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30/12/2007
CONTINUANO GLI SCAVI A CUMA
(NA)
Disabitata e in parte sommersa dalle acque del
Clanis e del Volturno per otto secoli, la città antica di Cuma è al
centro di una grande campagna di scavi. Una delle più importanti
intraprese dagli inizi del Novecento, che ha messo in luce il
fenomeno che si verificò nella città in epoca tardoantica e
altomedioevale: la trasformazione dei suoi monumenti. Riconversioni
di tipo civile, come l'acropoli modificata in castrum (castello)
bizantino, le Terme del Foro in balneum (bagni); i due templi
convertiti in chiese e la galleria stradale, Cripta Romana, in area
funeraria. E ha individuato ville marittime e strutture monumentali
che attestano l'occupazione del sito tra il sesto e l'ottavo secolo
d.C. Le ricerche, assunte dalla Soprintendenza per i Beni
Archeologici di Napoli e Caserta, si sono snodate attraverso tre
progetti - Kyme I, II, III - che hanno coinvolto le università di
Napoli Federico II e l'Orientale, e il Centre Jean Berard.
Realizzati seguendo la stratigrafia archeologica, gli scavi hanno
analizzato le varie fasi di occupazione di Cuma, distrutta il 25
febbraio del 1207 da truppe napoletane. In quella occasione però fu
assicurata la traslazione delle reliquie del santo patrono Massimo e
di santa Giuliana a Napoli. Ma si è solo agli inizi delle ricerche.
Basti pensare che finora è stato riportato alla luce solo il 15 per
cento del sito. Nel corso della giornata di studi «Cuma, tracce del
vissuto paleocristiano e medievale», promossa dalla Società In
Terras con il patrocinio della Regione e della diocesi di Pozzuoli,
sono stati illustrati i dati archeologici emersi finora. «La
topografia post-classica (cristiana, bizantina e medievale) della
città di Cuma rimane ancora da chiarire definitivamente - spiega
Paolo Caputo, responsabile per l'area archeologica di Cuma - ma con
gli scavi degli ultimi anni possiamo porre le basi per comprendere
la storia della città». Fortificata nel 558 d. C. dai Goti, passò
sotto il dominio dei longobardi e fu poi governata dai duchi di
Napoli. Furono i Saraceni, che si rifugiarono sull'acropoli, a
contribuire alla sua fine. «Le nostre indagini - afferma Priscilla
Munzi, ricercatrice del Centre Jean Berard, si sono soffermate nella
depressione situata tra il Monte Cuma e la collina meridionale». Qui
si era supposta, fino ad allora, la presenza del porto della città
antica. Le ricerche ne hanno dimostrato l'assenza, localizzandolo
invece nel lago di Licola. «I numerosi interventi sul campo -
continua Munzi - hanno permesso di osservare come l'antica baia fu
precocemente colmata da materiale vulcanico prima dell'età augustea.
E ci hanno consentito di individuare strutture monumentali e livelli
archeologici che testimoniano un'occupazione della zona tra il sesto
e l'ottavo secolo d.C.». Sono edifici imponenti ad uso abitativo che
ricoprono uno spazio piuttosto esteso, indagati finora parzialmente.
Infine, è stata accertata la presenza di graffiti monumentali con
raffigurazioni stilizzate nella Cripta Romana, nella Grotta di
Cocceio e nell'Antro della Sibilla, gallerie stradali cumane
riconvertite successivamente in aree funerarie. |
29/12/2007
NEGLI ANNI AVANZA LA
DISTRUZIONE DI SUESSOLA DA PARTE DEI TOMBAROLI
Gran parte del foro dell'antica Suessola è stato
distrutto dai tombaroli. L'amara scoperta è stata fatta dagli
archeologi dell'Università di Salerno nel corso dell'ultima campagna
di scavi terminata qualche settimana fa per la mancanza di
finanziamenti. «Un grosso escavatore ha praticamente danneggiato il
capitolio e gran parte della bellissima piazza. Lo scempio dovrebbe
essere avvenuto almeno 15 anni fa secondo le nostre analisi al
carbonio», spiega l'archeologo Amedeo Rossi dell'Università di
Salerno. La rivelazione choc è stata fatta nel corso della
presentazione della mostra «Suessula. Ambiente, architettura,
archeologia», allestita nella sala dei convegni del Castello
baronale di Acerra dalla sezione locale dell'Archeoclub. I lavori di
scavo erano iniziati subito dopo Pasqua e hanno portato alla luce
parte della basilica, del foro romano, una porticus, un sacello e un
tratto dell'antica strada lastricata, allargando il perimetro
disegnato con gli scavi iniziati nel 1999. Ed è stato proprio in
questa ultima campagna di scavo che è stato possibile quantificare e
datare i danni fatti dai tombaroli 15 anni fa. Ora la campagna
archeologica è praticamente conclusa per la mancanza di fondi e si
lavora per mettere a punto un primo nucleo del costituendo parco
archeologico. «La tranche dei 150 mila euro giunti dal Governo
servirà per la progettazione ma anche per dotare l'area archeologica
finora portata alla luce e di un sistema di videosorveglianza che
possa scoraggiare ladri e vandali», dice l'assessore alla cultura De
Laurentis. Al Comune si punta anche al recupero delle precedenti
tranche del finanziamento governativo finite erroneamente a Napoli,
invece che ad Acerra. Il primo nucleo del parco archeologico
dovrebbe essere costituito da un ettaro di superfice e doveva essere
visitabile già da questo autunno. Ma con i lavori di scavo fermi per
la mancanza di finanziamenti, tutto è slittato a data da destinarsi.
Le campagne di scavo in contrada Calabricito ripresero dopo un
secolo nel 1999. Finora sono stati portati alla luce parte del foro
romano, alcuni edifici pubblici che per il docente universitario
Luca Cerchiai: «Non hanno nulla da invidiare a quelli di Pompei». |
28/12/2007
AD ALIFE (CE) UNA NECROPOLI
MEDIEVALE DI DONNE E BAMBINI
Perché solo donne e bambini furono seppelliti in
quella necropoli medioevale trovata in piena campagna, al di là del
fiume Torano, in territorio di Alife, l’antica Allifae romana?
L’interrogativo è un vero e proprio rompicapo per gli archeologi
della Soprintendenza di Napoli e Caserta che da alcuni mesi lavorano
per recuperare i poveri resti e i materiali a corredo delle
sepolture. «È questo il particolare interessante del ritrovamento. -
conferma Enrico Stanco, l’archeologo responsabile dello scavo -
L’ipotesi su cui stiamo lavorando considera la possibilità che
nell’area fosse presente una comunità femminile». Un monastero?
Forse. Un complesso religioso dove, accanto a un settore principale
abitato da monaci, vi era un’ala meno estesa destinata alle monache?
Si saprà con il prosieguo delle indagini. Non solo. In quei locali
avrebbero anche potuto trovare asilo laiche, che in seguito
avrebbero preso il velo perché costrette da situazioni contingenti o
perché vedove con figli piccoli. Non era raro, difatti, all’epoca,
che nobildonne, rimaste senza marito e con prole, abbracciassero la
vita monastica continuando a provvedere ai figli sino alla loro
maggiore età. Ecco. In questo modo si potrebbe spiegare la presenza
dei resti di tre bambini rinvenuti sepolti assieme a ventitrè
adulte. Il fatto interessante, comunque, è che di chiunque si
tratti, quelle donne vennero sotterrate con un discreto corredo di
gioielli. In genere, l’ornamento maggiormente diffuso tra quelli che
sono stati trovati è una fibbia d’argento. A volte, la fibula, ad
anello liscio o decorato, oppure quadrangolare, in bronzo dorato con
estremità a teste di serpente, è accompagnata anche da una parure di
orecchini, in argento e con castoni, perle o pezzi di corallo che
sono andati perduti. Insomma tutto lascia pensare che se di una
comunità religiosa femminile si trattava, allora le monache
appartenevano a un ceto sociale medio alto. Fatto non raro, nei
conventi medioevali. Perché le sepolture sono tutte di quell’epoca:
1100-1200. E questo anche se in primo momento si era pensato, in
virtù di alcuni elementi rinvenuti nelle fosse, di poter datare il
cimitero in epoca diversa. Il ritrovamento, poi, di una moneta, con
data di fine 1100, e i gioielli, è il caso di una fibula risultata
simile a un finimento per cavalcatura di epoca longobarda, hanno
dunque permesso di inserire la necropoli in un intervallo preciso:
Allifae medioevale; longobarda; o anche Normanna, per meglio dire.
Perchè i ritrovamenti indirizzano a una doppia lettura e rendono
impossibile incrociare i dati visto che le tombe con le monete non
hanno gioie e quelle con i gioielli non hanno monete. Ragion per cui
o si tratta di un uso del cimitero che dal periodo longobardo arriva
sino a quello normanno, oppure i gioielli di fattura longobarda
trovati potrebbero essere stati ereditati dalle donne decedute. Alle
datazioni certe si arriva attraverso la lettura della ceramica. E in
questo caso non ci sono suppellettili, vasi o tegole: le tombe erano
coperte con legno o fascine. Le fonti storiche, dal canto loro,
segnalano la presenza in zona, e per quel periodo, di comunità
monasteriali, anche importanti. Saranno poi le indagini
antropologiche a dire quali furono le cause dei decessi. Altro
interrogativo viene proposto dal rinvenimento di chiodi di ferro in
alcune sepolture. Retaggi di un rituale, legato magari alla mansione
della defunta o un suo familiare? Forse. L’archeologia, spesso, per
dare delle risposte ai perché ammette tempi lunghi. «Stiamo
lavorando - dice la Soprintendente archeologa Maria Luisa Nava - per
chiarire completamente questa scoperta archeologica. I risultati che
avremo permetteranno di saperne di più sia sulla storia medioevale
di Alife sia circa quest’area, tanto ricca di testimonianze storiche
e culturali». |
23/12/2007
A BREVE RIAPRE IL PONTE
BORBONICO SUL GARIGLIANO
Il ponte borbonico del Garigliano, dopo nove anni
e mezzo dalla conclusione dei lavori, sarà aperto a breve anche al
pubblico. L'Agenzia del Demanio di Napoli, infatti, ha affidato la
gestione, amministrazione e fruibilità, alla Soprintendenza
archeologica di Minturnae, che si occupa
della vicina area archeologica dove sorge il
famoso teatro romano. L'importante decisione è stata comunicata
dall'avvocato Cosmo Damiano Pontecorvo, componente del Comitato per
la ricostruzione del ponte borbonico in legno, di cui hanno fatto
parte autorità casertane e pontine. «Finalmente - ha detto il legale
- la situazione si è sbloccata, visto che i lavori, curati dalla
società Adante Sollazzi di Bologna, erano terminati il 14 luglio del
1998. La ricostruzione del ponte è costata la cifra di quattro
miliardi delle vecchie lire. Addirittura, dopo la fine dei lavori,
fu anche fissata l'inaugurazione dello stesso ponte, che poi saltò
in quanto non c'era l'accordo per chi avrebbe dovuto gestire
l'opera, ricostruita uguale a quella originale. Per anni quella
meravigliosa struttura si poteva e si può ammirare solo dall'esterno
e solo il lavoro volontario della famosa «donna del ponte», la
casertana, Giulia, ha evitato che la struttura rimanesse nel degrado
assoluto. «Ora - ha detto l'avvocato Pontecorvo - aspettiamo che
l'iter dell'assegnazione venga completato, in modo che nel 2008,
finalmente, il "ponte delle fate" potrà far parte del percorso di
visite dei tanti turisti che affollano l'area aurunca». |
21/12/2007
RIEMERGE NEGLI SCAVI DI AECLANUM (AV) UNA STATUA
MARMOREA
Potrebbe essere di un imperatore romano la statua
marmorea rinvenuta, in questi giorni, ad Aeclanum, durante la
campagna di scavo finanziata dalla «Sergio Tacchini» e condotta
dalla Soprintendenza archeologica di
Avellino-Benevento-Salerno. Il manufatto, che si presenta senza la
testa e senza le gambe, risponde alle caratteristiche tipiche del
periodo che si riferisce al II secolo dopo Cristo. A prima vista, si
riconosce un mantello, che probabilmente doveva essere anche
dipinto, e la posa, che è molto simile a quella di altre statue di
imperatori romani. Sul braccio sinistro cade la toga, mentre il
destro, che doveva essere elevato in alto, in segno di comando,
sfortunatamente manca. Il responsabile della Soprintendenza,
Pierfrancesco Talamo, non si sbottona in proposito rinviando ad
ulteriori studi la individuazione del personaggio rappresentato.
Anche l'archeologo Roberto Esposito,
direttore degli scavi e scopritore della statua, preferisce non
pronunziarsi. Quando gli viene fatto il nome di Traiano, non
tradisce emozioni e ripete che saranno necessari altri accertamenti
prima di dare un nome a quel marmo. Nei pressi della statua, è stata
rinvenuta anche una fontana monumentale fatta di nicchie
semicircolari alternate a nicchie rettangolari. Lo scavo, che resta
in corso, condotto all'interno della cinta muraria dell'antica città
irpina sulla via Appia, sta fornendo eccezionali testimonianze sulla
storia di Aeclanum. Sta mostrando come doveva essere l'abitato in
epoca tardo-antica. Nella zona di scavo, le abitazioni e le strade
sembrano ricoperte da resti di pomici dell'eruzione del Vesuvio del
472 dopo Cristo. Se questo fosse vero, vorrebbe dire che già in
quell'epoca la città era in fase di abbandono. Diventerebbe reale
l'ipotesi che sia stata gravemente danneggiata dal furioso terremoto
del 346 d.C. e successivamente rasa al suolo dal sisma del 375. |
12/12/2007
SAGGI DI SCAVO A TORRE LE NOCELLE (AV)
La località Felette è
localizzata sul medio corso del fiume Calore e corrisponde ad un
ampio terrazzo tufaceo sul quale, in anni passati, è stato raccolto
materiale di superficie di età preistorica che ne attesta la
frequentazione tra il Neolitico Antico e la fine del Bronzo Medio.
Nel corso del 2007 sono stati eseguiti due saggi di scavo,
posti ad alcune centinaia di metri l’uno dall’altro.
Nel primo, al disotto delle tracce della coltivazione
dell’area nella tarda età romana, sigillate dall’eruzione vesuviana
di Pollena (472 o 505 a.C.), si è scavato un lembo di abitato
riferibile alla facies di Palma Campania (Bronzo Antico), coperto
dall’eruzione vesuviana c.d. delle “Pomici di Avellino” (circa XVIII
sec. a.C.). Lo scavo non è potuto purtroppo proseguire in
profondità, e quindi non è stato possibile indagare i livelli
sottostanti, risalenti probabilmente al Neolitico Antico.
Nel secondo saggio, al di sotto di lembi mal conservati di
abitato riferibili di nuovo alla facies di Palma Campania, sono
emersi livelli consistenti dell’occupazione avvenuta nella parte
finale dell’Eneolitico e riferibili all’aspetto campano di Laterza.
Relativamente a questi livelli, è stato possibile indagare anche un
settore di necropoli, che ha restituito tombe a fossa ellittica, con
il defunto in posizione rannicchiata. La ceramica rinvenuta è
riferibile senza dubbio all’aspetto ‘Laterza’, anche se presenta una
notevole ricchezza decorativa e formale. (Fonte:
notizia della Soprintendenza Archeologica di Avellino, Benevento,
Salerno) |
12/12/2007
ALLA LUCE NECROPOLI ELLENISTICA A SANT'AGATA DEI
GOTI (BN)
In località Cesine (frazione
di Faggiano), preliminarmente ai lavori di realizzazione della
strada provinciale a scorrimento veloce “Fondo Valle Isclero” in
direzione “Valle Caudina-S.S. 7 Appia, sono state effettate indagini
archeologiche che hanno portato alla luce un settore funerario
relativo ad una necropoli piuttosto estesa, già in parte indagata
negli anni precedenti. L’intervento ha
consentito lo scavo di numerose sepolture, disposte in filari
piuttosto regolari e paralleli, orientati in senso Est-Ovest. Il
rituale è quello dell’inumazione con il defunto deposto in posizione
supina con le braccia adagiate lungo i fianchi.
Le tombe sono a cassa di lastre di tufo, accostate e ben
lavorate, di lunghezza e spessore leggermente variabile. La maggior
parte delle deposizioni presenta un corredo ceramico esterno, posto
lungo uno dei lati della lastra di copertura, in una cavità
appositamente scavata. Tale corredo comprende spesso l’olla e
l’anfora acrome, che spesso contengono all’interno ciotole, coppette
a vernice nera, olpette o residui ossei; si tratta probabilmente di
oggetti legati al cerimoniale funebre messo in atto al momento della
deposizione, con offerte di cibo per il pasto simbolico del defunto.
Il corredo interno, invece, posto ai piedi, si compone
solitamente di un unico oggetto: un’olletta biansata (acroma o a
vernice nera) o un’olletta stamnoide acroma o un cratere di piccole
dimensioni, acromo, figurato o a vernice nera. In alcuni casi sono
associati altri vasi con funzione potoria: coppe, brocchette e in
particolare lekythoi a reticolo o a vernice nera, posti generalmente
lungo i fianchi o in corrispondenza delle braccia o delle gambe. Il
nucleo sepolcrale sembra potersi collocare entro il terzo quarto del
IV sec. a.C., in un momento quindi precedente alla deduzione della
colonia latina di Saticula nel 313 a.C. (Fonte:
notizia della Soprintendenza Archeologica di Avellino, Benevento,
Salerno) |
12/12/2007
INTERVENTI DI SCAVO NELLA NECROPOLI ANDRIUOLO A
PAESTUM (SA)
Nei mesi di maggio e giugno
2007, scavi clandestini scoperti nella necropoli di Andriuolo, nota
per aver restituito il più alto numero di sepolture dipinte di epoca
lucana, hanno reso necessario un intervento di emergenza finalizzato
al recupero delle sepolture danneggiate e depredate. L’intervento si
è concentrato nella parte più occidentale della necropoli, limitrofa
alla Strada Statale 18, a Nord-Est della Porta Aurea. Sono state
portate alla luce otto sepolture che sembrano fare parte di un unico
nucleo funerario della prima metà del IV sec. a.C.. Le tombe, a
cassa e a fossa con copertura di calcare piana o a doppio spiovente,
variamente orientate, si dispongono nello spazio tagliandosi tra
loro. Le sepolture sono risultate tutte depredate delle
suppellettili, con l’eccezione di una tomba, a fossa con copertura
piana, femminile, il cui corredo, era costituito da 12 vasi pestani
a figure rosse e a vernice nera, tre fibule ed un frutto fittile.
Facevano parte dello stesso nucleo anche tre sepolture a cassa
dipinte, purtroppo depredate dei corredi, ma egualmente interessanti
per l’eccezionalità della decorazione. Una di esse presenta, sui
lati corti, scene con caccia al cinghiale e caccia al cervo, sui
lati lunghi vasi e bende sospesi alle pareti della tomba. In
un’altra sepolture si intravede, sul lato corto della cassa, una
scena di ritorno del guerriero e su un lato lungo una singolare
figura di demone alato. (Fonte: notizia della
Soprintendenza Archeologica di Avellino, Benevento, Salerno) |
10/12/2007
CUMA
(NA): IL PARCO ARCHEOLOGICO SOMMERSO DA SPAZZATURA E DEGRADO
Il Parco archeologico di
Cuma è circondato dal degrado assoluto: spazzatura, illuminazione
carente, viabilità fatiscente. I cittadini lanciano un Sos al Comune
per porre rimedio allo stato di abbandono che caratterizza l'area,
corridoio obbligatorio per raggiungere l'acropoli e l'antro della
Sibilla. «Ogni giorno giungono turisti in auto e in pullman tra
scossoni per le buche e il lezzo di centinaia di metri di cumuli di
spazzatura assediati da cani randagi - afferma Giulia Carugno,
titolare di un bed&breakfast - l'illuminazione stradale è
inefficiente e il guard-rail ai lati delle carreggiate è
completamente divelto». Spesso i visitatori scattano inorriditi foto
alle montagne di immondizia che troneggiano lungo le strade flegree,
in netto contrasto con i siti storici e naturalistici che il
territorio, grazie al suo passato, offre. «Le automobili sono
danneggiate dalle canne sporgenti e dalla vegetazione incolta lungo
le strade - continua Carugno - Tutto ciò non fa altro che
danneggiare il turismo e la convivenza civile per una mancata
manutenzione ordinaria da parte degli enti preposti». Intanto dal
Comune, amministrato dalla triade commissariale guidata dal prefetto
Domenico Bagnato, chiariscono che «l'emergenza rifiuti ha cause
regionali e non dipende dall'ente locale. In ogni caso si sta
provvedendo alla rimozione dei rifiuti gradualmente, considerando
che il territorio di Pozzuoli conta una popolazione di 80mila
abitanti. L'allarme dovrebbe rientrare anche grazie all'avvio della
raccolta differenziata presso i ristoranti e le attività
commerciali». Ma bisogna anche chiarire che spesso in alcuni punti i
cumuli di spazzatura sono particolarmente voluminosi anche perché
c'è chi scarica dalle zone limitrofe. Di certo via Cuma, strada di
scorrimento, non raccoglie solo i rifiuti dei residenti, peraltro
non numerosissimi. «Chiediamo quindi maggiori controlli delle forze
dell'ordine - continuano i cittadini di Cuma e Licola - oppure
l'installazione di telecamere». Per quanto riguarda la manutenzione
ordinaria della viabilità, chiariscono dal Municipio che «sono
attive squadre di operai e giardinieri per migliorare la situazione
sul territorio comunale, che saranno impegnati anche nella
periferia». Sul caso interviene anche Francesco Borrelli, assessore
provinciale ai Parchi e alle aree protette: «La nostra disponibilità
nel trovare soluzioni condivise è piena. E se i cittadini ci aiutano
le istituzioni sono anche più forti nel sanzionare chi crea degrado.
Tra l'altro al riguardo ho già fatto diversi interventi presso il
Comune». Anche a Bacoli, il Movimento Popolare Cappella invia una
petizione ai sindaci di Bacoli e Monte di Procida per denunciare il
degrado che caratterizza la frazione a metà tra i due Comuni. |
05/12/2007
ERCOLANO
(NA): PRESENTATO L'ECCEZIONALE REPERTO IN LEGNO E AVORIO
Si è conservato sotto venticinque metri di
materiale vulcanico, tra acqua e fango, e per duemila anni ha
aspettato le mani dell'uomo per essere riportato alla luce. È il
trono della Villa dei Papiri di Ercolano, riaffiorato tra la fine di
ottobre e la metà di novembre in una zona distante una cinquantina
di metri dalla celebre villa, e dalla quale alcuni anni fa sono
stati ritrovati altri due magnifici reperti, una testa di Amazzone e
una statua di figura femminile panneggiata. Prezioso, regale,
decorato finissimamente con una impiallacciatura di avorio decorata
a rilievo, è il primo esempio di arredo del genere giunto fino a noi
dall'antichità. Presentato ieri a Roma nella ex chiesa di Santa
Marta. È un ritrovamento eccezionale perché di questo tipo di soglio
si conoscevano fino a ora solo riproduzioni figurative, come per
esempio il trono su cui siede Afrodite nella pittura della Villa
della Farnesina. O descrizioni letterarie. «È il primo trono
originale di epoca romana conservatosi fino a noi - dice il
soprintendente di Pompei, Pietro Giovanni Guzzo - La forma del
sedile, nonostante la ovvia frammentarietà, è immediatamente
riconoscibile». Sono state recuperate le due gambe dritte (proprio
questa particolarità identifica il soglio come un trono; le gambe di
altre sedute erano solitamente arcuate) e il tratto iniziale del
montante dello schienale. Le raffigurazioni dei rilievi contengono
molti elementi che rievocano l'atmosfera delle Attideia, le
cerimonie che commemoravano la morte e la resurrezione del dio
frigio Attis, consorte e vittima della dea Cibele, introdotte
dall'imperatore Claudio (41-54 d.C.) nel calendario romano. I lunghi
e complessi rituali si svolgevano fra il 15 e il 25 di marzo, e che
Ercolano avesse una certa familiarità con Attis è provato
dall'esistenza di un tempio intitolato a Cibele e a numerosi oggetti
ritrovati, riproducenti il giovane Attis. Dallo scavo sono emersi
anche altri reperti probabilmente attribuibili a un altro mobile.
Fra questi, un piede a forma di zampa di leone, che non si sa ancora
se sia di avorio o di corno. Delicatissimi i problemi della
conservazione: per non alterare l'habitat di provenienza, i reperti
devono essere sempre mantenuti in una condizione di umidità. A chi
apparteneva, quale era l'uso, dove fu realizzato? Per ora non è
possibile neanche fare ipotesi. «È certo che il mondo romano assunse
dal mondo greco l'uso del trono chiamandolo solium - dice Ernesto De
Carolis, responsabile del Laboratorio di restauro - Questo mobilio
divenne piuttosto comune nelle case dei romani. La preziosità dei
materiali di cui era fatto rivelava il livello sociale di chi lo
possedeva». La preziosità del trono di Ercolano e il carattere
cultuale delle decorazioni potrebbero far anche pensare a un uso del
trono nell'ambito dei culti. Gli archeologi
non azzardano congetture. «Ci stiamo interrogando - dice Maria Paola
Guidobaldi, direttrice degli scavi di Ercolano - Ogni giorno lo
scavo ci riserva sorprese, e dall'analisi dei materiali che emergono
si potrà ricostruire la sua storia». Di certo, il luogo nel quale è
stato ritrovato doveva avere un rapporto con la Villa dei Papiri. Ma
non è detto che il trono appartenesse a quella dimora. La furia
della lava potrebbe aver trascinato questa mobilia da un altro
punto, fino a quando non s'è fracassata vicino alla Villa. Ora i
lavori sono concentrati in due aree circoscritte, grandi poco più di
un metro quadrato. «Questi recuperi - dice Guzzo - ci indicano come
solamente grazie a una attività di scavo attenta e minuziosa è
possibile aumentare la nostra conoscenza della complessiva cultura
materiale delle antiche città vesuviane». |
03/12/2007
NAPOLI:
AFFRESCO TRECENTESCO RITROVATO A SANTA CHIARA
Un affresco del Trecento di
scuola giottesca, da sempre nascosto ai fedeli e ora invece visibile
in tutta la sua bellezza; un luogo di grande suggestione, la
Cappella e il Coro delle Clarisse a Santa Chiara; una storia antica.
Ieri pomeriggio, con l’intervento del cardinale Crescenzio Sepe, è
stata consacrata a chiesa con la celebrazione della Messa la
Cappella delle Clarisse dedicata al Cristo Redentore e a San
Ludovico d’Angiò. La cappella, il cui ingresso è a piazza del Gesù,
da anni ha ospitato - il Venerdì santo - il Sepolcro, ed era una
delle mete della devozione dei fedeli in quel giorno particolare. Da
due anni la cappella, sottoposta a restauri anche di consolidamento
statico, era chiusa: alla fine dei lavori, l’affresco dietro al Coro
- dove possono accedere solo le suore di clausura - è visibile anche
dalla parte della cappella ora chiesa. Il cardinale ha avuto parole
di encomio per come sono stati realizzati i restauri, curati da
Filippo Alison, professore emerito della Facoltà di architettura
della Federico II, Nicola Flora, suo allievo, ora docente
all’Università di Ascoli Piceno, con la collaborazione
dell’architetto Vincenzo Tenore (direttore dei lavori l’ingegner
Diamante Lanzillo). Alison e Flora (progettisti che hanno lavorato a
titolo gratuito) hanno raccolto l’invito della Abbadessa, suor
Chiara Paola Tufilli, di aprire il più possibile il setto murario
trasversale che per otto secoli ha diviso le Clarisse e il loro Coro
dallo spazio della Cappella aperto ai fedeli. «C’era un muro
sormontato da una grata, che impediva la visuale dei fedeli verso il
Coro, e quindi l’affresco, e viceversa. Noi abbiamo allargato il
muro, reso più leggera la grata e ricavato due “finestre” laterali,
due spazi, in uno dei quali è stato collocato il bellissimo
tabernacolo rifatto negli anni ’50 dal Martorelli, nell’altro una
piccola statua lignea della Vergine del XIV secolo. E poi abbiamo
sistemato l’altare, in bellissima pietra vesuviana, di modo che il
suo ingombro non creasse problemi di visuale ai fedeli». Sostituite
anche le travi di sostegno, le tarme e l’usura del tempo le avevano
rese inservibili. «Al loro posto - ricorda Nicola Flora - abbiamo
messo delle travi in ferro, rivestendole però di legno di modo che
l’effetto fosse lo stesso di quando il monastero di Santa Chiara fu
costruito». Nuovo il pavimento, in cotto, finanziato dalla Provincia
e fornito da Apuzzo, una ditta napoletana specializzata, che ha
prodotto le mattonelle secondo antiche tecniche artigianali. Su
tutte le operazioni c’è stata la supervisione della Soprintendenza
ai Beni architettonici, in particolare dell’architetto Maria Rosaria
Crescenzio, e dello storico dell’arte Roberto Middione per gli
affreschi, quello grande e quello di dimensioni più ridotte posto
sulla controfacciata della Cappella, entrambi di scuola giottesca.
Il primo (150 mq su una parete di 10 metri) è opera di Lello da
Orvieto e rappresenta la realtà della fede. Vi sono raffigurati i
santi fondatori dell’Ordine (Francesco, Antonio, Ludovico d’Angiò,
ovviamente Chiara), e i regnanti in preghiera: Roberto d’Angiò,
Sancha di Majorca, Carlo d’Angiò e la sua consorte, Maria. Al centro
un solenne Cristo Pantocratore assiso sulla Cattedra tra San
Giovanni Apostolo, la Vergine Maria e le altre figure. Dall’altro
lato l’affresco più piccolo, anche questo di scuola giottesca,
attribuito al «Maestro di Giovanni Barrile» e intitolato «La mensa
eucaristica con San Francesco, Santa Chiara e stemmi angioini»,
commissionato da Roberto d’Angiò (1332-1333). L’affresco grande ha
bisogno di restauri, ma mancano i fondi: suor Chiara Paola Tufilli
confida nelle istituzioni, ma anche nelle associazioni cittadine che
hanno a cuore i beni storico-artistici-monumentali della nostra
città. |
02/12/2007
CAMPANIA: ENTRO UN ANNO LA
STIPULA DI UN ACCORDO PER I BENI CULTURALI
Questo vasto programma si
realizzerà attraverso protocolli specifici per le singole città.
Quello per Napoli - fra Regione, Comune, Arcidiocesi, ministero dei
Beni culturali - è stato già firmato. Si procederà, entro un anno,
alla stipula di un accordo di programma cui aderiranno anche il
ministero dell’Università e quello dell’Interno. Per le altre città
interessate, il dicembre di quest’anno dovrebbe segnare il punto di
partenza di un analogo percorso. Si tratta indubbiamente di un
programma ambizioso dal momento che, se ben spese, queste risorse
potrebbero costituire un vero programma di rigenerazione urbana. Un
programma in grado di dare forza a quel «sistema di città» che oggi
va visto come uno dei motori dello sviluppo regionale. Non è poca
cosa: soprattutto se si evita di ridurre il tutto ad una
distribuzione a pioggia di queste risorse e si privilegiano quelle
soluzioni attraverso le quali, anche per l’esistenza di forme di
cofinanziamento pubblico e privato, è ragionevole ipotizzare che si
possa giungere a risultati di effettiva concretizzazione di poli
strategici del «sistema delle città». Risultato raggiungibile se si
mette in moto una discussione vera, fatta di competenze e conoscenze
storiche, che possa evitare stravolgimenti modernisti delle nostre
città, assicurandocene peraltro un effettivo adeguamento ai tempi.
Naturalmente tutto questo, proiettato su Napoli, acquista fascino ed
interesse, ma anche livelli singolari di problematicità e
difficoltà. Il centro storico è una realtà vasta e complessa e si
trascina il peso di discussioni lunghe ed annose che, riproposte
oggi, non servono a molto. Forse, più che la storia e le polemiche
napoletane del passato, possono essere d’aiuto le esperienze di
altri e i più attuali indirizzi di intervento sui centri urbani.
Prima di tutto c’è un concetto di base da affermare e condividere.
Il centro storico è un bene da conservare e rigenerare ma che,
proprio attraverso il suo rilancio, deve rappresentare il motore di
una ripresa anche delle zone limitrofe: deve insomma servire, nel
suo insieme, a tutta la città. Un secondo punto riguarda le attività
o le funzioni. Un centro storico come quello di Napoli non può
privilegiare sulle altre una sola funzione urbana, ma piuttosto deve
proporsi, nel suo insieme, come una parte urbana complessa, in cui
trovino posto le residenze civili, i servizi, le attività culturali,
il turismo. Una terza indicazione può riguardare i «punti di
attacco» dell'intervento, punti che debbono rappresentare pezzi di
città ristrutturati in modo compiuto ed in grado di innescare
processi di riqualificazione estesi anche ad altre parti interne al
centro storico. Ecco perché credo che sia importante pensare ad
interventi su spazi di margine: come quello della zona a monte di
piazza Dante, come quello spazio delicato e straordinario che lega
piazza Cavour a Santa Maria di Costantinopoli, come quello di piazza
Mercato con il pezzo di tessuto intercluso fra la vecchia murazione
di corso Garibaldi e il Rettifilo. Sono aree che praticamente
corrispondono ad ambiti del Piano regolatore generale e che il piano
stesso ha già individuato come aree mature alla trasformazione,
secondo indirizzi, anche funzionali, piuttosto precisi. Sono parti
chiare e definite, peraltro già di recente oggetto di un workshop
internazionale di progettazione organizzato a Napoli con il
patrocinio dell’Unesco ed i cui risultati, in corso di
pubblicazione, sono gratuitamente a disposizione di tutti. Risultati
concreti, idee realizzabili che non mettono in discussione le
previsioni di uno strumento urbanistico faticosamente messo a punto
dalla città ma anzi partono da esso per provare a prefigurare,
attraverso l’architettura, la trasformazione possibile della città.
Naturalmente si tratta solo di una proposta. Altre idee dovranno
confrontarsi in un clima di discussione civile nel quale il mondo
delle competenze - e delle università in particolare - respingendo
ogni posizione lobbistica che pure le viene attribuita, possa
mostrare segni convincenti di un impegno politico autorevole,
risolto nell’interesse collettivo. |
01/12/2007
MARIGLIANO (NA): DAGLI SCAVI
RIEMERGE LA STORIA
Millecinquecento metri
quadrati di storia. Tre civiltà e un´epoca a occupare un paesaggio
che è un patchwork temporale: età del Bronzo, sannitica, romana e
Medioevo. Quattro tombe, di cui una con un bambino sepolto in
un´anfora, tutte contrassegnate con un misterioso "logo" che
assomiglia a un labirinto. Una villa con un lussuoso ninfeo
intarsiato in marmo, protetta da un fossato. E monete, lucerne,
vetri, avori, frammenti di affresco che cominciano a rivelare
l´intervento di mani di artisti dotati, con un bellissimo vaso in
ceramica sigillata italica con una scena di vittoria in cui compare
un cammello. Questo è lo scavo archeologico in corso a Marigliano,
in via Sentino vicino alla frazione di Faibano, in una zona dove si
concentrano importanti interessi economici - a quattro chilometri in
linea d´aria dal Vulcano Buono di Renzo Piano e nel cuore di quella
che, come ha annunciato l´assessore alle attività produttive della
Regione Andrea Cozzolino, dovrebbe diventare la Città dei Fiori,
un´area di sviluppo del commercio floro-vivaistico.
La scoperta, che rivela la storia dell´antica Marilianum, delle cui
origini sannitiche finora non c´era traccia, in un´area destinata a
insediamenti produttivi, dove lo scorso giugno cominciarono dei
lavori di scavo. Le pale meccaniche inciamparono in quella che si
rivelò una vasta necropoli a due strati, quello romano più sotto,
mentre al di sopra c´era quella del primo secolo dopo Cristo. I
lavori furono interrotti ma, prima che la soprintendenza potesse
intervenire, gli abitanti della zona denunciarono furti di tombaroli
nell´area di scavo. L´interrogazione del presidente della
Commissione tutela beni ambientali in Senato, Tommaso Sodano, ha
suscitato l´interesse del ministro dei Beni culturali Francesco
Rutelli e l´ipotesi di un Parco Archeologico a Marigliano, anche con
l´inserimento nel Por 2007-2016 che ha annunciato l´assessore Di
Lello non sembra remota. «Siamo arrivati in tempo - dice il
direttore dello scavo, Giuseppe Vecchio, della soprintendenza
archeologica di Napoli - e c´è un´ottima collaborazione con il
Comune e le istituzioni. Non vogliamo bloccare il progetto di
importanti lavori che erano in corso prima della scoperta, ma andrà
rivisto nei prossimi mesi, anche se ancora non sappiamo se l´area
sarà tutta destinata alla fruizione dei visitatori oppure no. I
danni per fortuna non sono stati gravi e stiamo facendo un lavoro
eccezionale: siamo sicuri che ci saranno scoperte interessanti».
Alla ripresa dello scavo da parte degli archeologi (nella trincea è
all´opera Officina Memoriae, che ha lavorato anche al villaggio
preistorico di Nola), si è delineato un intero paesaggio storico,
dal Bronzo al Medioevo, con la villa sannitica - finora i Sanniti
non avevano oltrepassato Nola, dove fu trovata la famosa tomba dei
guerrieri con l´elmo con le antenne conservato all´Archeologico -
costruita con grossi blocchi di tufo, ampliata poi in epoca romana,
periodo a cui sembra risalire il ninfeo. La zona da residenziale
venne convertita in agricola: per oltre 60 metri si stendono i campi
arati romani, che sembrano ancora "lottizzati" come per essere
destinati a veterani. L´agro nolano diventò campagna molto
produttiva nel Medioevo. Il pavimento della villa fu sfruttato per
costruirci su una capanna rurale: nel terreno vicino sono stati
trovati noccioli di pesca e resti di frumento. Marigliano ritrova le
sue origini, finora poco leggibili, e qualche bel reperto. Come il
vaso trovato due giorni fa, ora in restauro: fatto con la ceramica
più pregiata dell´epoca romana, rivestita di rosso lucido ottenuto
con un´argilla ricca di ferro. (Stella
Cervasio da "Repubblica") |
01/12/2007
DA VILLA DEI PAPIRI AD
ERCOLANO ECCO UN TRONO LIGNEO
È un altro pezzo di storia e di cultura strappato
alla cenere del Vesuvio, quel trono in legno e avorio che dopo 20
secoli è tornato alla luce all’interno dell’area di Villa dei
Papiri, negli scavi di Ercolano. Il reperto, frammentato e chiuso in
un blocco di cenere, è riemerso dieci giorni fa in prossimità del
tunnel che mette in comunicazione la città scavata da Amedeo Maiuri
e il settore interessato ai lavori di restauro e consolidamento che
negli anni ’80 - ’90 vennero eseguiti, con fondi Fio, dall’archeologo
Antonio De Simone. L’intercetto conferma ancora una volta la
giustezza della percezioni di numerosi studiosi, tra i quali e per
primo Marcello Gigante che, avendo intuito l’importanza dell’area
attorno alla villa dei Pisoni, chiese sempre che fosse possibile
riportare alla luce l’edificio e le fabbriche vicine. Alcuni
elementi del reperto, assieme a un filmato con le fasi del recupero,
saranno presentati martedì prossimo nell’ex chiesa di Santa Marta, a
Roma, dal Soprintendente archeologo di
Pompei, Pietro Giovanni Guzzo. Con lo studioso saranno la direttrice
degli scavi di Ercolano, Maria Paola Guidobaldi e l’archeologo
Ernesto De Carolis, responsabile del Laboratorio di restauro della
Soprintendenza e tra i maggiori studiosi dei legni ercolanesi. Il
trono, secondo indiscrezioni, sarebbe assimilabile al solium
(soglio) latino, sia per le dimensioni, molto prossime a quelle di
una moderna sedia, sia perché ha spalliera e braccioli. Insomma, la
«sedia importante» dei re greci e poi degli imperatori romani. Tutto
di legno, ovviamente mineralizzato dal forte calore delle nuvole di
cenere e gas scese dal Vesuvio, salvo nei punti in cui gli artigiani
l’avevano ricoperto con applique di avorio per renderlo maggiormente
prezioso, il solium, presenta anche graffiti e scritte ancora da
interpretare. |
29/11/2007
SALERNO:
NUOVI IMPORTANTI RINVENIMENTI DEL BRONZO
Una parure di bronzo ben conservata, centinaia di
anellini per la sopravveste della tunica, fibule ben rifinite: è il
piccolo tesoretto rinvenuto in questi giorni a Fuorni, lungo la
statale Miglio dritto, il ricco corredo di una tomba femminile
risalente al IV secolo avanti Cristo. Gli archeologi
non hanno dubbi, appartiene ad una necropoli
della Facies indigena di Oliveto Cairano. Ipotesi non tanto campata
in aria, giacchè, poco più in là del luogo della scoperta, è stata
trovata un’altra tomba, gravemente lesa e priva del suo contenuto.
«Era al di sotto di un tombino - spiega Maria Antonietta Iannelli,
responsabile della città di Salerno per la soprintendenza
archeologica - Purtroppo la necropoli era in
superficie ed è stata danneggiata nel corso dei secoli in seguito
alle continue trasformazioni dell’area. Devo dire che siamo stati
fortunati a trovare quasi intatta questa tomba femminile con il suo
letto e la copertura in ciottoli quasi intatti. Peccato che manchi
il corredo vascolare». L’archeologia segna un
altro punto nel ricostruire la storia più antica di Salerno. Un
mosaico che sta, poco alla volta, ricucendo tutti i suoi tasselli.
Con sorprese incredibili che provengono soprattutto dalla zona
orientale, la Cenerentola salernitana. E se la periferia cittadina
non può vantare presenze illustri e testimonianze ricche e celebrate
come quelle lasciate dai romani, dai bizantini, dai longobardi e dai
normanni, sicuramente può vantare la frequentazione di popolazioni a
partire dalle epoche più remote. A riprova il villaggio preistorico
messo in luce nella zona industriale dove doveva sorgere la
Finmatica. «Abbiamo da un mese o poco più ripreso gli scavi -dice la
Iannelli - Stiamo lavorando congiuntamente con il Comune. Dove
l’amministrazione effettua opere di nuova edificazione o di
ricostruzione noi facciamo da apripista, verificando quanto nasconde
il sottosuolo. Sappiamo che la zona orientale è un vero e proprio
giacimento culturale, per cui siamo impegnati continuamente nella
ricognizione». Tre interventi, quello di Fuorni, sicuramente il più
importante, poi altri due cantieri a Mariconda e a Pastena. Un
accampamento archeologico tra i palazzi,
quello di Mariconda, che ha attratto centinaia di persone,
soprattutto bambini. Già, in quello spicchio di strada pronta ad
accogliere la nuova illuminazione ed i nuovi impianti fognari, è
spuntata una fornace calcara tardo antica, splendida con il rosso
dei suoi mattoni a piena vista. «L’abbiamo dovuta ricoprire per
consentire la ripresa e l’ultimazione delle opere comunali - fa
notare la Iannelli che auspica la creazione di un museo della città
- Siamo costretti, sia pur a malincuore, a questo gioco di svelare e
celare, il progresso è anche questo. Restano in ogni caso i
documenti, la mappa che stiamo tracciando dell’antica Salerno e che
attesta l’utilizzo antropico della grande arteria costiera e del suo
essere cerniera tra i monti, Fratte, Pontecagnano e la Piana del
Sele. Poi ci sono i reperti, tanti, alcuni anche preziosi, che
giacciono al momento nei nostri depositi. Insomma cerchiamo di
recuperare quel che è possibile». È quello che è successo anche a
Pastena, dove è emerso un quartiere artigiale con fornaci non solo
per l’edilizia, ma anche per l’oggetistica, attestata dalla presenza
di numerose anfore e bacili decorati. Fino ad ora un opificio simile
era stato attestato solo a Fratte. «Stiamo ancora procedendo alla
ricognizione - svela la Iannelli - Ci saranno sicuramente risultati
sorprendenti». |
25/11/2007 NUOVAMENTE FERMI GLI SCAVI A
SUESSOLA DI ACERRA (NA): FINITI I SOLDI!
Si ferma di nuovo la campagna di scavo per
riportare alla luce la vecchia Suessola. A determinare l'ennesimo
stop è la mancanza di finanziamenti destinati alla sovrintendenza
archeologica di Napoli. Ad annunciarlo è
stato l'assessore comunale ai beni culturali di Acerra,
Giovanbattista De Laurentis. I lavori erano partiti subito dopo
Pasqua avevano portato alla luce parte della basilica, del foro
romano, una porticus, un sacello ed un tratto dell'antica strada
lastricata, allargando il perimetro disegnato con gli scavi iniziati
nel 1999. Uno stop improvviso per mancanza di fondi che potrebbe
mettere in discussione il progetto di costituzione del parco
archeologico per il quale sono stati
accreditati circa 150 mila euro dal governo. «Il finanziamento
arriverà a giorni e servirà per progettare la fruibilità dell'intera
area ARCHEOlogica, anche se andrebbero recuperati i precedenti
stanziamenti erroneamente attribuiti a Napoli», spiega l'assessore
De Laurentis. Il primo nucleo del parco archeologico
dovrebbe essere costituito da un ettaro di superficie
che dovrebbe costituire il primo nucleo di un parco
archeologico e secondo i programmi doveva essere visitabile
già da questo autunno. Ad annunciarlo fu nel marzo scorso la
funzionaria della soprintendenza Napoli Daniela Giampaola,
responsabile per Acerra e per il centro storico napoletano nel corso
di un convegno sui parchi archeologici che si
tenne ad Acerra. Attualmente, con i lavori di scavo fermi, tutto è
slittato a data da destinarsi. L'intera area dovrebbe essere dotata
di parcheggio per le auto, di biglietteria e di un' area di sosta
attrezzata per i visitatori. Gli scavi finora hanno portato alla
luce parte del foro romano, alcuni edifici pubblici che per il
docente universitario Luca Cerchiai «non hanno nulla da invidiare a
quelli di Pompei». Sembra invece in dirittura d’arrivo il museo
archeologico cittadino. Doveva essere
inaugurato tre anni fa, ma poi per una serie di intoppi burocratici
e per alcuni lavori ritenuti necessari a garantire la sicurezza
della sale espositive non se ne fece nulla. Nei prossimi giorni
dovrebbero essere appaltati gli ultimi lavori e poi dovrebbe aprire
i battenti. A gestire il museo saranno il Comune e la Sovrintendenza
di Napoli a cui stata affidata la direzione scientifica. Nel museo
cittadino dovrebbero essere collocati molti dei reperti rinvenuti in
più recenti campagne di scavo risalenti al III secolo avanti Cristo. |
22/11/2007
NAPOLI: ATTI VANDALICI A PORTA
CAPUANA
Si sono introdotti, di notte, in un’area del
cantiere di Porta Capuana, dove il Comune sta effettuando scavi
archeologici preliminari per accertare la
reale sistemazione dell’area nel Cinquecento, oltre che per
verificare la probabile esistenza di un fossato antistante le mura.
I vandali sono entrati e con un palo di ferro hanno sfondato una
struttura - già ampiamente compromessa - che quasi certamente,
secondo gli esperti, era quella che dava accesso alla porta: un
ponte sul fossato, emerso dagli scavi, a dieci-quindici metri
dall’arco trionfale. «Hanno danneggiato una volta che presumiamo
appartenga al ponte - dice l’architetto del Comune che dirige i
lavori, Giancarlo Ferulano - La struttura era stata già pesantemente
danneggiata in passato, dopo alcuni lavori di realizzazione di
pozzetti di fognatura. Era stata svuotata alla base, aveva
sicuramente un punto debole e aveva già bisogno di interventi
importanti di restauro. Certo, da sola non sarebbe crollata». Un
atto voluto, conferma l’architetto. «Oltre all’affronto storico,
conta molto il brutto segnale che viene da questo episodio». Cioè?
«C’è da parte nostra il fondato timore che questi atti vandalici non
si fermino». Ieri mattina gli archeologi e
gli operai del Comune, quando sono tornati nel cantiere, hanno
scoperto subito quello che era successo durante la notte.
Immediatamente è partita la denuncia ai carabinieri, che ieri
mattina hanno effettuato un sopralluogo nell’area interessata
dall’inspiegabile episodio di vandalismo. Un gesto che ha causato
l’immediata reazione del Comune. «A seguito del gesto vandalico nel
cantiere di scavo archeologico di Porta
Capuana - si legge in una nota dell’amministrazione comunale - che
ha causato il parziale sfondamento di una volta della struttura,
emersa nel corso dei lavori e che rappresenta il possibile ponte di
accesso alla porta, si è tenuto un sopralluogo con i tecnici del
Comune e della Soprintendenza per la constatazione del danno
prodotto». L’assessore all’arredo urbano Elisabetta Gambardella
confessa il suo avvilimento. «È demoralizzante - dice - assistere a
continui atti vandalici che vanno a danneggiare interventi tesi a
rendere più vivibili luoghi di interesse storico, culturale della
nostra città. La cosa più sconfortante è che il tutto viene compiuto
quando c’è ancora l’area di cantiere a delimitare una porta di
rilevanza storica, realizzata alla fine del Quattrocento, che
consentiva l’accesso alla città provenendo da Est, da sempre
crocevia di importanti vie di comunicazione». |
15/11/2007 SPUNTA UNA NECROPOLI
GRECO-ROMANA SOTTO IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI
Basta scavare, diceva Marcello Gigante, lo
scomparso maestro di filologia e di archeologia. A Napoli, poi, se
si fa un buco in un posto qualsiasi e ci si ritrova letteralmente
nella storia. Come è capitato agli archeologi della Soprintendenza
di Napoli quando durante i lavori di ampliamento del cosiddetto
braccio nuovo del Museo nazionale si sono imbattuti in quella
necropoli situata proprio sotto il corpo di fabbrica in
ristrutturazione. Oltre cento tombe, tra le sepolture greche e le
altre d’epoca romana, capaci di raccontare sette secoli della vita
cittadina, dal IV secolo avanti Cristo al III secolo dopo, con
tumulazioni in casse di tufo, sepolture alla cappuccina o, ancora,
con gli scheletri posti in anfore spaccate a metà. L’area
sepolcrale, secondo gli esperti, fa parte di un più vasto cimitero
che potrebbe arrivare sin quasi alla zona di Capodimonte, dove c’è
l’esteso complesso delle Catacombe di San Gennaro. Un primo indizio
circa la presenza di sepolture nell’area del Museo nazionale si era
avuto alla fine dell’Ottocento, quando si rinvennero delle tombe e i
classici materiali a corredo: vasi, oggetti d'uso quotidiano e
personale. «Questo rinvenimento - spiega la Soprintendente
archeologa, Maria Luisa Nava - è però particolarmente interessante
perché ci consente di acquisire ancora altri dati sulla Neapolis
greco-romana». Alcune delle tombe, difatti, sono state datata dagli
archeologi al IV secolo avanti Cristo: hanno forma di cassa e sono
fatte con lastre o blocchi scavati, in tufo giallo napoletano. I
tufelli che le compongono, poi, in alcuni casi risultano lavorati
sul posto, visto che si sono rinvenute le scaglie del materiale
sgrossato dagli scalpellini; in altri casi, arrivavano gia squadrati
dalle cave. E forse quei segni che talvolta sono incisi sui mattoni
indicano appunto la provenienza. Nella maggioranza dei casi, le
casse , accanto agli scheletri, custodivano ricchi corredi fatti di
vasellame decorato a figure rosse, oggetti metallici e, talvolta,
contenitori in alabastro e statuette di terracotta. Solo
sporadicamente sono state rinvenute monete di bronzo o d’argento,
cadute, si ritiene, nelle tombe dai sacchetti fatti di tessuti
vegetali e appesi alle pareti delle casse. Spesso, nelle casse più
profonde, sono state trovate le tracce di letti funebri, come
segnalato dai rinvenimenti di borchie di bronzo. Insomma, è il
passato di Neapolis che torna alla luce. Il passato di una città
fatta a strati, degradante dalle colline verso il mare e che «in
epoca greca - come sottolinea James Bishop, l’archeologo incaricato
di sorvegliare i lavori - aveva il territorio urbano del tutto
simile a un immenso cimitero». Molte tombe furono riutilizzate.
Ovvero, si spostava all’esterno lo scheletro precedente o gli si
sovrapponeva il nuovo e si richiudeva la tomba. «A questa fase -
riprende la Soprintendente - appartiene anche una interessante
doppia deposizione di ossa cremate in urna». Forse la necropoli era
ancora attiva quando venne colpita dalle ceneri lanciate durante
l’eruzione vesuviana del 79 dopo Cristo: uno strato di materiale
vulcanico spesso pochi centimetri è all’esame degli specialisti per
essere correttamente datato. Oltre ad alcune deposizioni di neonati
in anfore tagliate e a poche tombe a incinerazione diretta, in nuda
terra, le sepolture riferibili al III secolo avanti Cristo sono
scavate in fossa semplice o hanno copertura di tegole a doppio
spiovente. Infine, a testimoniare la funzione sacra dell’area, ci
sono le formule con le maledizioni, scritte sulle lamine di piombo e
ritrovate custodite in vasi interrati all'esterno delle sepolture. I
napoletani di 2400 anni fa le portavano personalmente alle divinità
infernali. E non c’erano scongiuri a difesa, per il malcapitato. |
15/11/2007
ANCORA REPERTI ARCHEOLOGICI
SEQUESTRATI
Anche a largo di Positano in azione i carabinieri
del nucleo tutela del patrimonio. Sull’isolotto de «li Galli» che fu
di Nureyev, ora di proprietà di una grande compagnia alberghiera, si
sono spinti i militari alla ricerca di tracce di tesori archeologici
trafugati e immessi sul mercato delle opere d’arte rubate. A caccia
di reperti antichi messi in circolazione da tombaroli e ricettatori,
i militari hanno ritrovato veri pezzi di storia antica che facevano
bella mostra di se nelle vetrinette di lussuose ville, di resort
frequentati dalle star di Hollywood, nelle abitazioni di
rappresentanza di industriali e professionisti. Sotto i piedi,
intarsiate nel pavimento, le tessere autentiche di un mosaico
pompeiano; alle pareti, affreschi ritenuti della stessa epoca:
bellezza a portata di sguardo - ora sotto sequestro - dalla sala da
pranzo di un grande hotel di Sorrento. Tre denunce per ricettazione,
e il recupero di oltre cento reperti è il bilancio di una serie di
operazioni condotte dal nucleo Tutela Patrimonio culturale del
Comando dei carabinieri di Napoli, guidati dal tenente Carmine
Elefante. Nell'elenco, una vera lezione di archeologia classica, ci
sono un capitello corinzio, una ventina di crateri neri a figure
rosse, anfore, esemplari di kilix e dolio, bassorilievi in marmo di
epoca romana. I controlli, in abitazioni private e in alberghi di
alta categoria, hanno portato all'individuazione di materiale dal
valore inestimabile - immesso nel mercato clandestino varrebbe
diverse centinaia di migliaia di euro - che attende adesso la
valutazione della Soprintendenza archeologica di Napoli. Il
capitello corinzio viene ritrovato, lo scorso 2 ottobre, in un
negozio di Napoli. Anfore pregiate, vasellame in ceramica appula ed
italiota a figure rosse, e reperti in perfetto stato di
conservazione, vengono individuati il 24 ottobre, nel Casertano, in
abitazioni private di Marcianise e Capodrise. Cinque giorni dopo
scattano i controlli in due alberghi a cinque stelle di Sorrento e
in sull'isola «li Galli», a largo di Positano: vengono sequestrati
pregiati frammenti di affreschi e pavimenti a mosaico ritenuti di
epoca pompeiana, reperti in marmo di epoca romana, tra cui spiccano
un'erma bifronte e vari bassorilievi. |
15/11/2007
WERNER JOHANNOWSKY CITTADINO
ONORARIO DI TEANO (CE)
Una salva di applausi ha accolto ieri a Teano, sul
loggione della Cavallerizza al museo archeologico, il conferimento
della cittadinanza onoraria al professor Werner Johannowsky. Le sue
intuizioni permisero l'avvio dei primi veri scavi dai quali emersero
le tracce del passato storico di Teanum Sidicinum. A consegnargli la
cittadinanza il sindaco, Raffaele Picierno. Nella sala piena di
oltre cento esperti, presenti tra gli altri l'assessore Gian Paolo
D'Aiello fautore dell'iniziativa, il vicesindaco Carmine Corbisiero,
il responsabile del Museo, Francesco Sirano. |
14/11/2007
ECCO
IL PROGETTO DEL PARCO NELLA ZONA DELLA VILLA DEL CAPO DI SORRENTO (NA)
Presentato il progetto del Parco urbano di
interesse regionale che verrà realizzato nel sito che circonda i
Bagni della Regina Giovanna, al Capo di Sorrento. L’iniziativa è
finalizzata al recupero e alla valorizzazione del fondo acquistato
nel 2003 dal Comune di Sorrento con l’istituzione di una riserva
ambientale. Il progetto definitivo, redatto dall’ingegner Lucio
Trifiletti, è stato presentato l’altro pomeriggio ai componenti a
sindaco, assessori e consiglieri, oltre che ai rappresentanti delle
associazioni ambientaliste presenti sul territorio. Ora l’iter
burocratico prevede la presentazione dell’elaborato alla Regione
perché venga approvato. In particolare, con l’istituzione della
riserva, Palazzo Santa Lucia finanzierà il Comune di Sorrento con un
milione di euro da utilizzare per il recupero dei sentieri che
attraversano la proprietà di oltre 50 ettari, la messa in produzione
delle colture, sia agrumeto che oliveto, la salvaguardia dei reperti
archeologici risalenti all’epoca romana
presenti nell’area, la realizzazione di un impianto di illuminazione
e la ristrutturazione degli immobili esistenti che occupano una
superficie di circa 400 metri quadrati. «Il parco deve avere una
gestione autonoma per cui si potrebbero realizzare al suo interno
attività come visite guidate, vendita di prodotti tipici, spettacoli
o anche matrimoni, purché il tutto avvenga nel rispetto degli
equilibri eco-ambientali», sottolinea Trifiletti. Con la
realizzazione del Parco urbano, l’amministrazione comunale potrà
attingere ai fondi del Piano per lo sviluppo rurale per il
rifacimento dei muretti a secco, l’installazione di pannelli
didattici, il recupero della rete sentieristica, l’istituzione di
aree attrezzate per i visitatori, oltre ad un centro per il recupero
della fauna selvatica, l’introduzione di colture biologiche e
interventi per la prevenzione degli incendi boschivi, mentre risorse
del Por 2007-2013 sarebbero utilizzate per le attività di promozione
turistica. «L’amministrazione comunale – spiega il sindaco Marco
Fiorentino – potrebbe valutare, caso per caso, se predisporre
eventuali finanziamenti in proprio una volta avviato il parco.
Intanto, la priorità è la messa in sicurezza dell’area, anche per
quel che riguarda la parte a mare». C’è anche la possibilità di
altri progetti: «Potremmo prevedere – aggiunge il sindaco Fiorentino
– un accordo con l’imprenditrice alberghiera Teresa Naldi per una
convenzione che renda fruibile anche il fondo confinante di sua
proprietà dove sono presenti alcuni cisternoni romani di notevole
pregio archeologico». Le associazioni
ambientaliste chiedono però l’introduzione di alcuni paletti. «È il
caso – propone Andrea Fienga del Wwf - di creare un regolamento per
la gestione e la fruizione dell’area», mentre Massimo Maresca di
Italia Nostra ha auspicato «la garanzia del rispetto dei vincoli
ambientali ricadenti sull’area». Entrambe le proposte hanno trovato
l’approvazione degli amministratori comunali. |
14/11/2007
UN ANTICO PERCORSO DETURPATO
DAL DEGRADO A TEANO (CE)
Quando i lavori pubblici si dimostrano inutili,
dannosi e come se non bastasse i privati ci mettono lo zampino
peggiorando la situazione. Questa è la giusta premessa per
descrivere, oggi, l'antica via Molara, strada di elevato interesse
archeologico, protetta da una serie di
vincoli della Soprintendenza, ma inverosimilmente in degrado. La via
che conduce al cratere di Monte Lucno sulla catena vulcanica di
Roccamonfina è ora interessata da un cantiere preliminare ad un
progetto di riqualificazione. Ma contemporaneamente è martoriata, da
oltre una settimana, da una perdita d'acqua che defluisce da una
condotta che a tratti la percorre in senso longitudinale. Non è
finita. Anche quindici anni or sono fu interessata da lavori di
regimentazione delle acque pluviali. Ebbene, forse il progetto
iniziale, sicuramente il tempo e il disinteresse istituzionale hanno
svelato che quelle opere non erano la giusta soluzione. Anzi, la
situazione è via via peggiorata. E siamo a oggi, con un nuovo
progetto che promette soluzioni adeguate sia per il recupero del
prezioso sentiero che per l'ennesima opera di regimentazione. E a
tale proposito le idee dei preposti non sembrano molto chiare. Ma,
forse, proprio questo può costituire un punto a vantaggio di uno
studio più approfondito alla ricerca della situazione migliore. A
confermarlo sono sia il sindaco di Teano Raffaele Picierno che il
responsabile dell'ufficio tecnico comunale Fulvio Russo. «I cantieri
in atto rientrano nelle prescrizioni preliminari per l'attuazione
del progetto di recupero di via Molara - precisa Picierno -.
Utilizzando i fondi Pit ammontanti a circa 400mila euro contiamo di
recuperare anche la stradina che risalendo a sinistra il fiume
Savone conduce alla sorgente delle Caldarelle. A proposito, anche da
Via Molara è possibile accedere all'acqua ferrata. Perché non ha
funzionato la vecchia regimentazione? Beh, a mio avviso per assenza
di manutenzione». «Sì, esiste già un preciso progetto per
l'incanalamento delle acque, ma ciò non significa che non possa
essere modificato sfruttando i vecchi scarichi. Sia inteso, qualora
ci accorgessimo della loro non solo esistenza ma anche efficienza.
Anche a questo servono i sondaggi portati avanti in questi giorni».
Netta diffidenza tra qualche residente. Il signor Elio Sasso, per
esempio, è convinto che rinunciare agli antichi scarichi delle acque
meteoriche significhi ripetere esattamente gli errori del passato. |
13/11/2007
AVERSA (CE), SBARRATE LE PORTE
DELLE CHIESE DI PROPRIETA' PUBBLICA
«Se dovessimo fare affidamento sui fondi pubblici
per il restauro delle chiese aversane, sarebbero già tutte chiuse da
un pezzo». Monsignor Ernesto Rascato, responsabile regionale e della
diocesi normanna per i beni culturali religiosi, non lo dice in
maniera netta, ma tra le righe delle sue dichiarazioni si capisce
che lo Stato, la Regione e il Comune non hanno affatto a cuore le
chiese aversane. Eppure i luoghi di culto sono stati da sempre un
vanto per Aversa che è conosciuta sin dall'ottocento anche come la
città delle cento chiese. Un patrimonio inestimabile che potrebbe
fare la differenza con altre città molto più quotate a livello
turistico e dare vita ad un indotto in grado
di risollevare le sorti di un'economia cittadina sempre più
appiattita da centri commerciali che sorgono come funghi a pochi
chilometri dal centro cittadino. «La nostra è una voce inascoltata
da tutte le istituzioni e a tutti i livelli. Era meglio quando non
avevamo rappresentanti a livello nazionale, giungevano più fondi. Lo
Stato (e in verità nemmeno Regione e Comune) - afferma un monsignor
Rascato piuttosto seccato per quanto sta avvenendo - non concede
fondi da tempo per le chiese di proprietà della diocesi. In zona
ricordo solo il comune di Casaluce (grazie ai commissari prefettizi)
che ha concesso un contributo per il restauro della chiesa di Maria
Santissima di Casaluce, compatrona della diocesi». zLe nostre
chiese, quelle di proprietà della diocesi - continua il Rascato -
sono tutte aperte. Ad avere i battenti chiusi sono le chiese di
proprietà pubblica. E si tratta di veri e propri gioielli che sono
chiuse al culto da tempo immemorabile». Tra esse quattro monumenti,
quattro pezzi di storia cittadina che non possono assolutamente
continuare ad essere ignorate pena l'impossibilità di recuperarle e
restituirle alla città. La chiesa del Carmine, nella piazza omonima,
di proprietà del demanio (ministero delle finanze), è chiusa e non
si intravede possibilità di riapertura in tempi brevi, nonostante
sia stato fatto un convegno sul riutilizzo dell'intero complesso,
già caserma di cavalleria, oltre che convento. Santa Maria degli
Angeli, invece, è la chiesa annessa a quella parte dell'ospedale
psichiatrico giudiziario Filippo Saporito ed è contigua alla scuola
sottufficiali di polizia penitenzia, di proprietà, ovviamente, del
ministero della giustizia. La chiesa della Maddalena, annessa
all'omonimo ex manicomio civile, che, attualmente ospita uffici ed
ambulatori dell'Asl Ce2, di proprietà della Regione Campania, è
quella più malconcia, con il tetto completamente sfondato. Infine,
la chiesa di San Domenico, di proprietà del Fec (un fondo per i
luoghi di culto che fa capo al ministero degli interni), ha
usufruito del restyling della sola facciata. |
13/11/2007
SORPRESE CONTINUE DAL RESTAURO
DELLA CHIESA DI MASSAQUANO A VICO EQUENSE (NA)
Non finisce di riservare sorprese il restauro
della cappella di Santa Lucia a Massaquano, un autentico scrigno
d'arte che custodisce il ciclo pittorico del quattordicesimo secolo
più completo della costiera sorrentina. Nel corso degli attuali
interventi di preservazione del monumento, finanziati con trentamila
euro dalla Soprintendenza ai beni architettonici ed al paesaggio con
fondi del ministero dei Beni Culturali, sono emerse interessanti
tracce pittoriche nella lunetta esterna alla cappella, sita
nell'area che sormonta via Santa Caterina. Nella parte inferiore
della lunetta, che presenta lo stile gotico del XIV secolo, sono
state rinvenute delle tracce originali di colore con raffigurazione
parziale di Santa Lucia e con il simbolo iconografico, gli occhi che
ricordano il martirio, della celebre vergine di Siracusa. Oltre a
questo intervento che sta rivalutando l'esterno della cappella le
operazioni di restauro coordinate da Cinzia Giacomarosa ed eseguite
unitamente a Emanuela Cetrangolo e Daniela Di Leo hanno interessato
il portone in castagno del monumento, restituito all'originale
colore. Evidenziati, grazie alla rimozione dello strato di vernice
verde, le linee architettoniche gotiche della massiccia struttura
dove sono state scoperte due finestrelle con croce lignea centrale
che permettono di scrutare all'interno della cappella ammirandone la
parete frontale con le varie scene affrescate. Ai lavori che hanno
riguardato il portone ha collaborato anche l'artigiano locale
Vincenzo Esposito su invito del parroco don Antonio Guida, artefice
fin dal 1986, dopo un oblio di oltre un secolo, del ritorno alla
luce e del restauro degli affreschi di scuola giottesca della
cappella ubicata nel centro della frazione di Massaquano. Nella
prossime settimane è prevista la conclusione dei lavori, in modo da
permettere i riti della festa di Santa Lucia, tra cui il pittoresco
lancio delle «nocelle», che ricordano le pupille delle santa, dal
tetto della cappella. Gli interventi in corso stanno riguardando
anche l'estrazione dei sali superficiali comparsi in parti degli
affreschi ed il consolidamento e fissaggio di alcune parti di colore
ed intonaco, con ritocco delle superficie dipinte. Inoltre, eseguiti
gli interventi portalino di ingresso della cappella, elemento
architettonico realizzato all'epoca in tufo grigio. «Con questi
ultimi restauri - afferma don Antonio Guida - la cappella sta in
parte riacquistando l'antico splendore, restituendo agli
appassionati d'arte altre tracce significative del nostro passato».
Un monumento unico nel suo genere, sorto nel 1385 grazie al
presbitero Bartolomeo de Cioffo, antenato della famiglia Cioffi che
per secoli ha avuto il patrocinio della cappella, ubicata in un'area
dove sono molteplici i beni architettonici da valorizzare. Non a
caso il Comune ha da tempo progettato un intervento di
riqualificazione urbana di tutta l'area del centro di Massaquano:
«Si tratta di un insediamento urbano - afferma Ida Maietta,
responsabile di zona della Soprintendenza - molto interessante per
la presenza di stratificazioni monumentali che testimoniano il
passaggio di vari stili artistici legati a diverse fasi di sviluppo
sociale». |
12/11/2007
SI COMINCIA A LIBERARE LE
CISTERNE ROMANE DI CAIAZZO (CE)
Da due giorni perlustrano i sotterranei di piazza
Giuseppe Verdi, a Caiazzo, ritrovando ambienti di epoca romana: sei
grosse camere comunicanti tra loro da numerosi cunicoli.
L’operazione è iniziata con l’intervento dei vigili del fuoco e
della protezione civile, che hanno svuotato un antico pozzo con
l’aiuto di pompe che hanno per circa 5 ore prelevato 250 mila litri
d'acqua. Poi è stata la volta degli speleologici del Gruppo Matese e
del Gruppo Grottaferrata 2007 (Natalino Russo, Antimo Peccerillo e
Manuela Merlo) i quali si sono calati alla profondità di 10 metri
per constatare e fotografare lo stato dei luoghi. Tutto ciò è stato
possibile grazie al Comune di Caiazzo e alla Soprintendenza
archeologica all’indomani del ritrovamento di reperti di epoca
romana in piazza Verdi durante i lavori di ristrutturazione di uno
stabile per la realizzazione di un centro polifunzionale per
anziani. Ieri mattina altro sopralluogo da parte del responsabile
del settore archeologico della Soprintendenza, Antonio Salerno. Nei
prossimi giorni si conoscerà l’intenzione della Soprintendenza se
recuperare l’intera area di piazza Verdi e renderla fruibile ai
visitatori. |
11/11/2007
SPUNTANO MURA ROMANE A NOCERA
SUPERIORE (SA)
Una serie di opere murarie parallele al percorso
della statale 18 sono venute alla luce durante le operazioni di
scavo per la realizzazione della rete fognaria a Nocera Superiore.
rispettando in pieno le previsioni degli esperti, non si è dovuto
attendere molto perché si trovasse qualcosa di interessante durante
i lavori che stanno riguardando la Statale 18 nel tratto che
attraversa Nocera Superiore. I responsabili della Castalia, la ditta
appaltatrice dei lavori, si sono imbattuti nei reperti
archeologici durante i lavori che stanno
interessando il tratto della statale all'altezza del quartiere
Pareti e per evitare di recare danno alle preziosissime strutture,
hanno provveduto a coprirle e ad allertare immediatamente i
responsabili della Soprintendenza ai beni
archeologici della Provincia di Salerno. Saranno infatti
questi ultimi, sotto la direzione dell'archeologa
Teresa Virtuoso, nominata responsabile del procedimento
dall'amministrazione Montalbano, a condurre uno studio per stabilire
l'epoca a cui le mura risalgono e per tentare di individuare la
funzione dell'opera stessa. «Non possiamo fare per il momento
ipotesi precise sulla natura dei resti - ha dichiarato la dottoressa
Laura Rota, responsabile della Soprintendenza - poiché bisogna
ancora valutare tanti elementi». Questo "inconveniente" ha
determinato il momentaneo blocco dei lavori, ma il sindaco si è
premurato di rassicurare i cittadini, rendendo noto che i lavori
stanno proseguendo lungo il resto del percorso. Sarà il responso
dello studio appena iniziato a determinare il livello di importanza
della struttura e a determinare le sorti che essa subirà. La
speranza è che non si debba procedere a ricoprirla e che, in qualche
modo, possa andare a costituire un altro tassello del ricco tesoro
archeologico di cui la città di Nocera
Superiore è ricca. |
11/11/2007
ARRESTATO A SERINO (AV)
ANTIQUARIO CHE VENDEVA ANFORE GRECHE
Crateri e vasi apuli risalenti al IV secolo avanti
Cristo erano finiti in un borsone chiuso ermeticamente nel
doppiofondo di un armadio. Con questo stratagemma un 40enne di San
Michele di Serino, residente in via Zappelle, aveva pensato di
occultare all'interno del suo laboratorio di restauro un patrimonio
di rara bellezza e dal valore inestimabile. Probabilmente la
refurtiva, proveniente dall'antica Apulia, l'attuale Puglia, era
pronta ad essere venduta al migliore offerente. A riportare alla
luce del sole i preziosissimi reperti, però, ci hanno pensato i
carabinieri di Avellino, diretti dal capitano Nicola Mirante, e
quelli della stazione di Serino, coordinati dal maresciallo Genovino
Moschella. I militari dell'Arma, l'altra sera, hanno fatto irruzione
all'interno del laboratorio. A condurli sul luogo del ritrovamento
sarebbe stata un'attività di indagine partita da molto lontano e che
già in passato avrebbe visto il 40enne sanmichelese al centro di
simili reati. Sta di fatto che, dopo un'accurata perquisizione, i
carabinieri hanno posto sotto sequestro dei crateri e dei vasi apuli
risalenti all'epoca ellenica, finemente decorati con figure
mitologiche greche. Cinque gli oggetti sequestrati che sono stati
così catalogati dagli uomini del comando tutela patrimonio culturale
dei carabinieri e della Soprintendenza per i beni
archeologici di Avellino: un oinochoe a figure rosse e
bianche con raffigurazione di scena teatrale, produzione magno-greca
di area apula, IV-III sec. a.C.; un'anfora biansata tipo nolano a
figure rosse e bianche, produzione magno-greca di area apula, IV-III
sec. a.C.; un'anfora monoansata a figure rosse e bianche, produzione
magno-greca di area apula, IV-III sec. a.C.; un'anfora monoansata a
figure rosse e bianche, produzione magno-greca diarea apula, IV-III
sec. a.C.; un cratere a campana a figure rosse e bianche, produzione
magno-greca di area apula, IV-III sec. a.C.. Dinanzi a questo
rinvenimento il restauratore con la passione dell'antico, già noto
alle forze per qualche precedente specifico, non ha saputo fornire
spiegazioni in merito al possesso ed alla provenienza del materiale.
Da qui la decisione dei carabinieri di deferirlo all'autorità
giudiziaria per ricettazione e detenzione illecita di materiale
archeologico. All'interno del locale, però,
va detto che sono state ritrovate anche delle altre fotografie sulle
quali sono apparsi visibili altri oggetti tutti ricollegabili alla
stessa epoca ellenica. Quanto basta per innescare il naturale
sospetto sulla presenza di un vero e proprio catalogo per
ordinativi. Per questa ragione le indagini coordinate dal
procuratore della Repubblica di Avellino, Mario Aristide Romano, e
svolte ancora tuttora in stretta collaborazione con il comando
tutela patrimonio culturale dei carabinieri e la soprintendenza per
i beni archeologici di Avellino, potrebbero
riservare nuovi ed importanti sviluppi. In queste ore, infatti, gli
stessi inquirenti oltre ad accertare la provenienza furtiva degli
oggetti stanno cercando di risalire ad eventuali complici del
restauratore di San Michele di Serino. Ben
occultati e al riparo da occhi indiscreti i cinque vasi antichi
erano nascosti in un borsone, e sistemati sotto un mobile. Con ogni
probabilità i reperti archeologici, di
notevole valore artistico, erano già stati "piazzati" e l'acquirente
avrebbe potuto ritirarli in questi giorni. Ovviamente sono solo
delle ipotesi sulle quali i carabinieri della compagnia di Avellino
stanno ora indagando. Il valore, nell'ambito dei commercianti di
opere d'arti illegali, non supera i 50mila euro, ma il prezzo era
destinato notevolmente a salire una volta venduti ad esperti
collezionisti. Infatti i vasi recuperati dai carabinieri della
stazione di Serino, considerato il valore, sarebbero potuti essere
acquistati solo da esperti. Di certo l'acquirente aveva visto i
cinque reperti archeologici su delle
fotografie, poi una volta accertata l'originalità aveva preferito
vederli da vicino. Una trattativa, con ogni probabilità, stroncata
sul nascere. «Questa operazione - ha commentato il comandante
provinciale dei carabinieri, colonnello Giammarco Sottili - si
incardina nella lotta contro il commercio illegale di opere d'arte
appartenenti al patrimonio dei beni artistici dello Stato.
Attraverso l'ausilio dei carabinieri del reparto patrimonio
culturale, i cinque vasi stanno per essere catalogati ed inseriti in
quella che è la banca dati più grande del mondo. Ora bisogno
accertare se le opere d'arte siano state trafugate in qualche museo,
o presso degli scavi archeologici. Fatto sta
che la persona che abbiamo denunciato non ha saputo fornire
indicazioni sulle modalità di acquisto, come è previsto dalla
legge». Quello di ieri rappresenta uno dei maggiori recuperi di
opere d'arte rubate. Si pensa che siano giunti ad Avellino dalla
Puglia. Un commercio molto redditizio che avviene in una prima fase
attraverso fotografie. Solo dopo che gli acquirenti, solitamente
esperti collezionisti, si mostrano interessati alla merce proposta,
i pezzi rari e illegali si materializzano. Stando al materiale
sequestrato nella bottega e nell'abitazione dell'artigiano, gli
inquirenti sospettano che era possibile far giungere ad Avellino, su
richiesta, ancora altri oggetti preziosi. Infatti sono decine le
fotografie ritrovate, che ritraggono vasi antichi e statuette di
marmo. Si indaga ora per capire chi avesse commissionato i cinque
vasi di inestimabile valore. |
11/11/2007
ARRESTATI PREDATORI SUBACQUEI
DI REPERTI A CAPO MISENO (NA)
Una mattinata movimentata al largo di Capo Miseno:
sotto il mare falsi turisti con mute e bombole stavano saccheggiando
il sito archeologico sommerso del mitico
porto romano. E sotto il mare si sono imbattuti in altri sub che
però sul petto avevano la scritta «carabinieri» e sul cappuccio la
fiamma d’argento. Sorpresa: i predatori venuti dal Belgio avevano
scelto una giornata di mare forza 5 per essere più sicuri di agire
indisturbati. I militari della motovedetta dalla compagnia di
Pozzuoli assieme a quelli del nucleo carabinieri subacquei di Napoli
invece sono arrivati con il gommone e li hanno colti in flagrante,
mentre con un rastrello facevano a pezzi le anfore e la storia per
portare a casa frammenti - ne avevano già messi da parte 38 - da
collocare sul mercato clandestino o da consegnare a chissà quale
committente straniero. La barca, un 16 metri di nome «Primavera»
attrezzato con verricelli e scandagli per esplorare e depredare i
fondali, era già stata fermata per un controllo a maggio al largo di
Ischia. Poi era sparita nel nulla. Quando, qualche giorno fa, è
ricomparsa, i militari hanno subito rafforzato la sorveglianza. E si
sono attrezzati per intervenire. È scattata così l’operazione del
comando provinciale dei carabinieri guidati dal colonnello Gaetano
Maruccia. Appena in tempo per evitare altri danni: oltre a spaccare
dolia e vasetti la banda aveva scavato anche nella zona dei moli in
legno, riportandone alcune parti in superficie. Che è come scrivere
una condanna definitiva: fuori dal fondale sabbioso quel legno è
destinato a marcire. Forse i tombaroli cercavano statue simili a
quelle rinvenute nella zona qualche tempo fa, e che i ricettatori
avrebbero pagato qualsiasi prezzo, o forse speravano di essere
talmente fortunati da trovare reperti in metallo. Possibile, in un
braccio di mare supertrafficato fin dall’antichità da imbarcazioni
che trasportavano di tutto, dai dobloni d’oro alle opere d’arte, dal
vino all’olio ai tessuti alle spezie. Sei piccoli «cantieri» di
scavo, dai 3 metri e mezzo agli otto metri di pronfondità, erano
stati aperti con una tecnica che pregiudica definitivamente la
leggibilità del sito. Sbancando fino a un metro e mezzo il fondale,
i predatori di storia hanno mescolato oggetti finiti sul fondo del
mare in epoche diverse. I cocci appoggiati su un lato delle buche
sono stati collocati dagli archeologi che li
hanno poi esaminati in un periodo che va dal I secolo avanti Cristo
al IV dopo Cristo: uno scarto enorme. Colpa della fretta più che
dell’ignoranza: i cinque arrestati per gli inquirenti dimostrano
anzi di conoscere bene la materia. A bordo dell’imbarcazione riviste
specializzate, la stessa individuazione dell’area esatta in cui
cercare non è cosa da sprovveduti. Uno della gang, inoltre, parla
anche l’italiano. John Mary Swinnen 60 anni, Frank Van Frausum, 39,
la 42enne Tom Yingdee, Constant Serneels Gommaar 51 anni, Eduard
Josephine Bal Willy, 69 anni i nomi degli arrestati. Ufficialmente
erano in Italia per motivi turistici. Sulle loro attività in patria
si sta ora indagando tramite Interpol. Non è escluso che si tratti
di insospettabili appassionati d’arte. |
11/11/2007
I RESPONSABILI DELLA TUTELA
CHIEDONO UN CONFRONTO CON PALAZZO SAN GIACOMO SU LICENZE E CONTROLLI
Il mercato abusivo, disperato e selvaggio non è
soltanto violazione delle regole ma anche offesa alle città d’arte:
tanto che il ministro per i beni culturali, Francesco Rutelli, è
sceso in campo con una circolare alle direzioni regionali e alle
soprintendenze invitandole a ristabilire la dignità dei luoghi
attraverso un confronto con i Comuni, la revisione delle
autorizzazioni concesse agli ambulanti, il controllo a tappeto
contro ogni forma di illegalità. E la risposta da Napoli è
immediata. Gli enti che tutelano centro storico, siti
archeologici, monumenti e musei si dicono
pronti a intervenire con tutti gli strumenti in loro possesso, non
esclusa l’imposizione di nuovi vincoli sulle aree di pregio. Per la
«grande pulizia» Rutelli fissa anche il tempo a disposizione: un
mese. Sarà sufficiente per un’inversione di tendenza? «Più che
sufficiente - è la replica di Vittoria Garibaldi, da due mesi
direttore regionale dei beni culturali - avevo già chiesto alle
soprintendenze di inviarmi una relazione dettagliata sullo stato dei
luoghi d’arte, chiedendo ragione del personale impegnato, dei
servizi offerti, del volume di visitatori ma anche del contesto
ambientale. Poiché non tutte mi hanno risposto, le inviterò a
provvedere al più presto. Completato il monitoraggio, solleciterò un
tavolo di confronto con gli enti locali per studiare le opportune
contromisure. Le autorizzazioni vengono rilasciate dai Comuni, ma le
soprintendenze possono intervenire direttamente sulle aree vincolate
e imporre nuovi vincoli laddove ce ne sia bisogno. Sono tornata in
questa città dopo qualche anno di assenza e la trovo sempre
affascinante, però la ricordavo più attenta al rispetto e al decoro
dei luoghi: dobbiamo riprendere possesso delle strade di Napoli,
attraversarle senza sentirci in difficoltà». Più che soddisfatto
dall’intervento di Rutelli anche Nicola Spinosa, soprintendente al
Polo museale: «Basta guardare lo scempio all’ingresso della Reggia
di Caserta e degli scavi di Pompei, completamente invasi da
mercanzie abusive, per rendersi conto che non si può restare con le
mani in mano. Ai cancelli di Capodimonte, per fortuna, non abbiamo
la stessa emergenza. Nemmeno gli abusivi si accorgono di noi...».
Una nota polemica, se pure accompagnata da un sorriso, per
riallacciarsi al tema che gli sta più a cuore: la posizione
decentrata del museo rispetto ai percorsi turistici e la necessità
di potenziare la rete del trasporto pubblico sulle rotte dell’arte,
prevedendo un collegamento in metrò con l’Archeologico.
Pronto a confrontarsi con il Comune sul tema degli ambulanti,
abusivi e non, il soprintendente per i beni ambientali e
architettonici Enrico Guglielmo: «Posso citare molti esempi di zone
vincolate che vengono quotidianamente offese dal commercio senza
regole. Il corso Garibaldi, sotto tutela perché a ridosso
dell’antica cinta muraria; il corso Umberto e via Toledo, percorsi
strategici del centro storico, dove è ormai impossibile camminare
sui marciapiedi senza inciampare nelle mercanzie; l’area compresa
tra piazza San Gaetano e San Gregorio Armeno, dove lo scempio si
consuma a Natale con una folla di bancarelle presepiali disordinate
se non addirittura indecenti». |
10/11/2007
RECUPERATI I TERRENI A RIDOSSO
DEGLI SCAVI DI ERCOLANO (NA)
Accordo raggiunto tra la
Sovrintendenza archeologica di Pompei e i coloni dell’area a ridosso
del parco archeologico: da due giorni infatti l’Ente ha preso
possesso dell’area demaniale posta a monte dalla zona dove
attualmente c’è il parcheggio riservato ai dipendenti: lì sorgerà
un’area verde attrezzata, destinata a diventare un parco pubblico.
La procedura ha subito molti rinvii, l’ultimo lo scorso 24 ottobre,
quando la presenza di animali e attrezzi agricoli di proprietà dei
coloni impedì alla Sovrintendenza la presa di possesso dell’area. Un
incontro tenutosi lo scorso 5 novembre presso la sede
dell’assessorato al Lavoro e alla Formazione della Regione Campania,
al quale parteciparono anche il sindaco di Ercolano Nino Daniele, il
sovrintendente Pietro Giovanni Guzzo, il deputato di Rifondazione
Comunista Salvatore Iacomino, il consigliere regionale Luisa Bossa e
una rappresentanza dei coloni, ha posto fine alla querelle tra le
due parti: su proposta del sindaco Daniele, ai coloni è stato
garantito lo sfruttamento dei terreni a valle del parcheggio dei
dipendenti fino al prossimo 26 giugno, dove sono in corso
coltivazioni florovivaistiche e agricole, mentre gli assessorati
regionali alla Formazione e alle Attività produttive hanno
programmato il ricorso a procedure e risorse disponibili per quanto
avviene in merito a incentivi, formazione e accompagnamento delle
nuove attività aziendali che saranno collocate in aree diverse da
quelle attuali, di concerto con il Comune: «Siamo soddisfatti
dell’accordo», spiega Angelo Loiacono». Gli accordi dovrebbero
quindi salvaguardare le quattro abitazioni presenti e le trenta
unità lavorative impegnate nel campo agricolo e della floricoltura:
«Siamo alla ricerca di terreni disponibili e idonei dove poter
trasferire le nostre attività lavorative - prosegue Loiacono -
nell’area che va da Via Benedetto Cozzolino fin verso le pendici del
Vesuvio». I terreni erano coltivati dai coloni dal lontano 1920,
quando furono presi in fitto dal marchese De Bisogno, nell’area in
cui sorgeva una masseria. Nel 1950 i terreni passarono in possesso
della Soprintendenza archeologica di Napoli che le fittò ai coloni
Pasquale Ruggiero e Vincenzo Scognamiglio: oggi le terre interessano
proprio l’area dove sorgerà il parco urbano (i lavori saranno
consegnati l’8 giugno 2008) e il nuovo ingresso degli Scavi.
Soddisfazione anche dal sindaco di Ercolano Nino Daniele: «Sarà
realizzata un’opera fondamentale per la valorizzazione degli Scavi -
dice il primo cittadino - e per l’integrazione del parco
archeologico con la città stessa». |
8/11/2007
REPERTI ARCHEOLOGICI RINVENUTI
NELL'EX PALAZZO IPAI A BENEVENTO
Il rettore
dell'Università del Sannio Filippo Bencardino,
durante un convegno, ha annunciato le
problematiche che stanno emergendo durante la ristrutturazione
dell'edificio ex Ipai, acquistato dall'Università. Sono stati,
infatti, ritrovati dei reperti archeologici e
i lavori potrebbero subire un rallentamento. «L'intenzione - ha
assicurato il rettore - è di preservare, d'accordo con la
Soprintendenza, i rinvenimenti e renderli patrimonio fruibile
dall'intera città». |
6/11/2007
CHIESTA LA SALVAGUARDIA DELLE
ANTICHE NEVERE DI ROCCAMONFINA (CE)
Il recupero delle antiche nevere di Roccamonfina -
i caratteristici ”frigoriferi” di un tempo – come attrazione
turistica del territorio e conservazione della memoria e delle
tradizioni locali. Da anni ormai in completo stato di abbandono,
queste costruzioni hanno rappresentato in passato una fiorente
attività economica per il territorio, poiché il ghiaccio prodotto
con l’accumulo della neve, era poi particolarmente richiesto in
estate nei mercati di città come Napoli, Gaeta e Formia. Da
Roccamonfina, i blocchi di ghiaccio (ricoperti di pula di cereali e
conservati in sacchi di iuta) sistemati su carretti trainati da
cavalli, raggiungevano decine e decine di località del centro-sud
d’Italia, ed utilizzati sia nel campo alimentare che medico. Ora da
più parti, a cominciare dagli anziani del paese, si chiede ai vari
enti presenti sul territorio di salvaguardare queste testimonianze
di ”archeologia rurale” (per molti veri e
propri monumenti, oltre che simboli del paesaggio) sia per finalità
turistiche che per le future generazioni. |
6/11/2007
FURTO ALLA BASILICA DI
CARINOLA (CE): RINVENUTI ALCUNI FRAMMENTI ARCHITETTONICI
Forse erano troppo pesanti, forse ingombranti,
forse non sono stati ritenuti necessari, fatto sta che i pezzi che
costituivano la lunetta del portale della Basilica di Santa Maria in
Foro Claudio, trafugati insieme ad altri pregevoli elementi della
facciata della chiesa, sono stati ritrovati a pochi metri dal
misfatto, durante un sopralluogo della Soprintendenza
archeologica di Napoli e Caserta condotto
dall'architetto Rosa Carafa nella mattina dello scorso sabato. Tra
gli altri era presente l'assessore alle finanze del Comune di
Carinola Enzo Ceraldi, il primo a denunciare alle autorità
competenti il furto e lo scempio perpetrato ai danni della basilica.
Nonostante le indagini condotte dai carabinieri, non sono stati
ancora rintracciati gli altri pezzi del portale, brutalmente
deturpato dai ladri due settimane fa. I soliti ignoti, probabilmente
balordi al soldo di ricettatori di pezzi d'arte, hanno agito
indisturbati di notte, portando via, pezzo per pezzo l'intera
architrave, gli stipiti di destra e sinistra e i capitelli. Nel
divellere i pezzi di marmo antico, i ladri hanno danneggiato sia i
basamenti che la lunetta poi ritrovata gravemente danneggiata. La
chiesa, dove non si tengono celebrazioni liturgiche fatta eccezione
per alcuni matrimoni, è stata per anni abbandonata a se stessa,
vittima dell'incuria figlia della completa assenza di una politica
culturale e turistica del Comune di Carinola. Nonostante da due anni
sia stata assegnata al restauro dell'Episcopio parte dei fondi
devoluti alla città calena per il Piano integrato territoriale
domizio, l'antica basilica, risalente all'anno Mille e quindi una
delle più antiche testimonianze del romanico nell'intera provincia
di Terra di Lavoro, è stata lasciata in balia di se stessa e
dell'abbandono più totale: il Comune di Carinola non ha mai pensato
di proteggere l'edificio con un sistema d'allarme esterno o neanche
con un'attenta sorveglianza. La chiesa è immersa nel verde, per
arrivarci bisogna percorrere una viuzza stretta e senza asfalto,
condizioni che hanno facilitato il lavoro dei ladri. Sono ora in
corso da parte delle forze dell'ordine che indagano sull'accaduto,
le indagini e le ricerche dei pezzi unici trafugati. Quelli
ritrovati, sono stati portati in un posto sicuro dai dipendenti
comunali presenti all'ultimo sopralluogo. Forte indignazione è stata
espressa proprio dall'assessore Ceraldi, uno dei pochi cultori
dell'arte carinolese e della sua unicità e preziosità. |
3/11/2007 ASSEGNATO L'APPALTO PER I
LAVORI AL TEATRO GRECO ROMANO DI NEAPOLIS
Un sogno che diventa realtà. Perché di questo si
tratta. La gara d’appalto per l’assegnazione dei lavori per la
sistemazione dell’area del Teatro romano di Neapolis è terminata. Il
teatro di via dell’Anticaglia, quello che il 64 dopo Cristo ospitò
le esibizioni canore di Nerone, tra due-tre anni al massimo tornerà
alla luce e, soprattutto, diventerà visitabile. Il progetto di
recupero è stato elaborato nel tempo, soprattutto in visione delle
graduali acquisizioni e scoperte archeologiche. Con poco più di un
milione di euro, la «Caccavo srl» di Salerno realizzerà i lavori di
sistemazione dell’area che prevedono scavo
archeologico, opere di restauro, demolizione di immobili, e
soprattutto la creazione di un parco archeologico
urbano. Nel dettaglio sarà effettuato lo scavo dei vomitori antichi
di accesso alla grande cavea, che dovrà anch’essa essere interamente
scavata, il restauro degli ambulacri interni e del frons scenae, e
infine la creazione di impianti e allestimenti per consentire
l’utilizzo del teatro per rappresentazioni teatrali e manifestazioni
culturali. Un progetto a cui manca soltanto la data di inizio
lavori, che «verrà fissata la settimana prossima», come precisa il
vice sindaco Tino Santangelo, nonché assessore all’Urbanistica. «Il
nostro intento è di farli partire il prima possibile - dichiara -.
Tuttavia, le esigenze commerciali del quartiere, da sempre a
vocazione natalizia, potrebbero far slittare il tutto agli inizi di
gennaio». Particolarmente ansioso che i lavori prendano il via è
David Lebro, presidente della quarta Municipalità. «Questa
riqualificazione del Teatro romano è un tassello fondamentale per il
quartiere – afferma – e si riallaccia ai lavori di riassetto di via
Duomo e via Tribunali, questi ultimi terminati da pochi giorni e a
cui manca soltanto il palettamento». Un quartiere che guarda
lontano, a un turismo culturale meno «mordi e fuggi» e che spesso è
fuori dagli itinerari per via di quei vicoli stretti che lo
caratterizza. «Il nostro principale problema è la viabilità –
continua Lebro -. Il decumano dove sorge il Teatro di Neapolis è un
po’ figlio di un dio minore, perché i turisti si fermano sempre e
solo nella zona di piazza del Gesù, dove parcheggiano gli autobus
che qui non possono transitare. Mi auguro che il restauro dell’area
e l’apertura del parco archeologico favorisca
il rilancio del quartiere». |
1/11/2007
UN PARCHEGGIO PER L'AREA
ARCHEOLOGICA DI TEANO (CE)
Ci sarà posto anche per un parcheggio per le auto
dei visitatori e dei residenti nel «giardino-archeologico»
di viale dei Platani a Teano, la zona parco che sta per nascere ai
piedi della scuola media «Delle Chiaie». Ad annunciarlo è stato
l'assessore all'urbanistica Gian Paolo D'Aiello a conclusione
dell'ultimo consiglio comunale. «Si tratta di un'opera che mette
assieme storia e modernità, un parcheggio per le auto perché ma
anche diverse panchine per il relax ed un percorso con tanto di
tabelle informative sullo storico sito». |
26/10/2007 STAVOLTA SI PARTE: RIAPRONO
GLI SCAVI AL RIONE TERRA DI POZZUOLI (NA)
Riaprono domani i percorsi archeologici
sotterranei del Rione Terra. Interrotti lo scorso 30 settembre per
un contenzioso tra il Consorzio, la Regione Campania e il Comune di
Pozzuoli, i tesori nascosti della Puteoli coloniale tornano a essere
visitati dopo la firma del nuovo protocollo d'intesa siglato ieri in
Regione. Fra 15 giorni, quindi, tornerà ad essere l'Azienda di
Soggiorno e Turismo a curare le visite guidate al Rione Terra di
Pozzuoli. |
26/10/2007
ABBIAMO LA META' DEI SITI ARCHEOLOGICI D'ITALIA MA
NEL TURISMO TUTTI CI BATTONO
Il turismo è la più clamorosa occasione mancata
per il Mezzogiorno: nonostante conti la metà dei siti
archeologici e il 65% delle coste italiane, è
surclassato da Francia, Spagna e Centro Nord e deve accontentarsi
delle briciole. L’atto di accusa della «London school of economics»,
che, insieme alla «V&V», ha messo a punto il dossier sull’uso delle
risorse europee di «Agenda Duemila» presentato ieri al Cnel, è tanto
duro quanto circostanziato. «Attenti a non rifare gli stessi errori
nell’attuale, ultimo Quadro comunitario di sostegno 2007-2013», è il
monito che viene dal Rapporto. La cui ufficializzazione, guarda
caso, avviene proprio nel giorno in cui Confindustria rivela che
perfino l’Europa dell’Est ex comunista ha sorpassato, in alcuni
casi, il Sud d’Italia: il riferimento è alla Repubblica Ceca,
all’Ungheria, alla Slovenia, «paesi che - spiega il vicepresidente
Artioli - sono più capaci di noi di attrarre nuovi investimenti».
Mentre, secondo l’istituto di Londra è davvero sorprendente «il
ritardo delle aree meridionali in termini di attrazione di nuovi
flussi di capitali dall’estero». Un esempio per tutti: la sola
Umbria registra un volume di investimenti stranieri superiore a
quello di tutte le Regioni del Sud messe insieme. Naturalmente,
spulciando tra le tabelle e i grafici della ricerca, emergono
differenze interne al nostro Mezzogiorno tra Regioni e anche
all’interno delle stesse: prendiamo il caso, emblematico, della
Campania. Eccelle in ricerca, al punto da investire quattro volte di
più delle altre e da fagocitare oltre il 50% del totale delle
risorse spese nelle aree Obiettivo Uno per l’innovazione. Ma la
stessa Campania è quella che detiene il triste primato
dell’illegalità, peraltro concentrata nelle due province di Napoli e
Caserta, nonostante gli impegni e i finanziamenti profusi dal
ministero dell’Interno per il Piano sicurezza. Lo studio quantifica
infine le risorse europee 2000-2006 impegnate e spese finora nel
Mezzogiorno, tenendo conto che c’è tempo fino a dicembre 2008 per
utilizzarle, perché successivamente saranno irrimediabilmente
perdute. Gli impegni dei diversi Por delle Regioni Obiettivo Uno
sono pari al 93%, le erogazioni sono attestate al 63%.
Complessivamente si tratta di circa 32 miliardi. La palma della più
brava spetta alla piccola Basilicata, quella che finora ha speso
meno è la Puglia, quella che ha impegnato meno la Calabria. E tra i
diversi programmi, quello che va maggiormente a rilento è l’asse
cinque, che riguarda le città, dove siamo fermi a poco meno del 55%
delle erogazioni. |
25/10/2007
RINVIATA LA PRESA DI POSSESSO
DEL TERRENO DEMANIALE AGLI SCAVI DI ERCOLANO (NA)
Doveva essere il giorno della presa di possesso
del territorio demaniale (prossimo a diventare area verde
attrezzata) situato a ridosso del parcheggio per i dipendenti della
Soprintendenza archeologica degli scavi di
Ercolano ma invece tutto è stato rinviato all’8 novembre: la
presenza di auto, attrezzi agricoli e animali di proprietà dei
coloni che risiedono e lavorano nell'area interessata dai lavori per
il parco pubblico, ha rinviato la presa di possesso dei terreni
dall'estensione di circa ventimila metri quadri da parte della
Soprintendenza, impossibilitata a prendere da subito in custodia i
beni mobili di proprietà dei coloni. Tutto era pronto per procedere:
la presenza di polizia e carabinieri, oltre che dei tecnici e legali
di Tribunale e Soprintendenza faceva presagire l'avvio del
procedimento, ma dopo colloqui tra le parti e l'arrivo del
soprintendente Pietro Giovanni Guzzo si è deciso per il rinvio. Lo
spostamento della data all’8 novembre dà tempo dunque alle parti di
addivenire ad un accordo: per lunedì 5 è stato convocato un tavolo
di lavoro sulla vicenda dall'assessore regionale al Lavoro Corrado
Gabriele: prenderanno parte all'incontro anche il sindaco Nino
Daniele e l'assessore regionale alle Attività Produttive Andrea
Cozzolino. «Vogliamo che vengano prese in giusta considerazione le
nostre ragioni - dice Angelo Loiacono, portavoce delle sei famiglie
residenti nell'area demaniale - lavoriamo da tre generazioni in
quest'area e non possiamo permettere che vengano minacciate le
nostre attività lavorative e le nostre case». Sono trenta infatti,
tra lavoratori stagionali nel campo della floricoltura ed
agricoltori locatari, le unità lavorative a rischio sui terreni che
dal 1950 la Soprintendenza archeologica di
Napoli (all'epoca responsabile anche del parco
archeologico ercolanese ndr) cedette in fitto ai coloni
Pasquale Ruggiero e Vincenzo Scognamiglio. Oggi le terre e le
abitazioni in possesso degli eredi attraversano proprio l'area del
parcheggio dei dipendenti, interessata anche dai lavori per il parco
urbano e il nuovo ingresso degli scavi. |
25/10/2007
DOPO LE DENUNCE IN TIVU'
ORDINANZA CONTRO LA PROSTITUZIONE DINANZI AGLI SCAVI DI POMPEI (NA)
Da anni cercano di combattere il fenomeno della
prostituzione praticata a ridosso delle rovine romane e a pochi
metri dal santuario della Vergine, ma denunce e fogli di via a poco
sono serviti. E allora l’amministrazione decide di sanzionare la
domanda piuttosto che l’offerta, così da oggi entra in vigore
l’ordinanza che punisce gli automobilisti che sosteranno accanto a
una prostituta o procederanno al rilento in modo da intralciare la
circolazione. Chi non rispetterà i divieti potrà essere
contravvenzionato con un’ammenda che va da 800 a mille euro. Nei
mesi scorsi contro la città a luci rosse aveva protestato anche
l’arcivescovo Carlo Liberati: «Questa città - è la sintesi delle
diverse accuse - è afflitta dal male della prostituzione e della
droga». E poi, solo l’alra settimana, il presidente degli
industriali Luca Cordero di Montezemolo aveva rilanciato ricordardo
che se Pompei fosse stata negli Usa intorno si sarebbe creato un
indotto fiorente. E allora il sindaco Claudio D’Alessio riprende:
«Il provvedimento serve a ridare decoro alla nostra città. Il mito
Pompei deve avere una risonanza mondiale solo per il suo prestigioso
patrimonio archeologico e per il santuario.
La prostituzione deve essere combattuta e vinta. Con questo divieto
i clienti saranno severamente puniti e mi auspico non avranno più il
coraggio di venire a Pompei per cercare un'avventura sessuale a
pagamento». L’ordinanza che inasprisce le misure contro la
prostituzione riguarda in particolare la zona di Villa dei Misteri,
a ridosso dell'area archeologica, dove è
forte la presenza di lucciole e viados, ma non esclude anche altre
vie del centro. «Il divieto fa parte del pacchetto sicurezza che già
da tempo abbiamo messo in campo a beneficio della città - dice il
sindaco - La scorsa settimana ho avuto un incontro con le forze
dell'ordine impegnate sul territorio. Quelle che come
amministrazione abbiamo varato sono misure che mirano, tra l'altro,
a migliorare la sicurezza stradale. Colpire il fenomeno della
prostituzione è solo un aspetto della lotta contro l'illegalità che
stiamo combattendo». |
24/10/2007
IL COMUNE DI AGROPOLI (SA)
ACQUISTERA' IL CASTELLO
Entro Natale il castello di
Agropoli sarà acquistato dal Comune. A confermarlo è Franco Alfieri,
sindaco della cittadina cilentana che nei giorni scorsi, con una
delibera di giunta, ha ricevuto il mandato per concludere l’acquisto
del fortilizio. Attualmente di proprietà della famiglia Dente,
originaria di Portici, il castello era stato messo in vendita lo
scorso anno con una inserzione su internet. “Sono sicuro che per la
fine dell’anno giungeremo ad un preliminare di vendita”, spiega
Alfieri.
All’acquisto della fortezza potrebbero partecipare anche
imprenditori, commercianti e professionisti di Agropoli.
L’amministrazione comunale starebbe infatti pensando ad una
sottoscrizione pubblica per quello che è considerato il vero simbolo
della cittadina cilentana. Gravitante su un antico baluardo
realizzato in epoca greco-bizantina intorno al VI secolo avanti
Cristo, esso presenta attualmente l’aspetto assunto durante il
periodo angioino-aragonese e rinascimentale. Caratterizzato da una
pianta triangolare munita di tre torri circolari, il castello, che
si incunea nell’antico borgo, è circondato da un profondo fossato,
oggi in parte scomparso, che si estende per circa 28 mila metri
quadrati.
Di proprietà dei vescovi di Paestum-Capaccio fin dal VII secolo, la
fortezza, occupata dapprima dai saraceni, poi dai normanni, dagli
svevi e dagli angioini, è entrata nella storia soprattutto per la
breve permanenza tra le sue mura di Luisa Sanfelice, l’eroina della
rivoluzione partenopea.
Nel secolo scorso, la grande scrittrice francese Marguerite
Yourcenar, dopo averla visitata, vi ambientò un racconto dal titolo
“Anna, soror”. Mistero sulla cifra che dovrà essere sborsata per il
suo acquisto: si parla di 5 milioni di euro, trattabili. |
20/10/2007
PARTE IL RESTAURO DEI LOCALI
PER IL MUSEO ARCHEOLOGICO A STABIA (NA)
Al via il restauro dell’ex convento delle
Stimmatine: ospiterà la sede della Fondazione Viviani. È iniziata la
procedura che porterà alla ristrutturazione dell’edificio situato
nel cuore del centro antico, destinato ad accogliere l’ente per la
tutela del patrimonio artistico, storico e culturale di
Castellammare. Comune, Provincia e Regione già da diversi mesi sono
al lavoro, assieme agli eredi del commediografo stabiese, per
stilare lo statuto che guiderà la fondazione nel percorso di
recupero, valorizzazione e promozione delle opere di Raffaele
Viviani. Secondo le prime indiscrezioni emerse dai progetti di
riqualificazione, l’ex convento ospiterà oltre agli uffici
direzionali della fondazione, anche un museo, al cui interno
verranno raccolte tutte le memorie, gli oggetti personali,
riconducibili a Viviani e ai suoi lavori teatrali. Una struttura
polifunzionale, corredata di una serie di servizi pubblici per i
cittadini del centro storico, che avrà il compito di gestire tutte
le attività culturali, teatrali e musicali che verranno realizzate
sul territorio stabiese. Dunque, il Comune affiderà al nuovo ente
culturale il compito di pianificare l’intera programmazione
culturale e artistica di Castellammare. «La Fondazione Viviani è uno
dei principali obiettivi della nostra amministrazione – spiega
Massimo De Angelis, assessore alla cultura – evidenziato nelle linee
programmatiche del sindaco Salvatore Vozza. Un percorso difficile,
ma ormai la discussione sta maturando e a breve toccherà alla
commissione cultura di palazzo Farnese esprimersi in merito alla
concretizzazione di questo nuovo ente destinato a diventare il
braccio operativo del Comune nel settore dell’arte e della cultura».
Entro dicembre, infine, toccherà al consiglio comunale esprimersi
sull’efficacia dello statuto e sugli obiettivi fissati da Comune,
Provincia e Regione. Secondo il piano di lavori, dunque, già nel
2008 la fondazione avvierà la sua attività di tutela del patrimonio
stabiese e tra i primi compiti fissati si impone l’istituzione di un
teatro dedicato a Viviani, una struttura da individuare tra gli
edifici già esistenti, per consentire ai tanti giovani della città
delle acque di avvicinarsi al mondo del teatro. «Il prossimo anno
sarà di grande importanza per la città – aggiunge De Angelis – che
punta ormai a candidarsi sempre più come meta privilegiata del
turismo culturale campano. Infatti, il 2008 vedrà non solo la
promozione dell’opera del commediografo stabiese con il via libera
alla costituzione della Fondazione, ma anche la conclusione delle
opere di recupero del Palazzo reale di Quisisana, al cui interno
verrà istituita la Scuola di Alta Formazione per l’insegnamento del
restauro, sotto l’egida dell’Istituto Centrale per il Restauro di
Roma. All’interno di altre sale, inoltre, sarà anche il Museo
archeologico di Stabiae, per dare in questo modo una sede
degna agli ottomila reperti provenienti dalle ricerche effettuate in
tutto il territorio stabiano». Illustre autore figlio di Stabia,
Viviani non sarà però l’unico artista al centro delle attenzioni
della fondazione, che, infatti, si occuperà anche di promuovere i
lavori di artisti come Annibale Ruccello, Luigi Denza, Michele
Esposito e molti altri. Con l’avvio delle procedure di
ristrutturazione dell’ex convento, è stato fissato anche il termine
dei lavori, 480 giorni dall’appalto che verrà conferito a breve. «Il
restauro delle ex Stimmatine – commenta Paolo Pisciotta, assessore
all’urbanistica – è un altro importante tassello per il rilancio del
cuore della città». |
12/10/2007 CONTRORDINE: GLI SCAVI DI
RIONE TERRA A POZZUOLI (NA) NON RIAPRONO
Contrordine: non basta più la delibera del Comune
di Pozzuoli per riaprire i percorsi archeologici
sotterranei del Rione Terra. Il Consorzio di imprese che ha in
appalto il restauro della rocca di proprietà del Municipio adesso
punta i piedi. «Non vogliamo fare polemiche con nessuno - s'affretta
a chiarire il presidente del Consorzio, Sergio Fiore - ma mancano le
condizioni legali e amministrative per poter riaprire le porte agli
scavi. Questo è pur sempre un cantiere». Un duro altolà a chi
sognava una riapertura dei percorsi già per il prossimo fine
settimana. L'assessorato regionale ai Beni culturali ci ha riprovato
ad accelerare i tempi ma ha incassato le perplessità delle imprese
che da metà degli anni '90 lavorano per il restauro del Rione Terra.
«La nostra parte l'abbiamo recitata - spiega il commissario
straordinario del Comune, il prefetto Domenico Bagnato - Ora la
questione riguarda Regione e Consorzio e noi non vogliamo entrarci».
Una chiarimento che sposta così le attenzioni sul Consorzio di
imprese. «Non ci sono le premesse e me ne dispiace - continua ancora
Fiore - Noi siamo stati i primi a favorire le visite sotterranee del
sito ma il vecchio accordo provvisorio è scaduto nel 2004 e da
allora, nonostante i nostri solleciti, non ce ne sono stati altri. E
noi non intendiamo assumerci altri oneri, né economici né
burocratici che non ci competono». Sullo sfondo, anche se il
Consorzio chiarisce che l'argomento «è secondario e non impedisce
l'apertura immediata dei percorsi», anche un braccio di ferro per
crediti che il Consorzio vanta nei confronti per la gestione
temporanea, dal 2002, dei percorsi sotterranei. Una cifra di poco
superiore ai 500 mila euro. «Non è una questione di soldi arretrati
- ribadisce l'ingegnere Fiore - Appena firmato il nuovo accordo, noi
apriremo gli scavi al pubblico». Le perplessità del Consorzio
scatenano la bagarre. E preoccupano Franco Mancusi, amministratore
dell'Azienda autonoma di Soggiorno e Turismo di Pozzuoli. «Non
dobbiamo vanificare il buon lavoro di immagine fatto fino ad ora -
dice - Dopo i buoni risultati nella fase sperimentale, una volta
ottenuto il via libera potremmo subito riaprire anche le visite
notturne». Nella delibera della commissione straordinaria, infatti,
il percorso archeologico del rione Terra
viene affidato dal Comune all'Azienda, con l'indicazione che «la
Regione contribuisce alle spese di gestione»: la deliberazione con
la presa d'atto del protocollo di intesa fra l'assessorato regionale
ai Beni Culturali, il presidente della Regione quale delegato
all'attuazione della Legge 80, la Direzione regionale per i Beni
Culturali e paesaggistici, la Diocesi e il Comune, pareva mettere la
parola fine alla querelle sollevata il 30 settembre, quando il
Consorzio decise la chiusura dei percorsi
archeologici sotterranei del Rione Terra, il quartiere
terremotato sgomberato nel 1970, costruito sull'antica colonia di
”Puteoli” e a lungo oggetto di scavi che hanno riportato alla luce
interi lembi della città romana con le strade e con gli edifici
destinati alla vita civile e commerciale della colonia. |
12/10/2007
SCAVI DI STABIA (NA) DA SALVARE
Una petizione popolare contro il degrado degli
Scavi di Stabia. A proporre l’iniziativa sono storici,
archeologi, docenti, appassionati dell’arte e semplici
cittadini che, riuniti in un comitato, hanno deciso di scendere in
campo attivamente per tutelare il grande patrimonio archeologico
di Castellammare. Un gruppo di volontari che, attraverso un
manifesto, intende promuovere un patto per la difesa e la
valorizzazione di questi beni, realizzando un’azione organica e
condivisa tra soggetti istituzionali, organizzazioni culturali e
cittadini. Alla guida del direttivo il giornalista Antonio Ferrara,
lo storico Pippo D’Angelo, il preside Antonio Carosella e l’archeologo
Domenico Camardo. Un’iniziativa dettata dalla necessità di porre
rimedio alle precarie condizioni in cui sono conservate le due ville
romane (Villa Arianna e Villa San Marco), e l’Antiquarium che ospita
gli oggetti rinvenuti sul comprensorio stabiese. Un vasto patrimonio archeologico
visitato ogni anno da numerosi studiosi e turisti ma carente di
servizi, di collegamenti e di assistenza ai visitatori. «La scorsa
settimana – spiega un custode – siamo stati costretti a recuperare
un gruppo di studiosi davanti alla clinica ospedaliera Villa Stabia.
All’uscita dalla circumvesuviana avevano chiesto indicazioni per
raggiungere le storiche ville di Stabia». L’eccezionalità del
patrimonio archeologico e l’importanza della
collezione di pittura romana esistente ha indotto i membri del
comitato ad attivare un programma di gestione dei beni denominato
«Progetto Stabiae», attorno al quale raccogliere i principali
istituti archeologici stranieri operanti in
Italia, le università e tutti gli studiosi e personalità
scientifiche che si sono occupate di Stabiae nel corso degli anni.
«Si tratta di progetto che rientra a pieno titolo – spiega lo
storico D’Angelo – nel processo di Pianificazione strategica avviato
dal Comune con il documento «Stabia 2010», approvato dalla giunta
nel dicembre 2006, e si ricollega al Piano operativo regionale
«Grandi attrattori culturali», promosso dalla Regione Campania
nell’ambito delle linee strategiche definite dal ministero per i
Beni culturali». Il «Progetto Stabiae» si articolerà su alcuni
elementi fondamentali: dalla realizzazione del parco archeologico
di Stabiae, all’inserimento di Stabiae nella lista dei siti protetti
dall’Unesco, accanto a Pompei, Ercolano e Oplontis, e la redazione
del relativo piano di gestione, alla realizzazione di laboratori di
archeologia aperti a studenti e giovani di tutto il mondo,
fino al collegamento dell’area archeologicacon
la città. «La tutela di questo grande patrimonio è un obiettivo
irrinunciabile – sottolinea Ferrara – stiamo raccogliendo adesioni
anche attraverso internet, all’indirizzo comitatostabia@iol.it e
quando avremo raccolto un numero sufficiente di adesioni allora
invieremo la nostra petizione a Rutelli, Bassolino, al sindaco Vozza
e al sovrintendente di Pompei Guzzo». |
12/10/2007
SPUNTANO REPERTI ARCHEOLOGICI A FORCHIA (BN)
Oggi c’è il campo sportivo, ieri molto lontano
forse c’era una villa romana o tombe appartenenti alla stessa epoca
storica. Frammenti del passato sono emersi durante i lavori di
sistemazione del campo sportivo di Forchia. Reperti
archeologici che rimandano alla storia del popolo caudino e
che, inevitabilmente, mettono in moto una serie di ricerche e
controlli. L’iter burocratico va avanti da mesi quando, a seguito di
una segnalazione, esperti della Soprintendenza
archeologica, guidati da Luigi Della Rocca, direttore del
museo nazionale del Sannio Caudino e funzionario della zona
archeologica di Montesarchio, hanno effettuato un sopralluogo
al campo sportivo, rilevando la presenza di reperti antichi e
bloccando, così, i lavori. «Si tratta di frammenti ceramici, tufo
antico e frammenti di tegolame vario», spiega l’assistente
tecnico-scientifico Lucio Iuliano. Pochi giorni fa, un ulteriore
sopralluogo. C’erano, insieme a Della Rocca e Iuliano, l’ingegnere
Lanzotti e il sindaco di Forchia, Margherita Giordano. I lavori, al
momento, sono stati sbloccati, quindi riprenderanno, ma la ricerca
continua. «Ulteriori saggi archeologici -
precisa Iuliano - ci permetteranno di stabilire se i reperti
rinvenuti sono i resti di una villa romana o piuttosto tombe
antiche». E i saggi partiranno lunedì 15 ottobre. «È un lavoro di
ricerca archeologica - precisa Iuliano - per
evidenziare maggiori certezze circa la possibilità che si tratti di
una villa o di tombe romane». Ma il sopralluogo al campo sportivo di
Forchia è stato anche l’occasione per effettuare una breve visita
alle cisterne cosiddette ”sannitiche”, di vico Sannita,alle spalle
del municipio. Attualmente le cisterne sono piene di immondizia e di
materiale di scarto, depositato nel corso degli anni ma sembra che
al più presto saranno svuotate e ripulite, sotto la sorveglianza del
personale tecnico della Soprintendenza archeologica. |
11/10/2007
INTESA PER LE VISITE AL RIONE TERRA DI POZZUOLI (NA)
Cade il veto del Comune di Pozzuoli sulle gestione
provvisoria del percorso archeologico
sotterraneo del Rione Terra: i commissari straordinari firmano
stamattina la delibera che dà il via libera alla riapertura degli
scavi, le cui visite sono state sospese a causa della mancata
ratifica del nuovo protocollo d'intesa tra Municipio, Regione,
Consorzio concessionario e Azienda di cura, soggiorno e turismo. «È
davvero una bella notizia - dice Franco Mancusi, amministratore
della locale Azienda di turismo - La chiusura è stata davvero uno
smacco per l'immagine dei Campi Flegrei». A questo punto, il sito
potrebbe riaprire già sabato prossimo. «Volevamo delle garanzie e le
abbiamo ottenute», ha spiegato il prefetto Domenico Bagnato. «Le
carte sono pronte, le relazioni che chiedevamo sono state firmate -
conferma il direttore generale del Comune, Edoardo Oliva - Non ci
sono ostacoli per l'accordo». In realtà, ora occorre la convocazione
di una nuova conferenza dei servizi per ratificare l'ok del Comune
di Pozzuoli. Ma, dicono dalla Regione, «potremmo convocarla già
venerdì mattina». Tempi ristretti per correre ai ripari, dopo che
anche l'assessore regionale Marco Di Lello è intervenuto chiedendo
l'intervento del prefetto Alessandro Pansa. Centinaia di visitatori,
nell'ultimo fine settimana, hanno protestato dopo aver trovato le
porte del percorso sotterraneo sbarrato: il Consorzio le ha chiuse
in seguito alla mancata sottoscrizione del protocollo d'intesa da
parte del Comune che del Rione Terra è il proprietario. Le visite
agli scavi hanno riportato alla luce interi lembi della città
romana, con le strade e gli edifici destinati alla vita civile e
commerciale della colonia di Puteoli, sono stati inaugurati nel
giugno del 2002 e dalla fine di agosto di quest'anno, sono aperti
anche by-night. Cinque anni fa, venne decisa «l'apertura
sperimentale» del percorso attrezzato, con l'allestimento di un
itinerario archeologico sulle meraviglie del
Rione Terra. Visite che proseguono di pari passo con il restauro del
Rione, la cui consegna dei primi lotti è attesa - stando alle
previsioni - per il giugno del 2008. Il Consorzio, sia pur non
supportato da atti amministrativi e contabili, si è accollato anche
la gestione provvisoria del percorso archeologico.
A fine luglio, l'Azienda di cura, soggiorno e turismo è divenuta
responsabile dell'organizzazione delle visite. «E c'è stato un boom
- spiega ancora Mancusi - Speriamo di riprendere il trend
interrotto». Il Rione Terra ora può riaprire alle sue meraviglie: la
botola del tempo è sempre stata lì, nascosta tra le vie del
quartiere terremotato, coperta da strati e secoli di vita cittadina.
Il viaggio inizia sotto Palazzo Migliaresi, basta un piano di scale
per tornare indietro di duemila anni, nel Rione Terra che fu la
città dei savi del sesto secolo avanti Cristo. |
09/10/2007
RUBATO UN CAPITELLO ROMANO A TEANO (CE)
Ladri di storia in azione, ieri notte, nella
piazza centrale della frazione Versano di Teano. Ignoti, con metodi
subito giudicati da tutti «a dir poco barbari» senza alcun rispetto
per la sacralità e l’importanza culturale del luogo, hanno trafugato
il capitello di pregevole fattura e di epoca romana posto in cima
alla colonna votiva dedicata dai fedeli a Gesù redentore. Non solo.
Nell’estrarre il capitello dalla sua sede originaria non si sono
fatti scrupolo di scaraventare al suolo, riducendola a pezzi, una
colonna in marmo di origine imperiale caratterizzata da incavi
verticali. Danni anche alla cortina in ferro battuto che circonda il
cippo e alla pavimentazione della piazza. Sul posto, nella
mattinata, si sono recati i carabinieri della locale stazione e del
personale della Soprintendenza archeologica
per valutare i danni e stilare un rapporto, sui possibili interventi
di recupero. Di difficile individuazione l’origine del capitello che
comunque si ritiene emerso, probabilmente, da una delle domus romane
che costellano il vasto territorio tagliato in due dalla Via Latina.
Impossibile e inutile attribuire alla sezione di marmo lavorato (che
solitamente sormonta una colonna), oggetto di furto, un valore
venale. «Il danno maggiore, infatti - come sottolinea l'esperto di
archeologia e storia locale, l'architetto
Alfredo Balasco - nei confronti della conoscenza della storia del
territorio. Inoltre, una simile brutale trafugazione, mette in luce
il disprezzo che la risma di ladri di ieri notte nutre nei confronti
delle cose notevoli, dei segni e dei simboli del nostro passato».
Profonda indignazione per l'atto vandalico è stata anche espressa da
molti residenti della ridente comunità periferica nota, oltre che
per storicità di alcuni siti archeologici
(come Madonna dell'Arco, presso Borgonuovo), anche per la
manifestazione ormai di caratura ultraregionale di promozione dei
vini «Vèrsano a Versàno». Il monumento è frutto di un lungo periodo
di raccolta di oboli tra i fedeli del circondario. Fu eretto dai
cittadini di Versano di Teano nel lontano 1903. Muto testimone di
tante manifestazioni civili e religiose che si tengono
periodicamente nella borgata, ora reca i segni di un assalto
incivile degno solo dei malviventi che l'hanno commesso. Le indagini
degli inquirenti si muovono sulla base dalla plausibile ipotesi del
furto su commissione. |
07/10/2007
SARà SCAVATA E RECUPERATA LA FORTEZZA RINASCIMENTALE
DI NOLA (NA)
«Lo scavo e il totale recupero della fortezza
rinascimentale rinvenuta nel sottosuolo di piazza d'Armi saranno
interamente finanziati dalla Regione Campania. Per farlo useremo i
finanziamenti europei 2007-2011»: Gianfranco Nappi, capo della
segreteria del governatore della Campania Antonio Bassolino lo ha
annunciato davanti ad una folta platea di amministratori e addetti
ai lavori. L'occasione è stata quella del seminario dal titolo «Per
un discorso sul futuro del Nolano», manifesto programmatico di una
serie di iniziative che saranno portate avanti per favorire
«l'organico rilancio del territorio». Nappi ha infatti lanciato
l'idea della costituzione di un tavolo di lavoro costituito da
rappresentanti delle istituzioni ed esponenti della società civile
per recuperare quel gap di «partecipazione, progettazione e
rappresentanza che di fatto hanno costituito fino ad oggi gli
impedimenti maggiori al decollo dell'hinterland». E ancora una volta
ed essere indicato come la strada maestra per il riscatto è stato il
ricco patrimonio storico e culturale di un'area che vanta il
villaggio della preistoria, la basiliche paleocristiane,
l'anfiteatro e che ultimamente si è arricchito proprio con la
scoperta della fortezza rinascimentale. Incassata la disponibilità a
finanziare i lavori dell'ultimo ritrovamento adesso toccherà alla
soprintendenza archeologica di Napoli il
compito di disegnare un progetto che, oltre al completamento dello
scavo preveda anche il restauro della struttura. Il responsabile
degli scavi, l'archeologo, Giuseppe Vecchio
assicura che il processo è già stato avviato: «Le operazioni future
dovranno essere pianificate e conciliate con quelle predisposte per
la costruzione del museo della cartapesta che sorgerà nelle
immediate vicinanze del complesso archeologico.
Se è vero quanto ipotizziamo porteremo alla luce un edificio grande
e robusto, dentro il quale ci sarà spazio in abbondanza anche per
poter ospitare una sala concerti». Insomma è bastato uno scorcio del
robusto muro che caratterizza il perimetro della fortezza a indicare
la portata della scoperta avvenuta nel corso dei sondaggi
preliminari alla costruzione del museo della cartapesta al posto
dello stadio comunale di piazza d'Armi. Il ritrovamento rappresenta
infatti la conferma dell'ipotesi sulla presenza di una fortezza,
avanzata attraverso lo studio di alcune cartine, risalenti al 1700,
che riproducevano la pianta della città durante il vice regno
spagnolo: un edificio robusto, denominato «la cittadella», destinato
ai soldati di Carlo V, protetti dagli attacchi esterni anche da un
fossato che potrebbe essere ancora perfettamente custodito dalle
viscere della terra. Una premessa incoraggiante, lo stimolo a
continuare i lavori e soprattutto ad allargare la zona da
ispezionare. Obiettivo, quest'ultimo, che non ostacolerà il progetto
che proprio in quella zona prevede la realizzazione della città
della cartapesta, già finanziata dalla regione Campania attraverso
fondi europei. |
07/10/2007
MONDRAGONE (CE): INIZIATI I LAVORI DEL PARCO
ARCHEOLOGICO DEL MONTE PETRINO E DELL'ANTICA VIA APPIA
I Beni Culturali rimangono una
delle priorità dell’Amministrazione Comunale di Mondragone guidata
dal Sindaco Ugo Alfredo Conte e, a conferma di ciò, da qualche
giorno sono iniziati i lavori di realizzazione del Parco
Archeologico del Monte Petrino e dell’Appia Antica. Tali lavori,
fortemente voluti e perseguiti dall’Assessore alla Cultura Giovanni
Schiappa, potranno consentire di cominciare ad inquadrare i beni
culturali in una ottica nuova: non solo tutela ma anche
valorizzazione turistica ed economica.
"La recente illuminazione notturna del Castello di Monte Petrino"
afferma l'assessore Schiappa "ha creato una fortissima sensazione di
appartenenza della Città al suo passato antico. L'illuminazione
notturna, a suo modo, ha permesso di ricordarci a tutti quanti e
quali ricchezze Mondragone possiede. Ebbene l'avvio dei lavori per
la valorizzazione del sentiero di Monte Petrino e l'area
archeologica dell'Antica Via Appia sono una ulteriore risposta
concreta alla volontà di far diventare i nostri tesori un punto di
orgoglio e di riqualificazione turistica."
Preservare e custodire gli importanti ritrovamenti avvenuti
rappresenta soprattutto la volontà di proseguire con ulteriori
lavori di scavo rivolti ad altre zone con particolare interesse
archeologico che gravitano sul territorio della Città di Mondragone.
L’imponente progetto dell'Appia Antica e del sentiero di Rocca
Montis Draconis affiancherà idealmente quello già in opera de La
Starza.
Gli interventi in essere riguardano due aree distinte.
La prima è l'area archeologica dell'Appia nella quale è stato
rinvenuto un tratto della antica via consolare perfettamente
conservato con un inserto di una strada secondaria che,
probabilmente, si collegava con il tratto rinvenuto nella
costitutenda area archeologica de La Starza.
L'area sarà organizzata in modo tale da consentire una visita
organica e sequenziale non solo della strada ma anche delle antiche
tabernae rinvenute.
Nell’area, poi, ubicata di fronte al muro occidentale del Cimitero
Comunale, saranno valorizzati i resti di strutture murarie, connessi
ad ampi tratti di pavimentazione in cocciopesto ed una serie di
ambienti in opera incerta che sono venuti alla luce da ulteriori
scavi.
Cronologicamente l’insieme delle strutture sembra databile entro un
arco di tempo che va dalla tarda età repubblicana fino alla tarda
età imperiale.
La seconda parte dell'intervento riguarderà il sentiero che conduce
da località Cantarella fino al pianoro di Rocca Montis Draconis.
Il sentiero, che sarà adeguato per la percorrenza sia a piedi che in
auto, sarà dotato di segnaletica e di illuminazione pubblica fino al
pianoro sul quale sarà predisposto un piccolo parcheggio ma
soprattutto un’area attrezzata nella quale poter sostare e dove sarà
costruito, sempre con materiali eco-compatibili, un box informazioni
per i turisti. Il tratto di strada interessato dall'intervento è
lungo 1.700 metri e consentirà in modo agevole di poter raggiungere
con facilità l'area pianeggiante a ridosso dell'insediamento
medievale. Da qui in poi sono previsti dei interventi di ripristino
dell'antico sentiero medievale per poter consentire un più agevole
accesso all'area che da diversi anni è oggetto di campagne di scavo
archeologico finanziate interamente dall'Amministrazione Comunale.
"Con l'assessore Schiappa, dopo l'avvio dei lavori di Monte Petrino
e della Via Appia" afferma il Sindaco Conte "abbiamo deciso di porre
tra le priorità dell'Amministrazione il finanziamento del Parco
Archeologico di Rocca Montis Dragonis. La strada di
accessopermetterà a tanti godere in modo agevole dell'area
archeologica. E' necessario fare un ulteriore passo avanti: creare
un vero e proprio parco archeologico sul Castello"
Viene a concretizzarsi, quindi, un percorso non solo ideale ma reale
che, partendo dalla centralissima piazza Umberto I si snoderà
attraverso il Santuario della Madonna Incaldana e le sue Chiese e
Cappelle, passando per il Museo Civico Archeologico “Biagio Greco”
per inoltrarsi, poi, nel cuore della storia della Città.
Palazzo Ducale, la Chiesa di S. Michele con gli splendidi affreschi,
il borgo di Sant'Angelo con la Chiesetta di San Mauro, la
realizzanda area archeologica de La Starza e ora il parco
archeologico che comprenderà l'Appia Antica ed il sentiero di Rocca
Montis Draconis.
In tal modo i turisti potranno attraversare e vedere non solo le
vestigia di un passato ricco di presistenze, ma anche di tipo
naturalistico in modo da poter coniugare cultura e natura.
Soltanto con questo tipo di interventi si potrà perseguire una più
efficace valorizzazione e tutela del territorio, garantendo la
fruibilità e l'accessibilità a tutti, partendo dai cittadini di
Mondragone ai quali la storia ha affidato dei beni culturali ed
ambientali unici nel loro genere.
Una presenza continua sulla montagna, improntata al rispetto del
verde e dell'ecosistema presente, non potrà che portare utili
benefici a tutti.
Tutto questo per riuscire a compiere un passo avanti di grande
coraggio: attivare un turismo intelligente, sensibile sia alla
natura che alla cultura ma che possa attivare un circuito economico
forte e duraturo.
"Abbiamo le idee chiare su quello che vogliamo realizzare" conclude
l'assessore Schiappa "Non appena la Regione Campania attiverà nuove
fonti di finanziamento, possiamo candidare con immediatezza il
Castello di Monte Petrino. Il Comune possiede già un progetto
esecutivo, realizzato dall'Ufficio tecnico in collaborazione con la
Direzione Scientifica dle Museo, per realizzare un parco
archeologico di facile fruizone e di grande impatto visivo. Ci
impegneremo affinché questo progetto possa avere tutta l'attenzione
dovuta nelle sedi opportune".
Al fine di poter inserire in via permanente il sentiero di Rocca
Montis Draconis nell'ambito dei sentieri nazionali, il percorso sarà
dotato della segnaletica convenzionale in uso nei sentieri italiani
al fine di fornire non solo notizie di carattere
storico-archeologico ma anche di tipo naturalistico e sentieristico,
consentendo al sentiero di Mondragone di essere inserito nell'ambito
più vasto dei sentieri nazionali.
Valorizzare la montagna del Petrino e consentire una serie di
escursioni a cadenza regolare permetteranno una sempre migliore
conoscenza e fruizione.
Un parco archeologico, quindi, che potrà divenire un vero e proprio
centro attrattivo. |
06/10/2007
SOSPESE LE VISITE AL RIONE TERRA DI POZZUOLI (NA) I percorsi archeologici sotterranei del
Rione Terra, fiore all’occhiello del turismo culturale puteolano, da
oggi chiudono ai visitatori. E la decisione del Consorzio che ha in
gestione il restauro dell’ex quartiere terremotato, costruito
sull'antica colonia di «Puteoli», provoca dure reazioni. Franco
Mancusi, amministratore dell’Azienda di Cura, soggiorno e turismo,
che da fine agosto si è preso cura dell’allestimento, con voci
narranti e illuminazioni, anche delle visite notturne, spiega: «La
sclerosi burocratica e le difficoltà di far incontrare i diversi
enti rischiano di compromettere seriamente l’avviato processo di
rilancio del turismo archeologico». Lo stop
ai percorsi è un duro ostacolo all’inserimento del circuito «Campi
Flegrei by night» da affiancare a quelli già esistenti di Pompei,
Reggia di Caserta, Paestum e Oplonti. «Sono preoccupato, a settembre
abbiamo quintuplicato le visite al Rione Terra: un record che ora
rischia di essere vanificato». All’origine della decisione del
Consorzio c’è la mancata firma del Comune di Pozzuoli al protocollo
d’intesa per la gestione temporanea degli scavi del Rione Terra:
alla riunione a Palazzo Santa Lucia, alla presenza anche
dell'assessore regionale Marco Di Lello, c’erano il commissario
straordinario del Comune Raffaele Sarnataro e il segretario generale
Edoardo Oliva: «Noi abbiamo solo chiesto del tempo per avere dei
chiarimenti, ma non è detto che non firmeremo», spiega Sarnataro. In
realtà al Comune - che è il proprietario del Rione Terra - vogliono
delle garanzie: chiedono che in questa fase, con il cantiere aperto,
i lotti in fase di completamento e il recupero del Duomo-Tempio in
dirittura d’arrivo, siano dispensati da ogni forma di
responsabilità. Perché il municipio flegreo non ha personale per
vigilare sugli scavi, né appare intenzionato a farlo prima della
consegna del Rione. Oggi, comunque, per la prima volta dopo oltre 5
anni le visite sono sospese. «Uno smacco incredibile - sbotta
amareggiato Fulvio Bausano, presidente dell’Assoalbergatori flegrei
- Il percorso rappresenta una delle principali attrattive culturali
della zona. E fa ancora più male sapere che all’origine di tutto c'è
ancora il mancato accordo tra enti pubblici». I percorsi sotterranei
consentono di visitare uno dei decumani principali dell’antico
tessuto urbano della Puteoli romana e di scoprire osterie, depositi
e botteghe. Amarezza anche nella parole di Antonio Di Somma,
presidente dell’Associazione flegrea delle agenzie di viaggio. «Le
presenze sono in aumento, Pozzuoli è proiettata a immettersi a pieno
titolo nel circuito turistico regionale - dice - Questo è un colpo
durissimo, ma sono certo che tutti insieme troveremo una soluzione».
Dal mondo della politica Filippo Lucignano, ex presidente del
Consiglio comunale, alza la voce: «Apprezzo la decisione dei
commissari straordinari, il Rione Terra è proprietà della
collettività puteolana e auspico che ogni decisione sulla sue
gestione venga presa dai rappresentanti eletti dalla comunità».
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05/10/2007
NUOVAMENTE FRUIBILE IL VILLAGGIO PROTOSTORICO DI
NOLA (NA)
Liberato da erbacce e dall'acqua è finalmente
fruibile nuovamente lo scavo archeologico del villaggio protostorico
di Nola (vedi lo speciale
NOLA per ulteriori
notizie). |
05/10/2007
LA VILLA ROMANA E' ABBANDONATA DA PIU' DI UN ANNO A
MONTEMILETTO (AV)
«Siamo stanchi di subire questi disagi e di
vedere soprattutto un gioiello del passato come questa villa romana
completamente abbandonato». Esordisce così Giuseppe Musto, residente
in contrada San Giovanni, alle porte di Montemiletto. E lo fa anche
a nome delle altre cinque famiglie della zona che da oltre un anno
sono costrette a muoversi con estrema difficoltà per raggiungere
l'ingresso delle rispettive abitazioni perchè la strada che doveva
essere realizzata dal comune è stata bloccata per la scoperta di una
dimora patrizia. L'intervento della Soprintendenza ha sospeso il
cantiere ma, nel contempo, sono stati bloccati pure i lavori di
scavo per riportare alla luce l'intero perimetro della dimora
signorile. E da allora Giuseppe Musto, e con lui l'intero vicinato,
faticano ogni giorno a uscire di casa, sia a piedi sia con le auto.
In attesa che dal palazzo municipale qualcuno si decida a dare loro
un segnale Musto, incoraggiato da parenti e vicini, ha deciso di
sollevare il caso e di promuovere almeno un'iniziativa a favore
della tutela del piccolo, ma prezioso, patrimonio archeologico
rinvenuto. «Abbiamo chiesto più volte - prosegue l'anziano signore -
al sindaco dei chiarimenti su questa vicenda, ma finora abbiamo
assistito solamente ad uno scaricabarile di responsabilità. Non è
giusto che una villa di epoca romana sia coperta ormai da rovi e
sterpaglie, e l'unica strada che collegava le nostre case al paese
sia interdetta». Gli amministratori locali si difendono sostenendo
di essere a loro volta in attesa del via libera della Soprintendenza
per riaprire il cantiere fermo da oltre un anno.
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03/10/2007
ARRIVANO FONDI PER IL PARCO ARCHEOLOGICO DI SUESSOLA
AD ACERRA (NA)
Un importante contributo per la realizzazione del parco
archeologico di Suessola, da costruirsi
in località Calabricito, situata a ridosso del confine con il Casertano, è
stato stanziato, con decreto, dal ministero dell'Economia e Finanze per
«interventi diretti a tutelare l'ambiente e i beni culturali e a
promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio». La somma
destinata al Comune di Acerra è pari a 150mila euro. Il finanziamento
servirà sia per l'avvio della realizzazione del parco che per l'inizio
delle procedure di acquisizione al patrimonio comunale della Casina
Spinelli.
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28/09/2007 MANCANO I FONDI
PER LA VILLA DI ANTEROS ED HERACLIO A STABIA (NA)
Niente fondi per la messa in sicurezza dei resti della «Villa di Anteros ed Heraclio».
Tegole, pezzi di mura, pavimento e pareti intonacate. Che sono stati
rinvenuti un anno fa ma che sono adesso di nuovo sepolti da cespugli e
terreno al rischio delle intemperie. Si tratta della quinta villa romana
situata nella zona di Varano, all'epoca a pochi metri da villa San Marco.
Una scoperta che fu del tutto casuale e che era avvenuta a seguito di
un'operazione di scerbatura commissionata dall'assessorato all'ambiente
del comune di Castellammare di Stabia. All'epoca dei fatti, bastò solo una
semplice pulizia del costone di via Passeggiata
archeologica (conosciuta dai residenti
come Varano), per riscoprire il pavimento e le mura della villa di cui si
credevano persi i resti. Alla pulizia sarebbe dovuta seguire una messa in
sicurezza, ma a quanto pare nessuna istituzione competente è riuscita a
rispettare il vincolo archeologico. Se si percorre la strada,
e ci si ferma proprio di fronte i campetti di calcio, spostando parte
della vegetazione, un po’ più su del livello stradale si possono ammirare
quei resti che sono dipinti ancora di rosso. «Ricordo molto bene quella
scoperta - afferma Raffaele Longobardi assessore comunale all'ambiente - e
per metterla in sicurezza occorrono fondi che il portafoglio del settore
ambientale non possiede». Già, perché a far parte dello stesso settore
ambientale c’è anche la questione rifiuti, che con la partecipata comunale
pare abbia assorbito buona parte dei fondi comunali destinati
all'ambiente, riducendo di fatto il budget del settore. «Ma quei resti non
verranno abbandonati - continua l’assessore Longobardi - stiamo
effettuando uno studio. Nello studio si sta valutando l'ipotesi di un
collegamento archeologico tra il
centro della città e la zona collinare di Varano, ed è in quest'ambito che
intendiamo porre in sicurezza i resti della quinta villa di Stabia, ma il
tutto sarà inserito nel piano delle opere pubbliche e se tutto continuerà
ad avere esiti positivi entro la fine dell’anno potremo far partire il
bando per l'eventuale messa in sicurezza». Intanto, fa sapere il portavoce
del soprintendente Pietro Giovanni Guzzo «la scoperta è stata trattata
secondo il procedure dell'Icr (istituto centrale di restauro); i resti
sono stati scavati per motivi di studio, e poi ricoperti per mancanza di
protezioni idonee a tenerli in luce». |
26/09/2007
PRONTA UNA CAMPAGNA DI SCAVO A CUMA (NA)
Alla vigilia di una grande campagna di scavi nel parco
archeologico di Cuma, grazie ai fondi
dell'Ue, attenzione puntata anche sulle antiche Terme di Baia. Stanno per
partire i percorsi di luce by night nei weekend. Ad organizzarli la
Sovrintendenza ai Beni archeologici di Napoli e Caserta. Ma
c’è attesa per l’inizio delle ricerche nel parco
archeologico di Cuma. Il sovrintendente
Maria Luisa Nava, spiega: «A Cuma, la più antica e settentrionale colonia
euboica della Magna Grecia (730 a.C), nuove ricerche sistematiche sono
riprese per la tutela, la valorizzazione e la fruizione e l'ampliamento
del parco archeologico , il più
antico dei Campi Flegrei. Grazie al Progetto Kyme, ora alla sua terza
fase, è stata spostata l'attenzione verso la città bassa, posta ai piedi
dell'Acropoli e sede dell'abitato. Qui si concentreranno le prossime
ricerche», rileva la Nava. Nel corso delle indagini la Soprintendeza ha
effettuato il consolidamento e il restauro dell’Arco Felice di Cuma, il
consolidamento, restauro e il primo allestimento della masseria del
Gigante, futuro centro di accoglienza e la realizzazione del nuovo
ingresso e della recinzione di tipo monumentale. Partners della
Sovrintendenza che, oltre ad eseguire importanti interventi in aree urbane
e extraurbane, ha coordinato le attività, sono stati i Dipartimenti di
archeologia delle Università
Federico II e l'Orientale, e il Centre Jean Bèrard. Le indagini sono
concentrate nell'area del Foro e dei monumenti circostanti, lungo il
perimetro delle mura della città e nelle aree litorali e portuali. E nel
parco archeologico di Baia
prendono il via i percorsi by night. Dopo il successo della grande lirica
organizzata dall'Azienda di soggiorno e turismo di Pozzuoli in joint
venture con il teatro San Carlo, parte «Bagliori d'antichità. Nuovi Lumi
sulle Terme di Baia», itinerario nelle antiche Terme di Baia. «Dopo il
successo delle visite guidate notturne al Rione Terra, dove abbiamo
triplicato le presenze a settembre - dice Franco Mancusi, amministratore
dell'azienda di Soggiorno e Turismo di Pozzuoli - realizzeremo un servizio
di navette, un collegamento tra i siti archeologici flegrei illuminati per le
visite notturne. Un unico percorso unirà rione Terra, Anfiteatro Flavio,
Castello aragonese e parco archeologico di Baia».
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26/09/2007
SCAVI DIMENTICATI A STABIA (NA): INVITO AL MINISTRO
RUTELLI
«Signor ministro, la aspettiamo a Stabia». È diretta Annamaria Boniello,
amministratrice della locale azienda turistica, quando scrive al ministro
per i beni culturali Francesco Rutelli invitandolo a visitare
ufficialmente Villa San Marco, Villa Arianna e il secondo complesso del
Varano. Un invito dell'amministratrice, a verificare di persona le
bellezze di un «grande sito archeologico su cui non si vogliono
puntare i riflettori». E poi si intende far chiarezza sul perché tra due
istituzioni aventi lo stesso scopo, quello della promozione
archeologica, non vi è mediazione.
L'esigenza di richiedere un intervento del governo sarebbe scaturita
proprio da una mancata attenzione - secondo il vertice dell’azienda -
della soprintendenza locale verso gli scavi stabiesi. «Qualche sera fa,
abbiamo messo in scena uno spettacolo ambientato negli Scavi - spiega
Annamaria Boniello - ma per avere l’ok c’è voluto un mese. La
soprintendenza per poterci concedere l'uso del luogo ha chiesto un nolo,
che di norma è a discrezione del soprintendente, e una serie di condizioni
tra cui quella di un pubblico ristretto di sole 100 persone». 6 i custodi
imposti dalla soprintendenza e pagati a servizio notturno straordinario,
140 i metri quadri di moquette da stendere sul prezioso pavimento, server,
compresi di trasformatore per corrente, assicurazione e piano sicurezza.
In tutto «Abbiamo speso più di 5 mila euro - continua la Boniello - potevo
usare come location le terme, mi erano concesse gratis, ma ho voluto fare
questo autogol per portare all'attenzione il problema degli Scavi
affrontando una difficoltà economica». Intanto l'azienda turistica propone
meno custodi e almeno una guida archeologica che informi chi vuole
visitare quei luoghi del passato. «Gli Scavi - conclude l'amministratrice
- sono finiti nel dimenticatoio; i siti archeologici di Castellammare non sono
stati valorizzati, ed è uno scandalo che un'istituzione come la
soprintendenza non mostri una certa attenzione quando si parla di eventi,
organizzati da altre istituzioni, che non possono far altro che
pubblicizzare i siti stabiesi». Intanto alla Boniello arrivano lettere di
solidarietà: «Non è normale - scrive l'attore Italo Celoro - che la strada
di Varano sia più nota per i suoi bar che per il territorio ricco di
bellezze che hanno dato vita alla nostra città».
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23/09/2007
IN EVIDENZA RESTI ARCHEOLOGICI A VICO EQUENSE (NA)
Appaltati e pronti a partire i lavori di riqualificazione del
borgo di Marina d’Equa e delle antiche strade che dal centro urbano
e da Seiano conducono al borgo marinaro. Un restyling dal costo di
760 mila euro di cui 510 mila per le sole opere edili e di
illuminazione, che si propone di restituire all’antico fascino una
delle località della penisola sorrentina più interessanti per
l’aspetto ambientale e storico. Infatti, nell’intervento che
riguarda via Pezzolo e Torretta saranno evidenziate con specifici
punti luce e segnaletiche le testimonianze archeologiche romane e
medioevali presenti lungo il tracciato viario e nei suoi pressi. Per
queste strade ci sarà a un nuovo impianto di illuminazione e una
parziale ripavimentazione in cotto mentre più significativo è
l’intervento riguardante via Arcoleo, il lungomare che fiancheggia
il porticciolo di Marina d’Equa e per la piazzetta. Qui sarà
realizzato un impianto di raccolta delle acque piovane che si
estenderà anche nella sovrastante via Marina di Equa, la stradina
pedonale che raggiunge Seiano e da cui in occasione di forti piogge
si riversano sulla piazzetta cospicue quantità di acque e fanghi che
invadono l’area nei pressi della chiesa di Sant’Antonio. Nella
piazzetta sarà ripristinata l’antica pavimentazione in basoli
vesuviani, mentre nell’attigua via Arcoleo sarà ripristinata nelle
aree mancanti la stessa tipologia di lastricato in pietra lavica.
Lungo il lungomare sarà abbattuto il muretto che lo delimita sul
lato del porticciolo e al suo posto installata una ringhiera in
ferro alta un metro e 10 centimetri, così da favorire la visione
dello specchio d’acqua sottostante. Inoltre, a circa metà della
strada che da via Murrano raggiunge la piazzetta del borgo sarà
realizzata una rotonda panoramica, facilmente accessibile anche ai
diversamente abili, che poggerà su profilati in acciaio impiantati
sulla spiaggia ed avrà una pavimentazione in legno ikoko, materiale
simile al pontile degli aliscafi di fronte, capace di resistere
ottimamente all’azione della salsedine. Tutta la passeggiata del
lungomare sarà ripavimentata in basoli, dello stesso tipo di via
Arcoleo, con rimozione dello strato cementizio che caratterizza
l’attuale marciapiede. L’inizio dei lavori è ormai prossimo.
L’ultimazione dell’intervento è prevista in 180 giorni. «Contiamo di
iniziare nelle prossime settimane – dice Matteo De Simone, assessore
ai lavori pubblici – una serie di interventi integrati che
cambieranno volto alle due marine cittadine sia in termini di
funzionalità che soprattutto nelle possibilità di accesso». La
riqualificazione è salutata con soddisfazione dagli operatori
turistici locali: «Abbiamo avuto assicurazione – afferma Giovanni
Maresca, vice presidente del consorzio di Marina d’Equa – che per la
prossima estate i nostri ospiti troveranno un borgo più accogliente
e rispondente alle nuove esigenze manifestate da un settore come il
turismo in continua evoluzione». |
19/09/2007
NAPOLI, REPERTI DI 8000 ANNI FA SOTTO IL CONVENTO DI
SANT'ANDREA DELLE DAME Complesso di Sant´Andrea delle Dame. Una delle più importanti
chiese convento della Controriforma in cima alla città. Tanto in
cima che la strada alla quale corrisponde la sua parte alta una
volta si chiamava "via Settimo Cielo". In queste sale, dall´800 sede
della facoltà di Medicina della Seconda Università, a cui si accede
da via Costantinopoli 16, salendo all´ultimo piano dell´edificio,
"abiteranno" uno stabulario e un centro per la risonanza magnetica
tra i più avanzati dell´Italia meridionale. Ma prima bisognerà fare
i conti col passato. Mentre gli operai scavavano per sistemare gli
impianti di condizionamento dell´aria, infatti, la storia è tornata
ancora una volta alla ribalta. Un pozzo romano del IV-III secolo a.
C., un pezzo di muro del V-IV secolo a. C. (fortificazione o tempio,
considerato che ci troviamo sull´acropoli?) e - sorpresa delle
sorprese - una fetta di suolo che porta i segni dell´aratro di un
"napoletano" vissuto tra Neolitico ed Eneolitico, quando l´umanità
si risolse a diventare stanziale e a coltivare la terra. Lo scavo è
andato ancora più in profondità, arrivando di eruzione in eruzione,
fino a 8000 anni prima di Cristo.
Passato e presente viaggiano insieme, come si è visto scavando per
la metropolitana. Anche il Secondo Ateneo con il rettore Franco
Rossi e il coordinatore del progetto Pasquale Belfiore hanno dovuto
rivolgersi alla Soprintendenza archeologica e Maria Luisa Nava ha
attivato immediatamente la massima esperta di "archeologia urbana",
Daniela Giampaola. Gli studiosi sono intervenuti già in fase di
progetto. E il sospetto ha avuto conferma il 27 agosto, quando al
centro degli ambienti del porticato al quale si accede dalla parte
alta dell´"acropoli", via De Crecchio, è venuto alla luce un pozzo
con un sistema per prelevare acqua prima che sotto Augusto fosse
realizzato l´acquedotto di Serino.
Infrastrutture del passato alle quali fu sovrapposto nel XVII secolo
il monumentale convento. I frammenti di ceramica, come sempre, hanno
aiutato gli archeologi a datare il pozzo. Poco distante, sempre
negli ambienti a volta che si trovano 12 metri sopra via
Costantinopoli, ecco invece una massiccia parete di blocchi di tufo
di un metro per settanta. Dista poco Sant´Aniello a Caponapoli, la
chiesa che contiene una parte della cinta muraria che parte da
piazza Bellini e passa per Sant´Antoniello, dove un altro pezzo di
murazione è stato recentemente rintracciato. Il nostro pezzo è
ancora da collocare nel percorso della cinta muraria urbana. «Solo
ipotesi, finché l´università non ci autorizza a scavare al piede -
sottolinea l´archeologa Giampaola - sull´acropoli c´erano edifici
pubblici, templi importanti. A San Gaudioso, non lontano da
quest´area, sono stati trovati reperti collegati al culto di Demetra».
Potrebbe trattarsi di un muro come di un edificio.
Alle spalle del pozzo-cisterna, circa tre metri sotto i nostri
piedi, sono stati trovati poi dei suoli arati che datano alla fase
finale del Neolitico. Dello stesso periodo sono i terreni il cui
calco è esposto nella mostra sotto il Museo Archeologico, trovati in
via Diaz nello scavo della metropolitana. «Il terzo - completa
l´archeologa - è apparso durante il restauro del Madre in via
Settembrini. La prova che questo pianoro ha da sempre il problema
della sovrappopolazione. Coltivavano i declivi, anche per sfruttare
il corso delle acque, e abitavano sull´altura, per essere meglio
difesi». Napoli fu fondata nella piana del centro nel VI-VII a. C,
2700 anni fa, ma scoperte come quella di Sant´Andrea delle Dame o di
via Diaz raccontano che gli insediamenti umani c´erano anche prima.
I "napoletani" sono ancora più antichi: per 4000 anni sicuramente
abitarono quelle zone. (Fonte: STELLA CERVASIO su
REPUBBLICA) |
13/09/2007
RIAPERTI GLI SCAVI DI ABELLINUM (AV) Riapre al pubblico il sito archeologico dell'Antica Abellinum.
Da ieri mattina il grosso cancello di via Manfredi, custode delle
radici romane del capoluogo avellinese, ha nuovamente riaperto i
battenti (con orario continuato dalle 8 di mattina fino alle 19.30)
per accogliere i numerosi visitatori che in un'area di circa 20mila
mq. potranno così ammirare le tracce ed i segni dell'antica Civita
romana risalente al II secolo a.C. con la sua Domus e le Terme. La
Domus, in particolare, riportata totalmente alla luce, di stile
ellenistico-pompeiano, con un'estensione di circa 2500 mq, è
appartenuta nel periodo iniziale dell'impero a Marcus Vipsanius
Primigenius, liberto di Vipsanio Agrippa, genero di Augusto. Una
riapertura degli scavi attesa dopo la chiusura dell'area per circa
una decina di giorni con provvedimento del Soprintendente ai Beni
Archeologici di Avellino, Benevento e Salerno, dottore Angelo Maria
Ardovino, a causa dell'interruzione della fornitura di energia
elettrica da parte dell'Enel per morosità. Alla base della decisione
del soprintendente di chiudere gli scavi il mancato funzionamento
dei sistemi di videosorveglianza ed allarme presenti nel parco, tali
da non garantire le condizioni minime di sicurezza ai visitatori e
agli stessi operatori. Una decisione che aveva suscitato la reazione
del primo cittadino Aldo Laurenzano, che aveva scritto al Ministro
Rutelli per manifestare il proprio sconcerto per il provvedimento
adottato, chiedendo l'immediata riapertura. E proprio il sindaco
Laurenzano ieri ha salutato positivamente la riapertura del sito.
«Una buona notizia per la città - commenta - ne prendiamo atto con
soddisfazione». La segreteria provinciale ed il coordinamento
nazionale della Cisl ”Beni Culturali” ringrazia il ministero ed il
Comune, oltre al soprintendente che si è attivato nel risolvere il
problema tempestivamente. Anche l'assessore Luigi Adamo, delegato
alla riqualificazione del Parco Archeologico, si dichiara
soddisfatto per la riapertura. «Un fatto positivo - spiega Adamo -
che ci tranquillizza rispetto alle preoccupazioni che avevamo
espresso all'atto della chiusura. Speriamo che ora ci sia una rapida
attuazione del progetto di sistemazione dell'intero Parco
Archeologico». L'assessore fa riferimento al progetto di
riqualificazione curato dalla stessa Soprintendenza che punta a far
rinascere l'antica «civitas foederata» di Roma sul modello di Pompei
e per il quale ci sono a disposizione già 4 milioni di euro, soldi
rientranti dalla ripartizione dei Fondi Fas regionali. |
04/09/2007
RIAPERTURA ANNUNCIATA PER GLI SCAVI DI ABELLINUM (AV) Riaprirà al pubblico nel giro di pochi giorni l'Antica Abellinum,
il grande Parco Archeologico della valle del Sabato, custode delle
radici romane del capoluogo avellinese, chiuso venerdì scorso dal
Soprintendente ai Beni Archeologici di Avellino, Benevento e
Salerno, dottore Angelo Maria Ardovino, a causa dell'interruzione
della fornitura elettrica da parte dell'Enel per morosità. Ad
assicurare la riapertura degli scavi ai numerosi visitatori ed il
ritorno alla normalità è lo stesso Soprintendente Ardovino. «L'Enel
ha accettato una transazione. Per cui il tempo tecnico necessario
per effettuare un primo pagamento e nel giro di due-tre giorni la
società riattiverà l'erogazione dell'energia elettrica ed il parco
sarà riaperto al pubblico». Lo stesso Soprintendente ripercorre
l'intera vicenda. «Ci sono stati dei problemi di liquidità della
Soprintendenza legati a carenza di fondi ministeriali - prosegue -
una carenza non solo relativa al sito atripaldese. L'Enel,
creditrice, ha deciso di interrompere la fornitura dell'energia
elettrica per morosità partendo proprio dall'Antica Abellinum. Una
situazione che ho trovato al momento del mio insediamento». Da qui
la decisione del soprintendente di chiudere l'area di interesse
archeologico visto che la mancanza di corrente aveva bloccato i
sistemi di videosorveglianza ed allarme presenti nel parco, non
garantendo così le condizioni minime di sicurezza ai visitatori. Una
decisione che ha fatto andare su tutte le furie il primo cittadino
Aldo Laurenzano che ha scritto al Ministro Rutelli per manifestare
sconcerto e «viva preoccupazione per il provvedimento adottato». Ma
anche le segreterie provinciali e nazionali della Cisl Beni
Culturali hanno protestato contro la decisione del Soprintendente. E
proprio con il sindaco Laurenzano, che ieri mattina ha richiesto un
incontro urgente al soprintendente, restano tesi i rapporti. «La
situazione va sdrammatizzata - conclude Ardovino - il sindaco può
far a meno di agitarsi inutilmente visto che nel giro di due-tre
giorni dovrebbe normalizzarsi tutto con la riapertura degli scavi». |
01/09/2007
STACCATA LA LUCE, SCAVI CHIUSI AD ABELLINUM (AV) Chiude al pubblico (e il sospetto è che ciò sia avvenuto per
morosità) l'Antica Abellinum, il grande Parco Archeologico simbolo
dell'Irpinia, custode delle radici romane del capoluogo avellinese.
A comunicare la decisione al primo cittadino Aldo Laurenzano lo
stesso Soprintendente ai Beni Archeologici di Avellino, Benevento e
Salerno, Angelo Maria Ardovino. Nella missiva, inviata
all'attenzione del Ministero dei Beni ed Attività Culturali, alla
Prefettura di Avellino, al Comune del Sabato e agli Uffici
distaccati di Avellino della Soprintendenza, le motivazione alla
base della decisione. A spingere infatti il Soprintendente di
Salerno ad emettere ieri il provvedimento di chiusura,
l'interruzione della fornitura elettrica (ma non si spiega il
motivo) avvenuta lo scorso 27 agosto e segnalata dallo stesso
personale che custodisce la più grande area archeologica provinciale
per estensione, risalente al I secolo a.C.. Proprio la mancanza di
energia elettrica ha nei fatti bloccato tutte le attrezzature
presenti nel parco, compreso il sistema di videsorveglianza. Non
sussistendo così più le condizioni minime di sicurezza per mantenere
il parco aperto al pubblico, il soprintendente Ardovino ha deciso di
procedere alla sua chiusura fino a quando non sarà garantita
nuovamente la sicurezza dell'area, ai visitatori e agli stessi
operatori. Una decisione accolta con sconcerto e preoccupazione dal
primo cittadino Aldo Laurenzano, che ha scritto al Ministro Rutelli
per manifestare il proprio sconcerto e «viva preoccupazione per il
provvedimento adottato che preclude la possibilità di fruire di una
emergenza storica ed archeologica di massima importanza per la città
di Atripalda, la Provincia e la Regione tutta». Laurenzano chiede,
perciò, che venga posto in essere ogni provvedimento utile ad
assicurare nel più breve tempo possibile la riapertura
dell'importante sito archeologico. «La notizia rappresenta una nota
stonata - commenta rammaricato l'assessore Luigi Adamo, delegato
alla riqualificazione del Parco Archeologico - anche perché siamo
alla vigilia della sistemazione del parco stesso con un progetto
importante. Questo segnale va nel segno opposto». La notizia del
provvedimento di chiusura viene anche valutata con fermezza dalla
Cisl Beni Culturali irpina e dalla la segreteria nazionale che si
sono da subito attivate facendo pervenire al Ministero dei Beni
Culturali una nota per evidenziare la gravità della situazione,
chiedendo al contempo l'annullamento del provvedimento con il quale
il Soprintendente ha disposto anche la sospensione del servizio di
vigilanza all'interno del sito archeologico, disponendo invece solo
quello esterno all'area. |
25/08/2007
PRESTO UN PARCO ARCHEOLOGICO A MONTE DI PROCIDA (NA) Seppelliti per millenni, i militari della flotta imperiale
riportati alla luce saranno conservati nel primo parco archeologico
della città: prosegue a ritmo serrato la realizzazione del sito, che
chiuderà in una cornice idonea la necropoli ritrovata durante opere
di ordinario assetto urbano nella frazione Cappella, in piazza
Mercato di Sabato. Erano poco più di un centinaio gli uomini della
flotta dell'Antica Roma, la Praetoria Classis Misenensis, riemersi
da un'altra epoca grazie alle ricerche eseguite a poche centinaia di
metri dalla base militare di Misenum, stabilita nel lago e nel porto
di Miseno. Ma la scoperta non è solo delle spoglie dei marinai
vissuti tra il I e il II secolo dopo Cristo. Sono stati ritrovati
intatti anche i loro sepolcri: tre metri sotto il livello stradale
sono riaffiorati grazie ai ricercatori due colombari, ossia delle
camere con la volta a cupola dove sono disposte decine di nicchie
con le urne cinerarie. E gli archeologi hanno capito di aver
ritrovato la necropoli di Misenum per la presenza di un'iscrizione
che un sottufficiale della triremi Capricorno, Lucius Vibus Valens,
dedicò a Tiberius Claudius. Dopo la singolare scoperta è iniziato un
piano di recupero del monumento con accurate opere di scavo e di
restauro, seguite dalla Sovrintendenza ai Beni Archeologici di
Napoli e Caserta. Ciò è stato possibile grazie ad una spesa di un
milione di euro, assegnata con un accordo di programma siglato da
Regione e ministero per i Beni Culturali. Il complesso funerario,
intanto, faceva parte di un itinerario che dal lago Miseno
proseguiva fino al promontorio di Cuma. E con il programma di
valorizzazione intrapreso e ora in via di conclusione, la necropoli
entro il prossimo dicembre diverrà un parco archeologico
raggiungibile dai visitatori, rigorosamente videosorvegliato.
Secondo il prospetto delineato dai tecnici, la realizzazione di una
struttura trasparente ne consentirà la vista dall'alto. E anche la
facciata sulla strada principale sarà vetrata. L'atmosfera
dell'epoca imperiale sarà poi riprodotta con suoni, video e testi
narrati, mentre si potrà raggiungere e visitare con delle scale
laterali la necropoli situata sotto il livello stradale. In via di
riqualificazione anche lo spazio esterno. Inoltre, l'area sarà
collegata con una passeggiata storico-paesistica attraverso il
promontorio di Monte di Procida con il centro della città. |
25/08/2007
ARRIVANO NUOVI FONDI PER GLI SCAVI A CUMA (NA) Cento milioni di euro per una grande campagna di scavi nel Parco
Archeologico di Cuma, la colonia greca situata a metà tra Bacoli e
Pozzuoli. I fondi, stanziati dall’Unione Europea, si aggiungono ai
50 milioni di euro della Regione Campania assegnati nell'ambito del
Progetto Integrato Territoriale. Il via ai lavori è previsto a
settembre. L'annuncio è del sindaco di Bacoli, Antonio Coppola: «Sta
per partire il più vasto progetto di ricerca dell’area grazie ad un
programma congiunto di Regione e Unione Europea, che ha concesso 100
milioni di euro. Cuma è uno dei più importanti siti archeologici. Il
suo recupero è fondamentale per il rilancio del territorio». Intanto
con le opere già realizzate finora, la Sovrintendenza ai Beni
Archeologici, diretta da Maria Luisa Nava, ha coinvolto le
università Federico II e Orientale per eseguire scavi nella parte
bassa della città. Quest'area sarà collegata all'Acropoli, da unire
alla Grotta di Cocceio sul Lago d'Averno. I progetti sono stati già
appaltati. Un’operazione che è destinata a incrementare anche lo
sviluppo turistico di tutta l’area dei Campi Flegrei. Cuma, fondata
nel 730 a.C. dai coloni calcidesi, è tra le più antiche zone
archeologiche d'Italia. Fu abitata, infatti, sin dall'età del ferro
e molto probabilmente sin dall'epoca del bronzo finale, tra
l'undicesimo e il decimo secolo a.C. I programmi delineati per il
suo recupero sono prestigiosi. E mirano a rilanciarla sul
palcoscenico internazionale. Basti pensare che la più antica colonia
greca d'occidente è un intreccio unico al mondo di monumenti: uno
scrigno di opere incastonate nel verde del promontorio a picco sul
mare. Famosa soprattutto per l'Antro della Sibilla, citato da
Virgilio nell'Eneide, un percorso scavato nel tufo in due epoche
differenti: risale al IV secolo a.C. lo scavo più antico, di forma
trapezoidale. Mentre quello più recente, rettangolare, è
probabilmente di età augustea. Considerato inizialmente l'antro
della Sibilla Cumana, le più recenti ricerche hanno potuto
dimostrarne invece una funzione militare. E poi lungo il percorso è
possibile visitare la Cripta, un altro tratto tufaceo che unì in
epoca tardo repubblicana il porto di Cuma al Portus Julius. E ancora
il Tempio di Apollo, fondato dai Greci e ricostruito dai Romani con
le sue peculiari colonne trilobate, il Santuario di Iside, il Tempio
di Hera. Troneggia in alto il Tempio di Giove con i muri in opus
reticulatum. Nella città bassa, invece, il Foro con la Masseria del
Gigante e le Terme, il Capitolium, il Tempio con Portico. Questi
sono solo alcuni dei resti racchiusi nel Parco Archeologico che si
estende per chilometri da Cuma a Licola e sul versante opposto verso
il Fusaro. Ed è recente la scoperta dell'Anfiteatro, uno dei più
antichi del mondo romano. Fuori della cinta fortificata, poi, vi è
conservata la necropoli settentrionale con una tomba regale
dell'ottavo secolo a.C., una sotterranea a tholos (con volta a
pseudocupola in tufo) del IV secolo a.C. e una monumentale di età
imperiale. Qui i ricercatori hanno rinvenuto resti umani privi di
cranio ma con maschere di cera. |
25/08/2007
TORNANO GLI AFFRESCHI DI STABIA (NA) «Esistono capolavori che sono essenziali per un museo e per tale
ragione non possono allontanarsene. E, come al Louvre ci sono la
Gioconda e la Venere di Milo, così all’Archeologico vi sono la Flora
e le statue della Collezione Farnese, opere che assieme ad altre
grandi testimonianze dell’antichità rappresentano la ragione della
fama del Museo di Napoli. Di conseguenza, ci spiaceva che, assieme
agli altri affreschi di Stabiae, se ne stesse lontana per così tanto
tempo dalle collezioni esposte». Maria Luisa Nava, soprintendente
archeologa di Napoli e Caserta, gelosa dei tesori custoditi al museo
nazionale? Forse. Anche se la studiosa pare più dispiaciuta per il
fatto che testimonianze uniche al mondo siano state per tre lunghi
anni fuori della loro sede naturale senza poter essere ammirate
dalle centinaia di migliaia di turisti che hanno visitato il Museo.
Così ha frtemente e fermamente prreteso che i preziosi affreschi le
fossero restituiti quanto prima, così come era stato garantito
allorché i reperti partirono per gli Usa con l’obiettivo di girare
gli States assieme nella grande mostra «In Stabiano», dedicata alle
testimonianze archeologiche recuperate nelle ville dell’antica
Stabiae. Tornano dunque, dopo ben tre anni di assenza la Flora,
Medea, Diana e Leda con il cigno. Le figure, sono state ripresentate
dalla soprintendente Nava e dalla direttrice dell’Archeologico,
Maria Rosaria Borriello, al museo nazionale, nel salone della
Meridiana. E, in quegli spazi resteranno visibili sino a quando -
già alla fine del prossimo settembre, assicurano gli addetti ai
lavori - troveranno definitivamente posto all’interno della sala
alle pitture di Stabiae destinata nel nuovo allestimento museale. Un
montaggio, quest’ultimo, che se da un lato dovrà rendere più
organica la visita, dall’altro tenderà a favorire la lettura e la
comprensione delle opere proposte. «Oltre all’ambiente per le
pitture provenienti dalla Villa di Arianna e da Stabiae - rivela la
direttrice - avremo una sala in cui esporremo quelli che all’epoca
erano noti come paesaggi e ritratti». Solo più in là, quindi, si
provvederà ad allestire con i nuovi criteri tutte le sale con le
pitture pompeiane. Ad accogliere i quattro affreschi ci sarà lo
stesso supporto antico e girevole sul quale vennero messi quando
arrivarono al museo. I dipinti provengono da un unico ambiente, un
cubicolo della Villa di Arianna (si trova sull’attuale collinetta di
Varano, a Castellammare di Stabia), esplorato per la prima volta nel
1759. I quadretti si trovavano inseriti nella zona mediana delle
pareti e le figure dipinte sui pannelli, datati alla prima metà del
I secolo dopo Cristo, propongono quattro personaggi del mondo
mitologico. La Flora è il più noto tra tutti. Dipinta su un fondo
color verde acqua, la ninfa (così la definisce il poeta Ovidio),
madre di Marzo (e quindi annunciatrice della primavera e del ritorno
della natura rigogliosa), è stata da sempre considerata la pittura
di Stabiae per eccellenza, tanto da diventarne il simbolo sia per la
delicatezza dei colori sia per la maestria delle pennellate, o
ancora per la raffinatezza con cui è costruita l’intera scena. Non
va ovviamente dimenticata l’importanza degli altri quadretti, non
solo eccezionali testimonianze di gusto e lusso della proprietà, ma
anche di maestria della bottega pittorica che fornì artisti e
cartoni: gli affreschi venivano realizzati sfruttando matrici
preparate in precedenza e che per l’officina erano una sorta di
catalogo ante litteram da mostrare ai clienti, che potevano quindi
scegliere in base a preferenze e offerte. «Ecco, questi sono alcuni
tra i motivi - riprende la soprintendente - per i quali non potevamo
impoverire e per un tempo tanto lungo un ciclo pittorico così
importante come quello degli affreschi dell’area vesuviana». (Fonte:
IL MATTINO) |
10/08/2007
SCOPERTA UNA NECROPOLI ETRUSCA A GIFFONI VALLE PIANA (NA) Spuntano nuovi tesori archeologici a Santa Maria a Vico.
Probabilmente di rilevanza straordinaria, giacchè sembra che nel
corso degli scavi nell’area sia stata messa in luce una necropoli
etrusca. Gli addetti ai lavori non si sbilanciano, ma le prospettive
ci sono, visto che la storica frazione di Giffoni Valle Piana non è
nuova a queste straordinarie scoperte di vestigia del passato.
Durante lo sbancamento per la costruzione di un capannone
artigianale sono state ieri rinvenute tre, quattro tombe di
individui adulti ed il corredo sepolcrale. Si pensa che l'estensione
di questa che ha tutto l’aspetto di una necropoli sia ben più ampia.
La località è top Segret. La zona è sorvegliata giorno e notte. Si
temono intrusioni di tombaroli. Bocche cucite ed occhi bendati anche
tra gli amministratori comunali e funzionari degli uffici preposti.
I dirigenti della soprintendenza salernitana sono riservatissimi ed
almeno per il momento non fanno trapelare nulla. Come detto, però,
la stragrande maggioranza della zona di Santa Maria a Vico, ubicata
sulla strada provinciale Giffoni-Fuorni in prossimità del tempio di
Giunone Argiva - all'interno otto antichissime colonne, sei di
granito e due di diaspro d'Egitto, stile corinzio che fa la sua
comparsa in Grecia solo nel V secolo - non è affatto nuova a simili
scoperte. Ovviamente i lavori di completamento per la realizzazione
di un capannone di tipo commerciale-artigianale stanno purtroppo
slittando. La soprintendenza ce la sta mettendo tutta per recuperare
in fretta il prezioso materiale. Si scava con minuziosa cura, mentre
tutta la comunità parrocchiale di S. Vico, sotto l'attenta regia del
dinamico parroco don Giosuè Santoro, si sta preparando per i solenni
festeggiamenti in onore della festa patronale in programma il 14
agosto. Tra le manifestazioni civili e religiose la «Notte del
Pellegrino» e la messa solenne presieduta da Sua Eccellenza
monsignor Gerardo Pierro e da monsignor Antonio Tedesco, giffonese e
dirigente del Pantheon di Roma. |
06/08/2007 LE
NAVI DEL PORTO DI NEAPOLIS ERANO IN LEGNO D'ABETE Consulta lo speciale
NAPOLI |
04/08/2007
VITTORIA GARIBALDI NUOVA DIRETTRICE REGIONALE DEI BENI CULTURALI Avvicendamento sulla poltrona di Direttore regionale per i Beni
Culturali della Campania. Al posto di Stefano De Caro, arriva
Vittoria Garibaldi dall'Umbria. Racconta Vittoria Garibaldi che la
prima reazione avuta alla notizia della nomina a direttrice
regionale per i Beni culturali della Campania è stata di cercarsi
una sedia. In piedi non avrebbe retto. Emozione? «Beh, è una di
quelle comunicazioni che cambiano la vita. Dopo 27 anni a Perugia,
ora Napoli. Ho pensato che in fondo era il destino: 25 anni fa,
quando vinsi il concorso, mi si offrì la scelta proprio tra le due
città. Io avevo un bambino piccolo e scelsi l’Umbria. Adesso, arriva
il momento della Campania», dice. Martedì la telefonata del ministro
Francesco Rutelli, ieri gli ultimi impegni a Spoleto per l’apertura
del Museo del Ducato Longobardo presso la Rocca Albornoziana, lunedì
mattina a Castel dell’Ovo lo scambio delle consegne con Stefano De
Caro, promosso al vertice del settore archeologico nazionale di via
del Collegio Romano: tutto in rapidissima sequenza, nemmeno il tempo
per abituarsi all’idea di dover avere a che fare con una regione dal
patrimonio culturale ricco e disordinato, articolato in una presenza
vasta e complessa, costantemente in bilico tra lo splendore e
l’emergenza. Vittoria Garibaldi è una storica dell’arte della scuola
di Angela Maria Romanini, medievista di fama, con cui si è laureata
alla Sapienza e poi specializzata. Romana, ha superato da qualche
anno i 50, è bisnipote di Giuseppe Garibaldi per via diretta, suo
padre Ezio era l’ultimo figlio maschio di Ricciotti, a sua volta
quartogenito dell’eroe dei due mondi e di Anita. Che cosa le ha
detto il ministro, quale compito prioritario le ha dato per la sua
missione in Campania? «Di andare, e si è limitato a tanto. In realtà
non ho avuto modo di parlare diffusamente con lui, lo farò
prestissimo. Ma mi pare sufficientemente chiaro lo scenario della
regione dove opererò, sono informata e so anche bene che dovrò
mettermi subito al lavoro». Iniziando da che cosa? «Innanzitutto
confrontandomi con i soprintendenti, gli amministratori regionali,
comunali e provinciali, i rappresentanti della Chiesa, con tutti
coloro che sono titolati nella salvaguardia e nella gestione dei
beni culturali presenti in Campania. Lo interpreto come un mio
dovere e sono convinta che saranno miei utili collaboratori
nell’importante compito affidatomi». Questa è una buona indicazione
di metodo. Ma immagina già su quale terreno sperimentare la
collaborazione che verrà? «Penso di farmi guidare dall’esperienza
maturata in Umbria, una regione che per densità e diffusione di
opere d’arte è certamente al livello della Campania, anche se non
problemi assolutamente diversi. Io credo fortemente nella
valorizzazione del bene culturale, nell’aperta al pubblico e nella
possibilità che la frequentazione dei luoghi - nei limiti ovvii -
possa essere garantita ai più. So bene che andrò a lavorare in
luoghi dove tra gli scavi di Pompei ed Ercolano, la Reggia di
Caserta, la stessa città di Napoli - solo per citare gli esempi di
maggior notorietà - si trovano posti in cima alle graduatorie di
affluenza di visitatori e turisti. Sono pure convinta che bisognerà
continuare su questa strada e farlo sempre al meglio». A questo
proposito, lei sa di dover affrontare questioni che da tempo sono
all’ordine del giorno, e con accenti di vivace polemica, del
dibattito regionale. Il caso della Scabec, l’utilizzo dei fondi per
il por Campania, la riorganizzazione delle soprintendenze secondo le
indicazioni del ministro Rutelli, tanto per dire. «Sono questioni
sulle quali dovrò approfondire la mia conoscenza. Mi aiuterà
l’incontro che avrò con De Caro lunedì e i rapporti con alcuni dei
soprintendenti che operano nella regione. A fine agosto potrò essere
in grado di dire qualcosa in più». Chi conosce dei soprintendenti
che troverà in Campania? «Di fama tutti. Personalmente bene Antonio
Spinosa, meno Giuseppe Zampino ed Enrico Guglielmo, poco Pier
Giovanni Guzzo. Non conosco purtroppo Maria Luisa Nava». Nel settore
dei beni culturali campani la parte archeologica ha una dimensione
importante, per qualità e quantità di valore assolutamente
internazionale e con problemi di contesto però allarmanti. Lei è una
storica dell’arte: avrà difficoltà a confrontarsi con tale scenario?
«Anche in Umbria ho affrontato una situazione di questo genere, non
delle dimensioni di quella campana ma comunque importante. I
risultati del lavoro sono stati positivi e l’esperienza di aiuterà.
Dalla direzione regionale dovrò avere uno sguardo largo e confesso
di non credere che la mia formazione di base possa risultare un
ostacolo. Poi, se proprio vogliamo metterla su questo piano, ricordo
che non sono diventata archeologa soltanto perché all’Università
presi 29, e non 30, all’esame». La sua carriera di direttrice
regionale pare essere segnata dalle critiche che le muovono alcune
organizzazioni sindacali, imputandole - come la Uil fa - di non aver
un curriculum adeguato per il ruolo coperto. Che cosa risponde?
«Niente. Perché a certe malignità e falsità non si risponde. Dico
che sono dispiaciuta e rammaricata ma non altro. Quando si superano
i limiti bisogna difendersi in altre sedi». Lei lunedì prenderà
possesso del nuovo incarico e da allora sarà a Napoli. Mancherà
dunque all’inaugurazaione della mostra su Pinturicchio, da lei
curata, il prossimo due febbraio alal Galleria nazionale dell’Umbria
di Perugia? «Per nessun motivo, a Perugia ci sarò. Quella è una
sfida che ho vinto, ora me ne tocca un’altra». |
04/08/2007
TORNANO REPERTI DAL MUSEO PAUL GETTY Anche quattro frammenti di un affresco di Boscoreale, un altro
di dimensioni maggiori proveniente da Pompei e una Lekythos
attribuita al pittore Asteas trafugata a Paestum tra i 40 reperti
archeologici che entro il 31 dicembre torneranno in Italia
restituiti dal «Getty Museum» in base all’accordo sancito con il
ministero per i Beni culturali. Solo la «Venere» di Morgantina
rientrerà entro il 2010, e sarà esposta in Sicilia in un luogo da
definire. Tre ulteriori reperti (un gruppo scultoreo che raffigura
un poeta tra due arpie, una armatura di cavallo bronzea, una
statuetta in legno di ragazza) sono in discussione: si attende il
completamento delle prove sia giudiziarie che scientifiche.
Sull’«Atleta» attribuito a Lisippo, si aspetta intanto il
pronunciamento del tribunale di Pesaro. |
02/08/2007
RUBATO UN TORCHIO NELLA VILLA ROMANA DI TERZIGNO (NA) Un torchio per la pigiatura del vino è stata trafugata dalla
villa romana che si trova all'interno della cava Ranieri. Sepolta
dall'eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo e scoperta, assieme ad
altre tre, agli inizi degli anni '80, la villa rappresenta una delle
testimonianze più importanti dell'archeologia dell'area vesuviana.
Qualcuno è riuscito a entrare nella cava e ha portato via una
macina, una di quelle che servivano per la produzione del Vesuvinum.
Si tratta di un reperto piuttosto ingombrante, grande più o meno
quanto una poltrona, che per essere portato via ha bisogno di essere
messo su un mezzo di trasporto. Chi ha agito, sicuramente più di una
persona, sapeva dunque di andare incontro ad un lavoro faticoso e
complicato. Il furto è stato scoperto da un archeologo della
soprintendenza di Pompei incaricato di monitorare periodicamente i
reperti. Accortosi della scomparsa della macina, ha avvertito i
dirigenti che immediatamente hanno presentato una denuncia contro
ignoti alla procura della Repubblica di Torre Annunziata.
«Sconcertato e preoccupato» si dice il city manager Luigi Crimaco
che pure afferma di apprendere «solo ora la notizia: ma mi attiverò
subito per fare luce sull'increscioso episodio», assicura il
direttore generale. Nella denuncia si legge che per portare via il
reperto i ladri non hanno esitato a distruggere alcune colonne
posizionate vicino alla macina. Un ulteriore danno, dunque, al
complesso monumentale che, secondo quanto ricostruito dagli
studiosi, risale alla fine del II secolo avanti Cristo. La procura
ha aperto un fascicolo. Gli ignoti, comunque, sono riusciti a
portare via un pezzo archeologico dal valore inestimabile. Proprio
per questo appare singolare che la macina fosse stata lasciata lì,
tra i resti delle ville, e non messa al sicuro in qualche museo o
almeno in deposito. Peraltro, su questa ed altre ville del
territorio vesuviano, non esiste alcun tipo di vigilanza: gli scavi
sono lasciati incustoditi e, una volta introdottisi nella cava
Ranieri, non deve essere stato difficile per i ladri farsi largo tra
le sterpaglie e i blocchi di pietra lavica e raggiungerli. Anche
entrare nella stessa cava è tutt'altro che impossibile: il cancello
principale è perennemente chiuso, ma dalle campagne circostanti
molti sono i percorsi naturali che introducono al sito. Percorsi
impervi che, però, non hanno certo spaventato i malviventi, i quali
probabilmente hanno agito di notte, quando anche dalle abitazioni a
ridosso della cava non è possibile vedere nulla.
Un'indagine interna per fare chiarezza sul furto della macina
avvenuto due mesi fa all'interno della villa romana della cava
Ranieri. L'ha avviata il city manager della soprintendenza ai Beni
archeologici di Pompei Luigi Crimaco: «Ho predisposto degli
accertamenti, scrivendo agli uffici competenti. È necessario che
sulla vicenda sia fatta chiarezza e spero di avere risposte in tempi
rapidi». Il furto della macina (un «catillus» in pietra lavica) era
già stata segnalata dalla soprintendenza con una denuncia alla
Procura della Repubblica di Nola e alle foze dell’ordine e agli
uffici del ministero per i Beni e le attività culturali. La macina,
situata accanto a delle colonne in laterizio (distrutte dai ladri
nel corso del raid) all'interno della villa 1, una delle tre
rinvenute agli inizi degli anni '80 a Terzigno, risale al II secolo
avanti Cristo. Intanto, nella cittadina vesuviana è forte il
disappunto per l'episodio che danneggia un patrimonio culturale di
inestimabile valore. Spiega Angelo Massa, ex assessore alla cultura
e direttore del gruppo archeologico Terre di Ottajano: «Da tempo
sollecitiamo maggiore attenzione e sorveglianza per le ville
romane». I volontari del gruppo archeologico si offrono alla
soprintendenza per vigilare sugli scavi: «Abbiamo proposto alla
soprintendenza un protocollo d'intesa che ci affidi la gestione
delle ville romane di Terzigno. Speriamo che questo spiacevole
episodio acceleri l'iter». Il consigliere comunale ed ex vicesindaco
Salvatore Annunziata si dice «amareggiato ma non stupito»:
«Purtroppo le ville della cava Ranieri sono dimenticate». |
31/07/2007 CALA IL
SIPARIO SU ATELLA (CE) «Il destino le riservò una fama burlesca e una delle più
tragiche sorti che si conoscano della travagliata storia campana».
L’archeologo Maiuri così scrive di Atella, antica e gloriosa città
preromana ubicata nello spazio che oggi annovera i comuni di Sant’Arpino,
Orta di Atella, Frattaminore e Succivo. Sotto la duplice influenza
della primitiva farsa italica e della farsa fliacica, qui vennero
per la prima volta rappresentate le grandi maschere della commedia
antica: Maccus, Bucco, Dossennus, Pappus che deliziavano le
popolazioni. Con le sue «Fabulae» ha acquisito una tale fama
letteraria da essere apprezzata in tutto il mondo. Ma proprio nella
sua terra d’origine non sembra che gli faccia eco una così vasta
considerazione dal momento che l’unica testimonianza archeologica
emersa, il Castellone, è diventata addirittura un «autosalone». Qui,
quando dici Atella, il pensiero subito corre al Castellone, rudere
termale del II sec. d.C. con strutture in laterizi e «opus
reticulatum». Posizionato nel perimetro di Sant’Arpino, lungo la
trafficata provinciale Martiri Atellani, ha di fronte a sé l’ex
municipio di Atella che delimita la zona archeologica la quale si
presenta come una grossa distesa di terra dal cui sottosuolo sono
stati asportati importanti materiali a opera dei tombaroli. A parte
qualche fossato da cui si scorgono le mura perimetrali della città
antica, qui del passato davvero non si intravede nulla. È facile
dunque immaginare il valore storico-archeologico del Castellone che
da solo si erge prepotente a testimoniare una civiltà sepolta. Dagli
anni Cinquanta a oggi, tuttavia, ha subìto un progressivo declino:
si è sempre più rimpicciolito, tanto che oggi sembra quasi del tutto
scomparso. Basta confrontare una foto d’epoca (in cui «torreggia
solitario tra i filari alti delle viti») con l’attuale stato del
rudere e si nota che dei quattro lati dell’edificio, oggi resiste a
malapena uno. Come se ciò non bastasse, al decadimento fisico si è
aggiunto quello «funzionale». Neanche un cartello ne segnala la
presenza: è completamente nascosto alla vista degli ignari passanti
da una fitta e variegata «vegetazione»; di sera, su di esso regna il
buio più fitto di quello in cui l’ha ricacciato il destino. L’unica
cosa che oggi si scorge con chiarezza è la concessionaria di auto
che è sorta nel cortile privato nel cui recinto ricade ciò che resta
dell’edificio termale, ormai ridotto ad elemento coreografico per la
vendita di automobili di ultima generazione. Questo è ciò che resta
dell’emblema della «città archeologica atellana». Sin dal 2003, i
volontari del circolo atellano di Legambiente «Geofilos», hanno a
più riprese pubblicamente denunciato questa assurda destinazione del
bene archeologico senza però sortire a oggi alcun risultato. Un
ragionamento quello dei volontari ambientali che parte dal
Castellone per approdare a uno sviluppo turistico del territorio
atellano complessivamente inteso. «Non ci potrà essere uno sviluppo
del turismo se non passando attraverso la salvaguardia del
territorio e del paesaggio - spiega Antonio Pascale, presidente del
circolo verde - Il paesaggio è una carta fondamentale che l’Unione
dei Comuni deve giocare per guardare con ottimismo al futuro. Passa
infatti per la capacità di valorizzare le qualità del territorio,
una chiave imprescindibile per rispondere alle sfide della
globalizzazione. Una sfida a essere un territorio capace di attrarre
attenzioni e investimenti, intorno a un’idea di paesaggio come
valore aggiunto dello straordinario patrimonio di beni storici e
culturali. Per cogliere questa sfida occorre superare una visione
del paesaggio ferma alla tutela di alcune aree e beni, ragionare di
gestione e di salvaguardia ma anche di come contaminare con la
chiave della qualità gli interventi sul territorio. Ripianificare lo
sviluppo del comprensorio - conclude Pascale - non in un’ottica di
aumento di capacità insediativa bensì di riqualificazione e
valorizzazione dell’esistente, rappresenta la vera sfida». Da un
lato il Museo archeologico dell’Agro atellano a Succivo, dall’altro
la realizzazione del Parco archeologico ambientale di Atella
rappresentano le speranze di inversione di una concezione malata del
turismo, di cui il Castellone è la triste ed eloquente
testimonianza. «Il museo - spiega Giuseppe Petrocelli, presidente
dell’Archeoclub di Atella - è una grossa risorsa di cui non si ha
ancora piena consapevolezza. Mancano infatti un’adeguata segnaletica
e soprattutto un’opera forte di promozione. Eppure, lo stesso
riscuote un vivo entusiasmo dagli studiosi e visitatori che nel 2006
sono stati più di novemila. Da alcuni anni è stata richiesta la
costruzione di un ascensore: benché siano stanziati i fondi la sua
realizzazione è ancora lontana da venire». Da alcuni mesi sono in
corso i lavori del parco archeologico, per il cui finanziamento fu
decisiva la visita del premio Nobel Dario Fo. «Il parco e più in
genere il sistema museale atellano possono vincere la scommessa -
conclude Petrocelli - solo se sin d’ora ci si preoccupa di una
efficiente e moderna gestione. È necessario che quanto prima si
siedano intorno a l tavolo la Soprintendenza, i comuni, l’Unione, il
privato e il volontariato». (Fonte: IL MATTINO) |
27/07/2007
UNA FORTEZZA RINASCIMENTALE ALLA LUCE A NOLA (NA) Le mura perimetrali di una fortezza rinascimentale del XVI
secolo: sono affiorate a Nola, durante i lavori di scavo per la
realizzazione del museo della cartapesta. Dopo l’anfiteatro romano
ed il villaggio della preistoria un altro importante ritrovamento si
aggiunge al ricco patrimonio storico ed archeologico della città. In
perfetto stato di conservazione, le mura di pietra calcarea sono
spesse più di due metri e rappresentano, secondo Giuseppe Vecchio,
responsabile per l’area nolana della soprintendenza archeologica di
Napoli e provincia, «una scoperta eccezionale, uno dei reperti
meglio conservati che sia stato mai ritrovato a Nola». Le mura
inoltre rappresentano la conferma dell’ipotesi della presenza di una
fortezza, avanzata attraverso lo studio di alcune cartine, risalenti
al 1700, che riproducevano la pianta della città durante il
viceregno spagnolo: un edificio robusto, denominato «la cittadella»,
destinato ai soldati di Carlo V, protetti dagli attacchi esterni
anche da un fossato che potrebbe essere ancora perfettamente
custodito dalle viscere della terra. Quanto basta insomma per
disporre l’allargamento degli scavi che attualmente interessano
un’area di 1500 metri quadrati, all’interno dello stadio comunale di
Piazza D’Armi, nel posto insomma dove sta per sorgere la cittadella
della cartapesta nolana. D’altra parte gli esperti hanno pochi
dubbi: «oltre le mura c’è dell’altro». Scavando più in profondità,
visto che le pale si sono fermate soltanto ad un metro dalla
superficie, potrebbero infatti venir fuori, praticamente intatte, le
stanze della fortezza fatta costruire nel XVI secolo, all’epoca del
dominio spagnolo. Il castello fortificato, secondo gli archeologi
della sovrintendenza che hanno seguito passo dopo passo i sondaggi
preliminari all’apertura del cantiere per la costruzione del museo,
sarebbe stato realizzato dopo il tramonto della signoria degli
Orsini. Era l’epoca del regno di Carlo V e del Sacro Romano Impero e
a Nola, con la costruzione della fortezza, si decretava la futura e
duratura vocazione dell’area in cui sorge Piazza D’Armi: avamposto
di difesa della città. Un ruolo strategico che la zona ha continuato
a conservare nei secoli. Sempre lì infatti, tra il 1750 ed il 1756,
ai tempi di Carlo III di Borbone, prese corpo la Caserma Principe
Amedeo. L’edificio è attualmente interessato da una serie di lavori
di restauro e di adeguamento strutturale che lo renderanno idoneo ad
ospitare la futura cittadella giudiziaria di Nola. Diverso, almeno
così si ipotizza, dovrebbe essere il destino assegnato alla fortezza
appena ritrovata. Una volta completati gli scavi, l’antica
costruzione potrebbe addirittura ospitare il museo della cartapesta
finanziato dalla Regione Campania. Un modo insomma per conservare e
valorizzare il passato ed il futuro, la sintesi perfetta tra le
rendite assegnate dalla storia e le opportunità offerte dall’arte
tipica nolana e le attività produttive del terzo millennio. «Se lo
stato della struttura ce lo consentirà - anticipa infatti
l’archeologo, Giuseppe Vecchio - non escludo che la stessa possa
ospitare buona parte delle opere del museo della cartapesta in modo
da valorizzare sia questa incredibile scoperta, sia la nuova
struttura che è stata progettata per rilanciare l’attività artistica
e artigiana tipica di Nola». E a sperare nella realizzazione della
suggestiva ipotesi è anche il sindaco Felice Napolitano: «La
cittadella giudiziaria, quella rinascimentale e quella della
cartapesta dovranno essere il volano per lo sviluppo di Nola e del
suo hinterland. L’idea di realizzare il museo all’interno della
fortezza comporterà l’impiego di maggiori risorse e anche un nuovo
sforzo progettuale, ma siamo sicuri che insieme con la Regione
Campania riusciremo a valorizzare ogni singola pietra, senza fermare
il necessario sviluppo che la città insegue». |
24/07/2007 CALES
(CE) RESTA SEPOLTA Non c’è più posto nella storia moderna per l’antica Cales. Di
quella che fu una città preromana crocevia di civiltà antiche come
l’aurunca, l’etrusca e la sannita, divenuta colonia romana già nel
420 a.C., sopravvissuta nel medioevo ai Longobardi e agli Aragonesi,
resta solo qualche cenno su libri dedicati ad appassionati di
archeologia mentre altre informazioni si possono trovare su qualche
sito internet. Il solo e unico aggancio con il territorio, è la
scritta a caratteri cubitali che campeggia sul pannello di benvenuto
all’ingresso di Calvi Risorta in cui si ricordano le sue origini che
si perdono nella notte dei tempi. Poi più nulla, se si eccettua
qualche rudere visibile come il castello Aragonese o la dogana
borbonica, divenuti ormai discariche a cielo aperto. Il resto, ossia
l’intera parte meridionale dell’antica Cales, il cuore dell’urbs con
il foro, il teatro, le terme, i templi, l’anfiteatro, rimane
invisibile, completamente divorata dalla vegetazione, dove si
possono trovare auto abbandonate; e attraversata irrimediabilmente
dal ponte dell’A1 Napoli-Roma. Se Teano è la città delle occasioni
sfruttate e perdute, almeno per il momento, Calvi è forse il centro
più ricco di storia della provincia di Caserta ma che, alla storia,
e quindi ai tanti appassionati turisti, ha completamente voltato le
spalle. C’è un’unica cifra lì a confermarlo: quel 5% di scavi
effettuati. Il patrimonio, insomma, è ancora tutto da riportare alla
luce e da scoprire. «Sempre che - ricorda Colonna Passaro,
funzionaria della Sovrintendenza per i beni archeologici di Napoli e
Caserta responsabile dell’ufficio di Calvi - la camorra ci faccia
trovare qualcosa». Sono proprio gli uomini dei clan, non solo i
Casalesi ma anche gli affiliati alle potenti famiglie del luogo, i
tombaroli più attivi da oltre 20 anni, gli unici che in pratica
scavano e riportano alla luce reperti inestimabili. La stessa
funzionaria calcola che, per colpa degli scavi clandestini, «si sia
volatilizzato quasi il 40% di tutto il patrimonio sotterraneo». Il
paradosso è che, solo dopo il ritrovamento di scavi illegali, la
Sovrintendenza riesce ad intervenire nei siti violati proseguendo lo
scavo grazie a fondi per le emergenze. Altrimenti, non si scaverebbe
affatto. «Quei reperti che poi vengono trovati - dice la funzionaria
- finiscono nei depositi di Santa Maria Capua Vetere o di Napoli o
in musei stranieri. Ce ne sono alcuni al Prado di Madrid». L’ex
Sovrintendente di Napoli e Caserta, Stefano De Caro, voleva creare
un museo a Calvi, sfruttando l’ex seminario settecentesco, ora a
rischio crollo, ma non se n’è fatto nulla. «Cercammo di
sensibilizzare la curia e il Comune, ma fu inutile» dice Passaro.
Così come non si è fatto nulla del Parco Archeologico. Una serie di
idee mai attuate, non solo per la scarsità di fondi ma anche per la
mancanza di volontà delle varie amministrazioni locali che si sono
succedute a collaborare per riportare alla luce il patrimonio.
«Chiedemmo al Comune uno spazio per esporre i pannelli illustrativi
sugli scavi - cita come esempio la Passaro - ci diedero il
sottoscala del Municipio». Ora, ci sarebbero 760 mila euro per
restaurare il castello medioevale, sbloccati grazie ai fondi Por
(dell’Unione Europea), ma i lavori proseguono a rilento. Si parla di
contenziosi tra le ditte che devono eseguire i lavori e il comune.
Comunque una goccia nel mare. I circa 60 ettari dell’antica Cales
restano così dimenticati. Non c’è nemmeno un cartello che indichi
l’area dove sorgeva l’urbs: dalla Casilina, si imbocca una normale
stradina di campagna. Senza saperlo, ci si trova a percorrere il
«cardo maximus» (la via principale) e a passare per l’area del foro,
dell’anfiteatro; le terme centrali sono sommerse dai rovi, si scava
solo al teatro. E nel punto in cui ci sarebbero delle tombe, c’è una
discarica sormontata dal ponte dell’A1. Nella parte nord dell’antica
città, resiste solo la cattedrale del patrono San Casto, aperta per
le cerimonie religiose. A poca distanza, il castello aragonese e la
dogana borbonica muoiono tra i rifiuti.
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12/07/2007 ALIFE
(CE), LA STORIA CANCELLATA DAL CEMENTO Eccolo lì il perimetro della cinta muraria dell’antica Allifae,
la colonia romana fondata nel 42 a.C., dopo un burrascoso
susseguirsi di guerre e scontri cruenti con i Sanniti, abitanti
delle più sicure vette del Matese. Porta Napoli, a due passi dalla
villa comunale, dal Municipio e dall’acqua zampillante delle
fontane: l’arco che ancora oggi segna l’ingresso nel castrum romano,
sembra reggere a fatica il peso irriverente dei secoli e delle
devastazioni più recenti, come quelle del maledetto ottobre del
1943, quando il perimetro urbano delle mura, risalenti al I secolo
dopo Cristo e realizzate in opus incertum, restò gravemente
danneggiato da un bombardamento. Via un pezzo di storia, tranciato,
cancellato. Oggi, giungendo da piazza Municipio, l’opus incertum si
interrompe radicalmente, per far posto alle costruzioni moderne
delle abitazioni, sorte all’epoca della ricostruzione, nel
dopoguerra. Da allora, gli anni sono volati via, le mura romane
hanno continuato a subire scempi e ferite, ma sono ancora lì,
violentate da tapparelle in plastica e infissi in alluminio
anotizzato. Col tempo, il torpore si è fatto sonno profondo e
l’oblio, per decenni, ha sepolto un patrimonio archeologico che
avrebbe fatto del comparto turistico il settore trainante
dell’economia locale. L’indifferenza e l’incuria degli ultimi
quaranta anni hanno fatto di Alife una città per certi versi
anonima, ignara delle sue infinite potenzialità, soprattutto
inconsapevole delle risorse economiche che il suo patrimonio
archeologico cela sotto il mortificante tempo perduto. Tutta in
salita, di conseguenza, la strada verso il recupero e la
valorizzazione dei siti di maggiore interesse, come l’anfiteatro,
che oggi, invece di ospitare grandi eventi, manifestazioni
culturali, rassegne musicali, è ancora l’emblema del senso di non
appartenenza di una comunità ai suoi tesori d’arte. E non è un caso
che Alife non abbia neanche uno straccio di albergo a due stelle,
una scelta variegata di aziende agrituristiche, né tanto meno
infrastrutture e collegamenti tali da potenziare i flussi turistici
e consentire l’inserimento della città nei circuiti che contano del
turismo archeologico. La città negli ultimi due anni ha scelto,
seppure pigramente, di non restare a leccarsi le ferite e il ritmo
del nastro trasportatore che scandisce il lavoro di una equipe di
giovani archeologi è oggi il suono del futuro. Si scava, già da un
paio di mesi, a qualche metro di profondità, ed emergono, a poca
distanza dal torrione normanno-longobardo, ceramiche, laterizi ed
affreschi di un grande criptoportico, lunghe gallerie sormontate da
archi, una costruzione straordinaria di età augustea, probabilmente
attigua ad un meraviglioso palazzo che l’aristocratica famiglia
degli Aedii aveva deciso di costruire proprio in una zona
prospiciente l’ingresso in città dell’antico acquedotto. Una manna
dal cielo per gli appassionati, ma quanti lo sapevano prima d’ora?
Dagli scavi, però, emerge la prospettiva di un futuro a medio e
lungo termine, una speranza che assume, giorno per giorno, i
contorni e le linee dell’anfiteatro, immediatamente fuori città, a
est. Anche qui archeologi e studiosi sono al lavoro: si scava, per
interpretare e capire le trasformazioni, le evoluzioni subite nel
tempo dall’arena e dalle fondazioni della struttura, rimasta per
secoli e secoli sepolta dopo che, in età medievale, per ragioni
difensive, si decise di raderla completamente al suolo. Oggi, Alife,
è per eccellenza la città sospesa fra passato e futuro, quella delle
mille occasioni perdute: il presente sta tutto nella capacità di
immaginare, di qui ad un futuro non così remoto, un parco delle mura
con aree verdi, un centro storico in cui preservare gli ultimi
scorci di paesaggio e di verità storica, da riconsegnare ad una
vocazione, quella turistica, tanto antica eppure mai compresa.
L’identità di Alife è stata da sempre caratterizzata da due fattori
di primaria importanza: l’agricoltura e la millenaria storia con le
tante testimonianze della sua grandezza dall’epoca sannitica a
quella medievale. L’agricoltura dal dopoguerra in poi ha seguito il
tracollo registrato in tutta l’Italia meridionale. La parte storica,
per meglio dire quella archeologica, orgoglio e vanto non solo di
Alife ma di tutto il suo hinterland, rappresenta la carta vincente
per una adeguata valorizzazione e per una crescita culturale ed
economica. È vero che la maggiorparte del patrimonio archeologico è
sepolto sotto l’attuale struttura del centro storico, ma molto può
essere riportato alla luce e riconsegnato alla comunità. Un recupero
lento; da un paio di mesi, si sta lavorando alacremente per rendere
fruibili l’anfiteatro ed il criptoportico di epoca romana. Si sta
realizzando un sogno di molte generazioni perché questi gioielli
dell’antica «civitas allipharum» diventino testimonianze tangibili
della grandezza di questa terra che tanta parte ha avuto nella
complessa storia d’Italia. (Fonte: IL MATTINO) |
10/07/2007
SCONOSCIUTA AI PIU' L'ANTICA SINUESSA A MONDRAGONE (CE) È una delle mete preferite dei pendolari del mare che, però, non
sanno che è anche una delle città più ricche di storia. A Mondragone
sorge l’antica città di Sinuessa, per anni dimenticata, ora teatro
di scavi intensivi. L’idea è di creare parco archeologico. Una
leggenda che trova però riscontro nella realtà è quella che racconta
che, se si scava neanche troppo in profondità nel vasto territorio
fatto di enormi distese di verde e campagne che si perdono a vista
d’occhio che va da Sessa a Mondragone, passando per Carinola e
Falciano del Massico, si trova sempre qualcosa: che siano ancorette
di ridotte dimensioni ma finemente decorate o intere città di
origine romana è uguale, fatto sta che l’antico ager falernus e
quello della Sinuessa hanno restituito alla luce, negli anni
addietro e ancora oggi moltissime testimonianze della storia antica.
I romani avevano scelto e non a torto sia l’entroterra che la costa
per la salubrità del clima, la vicinanza al mare e la qualità dei
vigneti che hanno regalato all’inimitabile vino Falerno
l’immortalità. Mondragone è stata uno dei fulcri della vita estiva
dei romani che potevano permettersi una villa, una vacanza, un
periodo di svago in una terra dalle mille risorse e le testimonianze
sono ancora oggi evidenti. Scavare per rifare ad esempio, le
tubature, porta nel novanta per cento dei casi alla scoperta di
testimonianze intatte della vita dei secoli scorsi fino ad arrivare
ai primi insediamenti umani. Monte Petrino, il massiccio che
sovrasta la città di Mondragone, è una miniera di informazioni e di
resti che l’amministrazione comunale della città litoranea ha voluto
affidare agli scavi delle migliori università e i risultati sono
evidenti. I resti dell’antica via Appia, ritrovati pochi anni fa di
fronte al cimitero comunale, sono di una bellezza incomparabile e
hanno dato l’input a un progetto di grandi dimensioni: la
costruzione di un parco archeologico che, data la mole dei
ritrovamenti, assumerà la forma di un percorso che salirà sul monte
Petrino per vedere da vicino l’insediamento della Rocca Montis
Draconis, purtroppo abbandonata e senza alcuna vigilanza. La grotta
preistorica di Rocca San Sebastiano è vicina all’ormai celeberrima
fornace: una scoperta straordinaria per l’ampiezza della struttura
stessa, sopravvissuta ai secoli che andrà a far parte del «Parco
archeologico» al cui progetto sono stati vincolati i fondi del Pit
«Litorale Domizio». Il Parco nascerà tra via Duca degli Abruzzi e
via Vecchia Starza. Lo scavo sistematico da parte della
Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta ha permesso di
mettere in luce non solo la fornace ma anche diverse sepolture
italiche con corredi funerari (oggi in custodia presso la stessa
Soprintendenza), due cisterne, un tratto di strada lastricata in
pietra, molto probabilmente il prosieguo del diverticolo messo in
luce all’altezza dell’Antica Via Appia che dista, in linea d’aria,
pochi centinaia di metri. Il tutto costituirà la predisposizione di
un vero e proprio percorso che si snoderà dalla fornace, costeggerà
il manufatto romano e terminerà vicino il tratto di strada
lastricato. Pannelli espositivi, panchine ed aiuole faranno si che
il parco archeologico sarà non solo area di fruizione culturale, ma
anche verde pubblico per i cittadini residente nell’area vicina.
Insomma, Mondragone sta scommettendo sul turismo culturale. Agli
onori delle cronache per il traffico infernale della Domiziana,
presa d’assalto per chi vuole andare al mare non pagando i prezzi
alti delle coste del sud pontino, la città dell’antica Sinuessa (se
si passa per la strada che costeggia Monte Petrino si può ancora
sentire il classico odore sulfureo delle terme, anch’esse luogo
privilegiato dai romani) sta cercando di attirare un turismo d’elite
e non solo quello dei pendolari del mare. Per il momento non sono
molti i turisti che arrivano in città per ammirare i reperti
custoditi dal Museo civico né sono tanti quelli che si fermano a
guardare la strada romana di fronte al cimitero anche perché i
lavori di scavo sono ancora in corso. Non c’è insomma lo stato di
abbandono riscontrato in altre realtà della provincia, qui si cerca
di recuperare il tempo colpevolmente perduto in passato.
Se il parco archeologico è in fase di allestimento, è invece
aperto ma poco fruibile il museo civico «Biagio Greco» nelle cui
sale è conservata la maggior parte dei reperti arrivati dalle
annuali campagne di scavo. Negli ultimi due anni, il centro museale
ha riscosso un’attenzione sempre maggiore anche per le numerose e
seguite conferenze che hanno illustrato i ritrovamenti, ma è stato
centro di interesse soprattutto perché ha ospitato l’icona della
città per eccellenza per alcuni mesi, la Venere di Sinuessa, del
secondo secolo a.C., una delle maggiori attrattive tanto che il suo
arrivo è stata una vera e propria festa per la città: per farla
«tornare a casa», nonostante sia rimasta a Mondragone per poco in
quanto concessa in prestito dal Museo Nazionale di Napoli (il pezzo
fa parte delle Collezioni Storiche), il Comune ha dovuto apportare
modifiche al plesso museale affinché potesse ospitare la statua. Un
plesso che non presenta le condizioni adatte, specie di sicurezza,
per ospitare la statua tanto che, quando è arrivata la Venere, è
stato necessario ampliare la sala grande, collocare un impianto di
condizionamento dell’aria e un indispensabile servizio di sicurezza.
Tutte misure che probabilmente potevano essere adottate in
precedenza; intanto la Venere resta a Napoli. |
05/07/2007 UNA
COLONNA ROMANA DAL MARE DI CAPRI (NA) Ancora ritrovamenti archeologici nelle acque dell’isola azzurra.
Anche questa volta a compiere la scoperta il subacqueo-archeologo
Mario Rosiello, durante i lavori di spianamento del fondale di
Marina Grande, commissionato alla sua impresa dalla Caremar, la
compagnia di navigazione dotata di navi di dimensioni maggiori
rispetto a quelle degli aliscafi, che si era preoccupata di far
procedere allo spianamento della superficie dove è costretta a
lanciare l’ancora per consentire l’ormeggio ai maxi traghetti.
Rosiello, l’altra notte insieme al figlio Massimiliano e il suo
gruppo di esperti sommozzatori si è accorto, forte di un esperienza
consolidata nel corso degli anni, che il masso che sbucava dalla
sabbia era di natura diversa rispetto alle rocce che comunemente si
trovano in quello specchio d’acqua. Infatti dopo aver sbancato la
sabbia intorno è uscito allo scoperto un pezzo di colonna di marmo
pregiato risalente all’epoca romana di circa due metri di lunghezza
e sessanta centimetri di larghezza. Poco distante dalla colonna sono
stati rinvenuti altri due reperti che probabilmente a causa dei tre
buchi che presentavano in alcuni lati, si tratta di ancore di epoca
fenicia o romana. Tutto ciò deve essere verificato dalla
Sovrintendenza ai beni archeologici che e stata immediatamente
allertata e che dovrà prendere in custodia gli importarti
rinvenimenti. I reperti dopo essere stati ancorati sono stati
lasciati a circa un metro di profondità pronti per essere consegnati
agli esperti della Sovrintendenza archeologica che arriveranno a
Capri probabilmente nella giornata di oggi. |
30/06/2007
SCOPERTA UNA TOMBA LUCANA A PAESTUM (SA) Del corredo custodito all’interno non sono rimaste che due
fibule, le spille che i Lucani utilizzavano come ornamento o per
agganciare il mantello. «Lo scavo clandestino non solo rappresenta
un depredamento degli oggetti ma, soprattutto, ci priva di una parte
della nostra storia. Non potremo mai sapere il sesso della persona
che qui è stata seppellita, la sua età, eventualmente la patologia»,
raccontava con rammarico Marina Cipriani, direttrice del Museo di
Paestum, ieri mattina, mentre assisteva al recupero di una tomba
dipinta lucana in località Andreiuolo, databile intorno alla prima
metà del quarto secolo avanti Cristo. Intorno allo scavo alberi da
frutta. I proprietari del fondo avevano notato che il terreno era
stato mosso e avvertito la direzione del museo. Ignoti tombaroli
hanno scoperto la tomba, fatto un foro sul coperchio e prelevato
tutti gli oggetti che i lucani erano soliti seppellire a corredo dei
defunti. Accanto a quella scavata ieri c’era un’altra tomba, non
dipinta. In quel posto sorgeva di certo una necropoli. «Ci sono
molte tombe ancora sepolte - ha proseguito la dirigente del Museo -
purtroppo non ci sono i fondi per scavarle. Qui siamo intervenuti
perché c’erano tracce di scavo clandestino». Sulle pareti interne
della tomba sono raffigurati vasi, brocchette e dei nastri.
«Particolarmente interessanti sono le raffigurazioni sui lati corti
con due scene di caccia, una al cinghiale, l’altra al cervo. È una
tomba importante, sia per le scene che rappresenta, sia perché di
epoca abbastanza alta», spiega la Cipriani. In tanti ieri si
fermavano per assistere allo scavo, proprio ai bordi di via Magna
Graecia. Appresa la notizia è arrivato anche l’assessore alla
Pubblica istruzione e ai Beni archeologici del Comune di Capaccio,
Eugenio Guglielmotti che, come architetto, in passato ha studiato in
maniera approfondita Paestum. «Vedere queste cose è una grande
emozione - ha commentato - Avvenimenti come questo ci invitano a
sentirci più responsabili nei confronti del patrimonio culturale». |
29/06/2007 A TEANO
(CE) MUSEO APERTO SOLO A RICHIESTA ED INTANTO SI CERCA DI REALIZZARE
IL PARCO ARCHEOLOGICO Ufficialmente non è chiuso ma, per mancanza di personale, è come
se lo fosse. Il Museo Archeologico Teanum Sidicinum, uno dei più
importanti della Campania e forse dell’intero meridione, è la prima
tangibile testimonianza del triste primato che tocca a Teano: quello
di una città dall’enorme patrimonio storico-artistico quasi del
tutto inutilizzato. In quella che fu, in epoca romanica, la seconda
città campana dopo Capua, sopravvissuta ai barbari, di nuovo florida
nel Medio-Evo e ritornata nota nell’età moderna grazie all’incontro
tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, le occasioni perse non si
contano più: non solo i reperti archeologici, risalenti anche all’VIII
secolo a.C., ma anche un centro storico abbandonato al 70%, e un
museo dedicato all’unità d’Italia, il Maui, incustodito e visitato
solo da qualche scolaresca. E ironia della sorte, quasi
quotidianamente, il sottosuolo sidicino continua a regalare sorprese
come l’area del «Macellum» di epoca romanica, rinvenuta due anni fa,
o la vicina domus romana venuta alla luce alla fine dello scorso
anno durante scavi per la costruzione di un edificio privato. Il
Museo Archeologico Teanum Sidicinum è quasi interdetto alle visite:
per osservare i reperti come i coltelli a dorso dell’VIII secolo a.C.,
i resti delle Necropoli di Torricelle o di Settequerce, gli oggetti
di terracotta del V e IV secolo a.C. o quelli in oro, i tegami con
le decorazioni interne del tutto simili a quelli ritrovati a Pompei,
le statue dei Dioscuri o di Afrodite e il mosaico che raffigura
padre, madre e figlio (forse la Sacra Famiglia) riconsegnato dal
monastero di San Martino a Napoli, è necessario infatti avvisare ed
essere fortunati che ci siano gli unici due dipendenti ora in
organico. Una cronica mancanza di personale che non permette ai
normali turisti di arrivare; vengono così solo le scolaresche, una
goccia nel mare. «Arrivano circa in 15mila l’anno - dice
l’architetto Alfredo Balasco, consulente della Sovrintendenza dei
Beni Archeologici di Napoli e Caserta - sono cifre piuttosto basse.
Il budget ministeriale, purtroppo, non ci consente di fare di più.
Pensi che le lampadine interne alle teche sono fulminate e non ci
sono i soldi per comprarle». Il museo, ricavato all’interno di un
edificio angioino del 1300 che a sua volta sorge su una villa
romana, è stato inaugurato appena sei anni fa ma non è mai stato
valorizzato. Uno dei due addetti, dice che mancano all’appello «tra
le cinque o le sei persone». Ci spostiamo di poche decine di metri e
arriviamo al Maui, il Museo dell’Unità d’Italia ospitato al piano
terra dell’edificio dove è sistemata la Biblioteca comunale. Le
porte sono aperte, entriamo e nessun dipendente si fa vivo. C’è un
primo banchetto su cui giace il registro delle visite, l’ultima
risale all’otto maggio scorso, fatta dai 17 allievi. più tre
professori, dell’Istituto Primario di Casafredda, frazione di Teano,
poi più nulla. Su un altro banchetto ci sono i depliant
illustrativi, quindi due sale con quadri, fotografie, altri tavoli
con libri vecchi di decenni. Ancora nessuno si fa vivo. «I
dipendenti, ci spiega più tardi, a piazza Duomo, un impiegato del
Comune - ci sono, fanno la spola tra il museo a piano terra e la
biblioteca al piano superiore». Come a dire che in assenza di
turisti è inutile stare al museo; almeno fino a quando, qualche
ladro non verrà a far visita.
«La nostra è un corsa contro il tempo per evitare speculazioni
edilizie e realizzare un Parco Archeologico come quello di Pompei.
Ma serve l’aiuto del Comune di Teano; gli amministratori locali
devono avere atteggiamenti più coerenti e meno ambigui».
L’architetto Alfredo Balasco, libero professionista da anni al
«servizio» della valorizzazione artistica del territorio (è stato
anche ad Ercolano), e ora consulente, per gli scavi di Teano, della
Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Napoli e Caserta, testimonia
le difficoltà incontrate nell’apporre vincoli ad un’area, come
quella sidicina, ricca di sorprese archeologiche. «Non basta - dice
- che il ministero dichiari vincolata una zona ad alto interesse
archeologico. Ci vogliono poi gli espropri, e spesso mancano i
soldi; e bisogna stare attenti a tutti quei privati che costruiscono
a pochi metri dai monumenti». A Teano sono numerosi i siti in cui si
sta scavando: Fondo Ruozzo, Gradavola, l’area del macellum ma gli
scavi più importanti stanno riportando alla luce il teatro romano
risalente al II secolo a.C.. «E nessuno di
questi luoghi è immune dagli appetiti edilizi» dice Balasco che, con
il funzionario della Sovrintendenza Francesco Sirano (direttore del
Museo Archeologico), ha in mente di ricostruire da capo, con i resti
delle colonne ritrovate, l’intera scena del teatro; e sarebbe
l’unico esempio di monumento archeologico riportato a nuova vita.
Gli ostacoli però sono numerosi, tra tutti le ambiguità contenute
nel Puc (Piano urbanistico comunale) del comune di Teano, lo
strumento, ancora non adottato, che pianifica l’urbanizzazione del
territorio. «Il Puc - dice Balasco - prevede 2000 vani abitativi e
soprattutto un’espansione edilizia a Gradavola, dove sono in corso
degli scavi. Stessa situazione per la collina di Sant’Antonio, dove
è prevista una forte lottizzazione. Bisogna far conoscere a tutti
l’importanza di salvaguardare e valorizzare le tantissime risorse
del nostro territorio, aumentare una consapevolezza che attualmente,
nei miei concittadini, purtroppo manca». Una prima parte del
progetto di Parco Archeologico c’è già: nell’area del macellum si
creerà, grazie al Pit Antica Capua, finanziato dall’Ue, un
parcheggio e un padiglione con la cartografia della città antica.
Sarà l’ingresso del Parco. Inoltre Teano dovrebbe trovare
un’ulteriore tutela rientrando nei confini del Parco di Roccamonfina.
«Sempre che - conclude Balasco - le istituzioni capiscano che la
valorizzazione archeologica farà da volano anche all’economia». |
28/06/2007
TANTE PAROLE MA POCHI FATTI PER I MONUMENTI DI MADDALONI (CE) È lastricata di delibere la strada che conduce verso il degrado.
A Maddaloni, non c’è monumento, avente pregio artistico, storico o
architettonico, che non sia accompagnato da regolare delibera
indicante progetti virtuali di recupero o restauro. Solo che i buoni
propositi non bastano perché quasi sempre mancano i soldi, e spesso
le idee. Così, accade che la caserma Annunziata, il più grande
complesso militare borbonico dismesso della provincia di Caserta, è
stato prima trasformato in deposito per i compattatori dei rifiuti e
oggi in discarica delle suppellettili gettate dal comune.
L’edificio, tormentato dai cedimenti statici, è stato oggetto di
numerose ipotesi prima di acquisizione dal demanio e poi di nuova
destinazione d’uso. In mezzo secolo di abbandono, non si contano gli
atti deliberativi per l’acquisizione, l'azione di tutela e di
conservazione del castello, delle torri medioevali e del parco
collinare. Una delibera per monumento. Così, a salvaguardia delle
circa 40 luoghi di culto (chiese, congreghe e conventi), la giunta
Lombardi produsse ovviamente una delibera, caduta nel vuoto, per
un’azione di tutela concertata con la Curia vescovile. Il record
però spetta al sito archeologico dell’antica Calatia: c’è un
progetto per il parco archeologico, uno per il recupero dell’Appia
antica e uno per ampliare gli scavi. Mancano i soldi e le condizioni
tecnico-giuridiche per riesumare i resti del centro abitato. Unica
eccezione è il recupero del complesso monumentale di Santa Maria de'
Commendatiis: saccheggiato dai ladri di opere d’arte, è oggi le sede
del museo civico. n’atmosfera da lento e inarrestabile declino
avvolge il castello medioevale e l’intero quartiere che vi sorge a
ridosso. Santa Margherita, conosciuto nei secoli come il quartiere
dei Formali, dal nome dei vicoletti, appare come un corpo estraneo
rispetto alla Maddaloni moderna. Un corpo che si va decomponendo
progressivamente in tutte le sue parti. È così che, a distanza di
pochi metri l’una dall’altra, tre chiese del periodo paleocristiano
sono abbandonate per mancanza di fondi, molte abitazioni medioevali
che potrebbero attirare schiere di turisti perdono pezzi giorno dopo
giorno. E il castello (ancora di proprietà della famiglia De Sivo) e
le due torri, la più antica realizzata dai Longobardi intorno
all’anno 1000 d.C., la seconda, nel 1400 dal Conte Artus, sono ormai
ruderi per i quali servirebbero anni e molti milioni, che non ci
sono, per riportarli all’antico splendore. Con tali premesse, di
turismo non si parla, anche perché, l’idea di recuperare il sito è
stata abbandonata, forse, definitivamente. L’ultimo progetto è del
1997, fu presentato dall’ufficio della Sovrintendenza di Palazzo
Reale; Maddaloni rientrava infatti nel «Piano di recupero
dell’orizzonte visivo delle delizie borboniche della Reggia di
Caserta». Il progetto non ebbe però seguito. E da allora, la
situazione è peggiorata. «Ogni giorno, dalle 15 fino a notte fonda -
dice Nicola, una sorta di guardiano dell’area attorno al castello -
arrivano nel piazzale della parrocchia di San Benedetto (a ridosso
della collina dove sorge il sito medioevale, ndr) auto e motorini. I
ragazzi vanno poi a fumarsi gli spinelli o a bucarsi». Eppure, la
zona, non è completamente abbandonata visto che, accanto al sentiero
che si inerpica sulla collina del castello, ci sono le scale usate
dai pellegrini per raggiungere il Santuario di San Michele
Arcangelo, patrono di Maddaloni. Destini diversi per il sito
medioevale e quello religioso, separati da poche centinaia di metri
in linea d’aria. «La gente del quartiere Santa Margherita è
rassegnata - dice don Angelo Delli Paoli, rettore del Santuario - ci
vorrebbe una riscossa morale che purtroppo non arriva anche per
colpa delle classi dirigenti. È normale che il recupero del castello
diventa così un’utopia». Qualche anno fa, in effetti, un comitato di
quartiere cercò, tramite i privati, di presentare un piano ma
l’indifferenza delle istituzioni fece naufragare il sogno di ridare
nuova vita allo storico complesso. Oggi, recarsi al castello vuol
dire, prima di tutto, districarsi tra i mille sensi unici istituiti
dal comune di Maddaloni; quindi, scegliere la strada giusta. Più di
una via d’accesso infatti è chiusa per crolli. È il caso di via
Maddalena e di via Alturi, dove qualche casa dell’antico borgo è
crollata. Lungo i vicoletti, si scorgono tre chiese antichissime,
risalenti ad un periodo che va dal ’300 al ’600 dopo Cristo, e
rigorosamente chiuse. Santa Caterina dei Marrocchi (dal nome degli
artigiani che lavoravano la maiolica), Sant’Aniello, la più antica,
e San Giovanni, con la cripta caratteristica dei primi periodi
cristiani. Ma Maddaloni non è solo il castello e il suo quartiere.
La caserma borbonica dell’Annunziata, usata per l’aqquartieramento
delle truppe dell’Italia meridionale, è abbandonata. Un vero e
proprio record di siti storici dimenticati ma con un’eccezione: la
casina ducale sull’Appia antica dei Carafa, in cui soggiornò Carlo
III di Borbone, oggi trasformata nel Museo Archeologico Calatia
grazie alla determinazione della Sovrintendenza dei Beni
Argheologici di Napoli. Dall’inizio degli anni ’90 vanno avanti, sia
pur con enormi difficoltà, i lavori di recupero; oggi è aperto solo
il primo piano. «Vengono solo le scolaresche - dice l’addetto alla
vigilanza Riccardo D’Abruzzo - purtroppo siamo un po’ oscurati dalla
Reggia. Nel 2009, anche se la data è orientativa, dovrebbero finire
i lavori». Vanno a rilento anche gli scavi dell’antica Calatia,
città sull’Appia distrutta dai Saraceni nell’880 d.C.. Qui c’era
l’idea di creare un Parco Archeologico, come quello di Pompei, ma la
mancanza di fondi, la presenza di abitazioni civili e, soprattutto,
la vicinanza della discarica di Lo Uttaro, hanno reso l’ipotesi
ormai impraticabile.
|
20/06/2007
RIAPRONO LE TERME DEL FORO A POMPEI (NA) Dopo una anno di chiusura per restauri, riaprono oggi al
pubblico le Terme del foro. L’intervento ha interessato in
particolare i mosaici pavimentali, per i quali è stato predisposto
un percorso obbligato su moquette. L’edificio, situato nei pressi
del Foro, fu costruito dopo l'80 a.C., secondo lo schema delle più
grandi Terme Stabiane. Ai lati delle fornaci sono la sezione
femminile e maschile, nella sequenza apodyterium (spogliatoio),
frigidarium (sala per il bagno freddo), tepidarium (sala tiepida),
calidarium (sala calda). Alla palestra porticata s'accedeva dalla
via del Foro o dallo spogliatoio della sezione maschile. Il
tepidarium non era riscaldato con moderni impianti, ma da un grande
braciere bronzeo donato da M. Nigidio Vaccula: telamoni separano le
nicchie per accogliere unguenti e oggetti da bagno; stucchi a
rilievo (del restauro successivo al 62 d.C.) decorano la volta con
partizioni geometriche e figure mitologiche. Le terme pubbliche
erano poco costose e molto frequentate: l'ora del bagno sembra fosse
al primo pomeriggio. La visita alle Terme del foro sarà possibile
senza prenotazione per gruppi non numerosi e adeguatamente
distanziati. |
17/06/2007 PORTE
APERTE A POMPEI (NA) Parte oggi il progetto “Pompei porte aperte”. E' un progetto
sperimentale della Soprintendenza Archeologica di Pompei, finanziato
dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il Fondo Unico
di Amministrazione anno 2006, che prevede l’apertura stabile di
edifici di pregio restaurati. Per quattro mesi e mezzo (sino al 31
ottobre) saranno aperte dieci case pompeiane restaurate che
normalmente sono chiuse o visitabili solo su prenotazione. Senza
costi aggiuntivi al biglietto i visitatori degli scavi di Pompei
potranno accedere quindi ai seguenti edifici:
1. Casa del Giardino di Ercole
2. Casa del Menandro
3. Terme Suburbane
4. Casa del Principe di Napoli
5. Casa della Fontana Piccola
6. Villa di Diomede
7. Casa del chirurgo
8. Casa di Apollo
9. Casa degli Amorini Dorati
10. Casa del Larario di Achille
L’accesso alle case sarà possibile negli stessi orari di visita agli
scavi: 8,30 – 19.00 con ultimo ingresso alle 18,00 |
13/06/2007 LAVORI SOTTO
SORVEGLIANZA NELLA NECROPOLI DI MARIGLIANO (NA) Dopo lo scempio nella necropoli, riprendono i lavori nell'area
del piano di insediamenti produttivi a Marigliano. I cantieri
saranno sorvegliati dai carabinieri. E il Comune corre ai ripari
dando mandato a un pool di tecnici e archeologi di controllare
movimenti di terra e scavi per evitare altri danni alla necropoli
sannitica. Un passaggio che sarebbe dovuto avvenire prima
dell'apertura del cantiere e che è avvenuto solo dopo la denuncia al
Comune e alla Procura da parte della Soprintendenza del ritrovamento
di una necropoli di cui non erano stati messi a conoscenza gli
organi competenti. A sorvegliare i lavori sarà il nucleo tutela del
patrimonio artistico di Napoli che già ha avviato ronde per
controllare la necropoli. Nei giorni scorsi sono state generalizzate
numerose persone che si erano portate sul posto e che dovranno
chiarire lo scopo della loro presenza in zona. Il sindaco, Felice
Esposito Corcione, d'intesa con l’ufficio tecnico, ha avviato un
piano di tutela e salvaguardia. Una zona che si presenta
pluristratificata dove si suppone sorgesse un tempio, a giudicare
dalle tracce di alcuni affreschi rinvenuti, e che già in passato ha
riservato sorprese con il ritrovamento di una villa di epoca romana
poi interrata per mancanza di fondi e per evitare pericoli di
saccheggi. La magistratura ha aperto un'inchiesta sulla mancata
segnalazione del ritrovamento della necropoli. Si cerca di far luce
anche su una perizia con cui era stato attestato che la zona non si
presentava interessante sotto il profilo archeologico. A condurre
l'inchiesta è il nucleo di tutela del patrimonio artistico di
Napoli, guidato dal tenente Lorenzo Marinacci, che sta avviando
controlli a tappeto per recuperare reperti già finiti in mano ai
tombaroli. Nelle mani degli inquirenti ci sarebbero foto e filmati.
«Basta scempi» afferma il sindaco Corcione. |
27/05/2007 SCOPERTO UN
QUARTIERE ARTIGIANALE SANNITICO A MONTESARCHIO (BN) Nel comune di Montersachio (BN) in occasione di lavori edilizi
in Via Napoli sono emerse evidenze archeologiche riferibili almeno
in parte ad un quartiere artigianale di epoca sannitica, databile
tra la metà del V sec a. C. e la fine del IV sec a.C. Il quartiere
si presenta diviso in due aree separate da un percorso viario in
terra battuta, delimitato da grosse pietre calcaree lungo la fascia
E/W. L'area a N/E ha rivelato, oltre alle tracce delle fondazioni
murarie, la presenza di molte fosse e di pozzi per la ricerca
dell'acqua. Dallo scavo delle fosse, oltre a moltissimo materiale
ceramico omogeneo e cronologicamente coerente, sono state recuperate
due antefisse e frammenti di lastre architettoniche. |
27/05/2007 SCOPERTA
MEDIEVALE A CASTELLAMMARE DI STABIA (NA) Affiorano dagli scavi per la riqualificazione di piazza Fontana
Grande i resti delle fortificazioni che in età medioevale cingevano
la città delle acque. La scoperta è avvenuta ieri mattina
all’interno del cantiere del centro antico durante la fase di
indagini archeologiche lungo l’area interessata alla
ristrutturazione. Un intervento già programmato in collaborazione
con gli esperti della soprintendenza archeologica di Pompei che,
secondo le informazioni rilevate dalle fonti cartografiche storiche,
avevano già ipotizzato la presenza di resti dell’antica Stabia. A
poche ore dalla scoperta, gli archeologi non sono ancora in grado di
definire i dettagli, ma in molti suppongono che si tratta della
Torre Piccola, un segmento delle vecchie fortificazioni realizzate
secondo specifiche architetture militari. Fortificazioni a mura
basse e spesse per poter resistere alle cannonate. In questo caso il
ritrovamento riguarda la Torre Piccola della Fontana, non lontana
dai resti della Torre Alfonsina, una costruzione simile realizzata
intorno al quindicesimo secolo nei pressi della riva, nella parte
sottostante il Castello e a cui si collega attraverso una muraglia.
Una ricostruzione storica del quadro urbanistico confermato anche da
documenti d’archivio che testimoniano l’esistenza delle due torri,
una esterna, detto appunto Alfonsina, e una interna di dimensioni
ridotte, realizzata nei pressi della fontana e denominata Torre
Piccola. «Si tratta di una scoperta di grande valore storico –
spiega lo storico Pippo D’Angelo – visto che è ilprimo ritrovamento
di resti riguardanti fortificazioni medievali, infatti, anche il
castello non conserva l’aspetto originario in quanto nei secoli è
stato sottoposto a continui restauri. Se confermato che si tratta
della Torre Piccola allora siamo di fronte a parte di quella
fortificazione che correva lungo le mura della città fino al
Quartuccio». Adesso gli esperti della soprintendenza sono al lavoro
per verificare la presenza di altri reperti lungo la piazza
devastata da colate di cemento e condotte fognarie. «Indagini
approfondite – aggiunge D’Angelo – potrebbero portare alla luce
anche resti di epoca romana, visto che piazza Fontana Grande
rappresenta un insediamento umano dalla notte dei tempi, dove
sicuramente è sorto il primo nucleo abitativo di questa città».
Intanto, da palazzo Farnese, i tecnici responsabili del cantiere,
guidati dall’architetto Giovanna Cerchia, già si preparano a
rimodulare il piano dei lavori, per la realizzazione di un’opera che
avrà il compito di valorizzare la fontana e porre in evidenza il
neoscoperto sito archeologico. |
25/05/2007
ALLARME VANDALISMO NEGLI SCAVI DI ERCOLANO (NA) L’ultimo episodio è del 10 maggio. Allora i custodi degli scavi
di ercolano segnalarono l’intrusione di sconosciuti all’interno
dell’area archeologica. I danni furono ingenti: venne divelta parte
della rete di protezione verso gli uccelli e i piccioni del piano
nobile di villa dei Papiri, frantumato il calco del rilievo
neoattico con satiri e ninfa, rimosso il telaio di una delle
finestre della piscina calida del complesso termale, gettati
numerosi oggetti nella vasca. Un episodio oltre i limiti del
vandalismo, un’offesa alla memoria e alla bellezza. Ma i raid
vandalici contro gli scavi sono all’ordine del giorno: da ottobre
dello scorso anno sono numerosi i casi segnalati nell’area
archeologica e in particolare contro villa dei Papiri. «A questo -
sottolinea la direttrice degli scavi, Maria Paola Guidobaldi - vanno
aggiunti gli atti di teppismo che vengono perpetrati ai danni dei
turisti lungo corso Resina, proprio all’ingresso del nostro sito,
soprattutto tra le 13 e le 16». Un dossier folto che Guidobaldi ha
inviato nei giorni scorsi al soprintendente Pietro Giovanni Guzzo,il
quale ora chiede, con una nota ufficiale, «la presenza di forze
dell’ordine in maniera permanente» soprattutto se si tiene conto che
è imminente «l’apertura del nuovo ingresso, che rende accessibile a
tutti la passeggiata archeologica da corso Resina a via Alveo». Non
è il primo segnale di allarme. Già a ottobre la direttrice degli
scavi aveva inviato una denuncia alla Procura di Torre Annunziata,
al sindaco di Ercolano, all’Arpac, ai carabinieri e alla polizia.
«Per la manomissione dei pannelli di recinzione di Villa dei Papiri
- ricorda Maria Paolo Guidobaldi - con lo scarico di materiale
nell’area archeologica e continui episodi di lancio di pietre e
rifiuti dall’area antistante la scuola materna di vico Posta, la
stradina posta nei pressi del Comune, e la villa comunale, strutture
che sovrastano il monumento». All’epoca l'ufficio tecnico della
Soprintendenza mise a punto un progetto per potenziare e
ripristinare la recinzione di villa dei Papiri, mentre il Comune
predispose la realizzazione di una recinzione più alta in villa
comunale. «Sono molto rammaricato - afferma il primo cittadino di
Ercolano, Nino Daniele - degli atti vandalici contro villa dei
Papiri. Come amministrazione, abbiamo realizzato una nuova
recinzione a corso Resina e tra alcuni giorni partirà anche quella
per meglio proteggere gli scavi dalle possibili intrusioni dalla
scuola materna di vico Posta». L’aspetto legato alla sicurezza non
lascia ovviamente indifferenze il sindaco: «L’associazione dei
carabinieri in congedo sta svolgendo un servizio all’ingresso degli
scavi per dare assistenza ai turisti. Ritengo però che non solo con
la repressione risolveremo il problema. Il vandalismo adolescenziale
e giovanile hanno una dimensione assai ampia nella città. Dobbiamo
allora favorire una migliore integrazione tra la città ed il parco
archeologico. Solo se l’insieme della città avvertirà come
patrimonio proprio gli scavi, come fattore di identità e di crescita
culturale ed economica, essi saranno effettivamente tutelati.
Abbiamo bisogno di progetti in tale direzione capaci di coinvolgere
scuola e associazionismo, ma anche persone semplici. Daremo vita nei
prossimi giorni ad un tavolo anche con le forze dell'ordine, proprio
per avviare al meglio questo esperimento». Ma il soprintendente
Guzzo avverte: «Sull’area archeologica ercolanese è attivo il
progetto Ercolano finanziato dal ”Packard Humaties Institute” e
coordinato dalla ”British School of Rome”. L’antica città, insomma,
è divenuta uno dei centri vesuviani a vantaggio dei quali si
indirizzano considerevoli risorse finanziarie e professionali, in
un’ottica di collaborazione internazionale. Il Comune, a sua volta,
ha reso funzionante il centro studi ”Herculaneum”, rivolto ad
incrementare una qualificata presenza professionale internazionale.
I vandalismi e le intimidazioni registrati corrono il rischio di
interrompere al loro inizio tali importanti iniziative». |
24/05/2007 STORIA E
ARCHEOLOGIA PER MONTESARCHIO (BN), L'ANTICA CAUDIUM Tre protocolli e finanziamenti pubblici per valorizzare il
patrimonio archeologico dell'antica Caudium. Con un duplice
obiettivo da raggiungere: valorizzare il patrimonio
storico-archeologico e attrarre flussi turistici. È l’obiettivo
degli attuali inquilini dell'ex convento di piazzetta San Francesco.
Obiettivi che sembrano facilmente raggiungibili considerando
l’imminente apertura di una prima sezione del museo caudino.
«L'archeologia, la storia di un luogo ed il suo ambiente naturale -
afferma Antonio Izzo alla guida del governo locale da 4 anni -, se
adeguatamente valorizzati e proposti, rappresentano la base su cui
si può sviluppare il turismo. A Montesarchio c'è un inestimabile
patrimonio storico, culturale ed ambientale, per cui in questi anni
di consiliatura abbiamo proteso tutti gli sforzi per un rilancio
completo della nostra cittadina. Dopo il primo anno di
amministrazione dove sono stati affrontati alcuni fra i principali
problemi, abbiamo immediatamente avviato le procedure al fine di
«valorizzare la storia» di questo paese». Il governo del sindaco
Izzo ritiene infatti, che «la tutela e la valorizzazione del
patrimonio archeologico e del patrimonio
storico-culturale-ambientale costituiscono le componenti principali
delle risorse territoriali che, allo stato attuale, non risultano
idoneamente utilizzate». E quindi, nelle intenzioni
dell'amministrazione vi è la creazione di «un sistema integrato di
parchi mettendo in relazione, sia simbolicamente che materialmente,
la città antica di Caudium con la città medioevale, l'una ancora
sepolta sotto terra, l'altra sepolta dall'incuria, con la precisa
funzione di rendere produttive queste importanti risorse». Più che
di archeologia, anche le precedenti amministrazioni hanno puntato
sulla valorizzazione e recupero del centro storico ma, di concreto
c'è stato ben poco. Potrebbe essere ancora così? Antonio Izzo non ha
dubbi. «C'è chi parla da politico e chi opera concretamente. Questa
amministrazione ha raggiunto obiettivi importanti anche per il
centro storico e sono noti. Oggi stiamo concretizzando la
valorizzazione archeologica. Anche questo è stato un argomento
sbandierato spesso come elemento caratterizzante lo sviluppo
territoriale ma, nulla di concreto si è poi registrato. Oggi, sono
state intraprese importanti iniziative di concerto con gli enti
preposti alla tutela e, già abbiamo sottoscritto ben tre importanti
protocolli. Non è cosa da poco». Protocolli che hanno permesso anche
l'acquisizione di finanziamenti pubblici. Finanziamenti inerenti le
indagini archeologiche pari a 470.634,05 euro ottenuti con la legge
144/99, gli interventi di supporto al complesso museale Caudium sono
stati finanzaiati per 1.183.718,61 euro di cui 570.000,00 è la cifra
ottenuta dal ministero dei Beni Culturali. |
24/05/2007
GROSSI INTERVENTI PER GLI SCAVI DI CUMA (NA) Cinquanta milioni di euro per la più vasta campagna di scavi
archeologici che la Regione ha in programma per i prossimi 10 anni.
Il via ai lavori previsto a settembre. Marco Di Lello, assessore ai
Beni culturali, vara il piano di recupero di Cuma, la più antica
delle colonie greche d'occidente. «È tra i siti più straordinari che
abbiamo - spiega - quello che ha forse subìto meno di tutti i danni
dell'urbanizzazione forsennata del territorio: e allora è giusto
mettersi al lavoro per trasformare Cuma nella nuova Pompei». Cuma è
il museo all'aperto, forse, più strabiliante del mondo. Quale altro
potrebbe vantare dieci chilometri di monumenti eccezionali da vedere
e 2737 anni da raccontare? Tombe e catacombe che mischiano morti
benedette ed edifici poderosi. E anfiteatri, fori, cripte, mausolei,
ville e dimore lungo la valle che si distende in direzione di Licola.
Fosse una soap avrebbe bisogno di mille puntate, e poi ancora mille:
l'anfiteatro di 90 metri di lunghezza, il mausoleo delle Teste
cerate, il tempio di Hera, il santuario di Iside, il Capitolium
cittadino. E ancora la Cripta romana che sboccava al porto, il
tempio di Apollo, la cisterna greca, il tempio di Giove, l'antro
della Sibilla. «Con il nuovo finanziamento verranno espropriati
altri 15 ettari di terreno, per continuare i lavori di scavo -
continua ancora Di Lello - Secondo gli esperti, l'area archeologica
è vasta almeno 100 ettari e fino ad adesso gli scavi hanno
interessato meno del 20 per cento». Città prima greca, fondata nel
730 a.C. dai coloni euboici poi, allontanata la minaccia etrusca,
conquistata dai Sanniti, Cuma era un caposaldo strategico per il
controllo del territorio. Ma Cuma è anche l’esempio dello scempio
edilizio del millennio scorso. Come si può, per esempio, individuare
quel piccolo e sconosciuto anfiteatro da quattromila posti che il
demanio ha fittato a lungo a un contadino e che questi, per decenni,
ha coperto di terra e concime gradone per gradone, coltivandovi
sopra ortaggi e mimetizzandolo da podere, con l'arena seminata a
fave e broccoli, mentre agli ingressi erano sistemati recinti per
polli e maiali? L'anfiteatro del secondo secolo è sulla strada che
porta al Fusaro, parzialmente recuperato negli anni passati. Ma
adesso, nascosto dalla inferriata, non è ancora visitabile. Ed è una
fortuna: perché è ricoperto da erbacce. |
23/05/2007
CHIESTO IL RINVIO DEI LAVORI ALLA FERROVIA DI MARCIANISE (CE) Un’accurata indagine per recuperare eventuali resti archeologici
prima di realizzare la strada di collegamento tra la provinciale
Ponteselice e la zona Santa Veneranda ed il sottopasso della
ferrovia in località Airola. Lo chiede il consiglio direttivo dell’Archeoclub
Italia di Marcianise, presieduto da Franco Delli Paoli, presentando
uno studio realizzato nella zona dall’archeologo Pasquale Fecondo.
L’associazione che promuove la tutela e la valorizzazione dei beni
culturali ed ambientali, ha inviato una nota alla Soprintendenza dei
beni archeologici di Napoli e Caserta, all’Ufficio territoriale di
Maddaloni, al sindaco ed all’assessore ai lavori pubblici di
Marcianise chiedendo delle misure cautelari e preventive, ai sensi
del decreto legislativo 42 del 2004, per le zone San Pietro e
Palmentata, dove stanno per iniziare i lavori di ammodernamento
della provinciale «Casa Del Bene» fino al passaggio a livello di
Airola dove, ad opera di Trenitalia, a giugno, comincerà la
realizzazione del sottopasso ferroviario. Secondo l’Archeoclub,
studi recenti, condotti dalla Sun, hanno evidenziato l’importanza
dell’area interessata dai lavori nella ricostruzione della storia
dell’intero territorio a ridosso del fiume Clanio, compreso tra le
antiche Capua, Atella, Calatia e Suessola. A sostegno di tale tesi,
alla nota è allegata una relazione dell’archeologo Fecondo che ha
individuato nella zona alcune evidenze di notevole interesse
archeologico. «Le località San Pietro e Palmentata - afferma nella
relazione Fecondo - oltre ad essere integralmente inserite nella
centuriazione dell’Ager Campanus, sono state più volte interessate
da ritrovamenti di carattere archeologico: nel 1929, nel corso di
uno scavo vennero alla luce resti di ossa umane. L’archeologo
Paolino Mingazzini, recatosi sul posto, riscontrò la presenza di due
tombe a cassa di tufo contenenti ceramica a vernice nera ed a figure
rosse e propose uno scavo sistematico dell’area, purtroppo mai
realizzato. Nel 1970, nella stessa località fu rinvenuto, a circa
due metri dal piano di calpestio, un sarcofago in marmo bianco, ed
infine, nel 2004 - aggiunge Fecondo - in località Palmentata,
durante una ricognizione di superficie, in un campo a pochi metri
dal passaggio a livello, furono documentati numerosi frammenti di
materiali fittili, tra i quali: ceramica a vernice nera, terra
sigillata italica, terra sigillata africana, ceramica comune,
ceramica da cucina, anfore, dolia, tegole e coppi». Testimonianze
insomma che farebbero configurare l’area come una zona di notevole
interesse archeologico (considerata, tra l'altro, «paesaggio di alto
valore ambientale e culturale» dal P.T.R. Campania). |
23/05/2007 MISTERO
SU UNA TOMBA RINVENUTA A CALES (CE) C'è un mistero in quella sepoltura di 2000 anni fa trovata alla
periferia di Calvi Risorta, l'antica Cales. Un rebus che gli
archeologi della Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta,
guidata da Maria Luisa Nava, sono impegnati a risolvere
scientificamente. Perché se non si fosse ritrovato quel frammento di
vetro dalla sagoma del tutto particolare nella tomba a cassa
sistemata venti secoli fa nel monumento funerario, tutto sarebbe
filato liscio e il rinvenimento sarebbe stato archiviato come uno
dei tanti che si fanno nell'area, peraltro ricchissima di antiche
testimonianze. Il fatto è che il vetro si mostra diritto e ben
levigato. A questo dato si aggiunge l'altro presentato dalla cassa
di sepoltura: un unico blocco di tufo ma con un'apertura, piccola,
di forma quadrata nella parete laterale. Perché il vetro di quella
forma e perché l'apertura, nel sarcofago, quindi? «Per adesso -
suggerisce Colonna Passaro, l'archeologa responsabile dell'area -
possiamo solo fare delle ipotesi, che peraltro vanno sostenute con
ricerche e comparazioni. Una di queste considera quel frammento di
vetro, così caratteristico per lo spessore e la lavorazione
presentata, come appartenuto a una teca, posta all'interno della
sepoltura, e spaccata durante il riutilizzo della tomba per altre
inumazioni». La cassa, difatti, è stata trovata in un monumento
funerario, di pregio, con sepolture multiple. L'edificio, con fronte
affacciato lungo una delle vie poste fuori del perimetro urbano di
Cales (consentivano al centro di collegarsi con la via Latina) è
stato datato in un periodo compreso tra il secondo secolo avanti
Cristo e il II secolo dopo Cristo e deve essere certamente
appartenuto a una famiglia importante dell'area. Tra le altre
presenta la caratteristica di essere costruito a ipogeo, vale a dire
che la camera delle sepolture è interrata in un banco di ignimbrite,
prodotto vulcanico della maggiore eruzione esplosiva avvenuta
nell'area campana quasi 40 mila anni fa. Nel sarcofago, oltre ai
resti umani si sono trovati anche gli elementi classici per i
corredi tombali dell'epoca: vasetti di vetro, balsamari e colombine
(boccette di profumo di vetro a forma di colomba; si spezzava il
becco e si prelevava l'essenza) messi dai parenti del defunto.
Un'altra ipotesi, difatti, considera anche che quel frammento di
vetro possa essere derivato da uno degli oggetti descritti prima.
Così come si pensa possa trattarsi di scheggia appartenuta al fondo
piano di un'urna cineraria, che conteneva le ceneri del defunto.
Infine c'è ancora una eventualità, definita dagli addetti ai lavori
di quasi nessuna probabilità, che vorrebbe il frammento vitreo
appartenuto (caso unico al mondo per l'epoca) a una sorta di oblò -
finestra di forma quadrata incastrata nell'apertura del sarcofago di
tufo. «Queste - dice l'archeologa - le ipotesi su cui lavoriamo.
Qualunque sia il risultato, tuttavia, resta il fatto che dovunque
mettiamo le mani, Cales ci restituisce il suo passato, perché anche
dove troviamo una semplice tomba ci viene data la possibilità di
capire qualcosa in più di un'area su cui si hanno pochissime notizie
in quanto mai è stata fatta oggetto di indagini approfondite». |
15/05/2007
CONTINUA LA POLEMICA SUI BENI CULTURALI IN CAMPANIA «La Scabec? Trovi il governo un'altra soluzione per gestire i
siti archeologici e non costringerci a chiuderli per mancanza di
personale». Marco Di Lello non perde l'occasione per ribattere a
muso duro al no della Commissione Cultura della Camera dei Deputati
alla Scabec, la società campana per la gestione dei beni culturali.
Lo fa durante il convegno che tiene a battesimo Lapis, il nuovo
progetto voluto dalla Regione per valorizzare la terra del Mito, nel
complesso Stufe di Nerone, lo stesso in cui Pietro Folena,
presidente della Commissione, a inizio marzo bocciò pubblicamente la
Scabec rivendicando il «ruolo centrale dello Stato nella gestione
dei suoi gioielli di famiglia». Parole che bruciano ancora a Di
Lello. «La Commissione ha lavorato in malafede, i suoi componenti
hanno preso una decisione senza sapere neppure di cosa stessero
parlando - è l’affondo dell’assessore regionale - Hanno parlato di
privatizzazione, e tutti sanno che è una menzogna. Al ministro
Rutelli ho chiesto tre mesi fa una risposta. Che sia, una volta per
tutte, quella definitiva. L'attendo ancora. Ma non vorrei che mentre
il medico studia, il malato muore». Di Lello fa quindi notare che la
polemica che si è aperta non ha riscontri in nessun altro Paese. «Al
Louvre vivono di marketing e merchandising. E qui invece a malapena,
qualche giorno fa, ho scongiurato la chiusura del percorso
archeologico del Rione Terra per mancanza di personale. Sarebbe
stata una incredibile beffa - insiste ancora l'assessore - La
Regione Campania ha speso oltre 200 milioni di euro per il restauro
e la valorizzazione dei siti archeologici e monumentali dei Campi
Flegrei e il governo pretende che restiamo a guardarli da fuori? Se
la Scabec non gli sta bene, trovino loro la soluzione gestionale. A
me va bene anche così. Basta, però, che la trovino alla svelta». Non
solo il Rione Terra a rischio chiusura. «Di fatto restano blindate
la piscina Mirabilis e le Centocamerelle e sono seriamente
preoccupato anche per Cuma». (Fonte: IL MATTINO) |
03/05/2007
SACCHEGGIATA NECROPOLI SANNITICA A MARIGLIANO (NA) FRA
L'INDIFFERENZA DI TUTTI Una ventina di tombe a cassa di epoca sannitica saccheggiate e
distrutte. Le pesanti pareti di tufo spezzate sotto i colpi di pale
e picconi. I frammenti ossei degli inumati gettati nel materiale di
risulta delle nuove trincee fognarie. I preziosi corredi funerari
trafugati. Solo pochi frammenti di ceramica antica con resti di
cornici modanate sono ancora visibili. È scempio nella necropoli
venuta alla luce e distrutta nel cantiere dei lavori di
infrastrutturazione dell'area degli insediamenti produttivi a
Marigliano. Nessuna tutela e nessuna forma di messa in sicurezza era
scattata per il sito archeologico giudicato dagli esperti di
eccezionale importanza. Secondo le prime ipotesi, le tombe
danneggiate risalirebbero presumibilmente al VI secolo a.C.ma non si
esclude che accanto alla necropoli sannitica sia stata intercettata
e distrutta anche una seconda necropoli di epoca romana.
Ritrovamenti di cui nessuno delle autorità competenti era al
corrente. Sono stati gli abitanti di via Sentino, insospettiti dallo
strano via vai di persone, che andava avanti da circa un mese, a
dare l'allarme. Era soprattutto nel tardo pomeriggio che strani
personaggi arrivavano nel cantiere e andavano via a mani piene.
Vasellame, anfore, reperti metallici, prezioso materiale funerario
depredato dalle tombe che poi sono state anche parzialmente
distrutte. Ed è proprio su questi oltraggi che ora dovrà far luce
l'inchiesta della magistratura di Nola, sollecitata dalla
Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta. Le indagini saranno
affidate al Nucleo speciale dei carabinieri. Il responsabile
dell'ufficio di Nola del Ministero ai beni culturali, Giuseppe
Vecchio, è furente: «Nessuno ci ha avvertito. È pazzesco. C'è
addirittura una perizia giurata in cui è stato attestato che
nell'area non vi era nulla di archeologicamente rilevante». I
magistrati ora dovranno accertare eventuali responsabilità sulle
omissioni e i danni aggravati al patrimonio culturale rinvenuto che
appartiene allo Stato. Nel frattempo la Soprintendenza ha
predisposto gli opportuni rilievi per classificare il sito e
procedere allo scavo archeologico di tutta l'area circostante. Si
pensa che dalle viscere della terra possano emergere altri
importanti tesori. Ad avvalorare questa ipotesi, la scoperta
avvenuta qualche anno fa nel sito di Ponte delle Tavole, dove fu
rinvenuta una villa di epoca imperiale impiantata su resti
sannitici. (Fonte: IL MATTINO) |
23/04/2007 I
FONDI CI SONO MA LE RICHIESTE SONO POCHE... Arte e archeologia da salvare, il governo mette a disposizione i
fondi ma la Campania sembra non raccogliere l’invito. Pochi progetti
spediti a Roma per la richiesta di finanziamento: e la circostanza è
ancora più sbalorditiva se si pensa che le proposte presentate
riescono quasi semrpe a conquistare il sostegno economico. Il quadro
emerge con chiarezza dal rapporto della società Arcus, costituita
nel febbraio 2004 dal ministro per i beni culturali (unico azionista
il ministero dell’economia) con l’obiettivo di sostenere progetti di
alta qualità per la valorizzazione dei beni e delle attività
culturali. I suoi compiti: selezionare le iniziative proposte,
seguirle nella loro evoluzione, dare impulso alla realizzazione
delle necessarie infrastrutture, procurare i fondi attingendo ai più
diversi strumenti di finanziamento, compresa la percentuale
riservata all’arte sui proventi del lotto e delle lotterie. Dal 31
marzo l’Arcus è guidata da un napoletano, Arnaldo Sciarelli, che ha
voluto dare subito un’occhiata ai fascioli per verificare quale
fosse la posizione della Campania, e di Napoli in particolari, tra
le aree che hanno finora meritato l’attenzione della società.
Risultato: su un totale di 182 milioni di euro assegnati (80 già
materialmente erogati), la cifra relativa ai progetti campani si
ferma a 7 milioni e mezzo. Somma non altissima, considerando
l’estensione del territorio regionale e le sue enormi potenzialità.
Ma in questo caso non si può parlare di scarsa attenzione da parte
dello Stato. Sul tavolo dell’Arcus sono arrivate appena quindici
proposte made in Campania (10 per cento circa del totale nazionale,
sotto metà classifica se si facesse un elenco delle regioni per
numero di progetti presentati): su quindici, ben undici hanno avuto
accesso ai fondi disponibili. La società ha detto sì all’intervento
multimediale negli scavi di Pompei, all’eliminazione delle barriere
per disabili a Capaccio, agli spettacoli teatrali di Tato Russo, al
parco archeologico di Fratte, al restauro del castello di Calvi
Risorta, all’eliminazione delle barriere per disabili a Capaccio. Ma
la fetta più consistente della cifra assegnata in totale, tre
milioni e 700mila euro su 7 milioni e mezzo, va a beneficio degli
scavi archeologici nelle future stazioni Municipio e Duomo della
tratta bassa del metrò linea 1: la continua comparsa di reperti nei
cantieri (dalle barche romane al tempio dei giochi augustali, dai
pavimenti greci alle testimonianze della preistoria) ha reso
indispensabile un’opera di «salvataggio» tecnicamente perfetta e,
insieme, compatibile con il proseguimento delle opere civili.
Dunque, costosa. E in questo non è mancato il supporto del
ministero. Resta invece aperto il problema dei mille tesori che
sarebbe doveroso proteggere, recuperare, valorizzare e «spendere»
sul mercato del turismo. Ma come si possono ottenere i fondi, è il
messaggio del commissario Sciarelli, se nessuno li chiede? (Fonte:
IL MATTINO) |
20/04/2007
APERTO IL NUOVO MUSEO DI PONTECAGNANO (SA) La superficie impegnata per le esposizioni è pari a 1800 metri
quadri, cinque volte più esteso è lo spazio occupato dai tre piani
dell’edificio. C’è un Auditorium capace di 200 posti, un laboratorio
di restauro, sale per mostre temporanee, una postazione per
internet, la Biblioteca. Per la realizzazione e l’allestimento del
contenitore si sono spesi 13 milioni di euro, somma finanziata sia
dal Ministero per i Beni Culturali (10,5 milioni) sia dalla Regione
Campania. Oltre ai materiali conservati nei depositi, in mostra ci
sono duemila reperti archeologici in quaranta vetrine. Questi, i
numeri de «Gli Etruschi di frontiera» il nuovo Museo archeologico,
diretto da Angela Iacoe, che sarà inaugurato domani a Pontecagnano
Faiano. Per la cerimonia arriveranno Anna Maria Reggiani, Antonia
Pasqua Recchia, Stefano De Caro, Marco di Lello e Angelo Villani.
Un’area, quella di Pontecagnano, su cui la prima presenza umana
fissa è stata datata al 1000 a. C., allorché la zona fu scelta da
popolazioni dell’Etruria marittima, la Maremma toscana, per le sue
caratteristiche geo-morfologiche e per la possibilità di controllare
i traffici marittimi. Un insediamento che si sviluppa in maniera
eccezionale e dove la cultura, nel periodo Orientalizzante (VIII-VII
secolo a.C.), viene influenzata dalle raffinate manifestazioni
artistiche originate in Oriente e in Grecia. Il potere è in mano a
grandi famiglie aristocratiche in cui spiccano principi e
principesse che hanno stili di vita raffinati e lussuosi, così come
testimoniano i corredi funerari finemente lavorati, oltre a quelli
esotici provenienti da Fenicia, Asia Minore, Cipro. Pontecagnano ben
presto ha smesso la sua primitiva veste di insediamento agricolo per
rivestire il ruolo di centro commerciale ed emporio per tutte le
città dell’entroterra. Poi, la presenza degli Etruschi che, tra il
VI e il V secolo a.C., fanno sentire tutta la loro influenza
culturale. Quindi, la romanizzazione della piana del Sele con la
fondazione della colonia latina di Paestum, nel 273 a.C., e la
deportazione a Pontecagnano da parte dei Romani di un nucleo di
Piceni dalla costa adriatica. Nasce così Picentia, centro che sarà
messo a ferro e a fuoco dalle legioni per essersi alleato con
Annibale. Giuliana Tocco, soprintendente archeologo di Salerno,
sottolinea: «Abbiamo sviluppato le tematiche più interessanti e
significative perché l’esposizione non fosse monotona e stancante».
La notizia è recente: presto arriveranno anche i supporti
multimediali, grazie ai 500mila euro dei fondi Lotto.
La parola più comune quando si parla o si scrive degli Etruschi
è «mistero». La disinvoltura di molta pubblicistica, ma anche un
nucleo oscuro interno alla civiltà ha contribuito a creare un mito
conturbante e in parte menzognero. Per i non addetti ai lavori
domani cadrà qualche velo, grazie all’apertura del nuovo museo
nazionale di Pontecagnano dedicato agli «Etruschi di frontiera».
All’interno del parco archeologico, sulla stessa border line che
tracciò i confini meridionali dell’espansione, la Soprintendenza di
Salerno ha raccolto quarant’anni di scavi, una magnifica selezione
dei circa ottomila corredi funerari dalla prima età del ferro
all’epoca romana. Occasione unica per conoscere da vicino forme di
religiosità e vita quotidiana di questo mondo. «Dopo i pregevoli
lavori di settore, è il momento di affrontare un saggio esaustivo
sugli Etruschi a sud del Tevere» dice Valerio Massimo Manfredi,
archeologo e scrittore di best-seller internazionali. A questo
popolo affascinante Manfredi ha dedicato un saggio scritto a quattro
mani con Luigi Malnati, che si ferma appunto sopra la linea del
fiume: Gli Etruschi in Val Padana (Mondadori, 2003). Ma di
enigmatiche statue etrusche parla anche Chimaira, thriller
archeologico del 2001. Insomma, anche lei non ha resistito alla
tentazione. «Succede, come per gli Egizi. Gli Etruschi calamitano
l’attenzione, e troppi sono disposti ad abbracciare ipotesi
fantasiose che fanno imbestialire gli etruscologi. Però, se l’aura
permane, ciò è dovuto principalmente all’oscurità della lingua, che
ancora non riusciamo a decifrare». La lingua, l’enigma per
eccellenza. «Precisiamo, innanzitutto, che non esiste difficoltà di
lettura dei testi etruschi, dal momento che sono scritti in alfabeto
greco, il vostro calcidese di Cuma. Il problema è il significato:
non si capisce che cosa dicono. È come leggere il turco con il
nostro alfabeto senza conoscere la lingua. Abbiamo decifrato pochi
nomi propri e alcune parole che sono presenti anche in latino».
Nessun documento bilingue paragonabile alla stele di Rosetta?
«Suscitò molte speranze negli anni Sessanta il ritrovamento delle
Lamine d’oro di Pirgi, oggi Cerveteri. Erano tre, due in etrusco,
una in fenicio. Purtroppo le iscrizioni corrispondevano, ma non
erano le traduzioni l’una dell’altra. Anche la Tabula Cortonensis,
rinvenuta nel ’92, non ha dato i risultati sperati. Ci sono
riferimenti territoriali e vincoli parentali, ma il testo integrale
resta oscuro». I ritrovamenti di Pontecagnano ci aiutano ad
affrontare il nodo delle origini di questo popolo? «Chissà. Il
dilemma resta quello tra Erodoto e Dionigi di Alicarnasso. Il primo,
con altri studiosi, propendeva per una provenienza orientale, una
migrazione dalla Lidia. Il secondo sosteneva la tesi autoctona.
Ancora oggi sussistono elementi che suffragano entrambe le tesi.
Massimo Pallottino preferì parlare di un lungo processo di
formazione, forse con innesti di gruppi aristocratici mediorientali.
Ma è un escamotage che non risolve la questione. Gli Etruschi non
assomigliano a nessun altro popolo». La ricchezza dei corredi
funerari fa pensare che siano stati un popolo di profonda
religiosità. «Per l’attenzione minuziosa e ossessiva all’oltretomba
li paragonerei agli Egizi. Il loro aldilà è un mondo affascinante e
intenso. Va ricordato che essi, a differenza di Romani e Greci,
ebbero una fede fatalistica nel destino, la convinzione assoluta che
gli dèi preordinassero la sorte degli uomini». Quanto importanti
sono i «nostri» Etruschi di frontiera? «Tanto, perché i confini
meridionali rappresentano la saldatura con i Greci. Con la battaglia
di Cuma del 474 a.C., i siracusani posero fine all’espansione e poco
a poco gli etruschi si contrassero fin quasi a scomparire». Perchè
gli Etruschi sono finiti nel nulla? «Non è così, né c’è stato alcun
genocidio. Gli Etruschi, come gli altri popoli precipitati nel
crogiolo dell’Italia unificata da Roma, hanno capito che bisognava
integrarsi con il vincitore. Troviamo generali etruschi al servizio
di Giuliano l’Apostata e l’Etruria meridionale si chiama ancora
Tuscia».
Seimilacinquecento metri quadri, un vero e proprio parco della
cultura, un’isola felice all’interno della tanto cementificata
Pontecagnano. Su quest’area, concessa dal Comune alla Soprintendenza
archeologica di Salerno, è sorto il nuovo museo dei picentini,
dedicato all’antica civiltà che ha abitato dal X secolo avanti al I
secolo dopo Cristo la piana tra l’irno e il Sele. Il complesso,
disegnato da Giancarlo e Andrea Cosenza, è su tre piani, oltre
novemila metri quadrati di cui milleottocento destinati
all’esposizione. Progettato in maniera polifunzionale, l’edificio
comprende, oltre al museo, anche gli uffici della Soprintendenza, un
auditorium di 200 posti, la biblioteca, il laboratorio di restauro,
quello fotografico, i depositi archeologici, sale per mostre
temporanee, sale per proiezioni e postazioni Internet. Un sogno
realizzato, finalmente dal soprintendente Giuliana Tocco che, con
quest’opera monumentale che si appresta a diventare uno dei poli
turistico-culturali più interessanti della Campania, dà l’addio al
suo mandato salernitano. Salutato con due attestati importanti, la
cittadinanza onoraria di Pontecagnano e quella di Buccino, i due
siti che ha contribuito a scoprire e valorizzare. Città diverse, ma
entrambe strappate al destino di un’urbanizzazione massiccia che
avrebbe sicuramente cancellato storia e memoria. E c’è un altro
comune identificatore: a dar man forte alla Tocco sia a Buccino che
a Pontecagnano è stato Luca Cerchiai, che, oggi docente
all’Università di Salerno, continua a portare nel cuore Pontecagnano.
Così come Bruno D’Agostino, il primo a scoprire i tesori degli
etruschi nel lontano 1962, quando, alla guida dell’équipe dei
giovanissimi archeologi dell’Orientale di Napoli, scavò nel cuore
delle necropoli picentine. Sono passati oltre quarant’anni, di
corredi portati alla luce se ne contano più di ottomila: i più
significativi sono esposti nel nuovo museo che vanta un allestimento
d’eccezione curato proprio da chi vi ha lavorato per tantissimi
anni: oltre D’Agostino e Cerchiai, Gianni Bailo Modesti, Patrizia
Gastaldi e Angela Pontrandolfo. Ma c’è ancora tanto da scoprire.
«Abbiamo rinvenuto parte delle necropoli e dei due santuari - dice
la direttrice del museo Angela Iacoe - Ora è la volta della città,
di cui abbiamo grosso modo circoscritto il perimetro. C’è una grossa
area libera al di sotto dell’autostrada, lì dove ci sono le tracce
dell’asse viario. L’abbiamo espropriata, aspettiamo solo i
finanziamenti per metterci all’opera». Soldi: la nota dolente. Per
ora il museo aprirà solo di mattina, tutti i giorni tranne il
lunedì. Info: 089 848181. |
19/04/2007
PROTOCOLLO D'INTESA SUI REPERTI DI SANTA MARIA LA CARITA' (NA) Siglata tra l'amministrazione comunale di Santa Maria La Carità
e la fondazione Restoring Ancient Stabiae un protocollo che prevede
siano chiaramente indicati come d'origine sammaritana tutti reperti
archeologici provenienti da quel territorio e per i quali sono
previste future esposizioni nelle mostre della Ras. L'accordo fa
seguito al «grande interesse per i propri fini istituzionali»
mostrato dal Comune che individua nel progetto della Fondazione la
possibilità di «sviluppo sociale e crescita economica del
territorio». L'area della cittadina difatti è una delle più ricche
di resti antichi tra tutte quelle dell'Ager stabianus, il territorio
occupato dalla Stabiae d'epoca romana. La sua importanza deriva
oltre che dalle numerose fattorie e ville agricole destinate alla
conduzione di fondi di ridotte dimensioni e adatti alla coltivazione
intensiva dei cereali (oltre che della vite e dell'olivo) anche
dall'essere territorio attraversato dalla via Stabiana appunto, la
grande arteria che collegava Stabiae con Nuceria Alfataerna,
l'antica Nocera, favorendo i traffici tra l'interno e la costa.
Certamente importante, per i numerosi corredi tombali rinvenuti, è
la necropoli arcaica di via Madonna delle Grazie che testimonia la
frequentazione della zona sin dalla seconda metà del VII secolo a.
C. ed ha restituito vasi, fibule, anelli, assieme a oggetti
provenienti dalle regioni africane come scarabei egizi e fenici ed
elementi di ambra e pasta vitrea per collane. «Oltre a indicare
chiaramente i reperti d'origine sammaritanese - conferma Ferdinando
Spagnuolo, notaio stabiese e consigliere delegato di Ras -
promuoveremo anche studi specifici sul patrimonio archeologico
comunale e una mostra didattica in cui evidenziare il livello del
patrimonio culturale e scientifico della cittadina». «Si tratta di
un progetto che arrecherà notevoli benefici, sia dal punto di vista
sociale che economico, a tutti i cittadini - afferma Francesco
Cascone, sindaco di Santa Maria la Carità - Il protocollo stilato
con la Restoring Ancient Stabiae giunge al termine di una lunga
attività amministrativa che ha puntato molto sulla rivalutazione
delle proprie ricchezze archeologiche. Siamo convinti pertanto che
la riscoperta delle nostre origini rappresenta uno dei punti
fondamentali per completare lo sviluppo complessivo della città». |
17/04/2007
CATULLO E VIRGILIO IN UN AFFRESCO A POMPEI (NA) Trovati i ritratti di Catullo e Virgilio in un affresco di
Pompei. A scoprire che i due personaggi dipinti su una parete della
«Casa VI, 17» - una stupenda dimora dell’«Insula Occidentalis»,
l’isolato occidentale - non rappresentavano due individui qualsiasi,
ma erano le immagini dei due grandi poeti latini fissate su intonaco
da un ignoto pittore del I secolo avanti Cristo, è stato Paolo
Moreno, docente di Archeologia all’Università Roma Tre. «In effetti
- rivela il professore, che ha illustrato il ritrovamento sui
periodici specializzati «Il Giornale dell’Arte» e «Archeo» - quelle
due figure sono note da almeno trent’anni, tuttavia nessuno le aveva
mai analizzate tenendo conto degli elementi e del contesto in cui
erano inserite». L’ultimo a studiare il complesso, in ordine di
tempo, è stato Ferdinando De Simone, che ha visto inserito il suo
lavoro, assieme a quelli di altri archeologi, nel volume Pompei, l’Insula
Occidentalis, sostenuto dall’Università di Tokio e curato da
Masanori Aoyagi e Umberto Pappalardo. L’affresco, del II stile
(caratteristico del I secolo avanti Cristo), è stato dunque
rinvenuto in un’area che viene indicata come «Biblioteca», visto che
si sono trovate tracce di uno scaffale e i personaggi sono
certamente dei poeti: quello che sta sul fondo, poi indicato come
Gaio Valerio Catullo, ha una lira poggiata alla sua destra e dei
rotoli per scrittura contenuti in una cesta, a sinistra; l’altro,
Publio Virgilio Marone, raffigurato sulla parete sud, stringe nella
mano destra un nodoso bastone da pastore, nella sinistra regge il «volumen»,
il rotolo di papiro usato per scrivere. Ancora, la corona che cinge
il capo di Catullo è fatta di edera, dunque appannaggio di un poeta
lirico (quella intrecciata con alloro, invece, si attribuiva ai
poeti epici): e Catullo era appunto un poeta lirico. Quindi, nella
nicchia che sovrasta il capo dell’individuo, si intravede Eros,
ovvero Amore che veglia le notti del poeta mentre pensa alla sua
amata Lesbia. Tutti particolari, insomma, che indirizzano al poeta
originario di Sirmione, sulla riva meridionale del lago di Garda,
nella Gallia Cisalpina, all’epoca morto da poco (nel 54 avanti
Cristo) e inserito nella nicchia perché luogo di grande dignità.
«L’altro - riprende l’archeologo - è certamente Virgilio perché se
lo confrontiamo con le figure sui mosaici di Treviri in Germania, di
Sousse in Tunisia e con un busto in marmo nei Musei capitolini della
Centrale Montemartini notiamo una spettacolare somiglianza». Tra le
altre, Virgilio in Campania era di casa: insieme a Filodemo di
Gàdara, divenne allievo del filosofo epicureo Sirone e quasi
certamente fu tra gli intellettuali più assidui della Villa dei
Papiri a Ercolano. La leggenda, poi, narra di presunte qualità
magiche del poeta (Matilde Serao le tratteggia magistralmente in un
suo brano) messe in pratica a Napoli. C’è un altro elemento
importante, però: in quel periodo, tra il 39 e il 37 avanti Cristo,
Virgilio aveva già composto le Bucoliche. Ciò significa che l’opera
era contemporanea all’affresco, datato appunto al 40-30 avanti
Cristo. E questo senza dimenticare che la casa che ospita le pitture
è una domus finemente decorata, con vista sul golfo e certamente
appartenuta a un personaggio pompeiano colto ed estremamente
raffinato, che verosimilmente aveva potuto conoscere di persona il
poeta. Un Virgilio che è stato dipinto mentre era ancora in vita,
dunque, già arcinoto come autore, prima che iniziasse a comporre
l’Eneide. «Ecco - sottolinea Moreno - questa è la cosa che mi ha più
emozionato, ed è il dato assolutamente eccezionale del
ritrovamento». (Fonte: IL MATTINO) |
15/04/2007
SI ARRICCHISCE IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO DI NUCERIA (SA) Un patrimonio archeologico che si arricchisce di anno in anno.
Nocera Superiore, già famosa per lo splendido battistero
paleocristiano, per il teatro ellenistico, per la necropoli
monumentale di Pizzone, sta aggiungendo un altro gioiello al suo
tesoro. A spiegarlo sono stati gli stessi archeologi, nel corso di
una conferenza tenutasi ieri sera alla biblioteca comunale ed
intitolata «Nuceria Alfaterna, la scoperta continua». Le dottoresse
Rota e Lombardo, responsabili del locale ufficio scavi della
soprintendenza di Salerno, hanno illustrato cosa è venuto alla luce
fin'ora nell'area dell'ex mercato boario. Qui, secondo un progetto
dell'amministrazione cittadina, sta prendendo forma il nuovo parco
archeologico, su una superficie di diecimila metri quadrati, a pochi
passi dal battistero. Con l'ausilio di supporti multimediali,
preparati dalla dottoressa Teresa Virtuoso, che cura la parte
operativa dello scavo, è stata offerta al pubblico ed alla stampa
una ricca panoramica dei nuovi reperti. Sembra dover regalare ancora
molte sorprese l'antica Nuceria Alfaterna. Cinque metri al di sotto
dell'attuale piano di campagna, infatti, sta venendo alla luce
quella che molto probabilmente era l'area termale dell'antica città.
Circostanza che potrebbe trovare riscontro, e supportare a sua
volta, l'ipotesi formulata anni fa dal professor Werner Joannowsky,
sostenitore della presenza, in quella zona anche del foro romano.
Proprio tenendo conto di tutto questo, gli amministratori stanno
vagliando l'ipotesi di raddoppiare l'area del parco destinata allo
scavo, portandola a duemilaottocento metri quadri. Consulente ad hoc
per l'ente è il professor Teobaldo Fortunato. |
14/04/2007
ALLAGATO IL VILLAGGIO PROTOSTORICO DI NOLA (NA) Vedi l'articolo nello
SPECIALE NOLA. |
07/04/2007 BASTA
COSTRUIRE NELL'AREA ARCHEOLOGICA DI TEANO (CE) «Basta colate di cemento in zona parco archeologico: giù le mani
dalla città antica». Mentre c’è chi spreme come un limone il vecchio
programma di fabbricazione alla ricerca di zone da edificare e chi
chiede altre concessioni edilizie (sei rilasciate solo nel mese di
marzo), dall’altra parte c’è chi alza la voce per la difesa del
patrimonio archeologico. È il caso della schiera sempre più vasta di
associazioni provinciali e locali che hanno sottoscritto un
documento di denuncia presentato al Ministero per i beni e le
attività culturali, alla Regione, alla Soprintendenza, all’Ente
Parco e al comune di Teano. Un vero scudo a difesa dell’ambiente nel
periodo che divide il territorio dall’approvazione del Puc (Piano
Urbanistico comunale; un documento che arriva sulla scia dell’opera
svolta dall’archeologo Francesco Sirano e più in particolare dalla
Soprintendenza archeologica che continua ad annullare concessioni
edilizie irregolari e invasive. Hanno già firmato la richiesta di
«blocco immediato tutte le attività costruttive invasive» Italia
Nostra, WWF, Legambiente, Acli Anni Verdi, Proloco Teano e Borghi,
Turino Club, il Campanile, i Palazzuoli, Teano Jazz e Arci Popluna.
In procinto di firmare Cia e Coldiretti di Teano, Lipu, Masseria
Felix e Proloco Teanum Sidicinum. La richiesta è quella di
procedere, in accordo con la soprintendenza, alla progettazione
esecutiva dell’Archeoparco avviando uno studio per l’esproprio di
tutte le aree utili. Ancora più puntuale il documento che accompagna
la sottoscrizione con la quale si arriva a chiedere l’abbattimento
degli edifici in corso di realizzazione. Per i sottoscrittori «la
costante aggressione edilizia dell’area archeologica, ora
particolarmente virulenta, mette in serio pericolo non solo
l’integrità della città antica ma anche l’idea stessa di Parco,
frutto di un disegno complessivo di valorizzazione del paesaggio e
della eredità storica della capitale dei sidicini». «Sull’argomento
l’amministrazione comunale di Teano - dicono le associazioni - ha
espresso pubblicamente la volontà di perseguire una politica di
valorizzazione con i progetti Puc e Parco». Una svolta epocale
sancita nel corso dell’ultimo e più recente convegno sul tema
durante il quale fondamentali sono stati i contributi del
Soprintendente Maria Luisa Nava, del Direttore regionale Stefano De
Caro e dell’assessore provinciale all’urbanistica Maria Carmela
Caiola. Ora si tratta di vigilare perché le idee degli esperti non
siano sciupate e le intenzioni dell’amministrazione comunale siano
tradotte in fatti concreti. Tutto per scongiurare irreparabili e
gravi compromissioni del vero tesoro del territorio: Teanum
Sidicinum.
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04/04/2007
APRE FINALMENTE IL MUSEO DI CAUDIUM NEL CASTELLO DI MONTESARCHIO
(BN) E finalmente fu apertura. Tanti proclami, aperture spesso
annunciate ma niente di fatto. Oggi, una data è certa. Il prossimo
12 maggio, nell'ambito della nona settimana della cultura, sarà
aperta una prima sezione del museo archeologico nazionale nel
castello di Montesarchio. Ad annunciarlo è Antonio Izzo, sindaco di
Montesarchio. «È solo di un primo importante passo verso la
definitiva apertura del museo caudino - afferma -, ma anche del
decollo del centro storico». Oltre all'apertura di parte del museo,
sono diversi i cantieri aperti in più zone della vecchia
Montesarchio. «Abbiamo avviato tanti progetti - prosegue Izzo -,
tutti mirati alla riqualificazione della città vecchia affinché
Montesarchio possa tornare a ricoprire il ruolo di capoluogo della
Valle Caudina. Un ruolo che, spetta a ragione, a questa città che ha
tanto da offrire, dalla storia, all'enogastronomia, non dimenticando
i suoi naturali scenari come appunto il centro storico. Bisogna solo
saperla scoprire e proporla. L'apertura di una sezione del museo
caudino rappresenta un primo importante passo». Poco più di un mese
e i caudini potranno vedere esposti fino al 20 maggio, i reperti
trovati lungo la via Appia. Nelle vetrine predisposte in alcune sale
del castello, saranno messi in mostra reperti di scavi di tomba
dell'età del ferro, un contenitore che conterrà reperti di scavo
della tomba 2217 di Montesarchio». Oltre all'esposizione di parte di
quanto ritrovato in tanti anni di scavi lungo l'Appia ma anche in
altre zone periferiche di Montesarchio, saranno realizzate ed
esposte una sagoma in legno di una figura umana con riproduzione di
gioielli, che verrà collocata accanto ad una vetrina a torre che
conterrà gioielli ed ornamenti originali. Poi, si potrà vedere la
parte di falda di tetto di un tempio ed una sfinge. Per ammirare i
tanti reperti ritrovati e che saranno esposti in tutte le sale del
primo piano del castello medioevale, dapprima sede di principi poi
fortezza, in anni recenti e vicini a noi sede di orfanotrofio, ed
oggi museo, bisognerà però, ancora attendere. «L'amministrazione sta
continuando a fare la sua parte - conclude il sindaco - affinché il
paese decolli verso un definitivo turismo, dopo il boom commerciale
che si è registrato da qualche tempo. Una new economy è possibile,
basta impegnarsi. Come amministrazione abbiamo messo in campo tutto
quanto nelle possibilità. Infatti, sono numerosi i cantieri aperti,
soprattutto nel centro storico. Di centro storico se ne è sempre
parlato ma poco si è fatto. Oggi le parole sono diventate realtà.
L'apertura di una prima sezione museale oltre che dei lavori avviati
nella zona antica, rappresentano la realtà di quanto annunciato». |
28/03/2007
IMPORTANTE SCOPERTA ARCHEOLOGICA A SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE) Importanti reperti archeologici, probabilmente i resti di
un’intera basilica, sono stati rinvenuti sotto Piazza San Pietro
dove sono attualmente in corso dei lavori di riparazione del manto
stradale dopo che lo stesso, circa due settimane fa, aveva ceduto a
causa del quotidiano traffico veicolare. I reperti trovati nel
sottosuolo sembrerebbero essere attribuibili alla basilica
costantiniana che, già in passato, ha restituito testimonianze
archeologiche della propria esistenza: una colonna e un capitello di
chiaro stile corinzio, ornato appunto da foglie di acanto, custoditi
oggi nella chiesa di San Pietro in Corpo. Quest’ultima, di gran
lunga più moderna e restaurata nel corso degli anni settanta, sorge
infatti nella zona immediatamente contigua alla sede stradale dove è
avvenuto il cedimento e, come è sostenuto da tutti gli archeologi
che hanno potuto studiare i reperti anche in passato, essa
sorgerebbe esattamente sull’area che, sin dal 300, ospitava la
basilica costantiniana, voluta dallo stesso imperatore ed edificata
in onore degli Apostoli, composta da tre navate e comprendente
strutture di epoca romana. Lentamente, sembra che proprio tale parte
della struttura stia venendo alla luce anche se i reperti trovati
dovranno essere valutati con attenzione prima di poter emettere un
qualsiasi giudizio di carattere storico. Proprio per questo i lavori
sono stati sospesi e ora si dovrà pronunciare la Soprintendenza. Si
procederà nei prossimi giorni ad un primo sopralluogo del sito e
alla necessaria messa in sicurezza dell’intera zona interessata
dalle indagini archeologiche per consentire a tecnici ed esperti di
calarsi negli scavi con la maggiore efficienza e i minori costi
possibili, soprattutto in termini di tempo. Restano chiaramente
sempre più attuali i problemi relativi alla temporanea
impraticabilità della zona; sono non poche infatti le difficoltà
alla viabilità cittadina, nella fattispecie al traffico in entrata
alla città, costretto a lunghi percorsi alternativi. |
28/03/2007 IL
COMUNE DI MADDALONI (CE) PRONTO AD ACQUISIRE IL CASTELLO
Sorpresa. Il sindaco Farina rompe gli indugi e intraprende
un’azione giuridica e finanziaria per «l’acquisizione, l’azione di
tutela e di conservazione del castello, delle torri medioevali e del
parco collinare». Dopo 57 anni di colpevole ritardo, è scattata
insomma la mobilitazione tante volte invocata dalla Pro Loco, dal
Gruppo archeologico calatino, dalle associazioni culturali locali.
In sintonia con la regione Campania e con la Sovrintendenza ai Beni
Architettonici, l’amministrazione punta «all’acquisizione del
diritto di proprietà sul maniero fortificato che è il simbolo e la
storia stessa di Maddaloni». Non è il solito sogno romantico di
attempati cultori di storia patria. «È stato già avviato - rivela
l’assessore Angelo Schiavone - la stima patrimoniale del bene ad
opera del genio civile». In numeri, il parco collinare vale poco
meno di mezzo milione di euro. Più sostanziosa è la stima della
torre Artus, della torre longobarda e del castello fortificato: il
loro valore patrimoniale si aggira sugli 800 mila euro. «Sorvolando
- spiega Schiavone - sui dettagli contabili, l’operazione castello
vale circa un milione e mezzo di euro». Soldi che il comune, in
sintonia con le indicazioni regionali sulla tutela di monumenti di
«singolare pregio storico, architettonico, intende acquisire
all’interno di progetti per il recupero delle delizie borboniche,
per il risanamento dell’orizzonte visivo della reggia di Caserta e
per il recupero ambientale di cave storiche». L’«operazione
castello» si inquadra in un più ampio tentativo di recupero del
centro storico pedemontano, il più vasto e abbandonato della
provincia. Nei panni di assessore provinciale al turismo, il sindaco
Farina conclude: «È inutile elencare le ragioni
storico-architettoniche della nostra iniziativa, è sufficiente solo
dire che vogliamo restituire questo monumento alla fruizione della
città». Ma per farlo bisogna superare l’ostacolo degli eredi de
’Sivo, ancora titolari della proprietà del maniero. «Dell’operazione
comune-regione - anticipa Schiavone - è stata data regolare
comunicazione agli avvocati degli eredi. Ma siamo pronti ad
affrontare anche l’eventuale opposizione». Ma c’è chi spinge per un
confronto a tutto campo. «È tempo - spiega Gaetano Giglio,
vice-presidente della Pro Loco - di restaurare la piena legalità
nella gestione del cuore urbano della nostra città. Sconcerta che un
monumento, vecchio di 23 secoli, in soli 60 anni sia stato
trasformato in un rudere pericolante». La controparte tace. Pasquale
D’Alessio, avvocato ed erede di Annamaria de 'Sivo, si limita a
dire: «Gli eredi vogliono ribaltare il teorema che vuole i de'Sivo
unici responsabili del grave degrado. Siamo disposti a rinunciare a
una parte significativa del nostro diritto di proprietà se questo
coincidesse con un processo virtuoso di restauro
architettonico-ambientale». |
26/03/2007 A BREVE
NUOVI SCAVI A SUESSULA - ACERRA (NA) La basilica, il foro romano una porticus, un sacello ed un
tratto dell'antica strada lastricata: questo è quello che l’antica
Suessola restituirà dopo l’opera di scavo che partirà subito dopo
Pasqua. Gli archeologi saranno all’opera su un ettaro di superfice
che costiuirà il primo nucleo di un parco archeologico visitabile a
partire dal prossimo autunno. Ad annunciarlo è stata la funzionaria
della soprintendenza archelogica di Napoli Daniela Giampaola,
responsabile per Acerra e per il centro storico napoletano nel corso
del convegno sui parchi archeologici organizzato dalla locale
sezione dell'Archeoclub nel Castello baronale di Acerra. L'intera
area sarà dotata di parcheggio per le auto, di biglietteria e di
un'area di sosta attrezzata per i visitatori del parco. E il Comune
rilancia puntando alla creazione di un parco urbano d'interesse
regionale di circa 150mila metri quadri: «Entro un anno se la
Regione ci autorizza si potrebbe realizzare, noi abbiamo già
affidato a Sviluppo Italia lo studio di fattibilità», spiega il
sindaco di Acerra Espedito Marletta. All'interno dell'area protetta
al confine con Maddaloni e Marcianise, nel casertano, verrebbero
recuperati l'antica Casina Spinelli, i mulini ad acqua, le masserie
e le sorgenti che alimentavano fiumi e canali. «Avete un tesoro tra
le mani: qui c'è un paesaggio libero che ripropone quello di 2000
anni fa e questo è un caso unico in Italia», esorta Walter Mazzitti,
presidente nazionale dell'Archeoclub. Le campagne di scavo a
Calabricito ripresero dopo un secolo nel 1999. Finora sono stati
portati alla luce parte del foro romano, alcuni edifici pubblici
«che non hanno nulla da invidiare a quelli di Pompei», rivela il
docente universitario Luca Cerchiai. Nel prossimo autunno, poi,
insieme con il primo nucleo di parco archeologico probabilmente sarà
inaugurato anche il museo archelogico nel castello baronale. |
26/03/2007 SCAVI
NEL LAGO MISENO (NA) PER RITROVARE L'ANTICO PORTO L’ipotesi è che sul fondo del lago si trovi la gloriosa flotta.
Quella che costituì la squadra navale di Cesare Ottaviano Agrippa
contro le navi di Antonio e Cleopatra. Così è partita una campagna
di scavi alla ricerca dell’antico porto romano. Le indagini,
condotte dalla soprintendenza di Napoli e Caserta, si stanno
svolgendo sul fondo del lago di Miseno, e l’attesa tra gli
archeologi è enorme, soprattutto dopo la scoperta della necropoli di
prima età imperiale a Cappella, che ha riportato alla luce il
cimitero della flotta. Il doppio bacino del lago di Miseno,
provvisto di uno sbocco marino, costituì la base della flotta
imperiale che per prima giunse in Scandinavia. Il bacino interno era
un cantiere navale dove si costruivano imbarcazioni leggendarie,
quello esterno, la baia di Miseno, era naturalmente occupato dal
porto. Dalla campagna di scavi ci si aspetta che possano emergere
navi da guerra, liburnae e triremi.
«Ampliai il territorio di tutte le province del popolo romano.
La mia flotta navigò per l'Oceano dalla foce del Reno verso oriente
fino al territorio dei Cimbri, dove né per terra, né per mare alcun
romano, prima di allora, si era mai spinto», scriveva Augusto nelle
«Res gestae divi Augusti». La flotta che arrivò in Scandinavia per
prima fu quella di Miseno, cui era affidato l'Occidente. L'altra,
diretta a Oriente, era quella ravennate. E le navi della flotta
misenate potrebbero essere ancora custodite nel lago Miseno. Da qui
mosse la squadra navale di Cesare Ottaviano e Agrippa, contro le
flotte di Marco Antonio e Cleopatra nel 31 a.C.. Per ritrovare le
tracce dell'antico porto romano è in corso una campagna di scavi
realizzata con un milione di euro, fondi stanziati dal Pit Campi
flegrei. Le indagini geofisiche ed archeologiche sono condotte dalla
soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta. L'attesa
tra i tecnici intorno a questo evento è enorme, soprattutto dopo la
scoperta della necropoli di prima età imperiale a Cappella, che ha
riportato alla luce il cimitero della flotta. «Attendiamo con
interesse l'esito delle indagini sui fondali del lago - dice
Francesco Escalona, presidente dell'ente Parco Campi flegrei - Il
Miseno era il cantiere delle corazzate. Non è escluso che possano
esservi navi da guerra, liburnae e triremi, tracce dell'antico
Misenum». E tutto ciò potrebbe ricongiungere l'area flegrea al suo
passato. Intrecci di storia e di archeologia non fanno altro che
chiuderla nel cerchio delle sue origini. Il doppio bacino del lago,
lacustre e marittimo, costituì la base della flotta imperiale.
Mentre il bacino interno era un cantiere navale, quello esterno, la
baia di Miseno, costituiva naturalmente il porto. Ed erano collegati
da un canale. L'ingresso era protetto da due moli, i prolungamenti
di Punta Pennata e di Punta Terone. Due tunnel artificiali mettevano
al riparo il bacino da ogni rischio di insabbiamento. Il Misenum
raggiunse il massimo splendore quando l'imperatore Augusto, dopo la
battaglia di Anzio nel 31 a.C., vi pose la base della Classis
Praetoria, la flotta al diretto servizio della corte imperiale.
Furono sistemate lungo il litorale le attrezzature necessarie ad una
potente base militare che ospitava circa seimila uomini. Si
costruirono ville patrizie, teatri, strutture funzionali quali le
Centum Cellae e la Piscina Mirabilis, i depositi idrici per la
flotta. Le navi, costruite ed armate nel bacino interno, si
muovevano con estrema velocità, grazie ad una sapiente velatura e
alla forza dei rematori. L'insenatura flegrea, tra l'altro, era
ideale grazie ad una privilegiata posizione geografica per ospitare
la flotta praetoria che assicurò la pax nel Mediterraneo per più di
tre secoli. Tutto questo non può non aver lasciato traccia sui
fondali del lago, che prende il nome dal leggendario trombettiere di
Enea, Miseno. |
23/03/2007 COLONNA
DANNEGGIATA NEGLI SCAVI DI POMPEI (NA) Stavolta non ci sono assassini da scoprire, ma i tecnici della
sezione provinciale dei Ris di Roma e del nucleo per la tutela dei
patrimonio dei carabinieri cercano particolari utili per risalire a
chi, o cosa, nella notte tra domenica e lunedì, ha fatto crollare la
colonna della casa di Obellio Firmo. Il soprintendente Pietro
Giovanni Guzzo ha bollato il danneggiamento come un «atto
intimidatorio»: nella domus è aperto un cantiere per il restauro e
qualcuno potrebbe aver voluto lanciare un messaggio. Ma per gli
inquirenti, che ieri hanno anche sequestrato l’area, non va esclusa
alcuna ipotesi, compresa quella di un fatto accidentale. Dal
ministero per i Beni e le attività culturali confermano di seguire
«con attenzione le indagini avviate dai carabinieri per accertare le
cause dell’episodio. In attesa delle conclusioni degli
investigatori, il ministero è comunque in contatto con il
soprintendente Pietro Giovanni Guzzo, a cui ha testimoniato
solidarietà e sostegno», scrivono in una nota. E mentre il
responsabile della soprintendenza pompeiana conferma la posizione
assunta all'indomani della scoperta, secondo i carabinieri, diretti
dal luogotenente Vittorio Manzo e coordinati dal capitano Pasquale
Sario, a far cadere e spaccare in sei parti la colonna potrebbe
essere stato il vento. Ma tutto ora è nelle mani dei tecnici dei
carabinieri. Ieri sono stati anche visionati i filmati registrati
dalle telecamere poste lungo il perimetro nord dell'area
archeologica. Ieri mattina, nell'antica domus di Obellio Firmo,
dunque, gli uomini del corpo speciale dei carabinieri di Napoli
hanno effettuato i rilievi sulla colonna danneggiata per stabilire
se, dopo la rottura, i pezzi siano stati spostati. I militari hanno
ricostruito con strumenti sofisticati l'angolazione della caduta
della colonna e la forza impressa per la spinta. Tutti questi dati
saranno elaborati da un programma speciale che ricostruirà la
dinamica dell'incidente stabilendo se a causarlo sia stato un evento
accidentale o la mano dell'uomo. Questa mattina, al termine di
un'assemblea sindacale che farà slittare di due ore l'apertura degli
scavi, i lavoratori della Cgil, Cisl, Uil, Unsa, Flp e Intesa,
marceranno in nome della legalità da piazza Esedra a Porta Marina
Superiore. Anche la segreteria regionale dei Ds esprime una forte
preoccupazione per la situazione dell'area archeologica di Pompei:
«Gli ingenti investimenti previsti per l'area di Pompei e le
ricadute sul territorio possono scatenare gli appetiti della
camorra. Occorre vigilare e muoversi con la massima energia e con
una forte sinergia istituzionale», dicono. L'Ugl, invece, non crede
che il danneggiamento della colonna possa addebitarsi ad un atto
intimidatorio: «Francamente - dice il coordinatore nazionale Beni
Culturali, Renato Petra - non crediamo neanche che la colonna caduta
a Pompei sia opera di vandali temiamo, invece, che sia opera
dell'abbandono in cui versa il sito archeologico». |
23/03/2007 APRE
L'ORTO BOTANICO NEGLI SCAVI DI POMPEI (NA) Aperto al pubblico l’Orto botanico degli scavi di Pompei,
un’area di oltre 800 metri quadri dove sono raccolte tutte le specie
che vivevano già nella città antica, nel 79 dopo Cristo, quando la
terrificante eruzione del vesuvio annientò la cittadina: alberi da
frutta, piante medicinali e sacre, ortaggi, piante palustri e
tessili. Con accesso da Via dell’Abbondanza ed uscita nei pressi del
Foro triangolare, accanto ad un ampio giardino adibito ad area di
sosta per i visitatori, l’orto Botanico presenta un percorso diviso
per temi con apparato informativo in italiano e inglese.
L’apertura dell’Orto Botanico, curato dal Laboratorio Ricerche
Applicate della Soprintendenza archeologica di Pompei, diretto da
Annamaria Ciarallo, rientra nella manifestazione “Le stagioni di
Pompei” per la Primavera 2007: esso rimarrà aperto al pubblico negli
orari di apertura degli Scavi. La guida all’Orto Botanico è edita da
Electa.
L'iniziativa è in collaborazione con l’ Antica Erboristeria
Pompeiana (per la presentazione di prodotti sperimentali e semi
all'interno dell'Orto dal 23 marzo fino al 15 luglio) e l’azienda
cementiera Pagano di Scafati (per la preparazione dei semi delle
piante coltivate già nell'antica Pompei).
Per gli antichi, che non avevano frigorifero, uno dei problemi più
grandi era la conservazione dei cibi: per questo motivo erano molto
importanti frutti a guscio duro come le noci, mandorle e nocciole.
Presenti nell’orto pompeiano anche alberi di mele, pere cotogne,
sorbe e soprattutto fichi e olivi i cui frutti potevano essere
essiccati o conservati a lungo.
La presenza di questi alberi testimonia inoltre l’importanza del
legno tra gli antichi per gli usi di falegnameria a fini edili e
navali. Tra le piante medicinali e aromatiche troviamo nell’orto il
basilico, la maggiorana e il timo, ancora oggi riconosciuto come
antisettico, così come l’aglio, indicato per la pressione alta e la
ruta, dagli effetti abortivi.
Nel percorso dell’orto Botanico non potevano mancare le piante
fluviali e palustri, che avevano grande importanza nella vita di
ogni giorno: il frassino, con il cui legno molto flessibile si
costruivano le doghe dei letti; il salice, usato per intrecciare
canestri; il pioppo, ridotto in lamine per i cesti. Per colare la
ricotta venivano utilizzati invece i giunchi, con i quali si
legavano anche le verdure. Importantissime erano le canne, con le
quali si costruivano strumenti musicali, trappole e lance, tutori
per le viti e pareti divisorie per le case, ma con le infiorescenze
venivano anche imbottiti materassi.
Tra gli ortaggi, tutti citati dagli agronomi classici, nell’orto si
possono trovare tutte le granaglie, ovvero leguminose e cereali
(ceci, lenticchie, piselli, fave, cicerchie) che venivano cucinate
come zuppa.
Le piante tessili più comuni erano il lino, la canapa, la ginestra,
con le quali venivano realizzate stoffe ma anche cordami, reti,
vele, mentre i cascami servivano per gli stoppini delle lucerne.
Con le infiorescenze di ontano si tingevano invece le stoffe, mentre
il cardo dei fulloni era usato per cardare la lana.
Infine, sono presenti nell’orto botanico anche le piante coronarie
sempreverdi a cui Plinio dedicherà il 21esimo libro della sua opera,
che erano usate per intrecciare corone celebrative, cultuali o
terapeutiche. (Fonte: IL DENARO) |
22/03/2007
RINVENUTA TOMBA PREROMANA A SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE) Una tomba non violata, risalente verosimilmente al IV secolo
avanti Cristo potrà essere ammirata presto nel Museo archeologico di
Santa Maria Capua Vetere. Il prezioso reperto è venuto alla luce nei
giorni scorsi durante alcuni scavi nei pressi dell'asse di
collegamento fra via Olanda e via Galatina (a pochi metri del
nascente svincolo autostradale), in un contesto archeologico
rilevante ed in una zona che negli ultimi tempi è stata
particolarmente prodiga nel restituire vestigia custodite nelle
profondità dell’Antica Capua. |
21/03/2007
SCHEGGIONI GRECI SUL TRACCIATO DI PUNTA CAMPANELLA Scheggioni di roccia intagliata in stile greco affiorano dal
sottosuolo stradale. L’interessante scoperta avviene nel corso dei
lavori per la messa in sicurezza della Via di Minerva, la strada che
da Termini conduce a Punta Campanella, il sito archeo-ambientale
della penisola sorrentina più famoso al mondo ed unico itinerario
della Magna Grecia in costiera. I primi interventi delle maestranze
dell’impresa Corit di Napoli, aggiudicataria del primo lotto di
opere per la sistemazione e la messa in sicurezza della strada
d’accesso a Punta Campanella, hanno portato alla scoperta di diversi
scheggioni di roccia intagliata da quei greci che, tra il X ed il IX
secolo avanti Cristo, imposero il loro dominio anche sul Promontorio
di Minerva, la penisola sorrentina. Gli scheggioni ritrovati ad una
profondità di circa 60 centimetri sotto l’attuale livello stradale
di via Campanella, l’antica Via Minervae, ricoperto in parte di
conglomerato cementizio e bituminoso frantumato però da profonde e
larghe buche, si presentano come quelli praticati nei vicini siti di
Namonte e Cancello lungo la stessa strada. Oltre a mettere in
sicurezza tratti del muro di parapetto sbrecciato nel lato a picco
sul mare i lavori sono finalizzati a colmare le profonde buche
scavate dalle piogge torrenziali sul tratto finale che porta
all’area archeologica della villa romana di epoca imperiale
costruita sulle rovine del tempio greco edificato in onore di
Minerva e della torre antisaraceni del 1300. Al primo progetto di
miglioramento della viabilità di Via Campanella è legata la priorità
dell’accesso a Punta Campanella riconosciuta ai portatori di
handicap motorio. Il progetto dell’architetto Maurizio Schiazzano
prevede anche l’acquisto d’uno speciale mezzo cingolato per il
trasporto dei disabili. Ai saggi sulla via di Minerva diretti
dall’archeologa Tommasina Budetta, direttrice dell’ufficio della
Soprintendenza e del museo archeologico di Villa Fondi di Piano di
Sorrento, che portarono alla luce alcune tracce dell’acquedotto
romano tra Termini e Punta Campanella e vari tratti della strada di
epoca medievale soprapposti a quella romana, se ne aggiungeranno
altri in questa settimana per verificare la consistenza dei
ritrovamenti. Altre analisi di carattere ambientale poi saranno
affidate all’azienda «Giardini e paesaggi» di Napoli per far partire
i lavori finanziati con 312 mila euro dalla Comunità Montana Monti
lattari-Penisola sorrentina nell’ambito del Pir (Piano integrato
rurale) per consentire l’accesso ai fondi agricoli tra Namonte e la
Torre di Fossa di Papa. «Un ultimo progetto, - spiega l’assessore ai
lavori pubblici Diego Piroddi - riguarda il bando di altri 400mila
euro che il Comune di Massa Lubrense spera di aggiudicarsi con
l’articolo 2 della legge 51/78 sugli interventi per il recupero
edilizio del patrimonio storico di proprietà pubblica. Potremmo
iniziare ad intervenire sulla torre antisaraceni e sui resti della
villa romana». |
21/03/2007
UN ANTICO ARCO DI DOGANA TORNA ALLA LUCE A MONTORO INFERIORE (AV) Una scoperta archeologica di grande interesse. Il rinvenimento,
puramente casuale, fatto dallo storico Gino Noia e da Gaetano Izzo,
ispettore della Soprintendenza Archeologica Sa-Av, ha riaperto
pagine di storia nascosta per secoli. La zona dove è stato scoperto
il reperto è Piazza di Pandola, via Federici, sito poco lontano
dalla cappella di S. Vito, ex Chiesa del paese che rappresentava il
punto di confine dell’antico feudo di San Severino. La scoperta è
avvenuta nel corso dei lavori di restauro ad un comparto di
abitazione. A venire alla luce è stato un arco catalano. La
struttura è apparsa in buone condizioni statiche e indicherebbe
l’antico sito del «Palazzo del Passo». Sbalordisce che, a distanza
di secoli, la pietra chiave dell’intradosso dell’arco rechi ancora
visibilmente impressa l’arma araldica della potente famiglia
Sanseverino: uno scudo attraversato da una fascia orizzontale. Il
ritrovamento dell’arco, in piperno, conferma che la struttura risale
all’inizio del secolo ’400, epoca in cui per accedere nel feudo di
Sanseverino (che inglobava i comuni di Castel San Giorgio, Fisciano,
Calvanico, Roccapiemonte e Montoro Inferiore) bisognava fermarsi
sotto il «Palazzo del Passo» per pagare la dogana, ossia il dazio
sulle merci ivi transitanti, tasse che gravavano specialmente sul
grano proveniente dalla Puglia o sulla lana che veniva lavorata nei
casali di Salerno e di Mercato;c’era anche il pagamento di gabelle
sulle pelli nonché sul sale, prodotti costretti a transitare per il
punto di confine. «Il Palazzo del Passo» era un edificio occupato
dalla guarnigione addetta alle operazioni di dogana e aveva anche la
funzione di taverna e soprattutto rappresentava il luogo adibito ad
abitazione del barone con la responsabilità di attendere al compito
amministrativo e giurisdizionale di controllo doganale. Lo stemma
che ufficialmente rappresenta l’ingresso al feudo, si è mantenuto
intatto in quanto ricoperto dalla «crosta» dell’intonaco. In seguito
alla caduta di Sanseverino, testimonia il blasone, subentrarono
nello Stato i Conzaga, la cui ”arma” (scudo) campeggiava in uno dei
due cortili adiacente il Passo,di cui è tuttora è dotato lo stesso
bene. Allo stato sia Noia che Izzo sono alla ricerca della lapide di
marmo su cui erano impresse le gabelle da pagare. |
21/03/2007
IMPORTANTE NECROPOLI ENEOLITICA SCOPERTA A TORRE LE NOCELLE (AV) L'entusiasmo della scoperta e il rigore della burocrazia.
Sensazioni opposte che però equilibrano la ricerca archeologica. La
gente di contrada Felette, un vasto spicchio di campagna alle porte
di Torre le Nocelle, è relativamente stupita per quanto sta venendo
poco alla volta alla luce dagli scavi appena avviati dalla
Sovrintendenza ai beni archeologici di Avellino. Che quest'area
fosse stata abitata sin dall'età del rame erano in molti a saperlo
da tempo, da quando sono stati ritrovati per caso cocci e frammenti
di utensili assai antichi. Qualcuno si è preso finanche la briga di
sollecitare a più riprese l'intervento di studiosi e archeologi
prima che potessero arrivare i soliti tombaroli sciacalli a fare
scempio di un patrimonio di notevole valenza. La necropoli che sta
emergendo, finora sono state già rinvenute una decina di tombe,
risale infatti all'eneolitico, quindi alla preistoria. E secondo gli
esperti questo sito, più o meno contemporaneo a quello di contrada
Madonna delle Grazie di Mirabella Eclano e forse più esteso di
questo, potrebbe fornire nuovi e altrettanto interessanti spunti di
studio e di ricerca sulla presenza umana nel bacino della valle del
medio Calore. Gli scavi di contrada Felette stanno fornendo
materiale utile per approfondire, in un prossimo futuro, la
conoscenza dei primi insediamenti in loco e la civiltà che ha
abitato queste terre. Già negli anni sessanta, come ricorda più di
una persona che vive in questa zona, importanti reperti erano stati
restituiti dalle zolle di terreno arate, ma nessuno allora ha mai
pensato che lì sotto potesse nascondersi una miniera di oggetti
preziosi per ricostruire la storia e l'antropologia di questi luoghi
popolati da millenni. E chissà quante tombe sono andate distrutte a
causa di questa negligenza. Ora che la Sovrintendenza ha aperto il
cantiere e un team di archeologi, guidati dal dottore Piero Talamo,
ha cominciato la prima fase degli scavi c'è molta curiosità attorno
al perimetro di terra che ha custodito per così tanto tempo tutte
queste meraviglie presitoriche che stanno ritornando in superficie
per essere catalogate e studiate.”Le mappe archeologiche non
mentono- ha affermato il sovrintendente Talamo-, e anche stavolta la
scoperta è stata più che giusta. Questo di Torre potrebbe rivelarsi
un sito preistorico davvero molto importante. Forse è il maggiore al
momento rinvenuto”. |
15/03/2007
STOP AGLI SCAVI DI NUCERIA (SA) Chiude i battenti lo scavo archeologico alle spalle del
Battistero Paleocristiano di Santa Maria Maggiore a Nocera
Superiore. Esauriti, nel corso di questa settimana, i fondi
intercettati dall'amministrazione comunale per finanziarlo, il
lavoro non potrà proseguire, almeno per il momento. Il sogno di
realizzare un'attrattiva turistica del calibro di quello presente a
Pompei è rinviato a data da destinarsi, sotto la pesante alea di
nuovi fondi da fare pervenire a Nocera Superiore. il blitz riuscito
all'amministrazione Montalbano qualche anno fa, consentì di avviare
e portare a buon punto i lavori di scavo, grazie anche alla
paziente, e gratuita, collaborazione di decine di giovani archeologi
volontari e sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni
Archeologici salernitana. Le ultime risorse sono state impiegate per
la realizzazione di una copertura, sorretta da ponteggi metallici,
che impedisse l'aggressione da parte di agenti atmosferici ai
reperti portati alla luce. Con il lavoro di questi giorni, però, lo
stop annunciato già nel mese di dicembre diviene definitivo. I
reperti più preziosi e quelli di maggiore rilievo sono già stati
portati a Salerno, presso la Soprintendenza, ma il pericolo maggiore
è per il complesso di opere e strutture emerse drenate le operazioni
di scavo e che non è possibile portare al sicuro. Esauriti i fondi,
infatti, pare non sia possibile nemmeno istituire un adeguato
servizio di sorveglianza del sito. L'amministrazione comunale si è
già messa alla ricerca di nuove risorse, ma il cammino della
macchina burocratica, si sa, è lento. |
13/03/2007 ALLA
LUCE TOMBE PREROMANE AD ACERRA (NA) Riaffiorano dopo 2200 anni tre tombe di epoca preromana ad
Acerra. La scoperta in un cantiere dell'Arin durante la riparazione
di una condotta. All'interno gli archeologi della Sovrintendenza
hanno rinvenuto intatti i corredi funerari. Le tombe in tufo furono
costruite a ridosso della cinta muraria dell'antica Acerrae, la
città distrutta da Annibale nel 216 avanti Cristo. Insieme ai tre
tumuli funerari è stato ritrovato anche un pezzo di muraglione che
finora non è stato possibile datare. Corredi e tombe sono stati
rimossi e trasferiti nei depositi della Sovrintendenza archeologica
a Napoli. Secondo gli esperti, i reperti risalirebbero al IV-III
secolo avanti Cristo prima che la città venisse colonizzata dai
Romani. L'eccezionale scoperta è avvenuta tra il centralissimo corso
della Resistenza e via Stendardo in un'area da sempre tenuta sotto
osservazione dagli archeologi. Poco lontano dalle tre tombe nel 1977
furono ritrovati i resti di un'antica villa suburbana di epoca
romana. A scoprire quella che potrebbe essere una vera e propria
necropoli sono stati alcuni operai dell'Arin che avevano cominciato
le operazioni di scavo. Ed è così che dal terreno è spuntata fuori
una prima tomba e a poca distanza le altre due. Gli archeologi sono
soddisfatti perché le tombe sono sfuggite in tutti questi anni
all'opera devastatrice dei trafugatori di reperti. Al loro interno
sono state trovate anfore-granaie e vasellame di vernice scura,
secondo gli esperti, di chiara epoca campana. Le tombe sono state
smontate e traslate a Napoli, per consentire la ripresa dei lavori
alla rete idrica. Nei pressi del nuovo sito archeologico sono state
rinvenute negli ultimi 10 anni alcune ville rustiche usate
nell'antichità dai contadini che praticavano un'agricoltura di tipo
itinerante. Ed è probabile, secondo gli esperti, che accanto ai
resti dei manufatti ci sia una vera e propria necropoli usata dagli
antichi abitanti di Acerrae. La città dopo la distruzione ad opera
di Annibale fu ricostruita nel 211 avanti Cristo dai Romani a circa
500 metri dall'attuale corso della Resistenza, lì dove si incrociano
via Duomo e via Roma, nel cuore cioè del centro storico. A
delimitare per la prima volta i confini dell'Acerrae ricostruita dai
Romani fu nel 1937 Amedeo Maiuri. Le tre tombe e i relativi corredi
funerari finiranno probabilmente per arricchire il previsto museo
archeologico locale in fase di allestimento nel castello baronale
insieme ad altri reperti provenienti dalla collezione Spinelli
(attualmente conservata nel museo Nazionale a Napoli) e dalle ultime
campagne di scavo nel vicino sito archeologico di Suessola. «I
ritrovamenti testimoniano che questo territorio può offrire ancora
molto sorprese». Lo storico locale Tommaso Esposito nonché direttore
del museo di Pulcinella, è convinto che non bisogna cessare di
indagare sul passato di Acerra e che occorrerebbe avviare nuove
campagne di scavi. Qual è l'importanza dei nuovi reperti? «Ci fanno
comprendere come già all'epoca ci fossero nuclei organizzati di
abitanti che avevano ben chiare le funzioni produttive e quelle
legate all'esito finale della vita». Corredi funerari e tombe
potranno arricchire il museo archeologico cittadino? «In linea di
principio tutti i materiali rinvenuti nelle recenti campagne di
scavo dovrebbero far parte del museo archeologico di Acerra, almeno
secondo quanto ha previsto la Sovrintendenza». A quando
l'inaugurazione? «Se tutto va bene nella prossima primavera: sono in
fase di ultimazione i lavori per una maggiore funzionalità e
sicurezza delle sale». |
13/03/2007
FINANZIAMENTI PER IL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI MONDRAGONE (CE) "Un risultato bellissimo" è questa la prima affermazione
dell'Assessore alla Cultura Giovanni Schiappa subito dopo aver preso
visione della nota ufficiale della Camera di Commercio di Caserta
che comunicava il finanziamento di ben 16.000 euro per la
pubblicazione dei risultati delle campagne di scavo eseguite su
Rocca Montis Draconis fin dal 2001 "Non posso che esprimere il mio
più sentito ringraziamento al Commissario della CCIAA Gustavo
Ascione. In occasione della presentazione del testo della
professoressa Jolanda Capriglione in occasione dei "Giovedì al
Museo", il Commissario rimase favorevolmente sorpreso dal grande
lavoro in essere presso il Museo Civico. Da qui la volontà di dare
un sostegno concreto non solo per la pubblicazione dei risultati
scientifici conseguiti dal dottor Luigi Crimaco, ma anche per
attivare un circuito promozionale delle bellezze archeologiche di
Mondragone". Il finanziamento concesso dalla CCIAA di Caserta è
l'ultimo di una serie di importanti finanziamenti attivati
dall'Assessorato alla Cultura che hanno permesso al Museo Civico
Archeologico "Biagio Greco" di beneficiare di oltre 100.000 euro nel
2006, di provenienza regionale, che permetteranno di esporre i
numerosi e preziosi reperti rinvenuti negli ultimi anni nelle
campagne di scavo finanziate dal Comune. A questo intervento si
aggiungono risorse per altri 100.000 euro, di provenienza comunale,
con i quali si procederà alla completa ristrutturazione della nuova
Sala Conferenze e lo spostamento della Sala Medievale. Nel mentre è
stato presentato un ulteriore progetto di altri 35.000 euro a valere
sui fondi 2007 della Regione Campania. "Puntare in modo attivo sl
Museo Civico" afferma il Sindaco Ugo Alfredo Conte "ci sta
consentendo non solo di ricevere enormi benefici in termini di
immagine, con un significativo cambio di opinione in merito
all'attività amministrativa di Mondragone, ma anche di beneficiare
di fonti di finanziamento esterne all'Ente che ci permetteranno di
poter ampliare le attività di ricerca e divulgazione". |
12/03/2007
PROGETTI DIDATTICI AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI EBOLI (SA) I giovani e l'antico, un ritorno alle origini, alle mode e ai
costumi che per secoli hanno caratterizzato la piana del Sele e le
sue popolazioni: è con questo spirito che la direttrice del Museo
archeologico nazionale di Eboli e della alta e media valle del Sele,
Giovanna Scarano, ha inteso organizzare quest'anno due singolari
laboratori didattici dedicati agli studenti di ogni ordine e grado.
Nascono così un laboratorio di restauro e uno di tessitura e
filatura in cui gli studenti, sotto la guida di esperti in materia,
potranno non solo apprendere attraverso videoproiezioni e lezioni
teoriche le diverse tecniche utilizzate, ma anche cimentarsi per la
prima volta nel restauro di vasellame, intervenendo su cocci
fedelmente riprodotti da artigiani locali, oltre che a realizzare
tessuti e stoffe. Con la costruzione fedele di un telaio verticale
rudimentale, commissionato ad hoc dal Museo, i ragazzi infatti
saranno in grado di comprendere il significato di fusi, rocchette e
pesi, rinvenuti durante gli scavi effettuati nel comprensorio e
custoditi nelle teche del museo archeologico. «E' dal ritrovamento
di vasellame e dei numerosi corredi funerari che nasce l'idea di
spiegare alle nuove generazioni l'importanza della manualità nella
società civile di una volta. La vera novità- prosegue Giovanna
Scarano- è che ai ragazzi saranno insegnate le tecniche di pulitura
e restauro a cui i reperti sono sottoposti prima di raggiungere le
vetrine di un museo, e l'attività di filatura e tessitura, vitale un
tempo per le donne di ogni età: dalla pianta di lino e al suo
trattamento, fino alla realizzazione del filo e degli splendidi
tessuti». |
10/03/2007 PIANO
URBANISTICO DI SALERNO: LA SOPRINTENDENZA CONTRO Sarebbe illegittimo e, quindi, da bocciare il Piano urbanistico
comunale. Lo sostengono il ministero per i Beni e le attività
culturali, diretto da Francesco Rutelli, e la Soprintendenza per i
Beni archeologici di Salerno, diretta da Giuliana Tocco, che hanno
presentato ricorso al Tar. Al Tribunale hanno chiesto l'annullamento
del decreto con cui il presidente della Provincia, Angelo Villani,
ha approvato il Puc e di altri atti amministrativi propedeutici. Il
ricorso, predisposto dall'Avvocatura distrettuale dello Stato
(avvocato Olga Itri), è stato notificato a Palazzo di Città l'ultimo
giorno utile e la domanda “sospensiva”, presentata contestualmente
al ricorso, sarà esaminata in tempi abbastanza rapidi dal Tar. Oltre
al cosiddetto “fumus” (apparenza delle buone ragioni), l'Avvocatura
dello Stato ha evidenziato il cosiddetto “periculum in mora” che è
rappresentato da «danni gravi ed irreparabili che il patrimonio
archeologico cittadino potrebbe subire dall'entrata in vigore del
Puc, il quale connota come parchi pubblici attrezzati aree
archeologiche». Il ricorso conclude chiedendo che il Tar imponga al
Comune ed all'amministrazione provinciale il riesame del Piano «al
fine di dare la giusta risposta alle istanze della Soprintendenza
che è preposta alla tutela del vincolo storico archeologico». In
buona sostanza, sempre secondo il ricorso, il Puc avrebbe annullato
(“obliterato”) del tutto immotivatamente specifici interessi
storico-archeologici. I presunti vizi di legittimità che il ricorso
ha inteso sottolineare sono raggruppati in 5 capitoletti. Si parte
dalla violazione del giusto procedimento, imposto dalla legge
regionale n°16 del 2004, che assegna alla Soprintendenza un ruolo
centrale. La Soprintendenza ha formulato, nei termini di legge,
specifiche osservazioni tese a migliorare la salvaguardia
dell'interesse storico archeologico. Tali osservazioni, però, non
sono state mai esaminate né dal Comune né da Palazzo Sant'Agostino.
Mancherebbe, peraltro, anche la valutazione di impatto ambientale.
L'eccesso di potere per difetto di istruttoria riguarda il mancato
rispetto delle aree sottoposte a vincolo archeologico ed il
conseguente mancato adeguamento del Puc al vincolo di destinazione
di parco archeologico. Un altro eccesso di potere (illogicità
manifesta) riguarda le nuove aree adibite a parco pubblico. La
localizzazione, secondo il ricorso, di tali aree sarebbe stata
effettuata a tavolino, senza verifica in loco per valutare le
soluzioni più idonee. Anche il parco pubblico attrezzato sarebbe
illegittimo per violazione del criterio di proporzionalità (tra
costi e benefici) e dei principi di logicità e ragionevolezza
dell'esercizio della funzione di piano. Illegittima, infine, sarebbe
la completa esclusione della Soprintendenza per tutti gli interventi
disposti nel centro storico. Un'ultima, polemica denuncia: è stato
impedito alla Soprintendenza di partecipare al procedimento per la
valutazione delle osservazioni di sua competenza. La giunta comunale
non ha ancora deciso il nome del legale che dovrà difendere il
Comune.
«Il parco archeologico è per definizione urbanisticamente
immodificabile, fatti salvi gli interventi di ricerca e
valorizzazione archeologica anche ai fini della fruizione.
Ricomprendere aree di rilevante interesse archeologico in regime di
parco pubblico attrezzato è inconcepibile per un’amministrazione che
ha a cuore l’interesse della città, perchè può procurare danni gravi
ed irreparabili al suo patrimonio storico. Un parco attrezzato porta
in sè l’idea di trasformazione dell’esistente con la possibilità di
poter costruire strutture a servizio, come strade, parcheggi,
palestre, piscine, centri polivalenti». Il soprintendente per i beni
archeologici Giuliana Tocco spiega i motivi che l’hanno spinta a
ricorrere contro Comune e Provincia, chiedendo la sospensione del
piano urbanistico comunale. Una scelta obbligata, dice, visto che
nella formulazione del Puc l’amministrazione comunale «non ha tenuto
conto nè di pregressi accordi, nè delle conferenze di servizi, nè
delle delibere definitive, nè delle norme che stabilivano che le
intese venissero formalizzate nello strumento urbanistico». In
ultimo, rileva la Tocco, «gli enti locali non hanno tenuto in alcun
conto le osservazioni da noi prodotte in tempo utile, rigettandole
con poche parole e nessuna motivazione». A rischio, secondo il
soprintendente, sarebbero le aree archeologiche del centro storico,
Fratte, S, Leonardo e S, Eustachio. «Tutte vincolate - chiarisce
Maria Antonietta Iannelli, responsabile di Salerno - e ampiamente
documentante in merito alla presenza di significative testimonianze
del passato dalla preistoria al periodo osco-etrusco fino ad
arrivare all’età romana. Per loro avevamo prescritto la destinazione
a parco archeologico, cosa elusa dal Comune e per nulla valutata
dalla Provincia, malgrado sia la prima, in quanto proprietaria, a
doversi impegnare per la valorizzazione dell’acropoli di Fratte».
Quel che più preoccupa la Iannelli è il centro storico, divenuto ora
«zona libera». «Nel Puc - osserva - non è stabilito l’obbligo di
sottoporre preventivamente alla soprintendenza i progetti edilizi
anche in assenza di vincolo. Viene quindi a cadere la possibilità di
preservare il patrimonio archeologico da interventi incompatibili. È
vero che l’indagine preventiva si traduce in un maggior onere per il
privato, ma rappresenta anche la sicurezza di non avviarsi in un
progetto costruttivo che potrebbe restare, nel caso emergessero
preesistenze archeologiche, irrealizzato». |
10/03/2007
NUOVE SCOPERTE AD ERCOLANO (NA) Si fa presto a dire fogna quando invece in quella galleria che
si percorre, quattro metri sotto terra, c’è una vera e propria
miniera scientifico-archeologica. Là dentro c’è di tutto e di più:
quel budello che si sviluppa sotto il V cardo dell’Insula Orientalis
II, a Ercolano, alto tre metri e largo ottanta centimetri, in realtà
è una ben costruita fossa settica, realizzata dagli ingegneri romani
con tutti crismi della legalità. Chiusa all’inizio e alla fine,
accoglieva i liquami che piovevano dalle latrine degli appartamenti
posti lungo la via. La pendenza che la caratterizzava permetteva di
convogliare rifiuti e deiezioni in un punto ben preciso. Allorché
l’ambiente-vasca di raccolta si riempiva, intervenivano i putearii,
i manutentori dei pozzi neri di 2000 anni fa e ripulivano il tutto
ripristinandone la funzionalità. Di più. Chi l’aveva progettata
aveva pensato anche a come bloccare il fetore che inevitabilmente si
sarebbe fatto sentire nelle case e nella stessa strada. Per questo
aveva collegato il condotto con lo scarico delle acque della vicina
fontana dell’Idra di bronzo in maniera che il liquido, scorrendo,
formasse una barriera alta pochi centimetri e tuttavia in grado di
bloccare i gas maleodoranti sviluppati. Insomma aveva applicato in
grande e 2000 anni prima il principio del water con sifone. Ancora,
quell’acqua non stagnava. Favorita dalla leggera pendenza circolava
nel budello e rientrava negli scarichi della fontana, non
trasportando però le parti solide. Ed è stata proprio questa sua
caratteristica che ha fatto diventare la condotta una miniera
scientifica. Nella melma indurita, gli archeologi dell’«Herculaneum
Conservation Project», sostenuto dal Packard Humanities Institute e
sotto la supervisione di Maria Paola Guidobaldi direttore del sito
Ercolanese per la Soprintendenza di Pompei, stanno recuperando vasi
di bronzo, anelli, monete, anfore, lucerne, residui di cibo, aculei
di riccio, lische di pesci, gusci d’uovo, noccioli d’oliva.
«Elementi assolutamente straordinari e capaci di disegnare uno
spaccato quanto mai significativo della vita di Ercolano
nell’immediatezza della catastrofe. - spiega Domenico Camardo,
l’archeologo dell’Hcp che ne sta curando il recupero - Ad esempio
sono state individuate delle larve di grano, prodotte appunto dalle
granaglie guaste, che erano state ingerite con il cibo e poi espulse
per vie naturali». Insomma, c’è un intero ciclo vitale, una sorta di
immediatamente prima che riappare a distanza di venti secoli: nel
volgere di un giorno o poco più, chi aveva mangiato il grano guasto
panificato, dopo averne espulsi i residui, è stato ucciso dai gas
dell’eruzione e forse è stato rinvenuto sotto forma di scheletro nei
fornici della marina, cento metri più in basso. Tutti quei residui
vengono via via conservati in sacchetti; li analizzerà Mark Robinson,
responsabile del Museo di storia Naturale all’Università inglese di
Oxford e uno dei massimi esperti sull’analisi dei materiali
organici. Alla fine, quando le indagini saranno completate, i
risultati consentiranno di conoscere, con assoluta precisione, non
solo le specie alimentari (peraltro già note) che entravano nella
dieta di 2000 anni fa ma addirittura di calcolare le percentuali
delle varietà consumate e le malattie che affliggevano gli
ercolanesi. «Analizzando i residui di una latrina - racconta Camardo
- i biologi hanno scoperto una folta colonia di globuli bianchi,
sintomo di una grave infezione in atto in quell’organismo». Dati non
da poco per la città da sempre, a torto, considerata la gemella
sfortunata» di Pompei. (Fonte: Il Mattino) |
28/02/2007 UN
LABORATORIO MOBILE PER L'ARCHEOLOGIA IN CAMPANIA La tecnologia al servizio dell’archeologia. È costato come un
camper di lusso - poco meno di 150 mila euro - e presto sarà
impiegato negli scavi dell’antichità e per il restauro dei beni
culturali. Il primo laboratorio mobile per la sicurezza, la
conservazione e la valorizzazione del «costruito storico e
archeologico» ha il marchio del made in Campania. Un primato che
porta, infatti, la firma di «Innova», il Centro regionale di
competenza per lo sviluppo, che ieri mattina ha presentato il suo
ultimo prototipo nel polo scientifico dell’ex Olivetti, a Pozzuoli:
un laboratorio mobile concepito e realizzato, su telaio Mercedes a
trazione integrale, come mezzo di supporto per archeologi e geologi.
Già è stato prenotato, per le prossime settimane, dalle
Soprintendenze di Salerno e Benevento. Alla sua prima apparizione in
pubblico, nei giardini dell’Istituto di cibernetica del Cnr, erano
presenti l’assessore regionale alla Ricerca, Teresa Armato, il
direttore scientifico di «Innova» Antonio Massarotti e il
progettista Claudio Claudi. «Siamo orgogliosi di questi risultati -
spiega Teresa Armato - Sono la conferma della centralità del Centro
di Competenza, in cui sono al lavoro decine di giovani ricercatori
che rappresentano un fiore all’occhiello della nostra ricerca
scientifica. La scorsa settimana - continua - abbiamo finanziato
cinque centri con ulteriori 6 milioni e 900 mila». Paletta, georadar,
microscopio elettrico, magnetometro: ora la valigia virtuale
dell’archeologo moderno ha anche un mezzo a quattro ruote con
tecnologia avanzata al servizio degli studiosi. Cinque anni e mezzo
per passare dalle bozze progettuali alla realizzazione del
prototipo: il laboratorio mobile somiglia a un camper, ma è capace
di allungarsi o allargarsi, attraverso una serie di moduli, a
seconda delle esigenze, passando dai 2,40 centimetri di lunghezza a
una superficie interna di oltre 16 metri quadrati: auto-produce
energia, con un impianto fotovoltaico che alimenta le batterie ed è
una struttura capace di muoversi su tutti i terreni e a spostarsi
anche nei più remoti centri. E a rimanere su un sito per tanti
giorni, ospitando fino a cinque persone. Antonio Massarotti già
proietta il laboratorio verso altri impieghi. «Potrebbe diventare
una sala operatoria per le emergenze e per poter fronteggiare con
immediatezza disastri o calamità naturali», conclude il direttore
scientifico di Innova. |
24/02/2007
BENEVENTO: ALLA LUCE AFFRESCHI MEDIEVALI Il sottosuolo della città restituisce altre testimonianze del
suo passato storico. Questa volta sono venuti alla luce frammenti di
affreschi di epoca medievale. L’importante ritrovamento, anche se si
è soltanto alla fase iniziale, è avvenuto durante le fasi di scavo
in piazzetta Sabariani (nota anche come piazzetta Santa Teresa),
lato Archivio di Stato, da parte di alcuni tecnici dell’Enel per la
posa di una nuova condotta elettrica. I lavori stavano avvenendo
sotto la stretta sorveglianza della Soprintendenza Archeologica di
Salerno-Avellino-Benevento alla presenza della dottoressa Luigina
Tomai, funzionario e responsabile di zona, assistita da Giuseppe
Marino. In un primo momento dagli scavi è emerso un vano riempito,
come del resto se ne trovano parecchi nel centro storico del
capoluogo. Quindi, con la cautela dettata dal caso, ha avuto inizio
lo svuotamento del materiale di riempimento. Sembrava una fase che
dovesse concludersi senza grosse novità, quando, invece, dalla volta
del vano sono emersi frammenti di affreschi. Il funzionario della
Soprintendenza Archeologica di Salerno-Avellino e Benevento, avendo
constatato che, probabilmente, trattavasi di affreschi di epoca
medievale, ha allertato la dottoressa Vega De Martini responsabile
della Soprintendenza storico-artistica di Caserta e Benevento in uno
spirito di reciproca e sinergica collaborazione tra le due
istituzioni. Sul luogo sono subito giunti i funzionari della stessa
Soprintendenza Ferdinando Creta e Italo Mustone che con
professionalità hanno proceduto, con una equipe di restauratori,
alla messa in sicurezza di tutte le superfici interessate.
Ovviamente i lavori dell’Enel sono stati momentaneamente sospesi, in
attesa di ulteriori e più approfonditi studi su questi primi
ritrovamenti effettuati. Ora i due organismi coinvolti auspicano,
insieme alla collaborazione del Comune, di poter restituire quanto
prima alla città una ulteriore testimonianza del suo glorioso
passato storico. Gli affreschi, almeno secondo un primo sommario
studio, rappresentano figure di santi. Appaiono, comunque, di buona
qualità e potrebbero essere della stessa epoca di quelli presentii
nella chiesa di Santa Sofia in quanto lo stile appare abbastanza
simile. Una conferma in tal senso potrà avvenire, comunque, quando
saranno portate alla luce parti certamente ben più consistenti del
corredo figurativo. Comunque, già da lunedì saranno attivate tutte
le procedure, affinchè, si possa elaborare al più presto un piano
d’azione con un progetto organico per la restituzione alla città di
un ”momento” così importante del suo passato. I frammenti di
affreschi riportati alla luce fanno pensare che ci si possa trovare
quasi sicuramente di fronte ad un edificio di culto che nella fase
di riproposizione urbanistica della città beneventana nel ’700,
venne ”riempito”. |
23/02/2007 POMPEI:
STUDIATA IN GIAPPONE LA VILLA DEI MOSAICI Individuato l’uso della tecnica sinòpiale per la costruzione dei
mosaici sui pavimenti pompeiani. L'impiego di quel procedimento, già
noto per le ville di Stabiae e così chiamato dalla terra di colore
rosso (era utilizzata per tracciare le linee guida necessarie a una
pittura parietale) che si trovava a Sinòpia, sul mar Rosso, è stato
accertato per la prima volta sui mosaici della casa di Fabio Rufo, a
Pompei, nell’Insula Occidentalis, una sorta di immenso condominio
con vista sul golfo, abitato dai vip cittadini dell’epoca. «In
effetti - spiega Mario Grimaldi, l’archeologo dell’equipe di
studiosi dell’Istituto Suor Orsola Benincasa che ha individuato quei
mosaici di secondo stile - quando si doveva realizzare un’opera
musiva importante, i maestri che guidavano la bottega incaricata del
lavoro mettevano in pratica un mezzo semplicissimo: tracciavano
disegno e scene sul pavimento nudo e le dipingevano con gli identici
colori dei marmi che vi sarebbero stati incollati sopra». In quella
maniera per l’operaio posatore, che poteva anche essere a digiuno di
ogni tecnica, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di sbagliare
su numero e colore delle tessere da inserire. Le scoperte tuttavia
non si fermano ai mosaici. Le indagini hanno permesso di svelare
come la casa di Marco Fabio Rufo fosse una vera e propria villa e
tra le più belle della città. Gli architetti di 2000 anni fa,
partendo da un nucleo base fatto di abitazioni senza alcuna pretesa,
erano riusciti a realizzare un unico fabbricato a più livelli. C’era
un portico esterno, in tufo giallo, con un giardino al cui centro si
trovavano fontane con giochi d’acqua. L’ambiente, poi, continuava
con una serie di giardini pensili degradanti verso il mare, distante
solo qualche centinaio di metri. Le scoperte fatte nella casa di
Rufo e le altre nelle case e nelle ville adiacenti (Umbricio Scauro,
Maio Castricio, Casa del Bracciale d’oro, lo scavo del principe di
Montenegro) hanno quindi consentito la pubblicazione di Pompei,
insula Occidentalis, saggio imponente, che accoglie tutti gli studi
fatti di recente su circa trecento metri di fronte ovest della
città. Quell’area, indagata già nel 700 e nell’800, fu
sistematicamente spogliata di oggetti e decorazioni confluite nei
depositi e nelle collezioni del Museo nazionale di Napoli. Nel
volume, coordinato da Masanori Aoyagi, professore emerito
dell’Università di Tokio, e Umberto Pappalardo, docente all’Istituto
universitario Suor Orsola Benincasa, al quale hanno messo mano
archeologi ed esperti in ricostruzioni 3D (Varriale, De Simone,
Ciardiello, Grimaldi, Esposito, Notomista, Piccirilli, Vallifuoco) e
che è stato patrocinato dall’Università di Tokio attraverso il
Centro Ricerche sulla pittura di quella istituzione, dunque
propongono anche tutti gli apparati spostati da Pompei e oggi
presenti nelle collezioni napoletane. La presentazione del libro è
prevista a Pompei, nel mese di giugno. (Fonte: IL MATTINO) |
17/02/2007 DONATO
ALLA CITTA' L'ARCHIVIO DI FOTO DI LIBERO D'ORSI SUGLI SCAVI DI
STABIA Cinquecento lastre fotografiche, due album, centinaia di
fotografie sono stati donati dal Comitato per gli scavi di Stabia,
presieduto da Antonio Ferrara, al Comune di Castellammare. Si tratta
di immagini realizzate a partire dal 1950 sulla collina di Varano,
subito dopo l'inizio degli scavi archeologici avviati dal preside
Libero d'Orsi. Il fondo fotografico è stato consegnato al sindaco
Salvatore Vozza. «Si tratta di un importante patrimonio - commenta
il sindaco - che metteremo a disposizione di studiosi e studenti
presso il nostro Archivio storico: non solo si arricchisce la
raccolta comunale di foto storiche, ma si conferma un rapporto di
lunga collaborazione tra questa prestigiosa organizzazione fondata
da Libero d'Orsi e il Comune». Le immagini in bianco e nero
documentano le esplorazioni condotte dal preside d'Orsi, ispettore
onorario ai monumenti, il quale, alla testa del Comitato per gli
scavi di Stabia, a partire dal 9 gennaio 1950 sostenne e finanziò i
primi interventi di scavo sulla collina di Varano. Vennero riportate
alla luce la Villa San Marco, la Villa di Arianna e il Secondo
Complesso. Tra il 1950 e il 1970 vennero poi esplorata la necropoli
di Madonna delle Grazie e altre sepolture a Casola: anche dello
scavo di queste tombe vi è traccia nell'archivio fotografico del
Comitato per gli scavi di Stabia. «Queste foto - spiega il preside
Antonio Carosella, socio del Comitato ed ex presidente - furono
realizzate quasi tutte da Ilio Meledandri, un fotografo stabiese
ingaggiato da d'Orsi per documentare le fasi dello scavo. Durante la
mia presidenza, venuto a sapere che l'archivio era stato messo in
vendita dagli eredi chiesi invano il sostegno delle istituzioni, e
alla fine come Comitato raccogliemmo due milioni di lire e
acquistammo le foto». |
14/02/2007 IMPORTANTE
SCOPERTA: TROVATO IL FORO DELL'ANTICA NUCERIA Trovato il Foro dell'antica Nuceria Alfataerna, l'odierna Nocera
Superiore. La scoperta è stata fatta dagli esperti della
Soprintendenza archeologica di Salerno nel corso delle indagini
sull'area di Via Mercato, meglio nota come "Mercato boario". «Le
strutture rinvenute - conferma Matilde Lombardo, l'archeologa della
Soprintendenza salernitana responsabile dello scavo assieme a
Teobaldo Fortunato e Teresa Virtuoso - sono particolarmente
imponenti e ricche. Ciò fa ritenere che ci troviamo in presenza di
edifici pubblici posizionati, verosimilmente, nei pressi di quello
che doveva essere il cuore della città antica, il Foro». I reperti,
in maggioranza murature, locali, terme, strade, occupano una
superficie di quasi duemila metri quadri e disegnano un periodo
storico che va dall'epoca Repubblicana al 1800; e con una
sovrapposizione di fasi che secondo gli archeologi ha
dell'incredibile perché ben conservate nonostante i sette metri di
profondità. Tra le altre, l'area di scavo si trova nelle immediate
vicinanze del Battistero di Santa Maria Maggiore, esempio
eccezionale di architettura paleocristiana (la costruzione risale al
VI secolo dopo Cristo), edificato sui resti di un grandioso
complesso architettonico romano d'epoca imperiale (forse un edificio
di culto pagano) del quale sono ancora visibili i mosaici a tessere
colorate del pavimento e gli avanzi delle mura. Particolarmente
interessanti, a circa sette metri di profondità, i resti di un
edificio monumentale dalle colonne maestose, poggianti su un alto
podio, realizzate con mattoni e rivestite d'intonaco decorato con
incisioni. Alla costruzione si sovrappongono strutture e ambienti
che gli esperti ritengono siano appartenute a un impianto termale di
cui è stato individuato, per ora, l'apodyterion - spogliatoio. Il
locale, proprio per questa sua caratteristica d'impiego, presenta,
nella parte più alta, delle nicchie destinate a custodire i vestiti
di chi andava al bagno pubblico. In una fase del funzionamento della
terma, l'antico proprietario, provvide ad arricchire il locale con
raffinati bassorilievi in stucco (datati alla prima età imperiale)
che proponevano soggetti mitologici legati al mito di Ercole. Le
figure, a detta degli archeologi, sono di stupefacente fattura,
vista la finezza e la plasticità con cui sono stati rappresentati i
corpi. Nuceria Alfataerna, nata alla fine del VI secolo a.C. dalla
fusione di numerosi villaggi, fu prima un importante centro sannita
a capo di una confederazione di città che comprendeva anche Pompei
ed Ercolano. In seguito, alterne vicende di assedio, distruzione e
riedificazione la videro protagonista della storia romana sino
all'eruzione del 79 e oltre, quando con l'arrivo dei Longobardi, nel
603, perse diocesi e cessò la vita amministrativa. Gli scavi hanno
permesso anche di recuperare numerosi reperti tra cui un grande
numero di spilloni di osso e avorio, finemente lavorati, utilizzati
nella preparazione delle acconciature femminili. Ancora, molte
monete sia di bronzo che d'argento, ben conservate; quindi, elementi
architettonici di marmo di eccellente fattura come il sostegno di un
ripiano raffigurante un grifone. |
08/02/2007 NUOVI
SVILUPPI PER CALES Qualcuno la potrebbe definire come una giornata storica sulla
strada del recupero e della valorizzazione del patrimonio
storico-archeologico dell’antica Cales: sono, ufficialmente, partiti
i lavori per il recupero e sistemazione dell’area medievale di Calvi
Vecchia, per i quali l’amministrazione comunale calena ha ottenuto
un finanziamento di 760 mila euro. Dopo più di 20 anni di attesa, è
stata, forse, scritta la pagina più importante per tramutare in
realtà il parco archeologico caleno: il primo parco «on the road»
poiché accomunato al programma della Società Autostrade di
realizzare l’uscita autostradale Cales. Cattedrale Romanica, Dogana
Borbonica e Castello Aragonese che, peraltro, dovrebbe divenire la
sede del museo di Cales; quindi, saranno al centro di lavori di
riqualificazione sia sotto il profilo strettamente artistico-
culturale che logistico-organizzativo. |
03/02/2007
CANTIERI PER SISTEMARE LE AREE ARCHEOLOGICHE A BENEVENTO Antiche Mura, area Bagni e teatro Romano, tre delle zone più
importanti della Benevento antica ritorneranno al loro antico
splendore. Nel consegnare ufficialmente i cantieri, il sindaco ha
affermato che l’intervento è finalizzato a: «Ridare dignità ai
nostri monumenti». Il primo cittadino ha illustrato ieri mattina,
nel corso di un incontro avvenuto nei pressi dell'Arco di Traiano, i
numerosi interventi che il Comune di Benevento ha avviato e che
investono l'intero centro storico. «Si tratta di lavori - ha
dichiarato il sindaco - che superano i 25 milioni. Ma, oltre
all'entità del finanziamento, va ribadita la qualità degli
interventi che sono stati immaginati dai tecnici, nel corso di
questi primi mesi di mandato». La prima area ha come punto centrale
piazza Cardinal Pacca, dove sarà avviato uno scavo archeologico. In
questo contesto sarà realizzata la "Galleria Urbis". In questa prima
area è prevista, infine, la realizzazione di un belvedere che sarà
ottenuto abbassando il tracciato di via Posillipo in prossimità di
via Torre della Catena e consentendo di trasformare la parte
terminale di quest'ultima in una piazza pedonale dove verrà
riposizionato il Bue Apis. Per quanto attiene la seconda area, è
prevista riqualificazione della zona prospiciente il Teatro Romano.
In questa area, attraverso l'ampliamento degli scavi esistenti, si
realizzerà un " Giardino Archeologico" che costituirà un ampio
vestibolo urbano del Teatro Romano. La terza area interesserà i
lavori di riqualificazione di calata Olivella e dell'area in cui è
inserito l'antico monastero di san Modesto. I ruderi del monastero
di San Modesto e la nuova "Galleria della lettura", edificio che
sarà realizzato per ospitare una biblioteca e vari servizi,
delimiteranno una corte trapezoidale che diverrà il cuore di Calata
Olivella. In tale contesto sarà realizzata anche "La terrazza
Belvedere" che sarà il terminale su calata Olivella, di piazza
Orsini e da cui sarà possibile ammirare i monti che chiudono ad
ovest la geografia di Benevento. |
31/01/2007 ECCO IL
PORTO DI VENERE A POMPEI La notizia arriva proprio alla vigilia del convegno che farà il
punto su quattro anni di scavi. A Pompei c’era un porto, duemila
anni fa, proprio a ridosso delle mura di cinta e occupava tutta
l’area dell’attuale piazza Esedra. Vale a dire che nella zona
sottostante il tempio di Venere, sul lato Sud degli scavi, a pochi
metri dall’ingresso di Porta Marina, si trovava una rada dove
attraccavano barche di piccolo cabotaggio il cui compito era quello
di trasbordare le merci dalle più grosse navi commerciali, costrette
dalla stazza a fermarsi al largo della «Petra Herculis», la pietra
di Ercole, l’odierno scoglio di Rovigliano. La scoperta è stata
fatta da Emmanuele Curti, docente di Archeologia e Storia dell’arte
romana all’Università di Matera, confrontando i dati emersi dalle
indagini (carotaggi e analisi geofisiche) compiute a circa otto
metri di profondità dall’attuale livello stradale. Le analisi
effettuate dagli specialisti sui materiali trivellati hanno
evidenziato le tracce di un antico letto di fiume. «Evidentemente -
sottolinea Curti - il Sarno, venti secoli fa, lambiva la città». E
proprio per sfruttare quella opportunità i pompeiani avevano deciso
di attrezzare uno scalo. Ecco spiegato il tempio di Venere,
protettrice dei marinai, i magazzini nell’area inferiore
dell’edificio sacro, il Foro Triangolare e il mercato del pesce. Di
questa scoperta, e non solo, si discuterà durante il convegno
internazionale «Nuove ricerche archeologiche nell’area vesuviana
(scavi 2003- 2006)» che si aprirà domani a Roma per continuare fino
a sabato, nella Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia. Tre giorni
in cui il gotha dell’archeologia internazionale sarà chiamato a
illustrare scoperte, rinvenimenti, metodologie di lavoro utilizzati
a Pompei, Ercolano, Stabiae, Oplontis, Terzigno, Boscoreale.
Nell’area di pertinenza della Soprintendenza archeologica gli
istituti archeologici di mezzo mondo: dagli inglesi ai francesi, dai
tedeschi agli svedesi, agli americani, ai giapponesi, hanno difatti
sviluppato indagini e fatto ipotesi ardite, ottenendo risultati
eccellenti. «L’importanza di questo convegno - sottolinea con
soddisfazione il soprintendente Piero Giovanni Guzzo che introdurrà
i lavori subito dopo il saluto di Claudio Strinati, soprintendete
del Polo Museale romano - sta in prima battuta sul livello raggiunto
nella conoscenza storica e archeologica delle aree vesuviane. La
soddisfazione è quella di aver potuto organizzare e coordinare un
lavoro così esteso che ha portato a importanti nuove acquisizioni
storiche». Così al tavolo dei relatori si alterneranno, tra gli
altri, studiosi e ricercatori di prestigiosi istituti universitari,
come Henrik Boman, Margareta Staub, dell’Università di Stoccolma e
Istituto d’Archeologia svedese di Roma; Fabrizio Pesando
dell’Orientale di Napoli; Ann Laidlaw e Marco Salvatore Stella,
dell’Accademia Americana di Roma e Università di Perugia. Ancora:
Filippo Coarelli, Albert Ribera da Valencia, José Uroz Saez
dell’Università di Alicante, Umberto Pappalardo e Antonio De Simone
del Suor Orsola Benincasa di Napoli, Satoshi Sakai e Vincenza Iorio
dell’Istituto paleologico di Kyoto. E Andrew Wallace-Hadrill della
Scuola Britannica di Roma, Maria Paola Guidobaldi della
Soprintendenza pompeiana, Domenico Camardo dell’Herculaneum Project,
il piano finanziato da David Packard attraverso il Packard Umanities
Institute che sta permettendo salvaguardia e recupero degli scavi di
Ercolano. «Le ultime indagini fatte nel vicolo meridionale - rivela
difatti Camardo - ci hanno permesso di recuperare l’antica pendenza
della città ricavando un quadro prospettico simile a quello della
costiera sorrentina. In uno scavo nell’area meridionale della Casa
di Telefo abbiamo intercettato, poi, un piano della domus
volontariamente interrato dai romani e abbiamo riaperto i cunicoli
borbonici puntellando percorsi e colonne delle case ancora
interrate». Insomma, un convegno con enormi possibilità di ricaduta
scientifica e culturale per Pompei e gli altri siti vesuviani. «In
effetti - sottolinea Guzzo - la ricaduta c’è già, considerato che
l’apertura delle aree archeologiche alla collaborazione
internazionale ha fatto sì che i siti vesuviani diventassero il
centro delle attività archeologiche internazionali». (Fonte: Il
Mattino) |
30/01/2007
ALLA LUCE LA CINTA MURARIA ARAGONESE A VIA TOLEDO A NAPOLI Torna alla luce la cinta muraria d’epoca aragonese di via
Toledo. La scoperta del complesso è avvenuta durante i lavori per la
realizzazione del metrò nell’area compresa tra l’incrocio di Via
Diaz e appunto via Toledo, l’arteria napoletana la cui costruzione
venne iniziata dal vicerè spagnolo don Pedro Alvarez nel 1536. Una
cortina difensiva possente, quella trovata nel «pozzo» della
stazione della linea 1: era spessa tre metri ed era modellata «a
scarpa» per meglio favorire la difesa. Per realizzarla, le
maestranze si servirono di migliaia di blocchi quadrati di tufo
giallo che estraevano dal sottosuolo o facevano arrivare dalle cave
aperte sulle colline circostanti. Nelle intenzioni di Federico
d'Aragona, che ne iniziò la costruzione nel 1499, la barriera doveva
servire a rendere la città inespugnabile. «Le caratteristiche
strutturali del muro, la cronologia dei materiali ceramici rinvenuti
nella sua fossa di fondazione - conferma Daniela Giampaola,
l'archeologa della Soprintendenza archeologica di Napoli che ha
l'alta sorveglianza sul cantiere di scavo - fanno appunto ritenere
che il tratto emerso sia appartenuto alla fortificazione cittadina
di epoca aragonese». Gli scavi effettuati per il Metrò avevano
peraltro già dato importanti risultati sottolineati dai resti degli
edifici del quartiere fondato dal vicerè spagnolo agli inizi del
’500; poi, erano emerse le evidenze appartenute a un complesso
d'epoca romana, forse una terma, datato al II secolo dopo Cristo.
Quei reperti era importantissimi perchè segnalavano l'espansione
della città verso l'area del porto e in direzione delle grandi
strade di comunicazione per Pozzuoli e i Campi Flegrei. Quindi, si
erano scoperti dei suoli sui quali c'erano i segni delle arature
risalenti al Neolitico finale, circa 3500 anni fa, lasciate da
uomini che avrebbero abitato e coltivato l’area adesso occupata dai
Quartieri spagnoli. Infine, ci si era imbattuti in tracce di
vegetazione risalenti al 9000 avanti Cristo: segni in assoluto di
alcune tra le più antiche evidenze di età preistorica mai rinvenute
a Napoli e appena successive alla fine dell’ultima glaciazione
datata 12 mila anni fa. Insomma, un vero e proprio «pozzo di San
Patrizio» quello scavato a Toledo che, oltre alla cinta muraria, ha
svelato anche un vallone in cui si incanalavano i detriti e le
sabbie che trasportati dall’acqua piovana scendevano dalle colline
messe a corona attorno alla città. Tra le altre, il recupero del
frontone del muraglione ha anche evidenziato numerose feritoie
destinate a essere usate come postazioni per arcieri e frombolieri
in caso di guerra. Federico d’Aragona ben sapeva quanto fosse
importante contare su una forte barriera difensiva sia perchè allora
stavano soffiando venti di guerra e sia perché aveva visto che un
suo predecessore, Alfonso d’Aragona, aveva messo a ferro e a fuoco
la città (Alfonso, a quel tempo, in Europa, possedeva un potenziale
bellico micidiale) riducendo Castelnuovo a un mucchio di macerie. La
cinta partiva dalla Porta Reale vecchia, messa in corrispondenza di
piazza del Gesù, inglobava il Monastero di Santa Maria di
Monteoliveto, proseguiva lungo l’allineamento che sarà
successivamente ricalcato da via Toledo, e girava poi in
corrispondenza di Castel Nuovo. L’opera servì a ben poco perché
Napoli fu conquistata dagli spagnoli e la fortificazione non molto
tempo dopo fu messa fuori uso da Don Pedro di Toledo che impostò la
strada che da lui prese il nome. Adesso per quelle mura ’è un
disegno che ne prevede recupero e mostra, visto che un ampio tratto
sarà inserito nel progetto del mezzanino del metrò non solo quale
ricordo di un fondamentale segno urbano: la fortificazione cittadina
tardo - quattrocentesca, ma anche perchè «permetterà ai napoletani -
sottolinea la soprintendente archeologa Maria Luisa Nava - di
riappropriarsi di una altro pezzo della loro storia». |
30/01/2007 E I
VISITATORI INGLESI CONTRIBUISCONO AL VILLAGGIO PROTOSTORICO DI NOLA
(NA) Prima lo stupore per trovarsi di fronte a un’autentica
meraviglia di età preistorica, poi la delusione per come il sito -
risalente a 4000 anni - è conservato. E così hanno deciso di dare un
segno tangibile dell'interesse che si risveglia intorno alle capanne
dell'età del bronzo: in 15, tra turisti e studiosi inglesi, hanno
versato complessivamente 750 euro e sono entrati a far parte del
club «Gli amici del villaggio», l'iniziativa promossa
dall'associazione di volontari Meridies per concorrere alla
salvaguardia del sito. I visitatori inglesi erano giunti a Nola
attraverso l'agenzia londinese «Andante Travels», specializzata in
tour archeologici. E sono stati gli stessi operatori turistici a
mettere mano al portafogli. D'altra parte è proprio dall'Inghilterra
che arrivano i più numerosi gruppi di turisti. Da settembre ad oggi
sono giunti 200 inglesi ed altrettanti sono arrivati dalla Germania.
«Siamo orgogliosi - ha sottolineato intanto Alexandra Lucchetti, di
Andante Travels - di poter essere di aiuto nella salvaguardia del
sito». «È bello - ha evidenziato invece il presidente di Meridies,
Angelo Amato de Serpis - ricevere un riconoscimento dall'estero ma è
anche molto triste dover lottare, spesso invano, nella propria
città». Il contributo raccolto servirà alla realizzazione di
pannelli didattici. Un piccolo passo in avanti dopo la mano tesa
della Provincia che ha messo a disposizione dei fondi per sostenere
l'apertura settimanale del sito e l'acquisto dell'area da parte
della regione Campania. (Fonte: Il Mattino) |
17/01/2007
FORNACI DI EPOCA ROMANA RINVENUTE A PONTELATONE (CE) Tre fornaci di epoca romana sono state rinvenute in località
Cerri di Pontelatone lungo la provinciale Barignano-Dragoni, nel
corso dei lavori di ampliamento e sistemazione della strada. Una è
stata riportata completamente alla luce le altre due sono state solo
contornate. I lavori, coordinati dalla Soprintendenza archeologica
di Napoli, hanno condotto alla decisione di ripristino della
situazione precedente con l'occultamento sotto terra delle fornaci.
In molti però si chiedono perché non viene sondata la zona che
presenta una tomba a pluriloculi, per metà distrutta e poco lontano,
affiorante sulla superficie, una cripta paleocristiana. Inoltre
tutta la rada che si inerpica verso collina che divide Pontelatone
da Bellona, presenta a vista cocci di terracotta e di mattoncini. Da
tempo si ritiene che quel terreno sia una vasta necropoli, come
fanno supporre le tombe rinvenute nella poco distante località
Cervarecce. Il rinvenimento delle fornaci rafforza questa ipotesi.
Inoltre quella che ora si chiama Colla a parere di numerosi studiosi
di storia locale e di storia romana sarebbe il famoso monte
Callicola ove Fabio subì la beffa dei 2000 buoi da parte di
Annibale. L'episodio, raccontato da Livio (XXII, 18), portò
l'esercito cartaginese a liberarsi della morsa in cui era stretto da
quello romano che mirava a spingerlo verso il Volturno per
impedirgli ogni forma di avanzata verso Roma. Ma i buoi impazziti
lanciati in una corsa sfrenata, sulle corna portavano fascine
infiammate, calpestarono i legionari, terrorizzati da mostri che
vomitavano fuoco e muggiti nelle tenebre, che non riuscirono a
fuggire. Lo stesso Fabio, racconta Livio, non uscì dall'accampamento
e non riuscì a coordinare la legione che comandava. Seppellire i
morti era un dovere per gli antichi e quindi farlo sul posto - come
accadde a Strangolagalli in occasione della battaglia con i Galli
che diede nome a quella contrada, ove sono stati recuperati
sarcofaghi in pietra viva di notevole valore archeologico oggi
conservati presso l'Anfiteatro di S. Maria Capua Vetere - risultava
più facile. La presenza delle tre fornaci rinvenute ne possono
essere la controprova. |
12/01/2007 INTESA
SUL "REGIO TRATTURO" Importante accordo fra numerosi comuni dell’Irpinia, che hanno
approvato e sottoscritto un protocollo d’intesa, con lo specifico
scopo di valorizzare il Regio Tratturo “Pescasseroli-Candela” (nella
foto). L’iniziativa prospetta la costituzione di un vero e proprio
itinerario turistico che parta dal recupero dell’antico tracciato
del Tratturo, cioè la via utilizzata dai pastori per la Transumanza,
per svilupparsi in una serie di interventi su tutte le
infrastrutture di sostegno e di valorizzazione degli aspetti
naturalistici, storici e archeologici del paesaggio irpino. Artefici
di tale progetto sono i comuni di Ariano Irpino, Bonito, Casalbore,
Frigento, Greci, Melito Irpino, Montecalvo Irpino, Montaguto,
Savignano Irpino, Villanova del Battista e Zungoli. Gli obiettivi da
raggiungere sono di grande interesse per le nostre aree: si punterà,
soprattutto, a ridurre il deficit di dotazioni infrastrutturali a
sostegno del turismo locale, migliorando la qualità e la quantità
dell’informazione turistica. A questo si aggiungerà, la creazione di
uno specifico marchio territoriale a cui dare il nome di “Terre di
Transumanza”. Le iniziative proposte sono tante. Tra queste, la
realizzazione nelle immediate vicinanze del Regio Tratturo, di
stazioni di posta per i cavalli, a cui si affiancheranno, anche sui
terreni limitrofi, aree di sosta per i turisti, attrezzate con
panchine , tavoli per pic-nic, barbecue. L’attuale segnaletica
turistica sarà integrata da una nuova che possa meglio specificare i
percorsi e le aree visitabili con indicazione dei tempi di
percorrenza e di visita. Altro obiettivo previsto nel protocollo
d’intesa è quello di rafforzare i collegamenti tradizionali tra i
vari comuni, con un incremento di forme di comunicazioni digitali ad
alta velocità. Infine, si prevede la nascita, presso il Comune di
Casalbore, di un centro di servizi turistici, come nodo principale
di una rete informativa territoriale. |
11/01/2007
MANCANO I FONDI PER PROSEGUIRE GLI SCAVI A NOCERA SUPERIORE (SA) Quale sarà la sorte dei reperti archeologici scovati nell'area
adiacente il Battistero Paleocristiano di Santa Maria Maggiore?
Esaurita la prima trance di fondi destinati alle spese necessarie
allo scavo, l'amministrazione comunale dovrà intercettarne di nuovi
per proseguire e rendere fruibile l'area. I lavori realizzati fino a
questo momento hanno riportato alla luce strutture e oggetti di
inaspettato pregio, quasi interamente trasportate a Salerno per
ovvie ragioni di sicurezza. Ma il grosso del lavoro è evidentemente
tutto ancora da fare. Quanto è venuto alla luce fino ad ora,
presumibilmente una villa dotata di un impianto termale, lascia
supporre che, proseguendo le operazioni di scavo in direzione del
torrente Cavaiola ben altre testimonianze e di ancora maggiore
pregio, sia possibile portare alla luce. Ipotesi, supposizioni,
sogni e speranze di un definitivo lancio del turismo archeologico
della città, su cui, però, pende, impietosa, una spada di Damocle. I
finanziamenti ottenuti fino a questo momento sarebbero esauriti già
da dicembre. Quindi urge mettere in moto la macchina burocratica per
intercettarne altri e fare proseguire i lavori, almeno nel senso di
rendere fruibile l'area nel più breve tempo possibile. Nei prossimi
giorni è in programma una conferenza stampa per fare il punto sulla
situazione. Vi prenderanno parte gli amministratori cittadini e i
responsabili dei lavori, sovrintendenti compresi, ai quali non potrà
non essere rivolta la domanda unica e improcrastinabile: quale
futuro per l'archeologia a Nocera Superiore? |
11/01/2007
CASTELLO DI MADDALONI (CE): ORA DIVENTA UN PARCO Sembrava una battaglia ormai appartenente alle memorie del
secolo scorso. Invece, è di nuovo tempo di mobilitazione all’ombra
delle torri. Con ben 57 anni di ritardo, prende corpo l’intervento
giuridico per l’«acquisizione, l’azione di tutela e di conservazione
del castello, delle torri medievali e del parco collinare». In
discussione, da mezzo secolo, c’è l’acquisizione del diritto di
proprietà sul maniero fortificato che è il simbolo e la storia
stessa di Maddaloni. Fallite e archiviate ormai tutte le trattative
tra il Comune e gli eredi de Sivo per un passaggio consensuale del
titolo di proprietà del monumento, la strada della rivalsa giuridica
è l’unica che ancora resta praticabile. Tanto che il sindaco Michele
Farina ha fatto proprie le «linee giuridiche per la conservazione e
la tutela del patrimonio collinare vincolato» studiate dalla Pro
Loco, in collaborazione con il Gruppo archeologico Calatino «Franco
Imposimato». «Oltre il tecnicismo legislativo - spiega Gaetano
Giglio, vicepresidente della Pro Loco - è giunto il momento di
restaurare la piena legalità nella gestione del cuore urbano della
nostra città. Il ministero dei Beni Culturali obbliga i possessori
dei monumenti all’attività diretta di conservazione. Ebbene, questo
monumento, che vanta 23 secoli di vita ininterrotta, a partire dal
primo insediamento fortificato e storicamente documentato (Tito
Livio), ha conosciuto in appena 60 anni una deriva statica e
ambientale che lo hanno trasformato in un rudere pericolante,
contornato da un parco abbandonato». Leggi alla mano, ci sono tutti
i presupposti per un’azione d’autorità ministeriale che metta fine
al degrado. «Tracciata la strada - conclude Giglio - tocca al
sindaco scegliere la procedura più idonea affinché il castello e il
suo parco tornino alla città». Le associazioni locali, in
collaborazione con il Comune, stanno costruendo una «rete di azioni
sinergiche, possa finalmente portare alla tutela di questo enorme
patrimonio culturale». Strategie e testimonianze sulla «questione
castello» saranno rese pubbliche domani alle 18 nella Fondazione
Villaggio dei Ragazzi. |
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