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In età augustea, l'espansione dell'area
urbana di Puteoli verso la zona alta determinò la creazione di un nuovo
foro, più adeguato all'importanza della città rispetto a quello originario
sul Rione Terra. Posto su una terrazza dalla quale dominava il golfo, esso
era disimpegnato da due assi viari ortogonali (di uno di essi si vedono
ancora alcuni basoli in Villa Renda; altri sono stati ritrovati di recente
lungo via Rosini) che lo collegavano da un lato all'acropoli e dall'altro
alla viabilità extraurbana.
Importanti edifici pubblici gravitavano intorno all'area forense. Qui, ad
esempio, era probabilmente la sede cultuale del Collegio degli Augustali
della colonia, del quale si ha notizia da fonti epigrafiche, mentre alcune
iscrizioni menzionano una Basilica Augusti Anniana (forse da identificare
con la Basilica Alexandriana già nota da un'altra epigrafe). Altre
informazioni ci giungono dalle cosiddette tavolette di Murecine, tavolette
cerate di età giulio-claudia rinvenute nell'agro pompeiano, ma relative a
Puteoli. Esse indicano esplicitamente in foro edifici come la porticus
Augusti Sextiana, un chalcidicum Caesonianum, un Chalcidicum Octavianum, un
chalcidicum e un'Ara Augusti Hordioniana, cui davano nome illustri famiglie
puteolane che ne avevano finanziato la costruzione. Il foro era inoltre
arricchito da numerose statue; ce ne sono pervenute alcune basi, per lo più
del periodo tardo imperiale (IV sec. d.C.) con la dedica a personaggi
illustri o benemeriti verso la cittadinanza. Del foro non sussiste più nulla
in quanto il moderno Istituto <<Maria Immacolata>> ha coperto ogni traccia
delle antiche strutture. Durante la costruzione di questo edificio sono
stati recuperati numerosi reperti (frammenti architettonici e scultorei,
epigrafi), e sono venuti alla luce i resti di edifici e monumenti databili
fino al basso impero; fra questi, quelli di una fontana-ninfeo a esedra,
adorna di marmi e colonne, risalente alla metà del II sec. d.C., e di due
basi equestri in seguito dedicate all'imperatore Costantino e a suo figlio
Crispo (ora nel Lapidario dell'Anfiteatro maggiore).
Entrati in Villa Avellino, sulla destra si notano, dopo pochi metri, una
serie di ambienti paralleli a via del Carmine, poco al di sotto del livello
stradale.
Il più significativo è quello posto più lontano dall'ingresso, una grossa
cisterna (m. 50 x m. 20), che, per la sua suddivisione in numerosi
compartimenti comunicanti, ha preso il nome di <<Centocamerelle>>. Le pareti
presentano un paramento in opera reticolata rivestito di signino su cui
ancora si notano i segni dell'acqua.
Probabilmente successivi alla cisterna sono gli altri ambienti: un'aula
circolare, interrata fino all'attaccatura della volta, un vano voltato,
anch'esso interrato, e un ambulacro a due piani, forse di servizio, che
corre lungo il muro perimetrale del parco. I due ambienti voltati sorreggono
una terrazza pavimentata in opus spicatum, il cui muro di fondo, in opera
reticolata, presenta quattro finestre quadrate che dovevano dar luce a vani
posti sotto l'attuale via del Carmine. Davanti ad essi fu successivamente
creato l'ambulacro a volta ribassata; ad una fase ancora posteriore si
riferisce, invece, il passaggio arcuato in laterizio al lato est della
terrazza. La natura di tali resti, databili ai primi due secoli dell'impero,
non è ben chiara; probabilmente appartenevano a qualche complesso
residenziale che sfruttava, in funzione panoramica, il forte dislivello del
terreno.
Nei pressi dell'ingresso meridionale del giardino, nel recinto del Bar, è
situata un'altra importante cisterna, la cosiddetta Piscina Lusciano (m. 35
x m. 20), oggi adibita a deposito. Passaggi ad arco ne mettono in
comunicazione i vari ambienti, con volte a botte impostate su possenti
pilastri cruciformi. La cisterna, in opera mista, è datata alla seconda metà
del I sec. d.C.; il suo funzionamento era simile a quello della piscina
Cardito, servendo da bacino di smistamento delle acque per i numerosi
edifici che si trovavano in zona.
Altri resti sono presenti all'interno della villa, in proprietà privata. Si
tratta di ambienti voltati in opera reticolata con pochi ricorsi in
laterizio, databili forse alla prima metà del I sec. d.C. Le fondazioni sono
scoperte per quasi 3 m., e mostrano chiaramente il dislivello del suolo
rispetto al piano antico che saliva verso la chiesa del Carmine. |