subì la beffa dei 2000 buoi da parte di Annibale. L'episodio, raccontato da Livio (XXII, 18), portò l'esercito cartaginese a liberarsi della morsa in cui era stretto da quello romano che mirava a spingerlo verso il Volturno per impedirgli ogni forma di avanzata verso Roma. Ma i buoi impazziti lanciati in una corsa sfrenata, sulle corna portavano fascine infiammate, calpestarono i legionari, terrorizzati da mostri che vomitavano fuoco e muggiti nelle tenebre, che non riuscirono a fuggire. Lo stesso Fabio, racconta Livio, non uscì dall'accampamento e non riuscì a coordinare la legione che comandava. Seppellire i morti era un dovere per gli antichi e quindi farlo sul posto - come accadde a Strangolagalli in occasione della battaglia con i Galli che diede nome a quella contrada, ove sono stati recuperati sarcofaghi in pietra viva di notevole valore archeologico oggi conservati presso l'Anfiteatro di S. Maria Capua Vetere - risultava più facile. La presenza delle tre fornaci rinvenute ne possono essere la controprova.

12/01/2007 INTESA SUL "REGIO TRATTURO"

Importante accordo fra numerosi comuni dell’Irpinia, che hanno approvato e sottoscritto un protocollo d’intesa, con lo specifico scopo di valorizzare il Regio Tratturo “Pescasseroli-Candela” (nella foto). L’iniziativa prospetta la costituzione di un vero e proprio itinerario turistico che parta dal recupero dell’antico tracciato del Tratturo, cioè la via utilizzata dai pastori per la Transumanza, per svilupparsi in una serie di interventi su tutte le infrastrutture di sostegno e di valorizzazione degli aspetti naturalistici, storici e archeologici del paesaggio irpino. Artefici di tale progetto sono i comuni di Ariano Irpino, Bonito, Casalbore, Frigento, Greci, Melito Irpino, Montecalvo Irpino, Montaguto, Savignano Irpino, Villanova del Battista e Zungoli. Gli obiettivi da raggiungere sono di grande interesse per le nostre aree: si punterà, soprattutto, a ridurre il deficit di dotazioni infrastrutturali a sostegno del turismo locale, migliorando la qualità e la quantità dell’informazione turistica. A questo si aggiungerà, la creazione di uno specifico marchio territoriale a cui dare il nome di “Terre di Transumanza”. Le iniziative proposte sono tante. Tra queste, la realizzazione nelle immediate vicinanze del Regio Tratturo, di stazioni di posta per i cavalli, a cui si affiancheranno, anche sui terreni limitrofi, aree di sosta per i turisti, attrezzate con panchine , tavoli per pic-nic, barbecue. L’attuale segnaletica turistica sarà integrata da una nuova che possa meglio specificare i percorsi e le aree visitabili con indicazione dei tempi di percorrenza e di visita. Altro obiettivo previsto nel protocollo d’intesa è quello di rafforzare i collegamenti tradizionali tra i vari comuni, con un incremento di forme di comunicazioni digitali ad alta velocità. Infine, si prevede la nascita, presso il Comune di Casalbore, di un centro di servizi turistici, come nodo principale di una rete informativa territoriale.

11/01/2007 MANCANO I FONDI PER PROSEGUIRE GLI SCAVI A NOCERA SUPERIORE (SA)

Quale sarà la sorte dei reperti archeologici scovati nell'area adiacente il Battistero Paleocristiano di Santa Maria Maggiore? Esaurita la prima trance di fondi destinati alle spese necessarie allo scavo, l'amministrazione comunale dovrà intercettarne di nuovi per proseguire e rendere fruibile l'area. I lavori realizzati fino a questo momento hanno riportato alla luce strutture e oggetti di inaspettato pregio, quasi interamente trasportate a Salerno per ovvie ragioni di sicurezza. Ma il grosso del lavoro è evidentemente tutto ancora da fare. Quanto è venuto alla luce fino ad ora, presumibilmente una villa dotata di un impianto termale, lascia supporre che, proseguendo le operazioni di scavo in direzione del torrente Cavaiola ben altre testimonianze e di ancora maggiore pregio, sia possibile portare alla luce. Ipotesi, supposizioni, sogni e speranze di un definitivo lancio del turismo archeologico della città, su cui, però, pende, impietosa, una spada di Damocle. I finanziamenti ottenuti fino a questo momento sarebbero esauriti già da dicembre. Quindi urge mettere in moto la macchina burocratica per intercettarne altri e fare proseguire i lavori, almeno nel senso di rendere fruibile l'area nel più breve tempo possibile. Nei prossimi giorni è in programma una conferenza stampa per fare il punto sulla situazione. Vi prenderanno parte gli amministratori cittadini e i responsabili dei lavori, sovrintendenti compresi, ai quali non potrà non essere rivolta la domanda unica e improcrastinabile: quale futuro per l'archeologia a Nocera Superiore?

11/01/2007 CASTELLO DI MADDALONI (CE): ORA DIVENTA UN PARCO

Sembrava una battaglia ormai appartenente alle memorie del secolo scorso. Invece, è di nuovo tempo di mobilitazione all’ombra delle torri. Con ben 57 anni di ritardo, prende corpo l’intervento giuridico per l’«acquisizione, l’azione di tutela e di conservazione del castello, delle torri medievali e del parco collinare». In discussione, da mezzo secolo, c’è l’acquisizione del diritto di proprietà sul maniero fortificato che è il simbolo e la storia stessa di Maddaloni. Fallite e archiviate ormai tutte le trattative tra il Comune e gli eredi de Sivo per un passaggio consensuale del titolo di proprietà del monumento, la strada della rivalsa giuridica è l’unica che ancora resta praticabile. Tanto che il sindaco Michele Farina ha fatto proprie le «linee giuridiche per la conservazione e la tutela del patrimonio collinare vincolato» studiate dalla Pro Loco, in collaborazione con il Gruppo archeologico Calatino «Franco Imposimato». «Oltre il tecnicismo legislativo - spiega Gaetano Giglio, vicepresidente della Pro Loco - è giunto il momento di restaurare la piena legalità nella gestione del cuore urbano della nostra città. Il ministero dei Beni Culturali obbliga i possessori dei monumenti all’attività diretta di conservazione. Ebbene, questo monumento, che vanta 23 secoli di vita ininterrotta, a partire dal primo insediamento fortificato e storicamente documentato (Tito Livio), ha conosciuto in appena 60 anni una deriva statica e ambientale che lo hanno trasformato in un rudere pericolante, contornato da un parco abbandonato». Leggi alla mano, ci sono tutti i presupposti per un’azione d’autorità ministeriale che metta fine al degrado. «Tracciata la strada - conclude Giglio - tocca al sindaco scegliere la procedura più idonea affinché il castello e il suo parco tornino alla città». Le associazioni locali, in collaborazione con il Comune, stanno costruendo una «rete di azioni sinergiche, possa finalmente portare alla tutela di questo enorme patrimonio culturale». Strategie e testimonianze sulla «questione castello» saranno rese pubbliche domani alle 18 nella Fondazione Villaggio dei Ragazzi.